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Autore: Nicknothing    23/05/2011    1 recensioni
Avevo intenzione di scrivere un racconto che mi era balenato in mente a seguito di un'idea. Però si sa che la penna non segue mai totalmente la testa dello scrittore. Il racconto ha preso la sua forma, ed è completamente diverso da come l'avevo immaginato... spero vi piaccia... e chissà che un giorno non scriva la storia originale :)
Ambientata a Durmstrang in un tempo che idealmente anticipa la nascita del protagonista della saga di almeno cinqua anni.
Si tratta di una serie di eventi che legano due ragazzi che neanche si conoscono. E' una sorta di battaglia sociale, o non saprei come definirla.
Se vi ho incuriosito leggete, altrimenti probabilmente passerete una serata migliore :)
Siccome è un tema che mi intriga parecchio, credo che da qualche parte ci sia un po' di omosessualità, repressa, manifesta o negata che sia. Io vi avviso perchè credo sia mio dovere... ma non voglio anticiparvi nulla :)
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Altro contesto
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Lo so, lo so. Ho interrotto l’altra storia a metà e non la continuo da oltre un mese… facciamo due.
E’ che l’ispirazione merliniana mi ha momentaneamente abbandonato. Facciamo finta che i racconti di Merlin siano finiti causa fine stagione, intendo riprenderli, ma ho bisogno della musa per farlo xD
So che in questo momento dovrei studiare, gli esami sono alle porte, eppure la voglia di trovare una distrazione è più forte di quella di mettersi sotto e stressarsi ulteriormente, così.
Questa storia è un racconto unico, credo che in certi casi siano i più efficaci. Non l’ho ancora scritta, ma mi accingo a farlo.
Spero vi piaccia, e spero di riuscire a mettere su carta l’idea che ho dentro.


I Figli Di Durmstrang

Ector si tolse il pesante cappotto invernale e lo posò con delicatezza sul letto. Era uscito per una commissione, un compito affidatogli dall’insegnante di arti oscure. Non c’era possibilità di dirgli di no, qualsiasi fosse stato il compito, illegale o meno, gli studenti erano obbligati ad obbedire.
Era dovuto scendere nelle cantine, per non farsi notare. Le grida dei compagni in punizione lo avevano accompagnato lungo tutto il tragitto. Era l’unica via, continuava a ripetersi.
La parte peggiore venne quando giunse al porcile, il professore era stato chiaro, doveva individuare il maiale più grosso e strappargli il cuore, da vivo.
Ector rabbrividì,  non sapeva cosa diavolo ci facesse in quella scuola, era stata un’imposizione del padre, lui sarebbe andato ovunque tranne che a Durmstrang. Dei cinque anni che aveva passato lì, non c’era stato un giorno in cui si fosse veramente sentito a suo agio, un giorno in cui si fosse sentito felice.
I compagni, sebbene fossero uniti nella paura, sapevano essere degli sciacalli tra loro e  i professori lo erano praticamente di diritto.
“Ti formeranno” diceva suo padre, “faranno di te prima un uomo e poi un mago, vedrai!” c’era anche troppo orgoglio in quelle frasi secondo Ector, ma non aveva avuto il coraggio di opporsi.


Con le lacrime agli occhi era riuscito a infilare la mano nel petto della creatura terrorizzata, la paura di quella bestia lo fulminava, gli faceva quasi male. Ma doveva. Sapeva che quella era di per se una sorta di punizione. A dire del professore era una questione di disciplina, e lui ne mancava. Non aveva fegato, bisognava che qualcuno glielo facesse crescere.
Grazie ad un incantesimo che il professore gli aveva imposto di usare, la bestia era morta, ma il suo cuore pulsava tenacemente tra le mani del suo assassino.
Ector non potè trattenersi dal vomitare.
Non se ne vergognava affatto.
Dopo qualche minuto si rialzò, raccolse il cuore con uno straccio e si diresse nuovamente al forte di Durmstrang.
La via del ritorno era la stessa dell’andata, ma stavolta le urla dei suoi compagni gli erano indifferenti. Non poteva fare niente per loro, doveva ignorarli. Fruste incantate colpivano a intervalli regolari quei cinque- sei ragazzi che avevano osato mancare di rispetto o disobbedire ai loro professori, o peggio ai loro superiori. Le punizioni corporali erano un vanto per Durmstrang.


