Pochi
minuti dopo era su di un taxi, seduto tranquillamente aspettando di arrivare a
destinazione. Se la ghignava molto bene, pensando a Ricky e alla gioia che
avrebbe avuto rivedendolo.
- E’
abbastanza lontano – aveva detto il tassista, un uomo robusto che aveva avuto
circa cinquant’anni – Non ce l’ha il navigatore satellitare, quella macchina da
cui è sceso? –
-
Sì, ce l’ha – rispose Marco – Ma l’ho appena presa, non so esattamente come
funzioni. –
-
Capisco – acconsentì il tassista, mentre svoltava – Immagino
che l’auto non sia sua. –
Marco
scosse la testa, sorridendo – Infatti è di mio padre. Mi ha mandato qui a
prenderla… Vengo da Torino. –
- Da
Torino! – esclamò l’autista – Ci sono stato un po’ di volte, mio figlio studia
all’università lì. –
-
Ah, e che cosa studia? – domandò sorridendo Marco.
-
Ingegneria meccanica. Eh sì, è un grande appassionato di auto, e un giorno
spera di entrare a lavorare lì da voi, alla FIAT. –
- Ma
che bella notizia. Senta, come si chiama suo figlio? –
-
Michele, perché? –
Sorridendo,
Marco si sporse tra i due sedili davanti e disse – Magari si potrebbe fare
qualcosa. Mio padre conosce alcuni papaveri dell’Azienda, e magari... –
-
Davvero??? – domandò stupito il tassista, sgranando
gli occhi – Oh, credo che ne sarebbe felicissimo! –
-
Sicuro. Mi dia soltanto il suo nome e cognome con numero di telefono, poi
penseremo a tutto noi. – rispose sorridente Marco.
-
Oh, lei non sa quanto io… sia contento di… -
-
Non mi ringrazi. È un piacere aiutare, se si può. –
-
Lei… ehm… posso darti del tu, vero? Penso che tu abbia la stessa età di mio
figlio. –
- Ma
certo! –
- Tu
sei veramente molto gentile. – rispose l’uomo, fermandosi. – Eccoci, siamo
arrivati. –
Il
posto era un complesso residenziale formato da cinque palazzine di venti piani ciascuna. Entrando, si poteva ammirare un
giardino che sembrava una foresta amazzonica, piena d’alberi ben curati ed
altre piante, alcune anche esotiche, puntualmente tenute a regime dai custodi,
che s’intendevano di alto giardinaggio e floricoltura tropicale.
A
fare da contrasto al bellissimo giardino interno, c’erano le palazzine. Di un
grigio cinereo che incupivano il cuore soltanto a guardarle, che nelle giornate
di pioggia sembravano fondersi con il cielo scuro ad aumentare la sensazione di
disagio che già si provava quando cadeva acqua dal cielo. L’effetto ottico era
impressionante: sembrava di vedere delle finestre fluttuare nell’aria, invece
era solo il cemento delle costruzioni che si mimetizzava quasi bene con lo
sfondo grigio. La situazione non migliorava durante le belle giornate, dove il
cielo azzurro veniva sporcato dal grigiore della civiltà moderna. Tante volte
Marco aveva pensato che il giardino fosse così curato per non dare
l’impressione ai visitatori del complesso di entrare in un campo di
concentramento. Ci sarebbe mancata solo la scritta Arbeit Macht Frei al
cancello dell’entrata, non ci fosse stato il giardino a tamponare quell’orrore.
Puff… pant… Ma … ma perché
quando ci sono venti piani servono anche le scale? Non sarebbe meglio un modulo
teletrasportante per ogni piano? Pensò Marco, guardando il visore sulla
porta dell’ascensore che, a lettere LED rosse strillava la scritta GUASTO a
tutti i condomini della palazzina.
- Sì
certo … - Ansimò Marco, in debito d’ossigeno, mentre saliva gli ultimi gradini
verso l’appartamento del suo ragazzo – E magari mi verranno anche …. A… -
sbuffò - …raccontare che è quasi Ferragosto … e sono tutti in ferie, eh? –
Crollò
su un gradino, mettendosi a sedere. Venti piani erano davvero troppi anche per
lui. Il suo ragazzo abitava proprio all’ultimo piano, dove l’attico offriva una
bella visione del panorama cittadino, nonché dei fumi dello smog che salivano
dalla bella città della Madonnina. Estrasse le chiavi dalla borsa. Dai bello. Manca solo un piano. Cerca di non tirare
le cuoia, altrimenti oggi non si tromba. E per cosa sei venuto a Milano,
allora? Solo per ritirare quello schifo di macchina? Non dimentichiamoci anche
delle tue parti basse, che se continua così, ci vorrà un comitato di casalinghe
disperate che ti porti ad uno spogliarello show, per farti fare un po’ di sesso
come si deve. Arrossì violentemente. Cosa mai aveva pensato quel suo
cervellino birichino!
