Lo
so, lo so. Ho interrotto l’altra storia a metà e
non la
continuo da oltre un mese… facciamo due.
E’
che l’ispirazione merliniana mi ha momentaneamente
abbandonato. Facciamo
finta che i racconti di Merlin siano finiti causa fine stagione,
intendo
riprenderli, ma ho bisogno della musa per farlo xD
So
che in questo momento dovrei studiare, gli esami sono alle porte,
eppure la
voglia di trovare una distrazione è più forte di
quella di mettersi sotto e
stressarsi ulteriormente, così.
Questa
storia è un racconto unico, credo che in certi casi siano i
più
efficaci. Non l’ho ancora scritta, ma mi accingo a farlo.
Spero
vi piaccia, e spero di riuscire a mettere su carta l’idea che
ho dentro.
I Figli Di
Durmstrang
Ector si tolse il pesante
cappotto invernale e lo posò con
delicatezza sul letto. Era uscito per una commissione, un compito
affidatogli
dall’insegnante di arti oscure. Non c’era
possibilità di dirgli di no,
qualsiasi fosse stato il compito, illegale o meno, gli studenti erano
obbligati
ad obbedire.
Era dovuto scendere nelle cantine, per non farsi notare. Le grida dei
compagni
in punizione lo avevano accompagnato lungo tutto il tragitto. Era
l’unica via,
continuava a ripetersi.
La parte peggiore venne quando giunse al porcile, il professore era
stato
chiaro, doveva individuare il maiale più grosso e
strappargli il cuore, da
vivo.
Ector rabbrividì, non
sapeva cosa
diavolo ci facesse in quella scuola, era stata un’imposizione
del padre, lui
sarebbe andato ovunque tranne che a Durmstrang. Dei cinque anni che
aveva
passato lì, non c’era stato un giorno in cui si
fosse veramente sentito a suo
agio, un giorno in cui si fosse sentito felice.
I compagni, sebbene fossero uniti nella paura, sapevano essere degli
sciacalli
tra loro e i
professori lo erano
praticamente di diritto.
“Ti formeranno” diceva suo padre,
“faranno di te prima un uomo e poi un mago,
vedrai!” c’era anche troppo orgoglio in quelle
frasi secondo Ector, ma non
aveva avuto il coraggio di opporsi.
Con le lacrime agli occhi era riuscito a infilare la mano nel petto
della
creatura terrorizzata, la paura di quella bestia lo fulminava, gli
faceva quasi
male. Ma doveva. Sapeva che quella era di per se una sorta di
punizione. A dire
del professore era una questione di disciplina, e lui ne mancava. Non
aveva
fegato, bisognava che qualcuno glielo facesse crescere.
Grazie ad un incantesimo che il professore gli aveva imposto di usare,
la
bestia era morta, ma il suo cuore pulsava tenacemente tra le mani del
suo
assassino.
Ector non potè trattenersi dal vomitare.
Non se ne vergognava affatto.
Dopo qualche minuto si rialzò, raccolse il cuore con uno
straccio e si diresse
nuovamente al forte di Durmstrang.
La via del ritorno era la stessa dell’andata, ma stavolta le
urla dei suoi
compagni gli erano indifferenti. Non poteva fare niente per loro,
doveva
ignorarli. Fruste incantate colpivano a intervalli regolari quei
cinque- sei
ragazzi che avevano osato mancare di rispetto o disobbedire ai loro
professori,
o peggio ai loro superiori. Le punizioni corporali erano un vanto per
Durmstrang.
Ector li superò tutti chiudendo gli occhi per non vedere, il
cappotto gli
sventolava tetramente alle spalle.
Poi lo vide, un ragazzo del settimo anno, lo conosceva di vista. Stava
lì, incatenato,
e lo guardava con calma. Sembrava non sentire i colpi della frusta che
si
accaniva sulla sua schiena nuda.
Il ragazzo rimase per alcuni istanti immobile, non poteva staccare i
suoi occhi
azzurri da quelli neri e magnetici dell’altro.
Che ci faceva un ragazzo ormai maggiorenne lì? Insomma, dopo
sette anni non aveva
ancora capito come comportarsi in quel posto orribile?
Uno schiocco di frusta particolarmente forte lo distolse dai suoi
pensieri. Si
scosse per alcuni istanti e si allontanò scuotendo la testa
per scacciare i
pensieri che vi formicolavano all’interno.
I suoi stivali sporchi di sangue e fango facevano un rumore strano
mentre si
apprestava a salire la lunga scala di pietra che portava alle aule.
Non scambiò nessuna parola con il professore, si
limitò a consegnarli il
pacchetto che ancora si contorceva e a salutare con un inchino prima di
voltare
le spalle e andarsene.
