- Ohi
… che male… - biascicò Marco, risvegliandosi dal suo torpore. La testa gli
faceva male, ma quella era il meno. Si sentiva il corpo tutto dolorante, e non
sapeva bene dove si trovasse. Intorno a lui, di nuovo tanti palazzi, questa
volta più popolati. Tra la gente che passava, notò uno spazzino che lo
osservava. Fece per alzarsi, ma avvertì un dolore fitto alla schiena.
-
Ahi!!! – gemette – Che male!!! –
- Se
dormi in mezzo alla strada, è logico che poi ti senti
dolorante! Che ci facevi lì? – domandò lo spazzino dall’altra parte del
marciapiede. Marco fece per replicare che era stato vittima di un pestaggio e
che gli avevano rubato tutti gli effetti personali, quando all’improvviso si
sentì di non poterlo fare. Buttò lì una scusa.
- La
… la mia fidanzata mi ha lasciato, così … io mi sono … ubriacato. – mentire gli
venne bene, così bene che se ne sarebbe potuto auto convincere. Dopotutto, in
parte era vero. Il suo fidanzato l’aveva tradito, e lui avrebbe benissimo
potuto infilarsi in una taverna qualsiasi ad annegare i dispiaceri insieme al
Dio Bacco.
-
Ah, capisco… Ma vai a darti una ripulita, che sembri un Baluba extracomunitario con la cravatta, eh! – disse infine lo
spazzino, continuando il suo giro.
-
Certo Signore. Non mancherò. Buongiorno! – disse, inchinandosi riverente. Se
avesse avuto un cappello, se lo sarebbe tolto e l’avrebbe ringraziato così, in
perfetto stile inglese.
Poco
dopo, Marco era seduto su una sgangherata panchina a fare il punto su ciò che
gli era accaduto da quando aveva messo piede sul suolo lombardo.
Dunque, ricapitoliamo: mi hanno fregato
il cellulare, l’auto di mio padre, il mio portafogli ed i miei effetti
personali… Ah già, non dimentichiamoci di quello stronzo di Ricky che mi ha tradito, e chissà da quanto tempo lo faceva. Anche lui mi è stato rubato da una sciacquetta di nome Brian.
…Il
che si riduceva tutto ad un inventario delle cose che gli erano state rubate.
Che con lui la vita non fosse stata prodiga di fortuna (no, non lo era stata,
nonostante l’essere nato in una famiglia stra-ricca) era un dato di fatto, ma
addirittura scontare tutte quelle sfighe in un giorno solo, gli parve
eccessivo. Mentre pensava, la preoccupazione incominciò
a farsi strada dentro di lui. L’auto del padre era nuovissima, e soprattutto
costosissima. Si mangiò le unghie pensando a ciò che quei delinquenti avrebbero
potuto farne. Sicuramente l’avrebbero trasformata in un’auto da corsa come
quelle che possedevano loro, oppure (peggio ancora!!!)
l’avrebbero venduta al chilo, sotto forma di pezzi di ricambio. Dunque, che
fare?
La
polizia! Certo, la polizia aiuta tutti, trova i delinquenti, li punisce e in
qualche caso riescono anche a farla franca.
Ma
la polizia chiede anche generalità, numero di telefono, indirizzo, dati
dell’intestatario del veicolo (Suo padre), che se quest’ultimo fosse venuto a
conoscenza che la sua auto era sparita, avrebbe fatto fuoco e fiamme.
Quindi
quell’ipotesi era da scartare.
Scartata
l’ipotesi della polizia, cosa rimaneva?
Ah
sì! Tornare da Ricky o da Brian e farsi aiutare da loro!
E
come?
Marco
non sapeva come, ma sicuramente avrebbero potuto aiutarlo… o no?
Oh santa polenta Valsugana. Siamo
ritornati a fare i sentimentali, eh, Marco? Sveglia, pappamolle! Che cosa credi
che possano fare il tuo ex ragazzo e quella sciacquetta del suo amante?
Comprarti un’auto nuova? O magari farti da avvocati difensori contro l’ira di
tuo padre? Eh? Ti conviene pensare a qualcosa di meglio, caro mio, perché
questa mattina fai veramente schifo in quanto ad arguzia!
Di
nuovo la voce del “Marco-Pragmatico” che gli urlava dai profondi recessi della
sua mente, amichevolmente sconsigliandogli di lasciar perdere quei due.
E
allora, cosa si poteva fare?
Tanto per cominciare, una bella
colazione. Sarò solo una voce nel tuo cervello bacato, ma posso dire per certo
che tu hai una fame da lupo. Indi per cui alza quelle chiappette
mosce e vai a spararti una colazione, prima di morire di fame.
-
Hai ragione. Si pensa meglio a stomaco pieno, caro
Marco! – esclamò ad alta voce. Poco prima era arrivata una signora con un
passeggino, che teneva in braccio un neonato. Marco non se n’era accorto e la
signora si era spaventata.
