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Autore: StephEnKing1985    20/05/2011    0 recensioni
Tornano, a grande richiesta, Andrea, Emanuele e Marco. I prediletti di Notrix, protagonisti della serie che ha avuto inizio con "Semplicemente... Un bacio", tornano in questa nuova fiction svestendosi dei soliti ruoli:
Marco è il rampollo di un ricco industriale piemontese, che nonostante l'agio e la ricchezza, non è felice, a causa del padre dispotico e della condizione di noia generale che caratterizza la sua vita. Le sue uniche gioie sono i suoi fumetti manga ed una relazione a distanza con un ragazzo di Milano. Un giorno il giovane Marco viene mandato proprio a Milano dal padre a ritirare una lussuosa automobile. Pur essendo stato molte volte in quella città, Marco non conosce bene le strade, e si perderà. In più, l'auto gli verrà rubata da una banda di pericolosi corridori clandestini. Impossibilitato ad intraprendere qualunque azione, Marco capisce che l'unico modo per poter tornare a casa è di riprendersi l'auto. Fiction urban adventure, con il solito pizzico di shonen-ai che non guasta mai e con un cast d'eccezione, già protagonista di altre tre fiction firmate Notrix.
Genere: Avventura, Azione, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Pochi minuti dopo era su di un taxi, seduto tranquillamente aspettando di arrivare a destinazione

Pochi minuti dopo era su di un taxi, seduto tranquillamente aspettando di arrivare a destinazione. Se la ghignava molto bene, pensando a Ricky e alla gioia che avrebbe avuto rivedendolo.

- E’ abbastanza lontano – aveva detto il tassista, un uomo robusto che aveva avuto circa cinquant’anni – Non ce l’ha il navigatore satellitare, quella macchina da cui è sceso? –

- Sì, ce l’ha – rispose Marco – Ma l’ho appena presa, non so esattamente come funzioni. –

- Capisco – acconsentì il tassista, mentre svoltava – Immagino che l’auto non sia sua. –

Marco scosse la testa, sorridendo – Infatti è di mio padre. Mi ha mandato qui a prenderla… Vengo da Torino. –

- Da Torino! – esclamò l’autista – Ci sono stato un po’ di volte, mio figlio studia all’università lì. –

- Ah, e che cosa studia? – domandò sorridendo Marco.

- Ingegneria meccanica. Eh sì, è un grande appassionato di auto, e un giorno spera di entrare a lavorare lì da voi, alla FIAT. –

- Ma che bella notizia. Senta, come si chiama suo figlio? –

- Michele, perché? –

Sorridendo, Marco si sporse tra i due sedili davanti e disse – Magari si potrebbe fare qualcosa. Mio padre conosce alcuni papaveri dell’Azienda, e magari...

- Davvero??? – domandò stupito il tassista, sgranando gli occhi – Oh, credo che ne sarebbe felicissimo! –

- Sicuro. Mi dia soltanto il suo nome e cognome con numero di telefono, poi penseremo a tutto noi. – rispose sorridente Marco.

- Oh, lei non sa quanto io… sia contento di… -

- Non mi ringrazi. È un piacere aiutare, se si può. –

- Lei… ehm… posso darti del tu, vero? Penso che tu abbia la stessa età di mio figlio. –

- Ma certo! –

- Tu sei veramente molto gentile. – rispose l’uomo, fermandosi. – Eccoci, siamo arrivati. –

 

Il posto era un complesso residenziale formato da cinque palazzine di venti piani ciascuna. Entrando, si poteva ammirare un giardino che sembrava una foresta amazzonica, piena d’alberi ben curati ed altre piante, alcune anche esotiche, puntualmente tenute a regime dai custodi, che s’intendevano di alto giardinaggio e floricoltura tropicale.

A fare da contrasto al bellissimo giardino interno, c’erano le palazzine. Di un grigio cinereo che incupivano il cuore soltanto a guardarle, che nelle giornate di pioggia sembravano fondersi con il cielo scuro ad aumentare la sensazione di disagio che già si provava quando cadeva acqua dal cielo. L’effetto ottico era impressionante: sembrava di vedere delle finestre fluttuare nell’aria, invece era solo il cemento delle costruzioni che si mimetizzava quasi bene con lo sfondo grigio. La situazione non migliorava durante le belle giornate, dove il cielo azzurro veniva sporcato dal grigiore della civiltà moderna. Tante volte Marco aveva pensato che il giardino fosse così curato per non dare l’impressione ai visitatori del complesso di entrare in un campo di concentramento. Ci sarebbe mancata solo la scritta Arbeit Macht Frei al cancello dell’entrata, non ci fosse stato il giardino a tamponare quell’orrore.

 

Puffpant… Ma … ma perché quando ci sono venti piani servono anche le scale? Non sarebbe meglio un modulo teletrasportante per ogni piano? Pensò Marco, guardando il visore sulla porta dell’ascensore che, a lettere LED rosse strillava la scritta GUASTO a tutti i condomini della palazzina.

