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Autore: StephEnKing1985    24/05/2011    0 recensioni
Tornano, a grande richiesta, Andrea, Emanuele e Marco. I prediletti di Notrix, protagonisti della serie che ha avuto inizio con "Semplicemente... Un bacio", tornano in questa nuova fiction svestendosi dei soliti ruoli:
Marco è il rampollo di un ricco industriale piemontese, che nonostante l'agio e la ricchezza, non è felice, a causa del padre dispotico e della condizione di noia generale che caratterizza la sua vita. Le sue uniche gioie sono i suoi fumetti manga ed una relazione a distanza con un ragazzo di Milano. Un giorno il giovane Marco viene mandato proprio a Milano dal padre a ritirare una lussuosa automobile. Pur essendo stato molte volte in quella città, Marco non conosce bene le strade, e si perderà. In più, l'auto gli verrà rubata da una banda di pericolosi corridori clandestini. Impossibilitato ad intraprendere qualunque azione, Marco capisce che l'unico modo per poter tornare a casa è di riprendersi l'auto. Fiction urban adventure, con il solito pizzico di shonen-ai che non guasta mai e con un cast d'eccezione, già protagonista di altre tre fiction firmate Notrix.
Genere: Avventura, Azione, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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- Ohi … che male… - biascicò Marco, risvegliandosi dal suo torpore

- Ohi … che male… - biascicò Marco, risvegliandosi dal suo torpore. La testa gli faceva male, ma quella era il meno. Si sentiva il corpo tutto dolorante, e non sapeva bene dove si trovasse. Intorno a lui, di nuovo tanti palazzi, questa volta più popolati. Tra la gente che passava, notò uno spazzino che lo osservava. Fece per alzarsi, ma avvertì un dolore fitto alla schiena.

- Ahi!!! – gemette – Che male!!! –

- Se dormi in mezzo alla strada, è logico che poi ti senti dolorante! Che ci facevi lì? – domandò lo spazzino dall’altra parte del marciapiede. Marco fece per replicare che era stato vittima di un pestaggio e che gli avevano rubato tutti gli effetti personali, quando all’improvviso si sentì di non poterlo fare. Buttò lì una scusa.

- La … la mia fidanzata mi ha lasciato, così … io mi sono … ubriacato. – mentire gli venne bene, così bene che se ne sarebbe potuto auto convincere. Dopotutto, in parte era vero. Il suo fidanzato l’aveva tradito, e lui avrebbe benissimo potuto infilarsi in una taverna qualsiasi ad annegare i dispiaceri insieme al Dio Bacco.

- Ah, capisco… Ma vai a darti una ripulita, che sembri un Baluba extracomunitario con la cravatta, eh! – disse infine lo spazzino, continuando il suo giro.

- Certo Signore. Non mancherò. Buongiorno! – disse, inchinandosi riverente. Se avesse avuto un cappello, se lo sarebbe tolto e l’avrebbe ringraziato così, in perfetto stile inglese.

 

Poco dopo, Marco era seduto su una sgangherata panchina a fare il punto su ciò che gli era accaduto da quando aveva messo piede sul suolo lombardo.

Dunque, ricapitoliamo: mi hanno fregato il cellulare, l’auto di mio padre, il mio portafogli ed i miei effetti personali… Ah già, non dimentichiamoci di quello stronzo di Ricky che mi ha tradito, e chissà da quanto tempo lo faceva. Anche lui mi è stato rubato da una sciacquetta di nome Brian.

…Il che si riduceva tutto ad un inventario delle cose che gli erano state rubate. Che con lui la vita non fosse stata prodiga di fortuna (no, non lo era stata, nonostante l’essere nato in una famiglia stra-ricca) era un dato di fatto, ma addirittura scontare tutte quelle sfighe in un giorno solo, gli parve eccessivo. Mentre pensava, la preoccupazione incominciò a farsi strada dentro di lui. L’auto del padre era nuovissima, e soprattutto costosissima. Si mangiò le unghie pensando a ciò che quei delinquenti avrebbero potuto farne. Sicuramente l’avrebbero trasformata in un’auto da corsa come quelle che possedevano loro, oppure (peggio ancora!!!) l’avrebbero venduta al chilo, sotto forma di pezzi di ricambio. Dunque, che fare?