Non capiva come fosse riuscito a mantenere la calma
così a lungo. Appena varcò la porta,
aspettò
di sentirla chiudersi alle sue spalle e iniziò a correre.
C’era poca gente a quell’ora in giro, nessuno lo
notò.
Chiuse piano l’uscio della sua camerata e si diresse verso i
lavandini dopo
essersi tolto l’accappatoio.
Sembrava aver perso 10 chili senza quello addosso.
Si apprestò verso il lavandino e aprì
l’acqua, prese a uscire lentamente.
Con due dita si portò alcune gocce di quel
liquido fresco sulle labbra, le dischiuse un attimo e si
lasciò andare ad un
pianto silenzioso.
Davanti a lui stava un ragazzo distrutto, i capelli rossi
così corti da
sembrare un prato appena tosato, le sue sopracciglia
e i suoi occhi erano sporchi di sangue. Le
lacrime e il rosso si erano uniti in pochi rivoli di disperazione. Le
righe, disegnate
sul suo volto, sembravano le sbarre
di una prigione, ed era così che si sentiva, in gabbia.
Distolse lo sguardo dallo specchio disgustato, gli mancavano i suoi
capelli,
erano l’orgoglio di sua madre. Di un rosso scuro e gioioso,
per quanto gioioso
possa essere un colore, sembravano comunicare forza e voglia di vivere,
ne era
sempre andato fiero.
Aumentò il flusso dell’acqua, ne raccolse una gran
quantità con le mani e se la
portò al viso.
Voleva sentire la sensazione di freschezza e di libertà che
sentiva sulla pelle
anche dentro, ma sapeva che non era possibile.
Quando ebbe finito si riguardò nello specchio. Era sempre
lui, all’apparenza
normale, all’apparenza sereno. Gli occhi, di un celeste
così chiaro che
sembravano brillare nel buio, però, comunicavano una
tristezza e una solitudine
impareggiabili.
***
“c’è
un’altra razza, oltre quella dei babbani e dei
mezzosangue, che dobbiamo debellare infine” disse
l’uomo con la veste nera che
passeggiava mollemente dietro la cattedra.
“è quella dei sodomiti” concluse con la
sua voce melensa, mentre si fermava a rivolgere
un sorrisetto compiaciuto alla sua classe del settimo anno.
Alcuni ragazzi in prima fila si batterono i pugni sul petto in senso di
assenso, ma poco dietro, molti bisbigli lasciavano intravedere un certo
sconcerto.
C’è da dire che molti ignoravano il significato
della parola sodomita, ma, una
piccola parte, era velatamente in disaccordo.
“Non la pensate così?”
disse l’uomo come
a rispondere alla muta domanda che i ragazzi meno ottusi si stavano
ponendo a
seguito di quelle affermazioni.
“I sodomiti, i disgustosi maghi
che
praticano questo…. Abominio, sono colpevoli tanto quanto i
mezzosangue o i
babbani stessi.
Loro privano il mondo magico del loro seme, loro non permettono alla
grande
stirpe dei maghi di dominare il mondo.
Loro sono ladri tanto quanto i magonò o i mezzosangue,
rubano a noi importanti
elementi, elementi che potrebbero costituire la nostra superiore
società.”
Questa sorta di giustificazione era, se possibile, ancora
più assurda di quella
che davano per incolpare i mezzosangue. Ma del resto…era
risaputo che a
durmstrang l’intolleranza,
non fosse
solo tollerata, ma molto più che bene accetta.
Maksym non potè fare a meno che lasciarsi sfuggire un ghigno
alle affermazioni
del professore, quanto da fare si dava in
una sola lezione di storia della magia,
lezioni d’odio dovevano chiamarle.
Purtroppo al mondo la gente prende per oro colato quello che gli si
dice, e, se
non si fa le proprie idee, prende molto volentieri in prestito quelle
degli
altri. La sodomia doveva essere si abominevole se il professor Bjorn si
dava
tanto da fare per nascondere la sua.
“tu” l’apostrofò pacatamente
l’uomo puntandogli contro la bacchetta, “hai forse
qualcosa da aggiungere?” prosegui con tono venefico.
Maksym non si aspettava quella reazione, ma decise di coglierla al
volo, aveva
deciso che quella notte avrebbe concluso i suoi studi in quella
fortezza
diroccata, qualche sfizio poteva anche toglierselo.
“no, signore” rispose allora con il tono
più sommesso che gli riusciva di fare.
Il bisbigliare attorno a lui crebbe mentre una scarica di adrenalina lo
percorreva da capo a piedi attraverso ogni fibra del suo essere.
“mi chiedevo solo cosa andiate a fare ogni sera in quel
sudicio bar del
villaggio… insomma, se la sodomia è un problema
per voi..” concluse
allegramente lanciando al professore un occhiata di sfida.