Ector li superò tutti chiudendo gli occhi per non vedere, il cappotto gli sventolava tetramente alle spalle.
Poi lo vide, un ragazzo del settimo anno, lo conosceva di vista. Stava lì, incatenato, e lo guardava con calma. Sembrava non sentire i colpi della frusta che si accaniva sulla sua schiena nuda.
Il ragazzo rimase per alcuni istanti immobile, non poteva staccare i suoi occhi azzurri da quelli neri e magnetici dell’altro.
Che ci faceva un ragazzo ormai maggiorenne lì? Insomma, dopo sette anni non aveva ancora capito come comportarsi in quel posto orribile?
Uno schiocco di frusta particolarmente forte lo distolse dai suoi pensieri. Si scosse per alcuni istanti e si allontanò scuotendo la testa per scacciare i pensieri che vi formicolavano all’interno.
I suoi stivali sporchi di sangue e fango facevano un rumore strano mentre si apprestava a salire la lunga scala di pietra che portava alle aule.
Non scambiò nessuna parola con il professore, si limitò a consegnarli il pacchetto che ancora si contorceva e a salutare con un inchino prima di voltare le spalle e andarsene.
Non capiva come fosse riuscito a mantenere la calma  così a lungo. Appena varcò la porta, aspettò di sentirla chiudersi alle sue spalle e iniziò a correre.
C’era poca gente a quell’ora in giro, nessuno lo notò.
Chiuse piano l’uscio della sua camerata e si diresse verso i lavandini dopo essersi tolto l’accappatoio.
Sembrava aver perso 10 chili senza quello addosso.
Si apprestò verso il lavandino e aprì l’acqua, prese a uscire lentamente.  Con due dita si portò alcune gocce di quel liquido fresco sulle labbra, le dischiuse un attimo e si lasciò andare ad un pianto silenzioso.
Davanti a lui stava un ragazzo distrutto, i capelli rossi così corti da sembrare un prato appena tosato, le sue sopracciglia  e i suoi occhi erano sporchi di sangue. Le lacrime e il rosso si erano uniti in pochi rivoli di disperazione. Le righe,  disegnate sul suo volto, sembravano le sbarre di una prigione, ed era così che si sentiva, in gabbia.
Distolse lo sguardo dallo specchio disgustato, gli mancavano i suoi capelli, erano l’orgoglio di sua madre. Di un rosso scuro e gioioso, per quanto gioioso possa essere un colore, sembravano comunicare forza e voglia di vivere, ne era sempre andato fiero.
Aumentò il flusso dell’acqua, ne raccolse una gran quantità con le mani e se la portò al viso.
Voleva sentire la sensazione di freschezza e di libertà che sentiva sulla pelle anche dentro, ma sapeva che non era possibile.
Quando ebbe finito si riguardò nello specchio. Era sempre lui, all’apparenza normale, all’apparenza sereno. Gli occhi, di un celeste così chiaro che sembravano brillare nel buio, però, comunicavano una tristezza e una solitudine impareggiabili.