Ma sì dai, togliti quell’abito da
santarellina, se ci riesci. La verità è che tu sei porcellino dentro, caro il
mio Marco, e che per il tuo ragazzo faresti di tutto, anche venti piani a
piedi. Non è forse vero? Non dire di no, tanto sei al diciannovesimo piano e
mezzo, e sarebbe una solenne puttanata negare. Quindi coraggio, fatti gli
ultimi gradini, dì “ciao” al tuo bel fidanzatino e fatti scopare come cinque
mesi fa, quando sul calendario non era ancora primavera ma il tuo bel Ricky
aveva già le scalmane. E tu con lui!
- Eh
già. Ho le scalmane. – mormorò, riprendendo fiato. Scosse la testa, ormai ristorato dai pochi minuti seduto sul gradino. Si spazzolò
ben bene il sedere (anche se il marmo era talmente lucido che ci si avrebbe potuto mangiare sopra) dalla polvere e riprese il
cammino.
Arrivato.
La porta ovviamente era chiusa, ma il cancelletto protettivo no. Segno
chiarissimo che Ricky era in casa. Se lo immaginò spaparanzato sul divano a
guardare un film in DVD oppure al computer. L’effetto sorpresa sarebbe
risultato ancor più grande quando gli avrebbe detto che non aveva potuto
avvisarlo per via del furto del suo telefonino, quindi… chissà che gioia
vederselo arrivare in casa! E magari per premiarlo avrebbero fatto l’amore
(Ahi ahi ahi
Marcolino, stiamo cedendo di nuovo al romanticismo?
Ma sei sicuro che è quello che vuoi?)
e poi avrebbero cenato insieme, proprio come due
fidanzatini. E chi se ne importava di suo padre? Tanto ogni volta che andava in
viaggio per lavoro, era sempre la solita solfa: non tornava mai il giorno
prestabilito, ma sempre due o tre giorni dopo. Anche lui, chissà se aveva
un’amante o più di una in giro per l’Italia?
La
cosa non gli importava. Se a suo padre non importava di quello che faceva,
perché sarebbe dovuto importare a lui?
Si
avvicinò alla porta, chiavi alla mano. Infilò lentamente la chiave nella
serratura, badando di non fare troppo rumore: non voleva assolutamente rovinare
la sorpresa.
Tlac.
Uno
scatto. L’eccitazione di Marco gli fece battere forte il cuore.
Tlac.
Due
scatti. E la porta non era più bloccata.
Girò
la maniglia e la porta si aprì, rivelando il bellissimo salotto dell’attico di
Ricky, all’insegna del design più all’avanguardia e del gusto sobrio. Dalle
finestre oscurate entrava una luce soffusa molto suggestiva, che
anche se piuttosto sfalsata, colpiva i cristalli dei soprammobili e
creava degli arcobaleni sui quadri e sulle pareti, dando all’ambiente una
sensazione di rilassamento.
La
televisione era accesa, ma a volume bassissimo. In onda c’era un vecchio film
di Alberto Sordi, su Rai Uno.
Marco
adorava i vecchi film, e magari lo avrebbero guardato assieme. Strano però che
Ricky non fosse lì sul divano. Dov’era?
Attraversò
la cucina, dove due cartoni per la pizza erano stati lasciati lì in bella
mostra. Uno contro l’altro, nel piccolo tavolino che spesso li aveva visti
cenare insieme dopo un weekend di sesso sfrenato… Perplesso, sollevò un
sopracciglio. La sua perplessità aumentò quando guardò sotto il tavolo.
Sgranò
gli occhi: lì sotto c’erano un paio di Converse verdi, perfettamente unite che
sembrava ci fosse un fantasma seduto sulla sedia, le cui scarpe erano però
visibili. Si accucciò, e sotto l’altra sedia, quella opposta, vide un paio di
calze a righe nere e rosa. Se fosse stato un investigatore, avrebbe esattamente
ricostruito un possibile scenario: La persona A si era tolta le scarpe per
qualche motivo e la persona B aveva tolto il calzini
alla persona A per qualche altro stranissimo motivo. Non essendo lui un
investigatore, l’unica cosa che pensò fu Ah,
Ricky Ricky… sempre disordinato. E sorrise,
raccogliendo le scarpette ed i calzini. Non registrò per niente che quelle
scarpe erano almeno un quarto del piedone di Ricky.
Come
un novello Pollicino, Marco trovò nel corridoio un
altro indumento. Stavolta era una maglietta nera con l’immagine di un gatto
bianco disegnata. Sollevò nuovamente il sopracciglio, ma si limitò a pensare
ancora una volta quanto Ricky fosse disordinato.