Gli occhi grigi
dell’uomo si iniettarono di sangue,
sembravano voler uscire fuori dalle orbite. All’improvviso
sembrava essersi
tramutato in un enorme teiera.
“c-co-co-come osi!” gridò , o meglio,
fischiò, con odio misto a vergogna nella
voce.
Levò la bacchetta con rapidità, ma era vecchio.
Maksym lo disarmò
immediatamente. La forza del suo incantesimo lo mandò a
sbattere contro la
cattedra, mentre lo studente ribelle gli stava davanti puntandogli
contro la
bacchetta.
Non sapeva neanche lui cosa avrebbe fatto, perché non ci
riuscì. Da dietro
forse una decina di schiantesimi lo colpirono mandandolo al tappeto.
L’ultima immagine che vide fu quella del professore che,
paonazzo, si
spolverava il soprabito cercando di nascondere la sua cocente vergogna.
Il trattamento che gli era stato riservato era il più duro
che si fosse mai
praticato in quella scuola, la frusta era di
sottili anelli d’acciaio. E le stesse catene che
lo tenevano
immobilizzato erano ardenti, bruciavano di continuo.
Ma la sua volontà era più forte, e
la sua
punizione dopo ormai due giorni era quasi finita.
Sapeva che per quell’affronto sarebbe stato denunciato anche
alle autorità, era
maggiorenne e l’aggressione non era tollerata in quel buco di
fogna. Ma aveva
un piano.
***
Il giorno dopo Eric aveva scoperto chi era il ragazzo rinchiuso nelle
cantine,
aveva sentito la sua storia fare il giro della fortezza almeno quattro
volte,
e, chissà perché arrossiva violentemente ogni
volta che lo sentiva nominare.
Era il freddo, diceva. Non che fosse strano in quelle terre.
La notte seguente le suggestioni che lo avevano bersagliato per tutto
l’arco
della giornata sembrarono non volerlo lasciare neanche in sogno. Lo
vide in
diversi scenari, e alcuni erano davvero imbarazzanti, pensò.
Il suo volto dai lineamenti così insoliti, le sue labbra
carnose, gli occhi
scuri, i capelli neri, gli zigomi alti e il volto vagamente
scarno…. sembrava
uno di quelle divinità greche di cui aveva letto qualche
volta da bambino. Un
dio della guerra forse.
All’improvviso
però un immagine, più
chiara delle altre, ruppe la pace di tutte le visioni precedenti. Il suo volto sembrava
affiorare da un lago
nero, e nel farlo, con gli occhi carichi di paura, gridava, un grido di
dolore,
un grido in cui era implicita una richista d’aiuto.
Eric si alzò di scatto,
era sudato.
Sentiva il pigiama aderire al suo corpo completamente bagnato, ma,
ancora di
più, sentiva la reale necessità di andare nei
sotterranei e salvare quel
ragazzo.
Indossò la divisa in un lampo, quella e gli stivali erano
gli unici vestiti che
era consentito avere in quella scuola. Non brillavano certo per
comodità, e
avevano un non so che di rigido, sebbene alcuni ragazzi sembrassero
nati per
portarli.
Si fiondò sulle scalinate facendo attenzione a non svegliare
nessuno nella sua
camerata. Non sapeva cosa stesse facendo, non sapeva perché
stesse rischiando
tanto per qualcuno con cui non aveva mai neanche parlato.
Dopo alcuni minuti fu
alla porta delle
cantine.
la trovò aperta.
Scese con calma, qualcosa lo aveva insospettito in tutta quella
faccenda,
sembrava tutto troppo calmo, tutto innaturale.
“Crucio!” la maledizione ruppe il silenzio
con una forza spaventosa
perché bisogna volerlo
veramente…
Lle urla soffocate di Maksym vennero subito dopo. Non era stato
difficile, per
Ector, capire chi avesse scagliato la maledizione senza perdono.
La voce stridula del professore di storia della magia era piuttosto
famosa, ed
era ancor più famosa la sua indole vendicativa.
Scese le scale piano, tentando di non fare alcun rumore.
Un rivolo di sudore scese lentamente lungo la sua orbita fino al suo
collo, poi
giù, verso il petto dove un il cuore sembrava voler scappare
via.
Aveva gli occhi gonfi di
lacrime. La scena che aveva davanti
era esagerata, il bel corpo di Maksym, strano con quanta naturalezza lo
reputasse “bello”, era tempestato di tagli.
Solchi più o meno profondi che si andavano a sommare alla
sua schiena perfetta
ma squarciata e ai polsi profondamente ustionati.
La sua espressione, carica di dolore, sembrava non volerla dar vinta al
suo
aguzzino, in alcun
modo, ma era inerme.
Ector fece un passo in avanti, ipnotizzato.
Pestò qualcosa o forse mise un piede in una pozza
d’acqua, fatto sta che ormai
aveva dichiarato la sua presenza.