La polizia! Certo, la polizia aiuta tutti, trova i delinquenti, li punisce e in qualche caso riescono anche a farla franca.

Ma la polizia chiede anche generalità, numero di telefono, indirizzo, dati dell’intestatario del veicolo (Suo padre), che se quest’ultimo fosse venuto a conoscenza che la sua auto era sparita, avrebbe fatto fuoco e fiamme.

Quindi quell’ipotesi era da scartare.

Scartata l’ipotesi della polizia, cosa rimaneva?

Ah sì! Tornare da Ricky o da Brian e farsi aiutare da loro!

E come?

Marco non sapeva come, ma sicuramente avrebbero potuto aiutarlo… o no?

Oh santa polenta Valsugana. Siamo ritornati a fare i sentimentali, eh, Marco? Sveglia, pappamolle! Che cosa credi che possano fare il tuo ex ragazzo e quella sciacquetta del suo amante? Comprarti un’auto nuova? O magari farti da avvocati difensori contro l’ira di tuo padre? Eh? Ti conviene pensare a qualcosa di meglio, caro mio, perché questa mattina fai veramente schifo in quanto ad arguzia!

Di nuovo la voce del “Marco-Pragmatico” che gli urlava dai profondi recessi della sua mente, amichevolmente sconsigliandogli di lasciar perdere quei due.

E allora, cosa si poteva fare?

Tanto per cominciare, una bella colazione. Sarò solo una voce nel tuo cervello bacato, ma posso dire per certo che tu hai una fame da lupo. Indi per cui alza quelle chiappette mosce e vai a spararti una colazione, prima di morire di fame.

- Hai ragione. Si pensa meglio a stomaco pieno, caro Marco! – esclamò ad alta voce. Poco prima era arrivata una signora con un passeggino, che teneva in braccio un neonato. Marco non se n’era accorto e la signora si era spaventata.

- Ehm … Ma che bel bambino, è suo? – domandò Marco, al colmo dell’imbarazzo.

La signora rimise il bambino sul passeggino e si allontanò a gambe levate, senza degnarlo di risposta. Che figura, pensò Marco, mentre si avviava verso l’uscita del parco, diretto verso il primo bar che il buon Signore gli avesse messo sulla strada.

 

Entrò in un tipico bar milanese, di quelli con il mobilio in legno ed i quadri calcistici in bella mostra. Tutto lì era all’insegna del Milan, e Marco, conscio della grande simpatia che i milanesi avevano verso i piemontesi come lui, fossero o meno tifosi di calcio, lo spinse a non rivelare a nessuno che veniva da quelle valli. Anche se sarebbe stato meglio se me ne fossi rimasto a casa mia, porca paletta!!! Pensò, mentre varcava la soglia del locale. Qui, c’erano tanti uomini ed un gran brusio, tipico della prima mattina. Chi parlava di calcio e chi raccontava di come aveva passato il weekend, a Marco sembrò di capire una cosa: che buona parte degli avventori di quel locale, almeno un gruppetto, erano tassisti. La sua supposizione fu confermata quando vide fuori dalla vetrina del locale un bel po’ di auto bianche, con tutta probabilità possedute da alcuni dei clienti del bar.