***

“c’è un’altra razza, oltre quella dei babbani e dei mezzosangue, che dobbiamo debellare infine” disse l’uomo con la veste nera che passeggiava mollemente dietro la cattedra.
“è quella dei sodomiti” concluse con la sua voce melensa, mentre si fermava a rivolgere un sorrisetto compiaciuto alla sua classe del settimo anno.
Alcuni ragazzi in prima fila si batterono i pugni sul petto in senso di assenso, ma poco dietro, molti bisbigli lasciavano intravedere un certo sconcerto.
C’è da dire che molti ignoravano il significato della parola sodomita, ma, una piccola parte, era velatamente in disaccordo.
“Non la pensate così?”  disse l’uomo come a rispondere alla muta domanda che i ragazzi meno ottusi si stavano ponendo a seguito di quelle affermazioni.
“I sodomiti, i disgustosi maghi  che praticano questo…. Abominio, sono colpevoli tanto quanto i mezzosangue o i babbani stessi.
Loro privano il mondo magico del loro seme, loro non permettono alla grande stirpe dei maghi di dominare il mondo.
Loro sono ladri tanto quanto i magonò o i mezzosangue, rubano a noi importanti elementi, elementi che potrebbero costituire la nostra superiore società.”
Questa sorta di giustificazione era, se possibile, ancora più assurda di quella che davano per incolpare i mezzosangue. Ma del resto…era risaputo che a durmstrang  l’intolleranza, non fosse solo tollerata, ma molto più che bene accetta.

Maksym non potè fare a meno che lasciarsi sfuggire un ghigno alle affermazioni del professore, quanto da fare si dava  in una sola lezione di storia della magia, lezioni d’odio dovevano chiamarle.
Purtroppo al mondo la gente prende per oro colato quello che gli si dice, e, se non si fa le proprie idee, prende molto volentieri in prestito quelle degli altri. La sodomia doveva essere si abominevole se il professor Bjorn si dava tanto da fare per nascondere la sua.
“tu” l’apostrofò pacatamente l’uomo puntandogli contro la bacchetta, “hai forse qualcosa da aggiungere?” prosegui con tono venefico.
Maksym non si aspettava quella reazione, ma decise di coglierla al volo, aveva deciso che quella notte avrebbe concluso i suoi studi in quella fortezza diroccata, qualche sfizio poteva anche toglierselo.
“no, signore” rispose allora con il tono più sommesso che gli riusciva di fare.
Il bisbigliare attorno a lui crebbe mentre una scarica di adrenalina lo percorreva da capo a piedi attraverso ogni fibra del suo essere.
“mi chiedevo solo cosa andiate a fare ogni sera in quel sudicio bar del villaggio… insomma, se la sodomia è un problema per voi..” concluse allegramente lanciando al professore un occhiata di sfida.

Gli occhi grigi dell’uomo si iniettarono di sangue, sembravano voler uscire fuori dalle orbite. All’improvviso sembrava essersi tramutato in un enorme teiera.
“c-co-co-come osi!” gridò , o meglio, fischiò, con odio misto a vergogna nella voce.
Levò la bacchetta con rapidità, ma era vecchio. Maksym lo disarmò immediatamente. La forza del suo incantesimo lo mandò a sbattere contro la cattedra, mentre lo studente ribelle gli stava davanti puntandogli contro la bacchetta.
Non sapeva neanche lui cosa avrebbe fatto, perché non ci riuscì. Da dietro forse una decina di schiantesimi lo colpirono mandandolo al tappeto.
L’ultima immagine che vide fu quella del professore che, paonazzo, si spolverava il soprabito cercando di nascondere la sua cocente vergogna.

Il trattamento che gli era stato riservato era il più duro che si fosse mai praticato in quella scuola, la frusta era di  sottili anelli d’acciaio. E le stesse catene che lo tenevano immobilizzato erano ardenti, bruciavano di continuo.  Ma la sua volontà era più forte, e la sua punizione dopo ormai due giorni era quasi finita.
Sapeva che per quell’affronto sarebbe stato denunciato anche alle autorità, era maggiorenne e l’aggressione non era tollerata in quel buco di fogna. Ma aveva un piano.