I due individui di fronte a lui si girarono di scatto, entrambi
stupiti.
Maksym, in ginocchio davanti al suo torturatore, guardava con gli occhi
pieni
di paura verso il ragazzo che sapeva stava per fare una brutta fine.
Bjorn
invece boccheggiava non sapendo come comportarsi.
Con gli occhi carichi di lacrime, Ector scagliò una fattura
di cui non si
pentì, non come si sarebbe aspettato invece. Lo schiantesimo
colpì il
professore in pieno petto mandandolo a gambe all’aria.
Quell’espressione di stupore era ancora stampata sul suo viso
mentre cadeva
verso il suolo con le bacchette strette in mano.
Subito dopo il rumore dei due bastoncini che urtavano il pavimento.
Ector prontamente le
raccolse, si
avvicinò al giovane ormai quasi accasciato al suolo e,
cercando di evitare di
toccargli le ferite più del necessario, si mise un suo
braccio intorno al
collo.
Con qualche difficoltà riuscì a caricarlo sopra
le scale.
“portami al mio dormitorio presto”
riuscì a dire il moro dopo aver recuperato
la lucidità per un istante.
“non possiamo rimanere in questo castello… ci
ammazzerà!” gli rispose l’altro
ormai completamente nel panico.
“ti prego…”
Ector non sapeva perché lo stesse facendo, era tutto uno
sbaglio, e quel che
era peggio era l’esserne consapevole fin
dall’inizio.
Ma non si tirò indietro.
Ci misero più
di un quarto d’ora per
raggiungere i dormitori dei ragazzi del settimo anno, avevano dovuto
evitare
più di qualche ronda, senza contare la temporanea
impossibilità di muoversi di
Maksym.
Alla fine però ce l’avevano fatta, solo che Ector
non riusciva a capire la
necessità di andare lì.
Sul letto trovarono una
serie di ampolle, tutte piene dello
stesso liquido denso e giallognolo.
“dittamo..” sussurrò infine Ector tra se
e se. Automaticamente prese le
boccette e, senza che l’altro avesse il tempo di dire una
parola, prese a
spalmarne il contenuto lungo
tutti i
tagli.
Quando ebbe finito si accorse di aver toccato praticamente tutto il
corpo del
ragazzo senza neanche avergli chiesto il permesso. Per un istante
arrossì. L’altro
invece si limitò a ringraziarlo, con un sorriso solare.
Sembrava emanare un calore tutto suo ora che stava decisamente meglio.
dovevano andarsene di lì in fretta convennero i due. Attorno
a loro tutti
dormivano, non c’era nessuno a guardarli. Uno strano
desiderio colse Ector
mentre guardava verso il basso imbarazzato il corpo del giovane mago.
Con imbarazzo gli restituì la bacchetta che aveva preso
quando aveva schiantato
il mago.
“hei…” gli sussurrò con calma
l’altro cercando di allentare la tensione, ma poi
il rumore di una porta scardinata distolse rapidamente
l’attenzione di
entrambi.
I ragazzi dentro gli altri letti avevano già impugnato le
bacchette, stavano
ancora dormendo, ma fisicamente erano pronti a tutto. Bjorn aveva
sfondato la
porta con tutta la rabbia che serbava verso quei due.
“prendeteli, idioti!” gridò allora in
risposta alle facce interrogative di
tutti gli studenti lì presenti.
Ector e Maksym si buttarono immediatamente sotto il letto mentre una
pioggia di
incantesimi gli si accaniva contro.
Ector gli lanciò un occhiata terrorizzata, ma
l’altro si limitò a sorridere con
calma.
“tieniti forte”, gli sussurrò mentre una
seconda pioggia di incantesimi si
infrangeva contro i muri e i letti lì vicino.
All’improvviso il letto sotto al quale si stavano nascondendo
prese vita.
con un balzo se li mise letteralmente in groppa e si lanciò
in corsa verso la
finestra.
Ector era stupefatto, mentre si reggeva saldamente alla spalliera del
letto
guardando nel vuoto. Così tutti gli altri in quella stanza
oltre Maksym erano
sorpresi. Il letto incantato stava volando, letteralmente. Il
professore però
si riprese rapidamente dallo sgomento iniziale. Tentò di
strappare la bacchetta
al più vicino dei ragazzi.
Ma Maksym fu più veloce.
“oppugno” aveva gridato all’aria gelida
della notte mentre i frammenti della
vetrata si scagliavano a tutta velocità verso il vecchio
mago.
Ok,
l'idea non era proprio questa, ma sono sicuro che si possa leggere una
sorta di grossa metafora in tutto ciò.
Spero
di non avervi annoiato e spero che almeno uno di voi sia arrivato fin
qui :)
buona
serata!