-
Ehm … Ma che bel bambino, è suo? – domandò Marco, al colmo dell’imbarazzo.
La
signora rimise il bambino sul passeggino e si allontanò a gambe levate, senza
degnarlo di risposta. Che figura,
pensò Marco, mentre si avviava verso l’uscita del parco, diretto verso il primo
bar che il buon Signore gli avesse messo sulla strada.
Entrò
in un tipico bar milanese, di quelli con il mobilio in legno ed i quadri
calcistici in bella mostra. Tutto lì era all’insegna del Milan, e Marco,
conscio della grande simpatia che i milanesi avevano verso i piemontesi come
lui, fossero o meno tifosi di calcio, lo spinse a non
rivelare a nessuno che veniva da quelle valli. Anche se sarebbe stato meglio se me ne fossi rimasto a casa mia, porca
paletta!!! Pensò, mentre varcava la soglia del
locale. Qui, c’erano tanti uomini ed un gran brusio, tipico della prima
mattina. Chi parlava di calcio e chi raccontava di come aveva passato il
weekend, a Marco sembrò di capire una cosa: che buona parte degli avventori di
quel locale, almeno un gruppetto, erano tassisti. La sua supposizione fu
confermata quando vide fuori dalla vetrina del locale un bel po’ di auto
bianche, con tutta probabilità possedute da alcuni dei clienti del bar.
Senza
pensarci, Marco si avvicinò alla teca delle brioches
e ne acchiappò due. Una se la mise in bocca, l’altra
la tenne per dopo. La barista lo osservò attentamente. Un ragazzo basso,
scarmigliato e che strabuzzava gli occhi per cercare di vedere. Se non destava
sospetti lui, voleva dire che tutti lì erano ciechi. Lui non se ne accorse, ma
la donna lo apostrofò – Sono due euro per i cornetti. –
A
Marco gli si fermò il boccone in gola. Era pur vero che non possedeva più il
portafogli, in mano a quei bastardi di corridori clandestini. Purtroppo la sua
abitudine di prendere cose nei bar e lasciare una lauta mancia al momento di
pagare, l’aveva fregato.
-
Ehm… Cara signora – esordì Marco, nel modo più gentile possibile e sempre
tenendo in mano il cornetto salato – Avrei un problema da risolvere… -
La
donna non lo fece continuare – Spero non sia un problema di denaro. Mi farebbe
incazzare assai sapere che non puoi pagarmi le brioches.
– disse la donna, mettendo le mani sui fianchi. Dalla cucina, arrivò anche un
uomo, che Marco intuì essere il marito.
-
Che succede qui? – disse l’uomo. Marco fece per replicare, ma fu interrotto
dalla donna.
-
Questo signore qui non ha i soldi per pagare. – disse, senza nemmeno sapere che
Marco non aveva il portafogli. Esperienza di una locandiera?
-
Male, molto male. – disse l’uomo.
Prima
ancora che Marco si sciogliesse in lacrime davanti a tutto il locale per la
vergogna, una mano gli toccò la spalla.
-
Ehi, ma dove ti eri cacciato? Ti avevo detto di aspettarmi in macchina! –
Si
voltò. Chi aveva parlato era stato un ragazzo alto forse un metro e novanta,
con i capelli di taglio medio ed un pizzetto alla Brad Pitt. Gli occhi erano
dello stesso colore dell’attore. Azzurro cielo, e nell’insieme non era davvero
niente male. Indossava una camicia a quadrettoni ed
un paio di jeans strappati sulle ginocchia.
-
Ma… parli con me? – ebbe solo il coraggio di domandare Marco.
Per
tutta risposta, il ragazzo alto si abbassò e gli sussurrò in un orecchio – Se
vuoi uscirne pulito da questa storia, stai al gioco. Fai finta di conoscermi, O.K.? –
Marco
annuì.
- E
allora, cuginetto! Hai preso questi due cornetti? Ci penso io a pagarli, che tu
sei sempre così distratto che lasci il portafogli in macchina – concluse con
una risatina il ragazzone. Se ciò era servito ad evitargli rogne con il bar,
sicuramente non gli aveva evitato un certo imbarazzo a cui non era abituato
negli ambienti che frequentava a Torino.
-
Non ci avevi mai detto di avere un cugino, Emanuele… - disse la donna,
arraffando i due euro e battendo uno scontrino al registratore.
- Davvero? Me ne sarò
dimenticato, allora. Mi perdoni, Evalda?
–
La
donna gli sorrise amorevole – Solo se ci prometti di
continuare a fare colazione qui. – concluse, strizzandogli l’occhio.
-
Contaci! – replicò “Emanuele”, facendo il gesto della pistola e ricambiando
l’occhiolino. – Andiamo, cuginetto? – fece poi a Marco.
Poco
dopo, erano nell’abitacolo del taxi di Emanuele, una normalissima Renault
Megane vecchio modello.