***

Il giorno dopo Eric aveva scoperto chi era il ragazzo rinchiuso nelle cantine, aveva sentito la sua storia fare il giro della fortezza almeno quattro volte, e, chissà perché arrossiva violentemente ogni volta che lo sentiva nominare.
Era il freddo, diceva. Non che fosse strano in quelle terre.

La notte seguente le suggestioni che lo avevano bersagliato per tutto l’arco della giornata sembrarono non volerlo lasciare neanche in sogno. Lo vide in diversi scenari, e alcuni erano davvero imbarazzanti, pensò.
Il suo volto dai lineamenti così insoliti, le sue labbra carnose, gli occhi scuri, i capelli neri, gli zigomi alti e il volto vagamente scarno…. sembrava uno di quelle divinità greche di cui aveva letto qualche volta da bambino. Un dio della guerra forse.
 All’improvviso però un immagine, più chiara delle altre, ruppe la pace di tutte le visioni precedenti.  Il suo volto sembrava affiorare da un lago nero, e nel farlo, con gli occhi carichi di paura, gridava, un grido di dolore, un grido in cui era implicita una richista d’aiuto.

Eric si alzò di  scatto, era sudato. Sentiva il pigiama aderire al suo corpo completamente bagnato, ma, ancora di più, sentiva la reale necessità di andare nei sotterranei e salvare quel ragazzo.

Indossò la divisa in un lampo, quella e gli stivali erano gli unici vestiti che era consentito avere in quella scuola. Non brillavano certo per comodità, e avevano un non so che di rigido, sebbene alcuni ragazzi sembrassero nati per portarli.
Si fiondò sulle scalinate facendo attenzione a non svegliare nessuno nella sua camerata. Non sapeva cosa stesse facendo, non sapeva perché stesse rischiando tanto per qualcuno con cui non aveva mai neanche parlato.
Dopo alcuni minuti  fu alla porta delle cantine.
la trovò aperta.
Scese con calma, qualcosa lo aveva insospettito in tutta quella faccenda, sembrava tutto troppo calmo, tutto innaturale.
“Crucio!” la maledizione ruppe il silenzio  con una forza spaventosa
perché bisogna volerlo veramente…
Lle urla soffocate di Maksym vennero subito dopo. Non era stato difficile, per Ector, capire chi avesse scagliato la maledizione senza perdono.
La voce stridula del professore di storia della magia era piuttosto famosa, ed era ancor più famosa la sua indole vendicativa.
Scese le scale piano, tentando di non fare alcun rumore.
Un rivolo di sudore scese lentamente lungo la sua orbita fino al suo collo, poi giù, verso il petto dove un il cuore sembrava voler scappare via.

Aveva gli occhi gonfi di lacrime. La scena che aveva davanti era esagerata, il bel corpo di Maksym, strano con quanta naturalezza lo reputasse “bello”, era tempestato di tagli.
Solchi più o meno profondi che si andavano a sommare alla sua schiena perfetta ma squarciata e ai polsi profondamente ustionati.
La sua espressione, carica di dolore, sembrava non volerla dar vinta al suo aguzzino,  in alcun modo, ma era inerme.
Ector fece un passo in avanti, ipnotizzato.
Pestò qualcosa o forse mise un piede in una pozza d’acqua, fatto sta che ormai aveva dichiarato la sua presenza.
I due individui di fronte a lui si girarono di scatto, entrambi stupiti.
Maksym, in ginocchio davanti al suo torturatore, guardava con gli occhi pieni di paura verso il ragazzo che sapeva stava per fare una brutta fine. Bjorn invece boccheggiava non sapendo come comportarsi.
Con gli occhi carichi di lacrime, Ector scagliò una fattura di cui non si pentì, non come si sarebbe aspettato invece. Lo schiantesimo colpì il professore in pieno petto mandandolo a gambe all’aria.
Quell’espressione di stupore era ancora stampata sul suo viso mentre cadeva verso il suolo con le bacchette strette in mano.
Subito dopo il rumore dei due bastoncini che urtavano il pavimento.
Ector prontamente  le raccolse, si avvicinò al giovane ormai quasi accasciato al suolo e, cercando di evitare di toccargli le ferite più del necessario, si mise un suo braccio intorno al collo.
Con qualche difficoltà riuscì a caricarlo sopra le scale.
“portami al mio dormitorio presto” riuscì a dire il moro dopo aver recuperato la lucidità per un istante.
“non possiamo rimanere in questo castello… ci ammazzerà!” gli rispose l’altro ormai completamente nel panico.
“ti prego…”
Ector non sapeva perché lo stesse facendo, era tutto uno sbaglio, e quel che era peggio era l’esserne consapevole fin dall’inizio.
Ma non si tirò indietro.
Ci misero  più di un quarto d’ora per raggiungere i dormitori dei ragazzi del settimo anno, avevano dovuto evitare più di qualche ronda, senza contare la temporanea impossibilità di muoversi di Maksym.
Alla fine però ce l’avevano fatta, solo che Ector non riusciva a capire la necessità di andare lì.