Le
tracce terminavano ad una porta. Guarda caso, era proprio quella della camera
da letto. La porta era socchiusa, e dall’interno giungevano mugolii sommessi e
la colonna sonora di una musica punk. Improvvisamente, come un fulmine a ciel
sereno, Marco capì che cosa stava succedendo. Con un calcione alla porta entrò
nella stanza e vide ciò che non avrebbe mai voluto vedere.
-
Ricky!!! – Urlò, con gli occhi sgranati.
Il
letto era sistemato in modo perpendicolare alla porta. Così Marco ebbe una
chiara visione di entrambi: di Ricky e di un ragazzetto giovane, biondo
ossigenato, bianco come un cadavere che stava sotto di lui a gambe aperte. La
visione svanì immediatamente quando i due amanti si resero conto che Marco era
lì, vivo e reale, e non era un’allucinazione. In fretta e furia il ragazzino
biondo si coprì, avvolgendosi nelle coperte fino alle orecchie, sgranando gli
occhi chiari e tenendo le labbra carnose aperte un silenzioso “oh” di stupore.
Sotto
lo sguardo ammutolito ed anche molto incazzato di Marco, Ricky mise le mani
avanti. Il suo membro eretto stava tutt’altro che perdendo quota. Forse era per
il fatto di essere stato beccato in flagrante, e l’adrenalina di Ricky era alle
stelle.
- T…
tesoro. Che.. che cosa… Che cosa ci fai qui? –
deglutì, rispondendo a fatica.
-
Che cosa ci faccio IO qui??? Che cosa ci fa LUI qui!!!
– strillò, indicando il ragazzo biondo che si coprì, forse sperando che ci
fosse un mago Silvan da qualche parte in grado di pronunciare le parole “Sim
Sala Bim” e farlo scomparire in un’altra dimensione.
-
Ehm… tesoro, calmati. –
-
Non chiamarmi tesoro, porca puttana! – urlò nuovamente, con le guance rosse per
l’incazzatura – Chi cazzo è quella puttana bionda, e tu che cazzo stavi
facendo??? –
-
Ricky, ma che succede? – domandò il ragazzino biondo, facendo capolino dalle
coperte.
-
Niente, Brian.. niente. –
-
Niente?!? – ripeté Marco – Adesso te lo dico io cosa
succede! – lasciò andare tutti i vestiti che aveva raccolto pensando che
fossero del fidanzato e prese a picchiarlo sulla testa con una delle scarpe
verdi che aveva trovato sotto il tavolo. Ricky cercò di divincolarsi, andando
dietro al ragazzo di nome Brian, ma la furia di Marco colpì anche questi, che
scappò via e chiuse la porta, portandosi via le coperte. Purtroppo per lui
Marco tirò via le coperte ed il ragazzo cadde nudo disteso sul parquet,
scivolando e gemendo di dolore.
-
Ahia!!! –
- Vi
ammazzo! A tutti e due!!! – urlò, avventandosi sul
ragazzino. Quello strisciò verso la porta, ma Marco lo
agguantò per una caviglia e lo tirò a sé.
-
Lasciami!!! Stronzo!! – urlò Brian, e gli tirò una
pedata in pieno viso, facendogli volare via gli occhiali. Quella mossa fece
incazzare ancora di più Marco, che gli andò addosso e gli mise le mani al collo
cercando di strozzarlo. Digrignando i denti, strinse la morsa delle mani, e
Brian per tutta risposta lo tirò per la cravatta, soffocandolo a sua volta.
- Aaaarrrggghhh!!! Coff!!! – tossì, sputò e urlò, mentre Ricky cercava di
dividerli. Marco era agguerrito, ma anche Brian non scherzava. Purtroppo per il
povero Ricky ricevette un pugno diretto sul naso, che lo mandò a sedere e a
sbattere la testa sull’armadio, mentre quei due ancora si azzuffavano.
- Ti
ammazzo, puttanella schifosa!!! – urlava Marco,
cercando di soffocarlo con le sue stesse mani – Ricky è mio e soltanto mio, hai
capito??? –
- Nooo!! Coff!! Ricky è uno scopatore da primato, ed io voglio farmi
scopare soltanto da lui!!! Quindi vai via, stronzetto
da quattro soldi!!! – stridette il biondino. A quel punto Marco prese a
sbatterlo violentemente sul parquet, in modo da fargli male sul serio al
cranio. La sua testa fece un bel rumore, ed oltretutto servì a calmarlo. Quando
si fu calmato, Marco scese da lui e carponi tirò un sospiro di sollievo.
- Ahio… - gemette Brian.
-
Ahi… - rispose Marco.
-
Ra… ragazzi… - mugolò Ricky. Entrambi si voltarono lentamente a guardarlo.
Sanguinava dalla testa e dal naso.