- Sì certo … - Ansimò Marco, in debito d’ossigeno, mentre saliva gli ultimi gradini verso l’appartamento del suo ragazzo – E magari mi verranno anche …. A… - sbuffò - …raccontare che è quasi Ferragosto … e sono tutti in ferie, eh? –

Crollò su un gradino, mettendosi a sedere. Venti piani erano davvero troppi anche per lui. Il suo ragazzo abitava proprio all’ultimo piano, dove l’attico offriva una bella visione del panorama cittadino, nonché dei fumi dello smog che salivano dalla bella città della Madonnina. Estrasse le chiavi dalla borsa. Dai bello. Manca solo un piano. Cerca di non tirare le cuoia, altrimenti oggi non si tromba. E per cosa sei venuto a Milano, allora? Solo per ritirare quello schifo di macchina? Non dimentichiamoci anche delle tue parti basse, che se continua così, ci vorrà un comitato di casalinghe disperate che ti porti ad uno spogliarello show, per farti fare un po’ di sesso come si deve. Arrossì violentemente. Cosa mai aveva pensato quel suo cervellino birichino!

Ma sì dai, togliti quell’abito da santarellina, se ci riesci. La verità è che tu sei porcellino dentro, caro il mio Marco, e che per il tuo ragazzo faresti di tutto, anche venti piani a piedi. Non è forse vero? Non dire di no, tanto sei al diciannovesimo piano e mezzo, e sarebbe una solenne puttanata negare. Quindi coraggio, fatti gli ultimi gradini, dì “ciao” al tuo bel fidanzatino e fatti scopare come cinque mesi fa, quando sul calendario non era ancora primavera ma il tuo bel Ricky aveva già le scalmane. E tu con lui!

- Eh già. Ho le scalmane. – mormorò, riprendendo fiato. Scosse la testa, ormai ristorato dai pochi minuti seduto sul gradino. Si spazzolò ben bene il sedere (anche se il marmo era talmente lucido che ci si avrebbe potuto mangiare sopra) dalla polvere e riprese il cammino.

Arrivato. La porta ovviamente era chiusa, ma il cancelletto protettivo no. Segno chiarissimo che Ricky era in casa. Se lo immaginò spaparanzato sul divano a guardare un film in DVD oppure al computer. L’effetto sorpresa sarebbe risultato ancor più grande quando gli avrebbe detto che non aveva potuto avvisarlo per via del furto del suo telefonino, quindi… chissà che gioia vederselo arrivare in casa! E magari per premiarlo avrebbero fatto l’amore

(Ahi ahi ahi Marcolino, stiamo cedendo di nuovo al romanticismo? Ma sei sicuro che è quello che vuoi?)

e poi avrebbero cenato insieme, proprio come due fidanzatini. E chi se ne importava di suo padre? Tanto ogni volta che andava in viaggio per lavoro, era sempre la solita solfa: non tornava mai il giorno prestabilito, ma sempre due o tre giorni dopo. Anche lui, chissà se aveva un’amante o più di una in giro per l’Italia?

La cosa non gli importava. Se a suo padre non importava di quello che faceva, perché sarebbe dovuto importare a lui?

Si avvicinò alla porta, chiavi alla mano. Infilò lentamente la chiave nella serratura, badando di non fare troppo rumore: non voleva assolutamente rovinare la sorpresa.

Tlac.

Uno scatto. L’eccitazione di Marco gli fece battere forte il cuore.

Tlac.

Due scatti. E la porta non era più bloccata.

Girò la maniglia e la porta si aprì, rivelando il bellissimo salotto dell’attico di Ricky, all’insegna del design più all’avanguardia e del gusto sobrio. Dalle finestre oscurate entrava una luce soffusa molto suggestiva, che anche se piuttosto sfalsata, colpiva i cristalli dei soprammobili e creava degli arcobaleni sui quadri e sulle pareti, dando all’ambiente una sensazione di rilassamento.

La televisione era accesa, ma a volume bassissimo. In onda c’era un vecchio film di Alberto Sordi, su Rai Uno.

Marco adorava i vecchi film, e magari lo avrebbero guardato assieme. Strano però che Ricky non fosse lì sul divano. Dov’era?

Attraversò la cucina, dove due cartoni per la pizza erano stati lasciati lì in bella mostra. Uno contro l’altro, nel piccolo tavolino che spesso li aveva visti cenare insieme dopo un weekend di sesso sfrenato… Perplesso, sollevò un sopracciglio. La sua perplessità aumentò quando guardò sotto il tavolo.

Sgranò gli occhi: lì sotto c’erano un paio di Converse verdi, perfettamente unite che sembrava ci fosse un fantasma seduto sulla sedia, le cui scarpe erano però visibili. Si accucciò, e sotto l’altra sedia, quella opposta, vide un paio di calze a righe nere e rosa. Se fosse stato un investigatore, avrebbe esattamente ricostruito un possibile scenario: La persona A si era tolta le scarpe per qualche motivo e la persona B aveva tolto il calzini alla persona A per qualche altro stranissimo motivo. Non essendo lui un investigatore, l’unica cosa che pensò fu Ah, Ricky Ricky… sempre disordinato. E sorrise, raccogliendo le scarpette ed i calzini. Non registrò per niente che quelle scarpe erano almeno un quarto del piedone di Ricky.