Sul letto trovarono una serie di ampolle, tutte piene dello stesso liquido denso e giallognolo.
“dittamo..” sussurrò infine Ector tra se e se. Automaticamente prese le boccette e, senza che l’altro avesse il tempo di dire una parola, prese a spalmarne il contenuto  lungo tutti i tagli.
Quando ebbe finito si accorse di aver toccato praticamente tutto il corpo del ragazzo senza neanche avergli chiesto il permesso. Per un istante arrossì. L’altro invece si limitò a ringraziarlo, con un sorriso solare.
Sembrava emanare un calore tutto suo ora che stava decisamente meglio.
dovevano andarsene di lì in fretta convennero i due. Attorno a loro tutti dormivano, non c’era nessuno a guardarli. Uno strano desiderio colse Ector mentre guardava verso il basso imbarazzato il corpo del giovane mago.
Con imbarazzo gli restituì la bacchetta che aveva preso quando aveva schiantato il mago.


“hei…” gli sussurrò con calma l’altro cercando di allentare la tensione, ma poi il rumore di una porta scardinata distolse rapidamente l’attenzione di entrambi.
I ragazzi dentro gli altri letti avevano già impugnato le bacchette, stavano ancora dormendo, ma fisicamente erano pronti a tutto. Bjorn aveva sfondato la porta con tutta la rabbia che serbava verso quei due.
“prendeteli, idioti!” gridò allora in risposta alle facce interrogative di tutti gli studenti lì presenti.
Ector e Maksym si buttarono immediatamente sotto il letto mentre una pioggia di incantesimi gli si accaniva contro.
Ector gli lanciò un occhiata terrorizzata, ma l’altro si limitò a sorridere con calma.
“tieniti forte”, gli sussurrò mentre una seconda pioggia di incantesimi si infrangeva contro i muri e i letti lì vicino.
All’improvviso il letto sotto al quale si stavano nascondendo prese vita.
con un balzo se li mise letteralmente in groppa e si lanciò in corsa verso la finestra.
Ector era stupefatto, mentre si reggeva saldamente alla spalliera del letto guardando nel vuoto. Così tutti gli altri in quella stanza oltre Maksym erano sorpresi. Il letto incantato stava volando, letteralmente. Il professore però si riprese rapidamente dallo sgomento iniziale. Tentò di strappare la bacchetta al più vicino dei ragazzi.
Ma Maksym fu più veloce.
“oppugno” aveva gridato all’aria gelida della notte mentre i frammenti della vetrata si scagliavano a tutta velocità verso il vecchio mago.

Ok, l'idea non era proprio questa, ma sono sicuro che si possa leggere una sorta di grossa metafora in tutto ciò.
Spero di non avervi annoiato e spero che almeno uno di voi sia arrivato fin qui :)
buona serata!

  
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