-
Grazie… - disse Marco.
-
Credevo che non me l’avresti mai detto, principino. –
replicò Emanuele.
-
Principino? Non mi chiamo principino. –
- E
allora, come ti chiami? –
-
Marco. –
-
Bel nome – disse Emanuele – Una volta conoscevo un ragazzo che si chiamava
Marco. Era piccolo e brutto, e … - si fermò, e guardò Marco che ascoltava
attentamente.
- E…
ovviamente non sei tu. – E si mise a ridere.
Marco
lo guardò sollevando un sopracciglio, trovando che
quel ragazzo fosse un po’ strano. Guidava il suo veicolo con una sicurezza
incredibile, riuscendo quasi a “dribblare” il traffico, mantenendo comunque
un’andatura spedita. Guardandolo, Marco pensò a se stesso, che nonostante
possedesse un’auto full optional (una Grande Punto comprata sei anni prima ma
ancora nuova), non la usava mai, perché preferiva andare in bicicletta
piuttosto che rimanere bloccato nel traffico. Di Emanuele osservò la sicurezza,
il savoir-faire che aveva avuto con lui ed i modi gentili nonostante la faccia
da malandrino che portava.
-
Allora, dove vuoi che ti lasci? –
-
Eh? … Io… io non … non lo so. –
-
Come sarebbe a dire che non lo sai? Non abiti qui? –
-
Io… veramente… no. –
Erano
fermi ad un semaforo. Per un attimo Emanuele si voltò verso il suo passeggero e
lo guardò attentamente. Marco si voltò ed incrociò il suo sguardo. Di solito
era piuttosto restio ad affrontare sguardi che non erano quelli di sua madre o
del suo fidanzato (al secolo Ricky), per via di una sua timidezza atavica che
non gli consentiva di reggere uno sguardo per più di due secondi. Con Emanuele
invece riuscì a gestire benissimo questa timidezza. Forse perché gli occhi del
tassista erano così attraenti che non si poteva fare a meno di guardarli?
Oppure c’era qualcos’altro?
- E
dove abiti, sentiamo? – gli domandò, sempre senza staccare lo sguardo dal suo.
-
Abito a.. a Torino. – disse Marco, sbattendo un po’ le
palpebre. Emanuele sgranò gli occhi sorpresi.
- Ma
mi stai prendendo in giro? – domandò il tassista. Allora Marco distolse lo
sguardo, imbarazzato.
-
Ehi, no… - disse Emanuele, dandogli un buffetto sul braccio. Marco si ritrasse
e digrignò i denti, gemendo di dolore. – Non aver paura, non voglio farti del
male. Ma… mi sembra che tu… -
- Ahio! –
- Ti
porto a casa mia. –
Non
perse nemmeno tempo a chiedergli se si fidasse di lui, che Marco si lasciò
condurre nell’appartamento del ragazzo, un bilocale spazioso molto ben
arredato.
-
Non mi ero accorto che il tuo viso fosse così pieno di escoriazioni. – disse
Emanuele preparando un impacco freddo da mettere in faccia a Marco.
- Mi
sono sciacquato ad una fontana prima di entrare nel bar. –
-
Capisco. Accidenti, ti hanno fatto proprio una bella festa, eh? Mi piacerebbe
proprio sapere chi è che ce l’ha avuta così a morte con te… sembri innocuo. –
disse Emanuele, accavallando le lunghe gambe, seduto sul divano, mentre Marco
era sdraiato.
-
Sapessi… mi è successa una cosa terribile. Anzi… una serie di cose terribili. –
disse Marco mentre si massaggiava il viso con l’impacco freddo. Non si era
guardato allo specchio, ma sentiva che il suo occhio sinistro si era tumefatto
in un livido.
- Me
ne vuoi parlare? – domandò Emanuele, assumendo quasi l’aspetto di un fratello
maggiore che volesse spingere il fratellino a confessare la marachella che
aveva combinato. Non sapeva come né perché, ma sentiva di potersi fidare
dell’alto tassista.
Lentamente,
Marco tirò fuori ciò che gli era capitato da quando era sceso dal treno, in un
racconto denso ma conciso, e di come dei teppisti l’avevano beccato e gli
avevano rubato l’auto nuova di suo padre, che era sicuramente il pezzo forte di
tutta la narrazione.
- …E
infine, eccomi qui. –
-
Già. Eccoti qui. –
-
Perseguitato dalla sfiga. Sarebbe stato meglio se non mi fossi mosso di casa,
ieri… - sospirò ampiamente, mentre Emanuele si alzava.
-
Dove vai? – chiese Marco.
-
Hm? – mormorò Emanuele – Da nessuna parte… vado un attimo in bagno. – disse, e
scomparve dietro una porticina adiacente alla cucina. Stranamente, a Marco era
sembrato che stesse nascondendo qualcosa.