Come un novello Pollicino, Marco trovò nel corridoio un altro indumento. Stavolta era una maglietta nera con l’immagine di un gatto bianco disegnata. Sollevò nuovamente il sopracciglio, ma si limitò a pensare ancora una volta quanto Ricky fosse disordinato.

Le tracce terminavano ad una porta. Guarda caso, era proprio quella della camera da letto. La porta era socchiusa, e dall’interno giungevano mugolii sommessi e la colonna sonora di una musica punk. Improvvisamente, come un fulmine a ciel sereno, Marco capì che cosa stava succedendo. Con un calcione alla porta entrò nella stanza e vide ciò che non avrebbe mai voluto vedere.

- Ricky!!! – Urlò, con gli occhi sgranati.

Il letto era sistemato in modo perpendicolare alla porta. Così Marco ebbe una chiara visione di entrambi: di Ricky e di un ragazzetto giovane, biondo ossigenato, bianco come un cadavere che stava sotto di lui a gambe aperte. La visione svanì immediatamente quando i due amanti si resero conto che Marco era lì, vivo e reale, e non era un’allucinazione. In fretta e furia il ragazzino biondo si coprì, avvolgendosi nelle coperte fino alle orecchie, sgranando gli occhi chiari e tenendo le labbra carnose aperte un silenzioso “oh” di stupore.

Sotto lo sguardo ammutolito ed anche molto incazzato di Marco, Ricky mise le mani avanti. Il suo membro eretto stava tutt’altro che perdendo quota. Forse era per il fatto di essere stato beccato in flagrante, e l’adrenalina di Ricky era alle stelle.

- T… tesoro. Che.. che cosa… Che cosa ci fai qui? – deglutì, rispondendo a fatica.

- Che cosa ci faccio IO qui??? Che cosa ci fa LUI qui!!! – strillò, indicando il ragazzo biondo che si coprì, forse sperando che ci fosse un mago Silvan da qualche parte in grado di pronunciare le parole “Sim Sala Bim” e farlo scomparire in un’altra dimensione.

- Ehm… tesoro, calmati. –

- Non chiamarmi tesoro, porca puttana! – urlò nuovamente, con le guance rosse per l’incazzatura – Chi cazzo è quella puttana bionda, e tu che cazzo stavi facendo???

- Ricky, ma che succede? – domandò il ragazzino biondo, facendo capolino dalle coperte.

- Niente, Brian.. niente. –

- Niente?!? – ripeté Marco – Adesso te lo dico io cosa succede! – lasciò andare tutti i vestiti che aveva raccolto pensando che fossero del fidanzato e prese a picchiarlo sulla testa con una delle scarpe verdi che aveva trovato sotto il tavolo. Ricky cercò di divincolarsi, andando dietro al ragazzo di nome Brian, ma la furia di Marco colpì anche questi, che scappò via e chiuse la porta, portandosi via le coperte. Purtroppo per lui Marco tirò via le coperte ed il ragazzo cadde nudo disteso sul parquet, scivolando e gemendo di dolore.

- Ahia!!!

- Vi ammazzo! A tutti e due!!! – urlò, avventandosi sul ragazzino. Quello strisciò verso la porta, ma Marco lo agguantò per una caviglia e lo tirò a sé.

- Lasciami!!! Stronzo!! – urlò Brian, e gli tirò una pedata in pieno viso, facendogli volare via gli occhiali. Quella mossa fece incazzare ancora di più Marco, che gli andò addosso e gli mise le mani al collo cercando di strozzarlo. Digrignando i denti, strinse la morsa delle mani, e Brian per tutta risposta lo tirò per la cravatta, soffocandolo a sua volta.

- Aaaarrrggghhh!!! Coff!!! – tossì, sputò e urlò, mentre Ricky cercava di dividerli. Marco era agguerrito, ma anche Brian non scherzava. Purtroppo per il povero Ricky ricevette un pugno diretto sul naso, che lo mandò a sedere e a sbattere la testa sull’armadio, mentre quei due ancora si azzuffavano.

- Ti ammazzo, puttanella schifosa!!! – urlava Marco, cercando di soffocarlo con le sue stesse mani – Ricky è mio e soltanto mio, hai capito??? –

- Nooo!! Coff!! Ricky è uno scopatore da primato, ed io voglio farmi scopare soltanto da lui!!! Quindi vai via, stronzetto da quattro soldi!!! – stridette il biondino. A quel punto Marco prese a sbatterlo violentemente sul parquet, in modo da fargli male sul serio al cranio. La sua testa fece un bel rumore, ed oltretutto servì a calmarlo. Quando si fu calmato, Marco scese da lui e carponi tirò un sospiro di sollievo.

- Ahio… - gemette Brian.

- Ahi… - rispose Marco.

- Ra… ragazzi… - mugolò Ricky. Entrambi si voltarono lentamente a guardarlo. Sanguinava dalla testa e dal naso.

 

 

 

 

 

 

   
 
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