 

Senza pensarci, Marco si avvicinò alla teca delle brioches e ne acchiappò due. Una se la mise in bocca, l’altra la tenne per dopo. La barista lo osservò attentamente. Un ragazzo basso, scarmigliato e che strabuzzava gli occhi per cercare di vedere. Se non destava sospetti lui, voleva dire che tutti lì erano ciechi. Lui non se ne accorse, ma la donna lo apostrofò – Sono due euro per i cornetti. –

A Marco gli si fermò il boccone in gola. Era pur vero che non possedeva più il portafogli, in mano a quei bastardi di corridori clandestini. Purtroppo la sua abitudine di prendere cose nei bar e lasciare una lauta mancia al momento di pagare, l’aveva fregato.

- Ehm… Cara signora – esordì Marco, nel modo più gentile possibile e sempre tenendo in mano il cornetto salato – Avrei un problema da risolvere… -

La donna non lo fece continuare – Spero non sia un problema di denaro. Mi farebbe incazzare assai sapere che non puoi pagarmi le brioches. – disse la donna, mettendo le mani sui fianchi. Dalla cucina, arrivò anche un uomo, che Marco intuì essere il marito.

- Che succede qui? – disse l’uomo. Marco fece per replicare, ma fu interrotto dalla donna.

- Questo signore qui non ha i soldi per pagare. – disse, senza nemmeno sapere che Marco non aveva il portafogli. Esperienza di una locandiera?

- Male, molto male. – disse l’uomo.

Prima ancora che Marco si sciogliesse in lacrime davanti a tutto il locale per la vergogna, una mano gli toccò la spalla.

- Ehi, ma dove ti eri cacciato? Ti avevo detto di aspettarmi in macchina! –

Si voltò. Chi aveva parlato era stato un ragazzo alto forse un metro e novanta, con i capelli di taglio medio ed un pizzetto alla Brad Pitt. Gli occhi erano dello stesso colore dell’attore. Azzurro cielo, e nell’insieme non era davvero niente male. Indossava una camicia a quadrettoni ed un paio di jeans strappati sulle ginocchia.

- Ma… parli con me? – ebbe solo il coraggio di domandare Marco.

Per tutta risposta, il ragazzo alto si abbassò e gli sussurrò in un orecchio – Se vuoi uscirne pulito da questa storia, stai al gioco. Fai finta di conoscermi, O.K.? –

Marco annuì.

- E allora, cuginetto! Hai preso questi due cornetti? Ci penso io a pagarli, che tu sei sempre così distratto che lasci il portafogli in macchina – concluse con una risatina il ragazzone. Se ciò era servito ad evitargli rogne con il bar, sicuramente non gli aveva evitato un certo imbarazzo a cui non era abituato negli ambienti che frequentava a Torino.

- Non ci avevi mai detto di avere un cugino, Emanuele… - disse la donna, arraffando i due euro e battendo uno scontrino al registratore.

-  Davvero? Me ne sarò dimenticato, allora. Mi perdoni, Evalda? –

La donna gli sorrise amorevole – Solo se ci prometti di continuare a fare colazione qui. – concluse, strizzandogli l’occhio.

- Contaci! – replicò “Emanuele”, facendo il gesto della pistola e ricambiando l’occhiolino. – Andiamo, cuginetto? – fece poi a Marco.

 

Poco dopo, erano nell’abitacolo del taxi di Emanuele, una normalissima Renault Megane vecchio modello.

- Grazie… - disse Marco.

- Credevo che non me l’avresti mai detto, principino. – replicò Emanuele.

- Principino? Non mi chiamo principino. –

- E allora, come ti chiami? –

- Marco. –

- Bel nome – disse Emanuele – Una volta conoscevo un ragazzo che si chiamava Marco. Era piccolo e brutto, e … - si fermò, e guardò Marco che ascoltava attentamente.

- E… ovviamente non sei tu. – E si mise a ridere.

Marco lo guardò sollevando un sopracciglio, trovando che quel ragazzo fosse un po’ strano. Guidava il suo veicolo con una sicurezza incredibile, riuscendo quasi a “dribblare” il traffico, mantenendo comunque un’andatura spedita. Guardandolo, Marco pensò a se stesso, che nonostante possedesse un’auto full optional (una Grande Punto comprata sei anni prima ma ancora nuova), non la usava mai, perché preferiva andare in bicicletta piuttosto che rimanere bloccato nel traffico. Di Emanuele osservò la sicurezza, il savoir-faire che aveva avuto con lui ed i modi gentili nonostante la faccia da malandrino che portava.

- Allora, dove vuoi che ti lasci? –

- Eh? … Io… io non … non lo so. –

- Come sarebbe a dire che non lo sai? Non abiti qui? –

- Io… veramente… no. –

Erano fermi ad un semaforo. Per un attimo Emanuele si voltò verso il suo passeggero e lo guardò attentamente. Marco si voltò ed incrociò il suo sguardo. Di solito era piuttosto restio ad affrontare sguardi che non erano quelli di sua madre o del suo fidanzato (al secolo Ricky), per via di una sua timidezza atavica che non gli consentiva di reggere uno sguardo per più di due secondi. Con Emanuele invece riuscì a gestire benissimo questa timidezza. Forse perché gli occhi del tassista erano così attraenti che non si poteva fare a meno di guardarli? Oppure c’era qualcos’altro?

- E dove abiti, sentiamo? – gli domandò, sempre senza staccare lo sguardo dal suo.

- Abito a.. a Torino. – disse Marco, sbattendo un po’ le palpebre. Emanuele sgranò gli occhi sorpresi.

- Ma mi stai prendendo in giro? – domandò il tassista. Allora Marco distolse lo sguardo, imbarazzato.

- Ehi, no… - disse Emanuele, dandogli un buffetto sul braccio. Marco si ritrasse e digrignò i denti, gemendo di dolore. – Non aver paura, non voglio farti del male. Ma… mi sembra che tu… -

- Ahio! –

- Ti porto a casa mia. –

 

Non perse nemmeno tempo a chiedergli se si fidasse di lui, che Marco si lasciò condurre nell’appartamento del ragazzo, un bilocale spazioso molto ben arredato.

- Non mi ero accorto che il tuo viso fosse così pieno di escoriazioni. – disse Emanuele preparando un impacco freddo da mettere in faccia a Marco.

- Mi sono sciacquato ad una fontana prima di entrare nel bar. –

- Capisco. Accidenti, ti hanno fatto proprio una bella festa, eh? Mi piacerebbe proprio sapere chi è che ce l’ha avuta così a morte con te… sembri innocuo. – disse Emanuele, accavallando le lunghe gambe, seduto sul divano, mentre Marco era sdraiato.

- Sapessi… mi è successa una cosa terribile. Anzi… una serie di cose terribili. – disse Marco mentre si massaggiava il viso con l’impacco freddo. Non si era guardato allo specchio, ma sentiva che il suo occhio sinistro si era tumefatto in un livido.

- Me ne vuoi parlare? – domandò Emanuele, assumendo quasi l’aspetto di un fratello maggiore che volesse spingere il fratellino a confessare la marachella che aveva combinato. Non sapeva come né perché, ma sentiva di potersi fidare dell’alto tassista.

Lentamente, Marco tirò fuori ciò che gli era capitato da quando era sceso dal treno, in un racconto denso ma conciso, e di come dei teppisti l’avevano beccato e gli avevano rubato l’auto nuova di suo padre, che era sicuramente il pezzo forte di tutta la narrazione.

- …E infine, eccomi qui. –

- Già. Eccoti qui. –

- Perseguitato dalla sfiga. Sarebbe stato meglio se non mi fossi mosso di casa, ieri… - sospirò ampiamente, mentre Emanuele si alzava.

- Dove vai? – chiese Marco.

- Hm? – mormorò Emanuele – Da nessuna parte… vado un attimo in bagno. – disse, e scomparve dietro una porticina adiacente alla cucina. Stranamente, a Marco era sembrato che stesse nascondendo qualcosa.

 

 

 

 

   
 
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