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Autore: Vortex    24/05/2011    1 recensioni
Sii composto, non mostrare emozioni, vivi dentro la tua gabbia!
Vivere …
Che parola strana. La sua di vita era sempre stata votata alla violenza, alla protezione di Namimori, così facendo si era riservato un ruolo secondario, persino marginale, nel suo copione stilizzato.
[leggera 1827]
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Kyoya Hibari
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Odore acre e ferruginoso. I brividi assalivano il suo corpo, violentandolo. L’odore del sangue che aveva inghiottito l’esistenza del suo Boss, sovrastandola come un oceano scarlatto.
Bruciava. Semplicemente bruciava, corrodendogli le carni e le ossa.

Fa male. Male dentro.

Con cruda realtà faceva male e Hibari lo sapeva, perché sentiva il cuore in prossimità allo scoppiare. E poi successe. Allora mille schegge impazzite si conficcarono all’interno del suo petto sofferente.
Si cullò in esso, chiudendo gli occhi brucianti di lacrime che mai avrebbe potuto versare e se ne stava lì, il suo bellissimo corpo straziato era ridotto ad un involucro d’argilla. A fargli compagnia solo quello splendido panorama fornito dalla radura nella quale le spoglie del Decimo riposava.
Avvolto in una pace che sembrava un sogno effimero, perdendosi nell’illusione di quella dolce melodia moribonda che suonava solo per lui. E per una volta soltanto poteva avere il ruolo di protagonista. Il suo carattere schivo e la sua avversione per i “gruppi di erbivori” avevano fatto sì che la sua esistenza si riducesse ad una presenza quasi nulla, pronta a manifestarsi unicamente nel momento del bisogno. Ma per lui era sempre andata bene questa situazione, eppure …
Eppure talvolta il desiderio di farsi notare da lui era talmente forte da sovrastare persino il suo odio per le folle.
Tutto che si fermava per lasciargli un po’ di spazio, solo per un istante, una distanza necessaria a farlo vivere, lunga quanto un battito di ciglia, il tempo di una nota e tutto sarebbe finito così come era cominciato, come se non fosse mai accaduto.
Dannato Sawada. Maledetto erbivoro. Come aveva osato morire sapendo che l’unico in grado di poter disporre della sua fragile esistenza era lui!?

Ti morderò a morte.

Quante volte lo aveva sussurrato contro le sue labbra di rosso lamento?
E quante volte aveva desiderato cavargli via quegli occhi nocciola dolcissimi che erano in grado di colpire persino lui?
Intrecciò le dita candide tra i filami neri di onice che gli ricadevano sul capo.
La luce rischiarava debolmente l’erba smeraldina della radura, la stessa luce che lo aveva illuminato una volta uscito dalla base sotterranea dei Vongola. Tsuna aveva camminato a lungo, inconsapevole di essere osservato da lontano dal Guardiano della Nuvola, perché così doveva essere: una presenza silenziosa che aleggia sulla famiglia.
Ormai il sorriso del Boss era spento e da tempo immemore la sua risata non invadeva più il silenzio.  Allora Hibari chiudeva gli occhi e la fantasia poteva ricrearla, trasformandosi in quella che era diventata la sua personale melodia, che brillava della fiamma del Decimo. Ma poi gli occhi si riaprivano e la risata moriva.
Non ci sarebbero più state quelle labbra scarlatte alle quali sussurrare, non ci sarebbero più stati quegli occhi nocciola da ammirare.
Viveva imprigionato all’interno di una gabbia di cristallo che lui stesso aveva costruito, per impedire agli altri di avvicinarglisi troppo. Del resto erano solo erbivori, non erano degni della sua attenzione. Ma quel dannato di Sawada si era insinuato tra le sbarre della sua prigione e lui stava male, stava male senza poterselo permettere.

Devi essere una bambola, Kyoya, devi comportarti come tale, nessuno potrà mai permettersi di toccarti- altrimenti farai del male alla tua mamma.
Sii composto, non mostrare emozioni, vivi dentro la tua gabbia!

Vivere …

Che parola strana. La sua di vita era sempre stata votata alla violenza, alla protezione di Namimori, così facendo si era riservato un ruolo secondario, persino marginale, nel suo copione stilizzato.
Molto meglio lasciare le parole e le emozioni a quegli erbivori che non facevano altro che disturbare la sua pace ed il suo equilibrio. Eppure per la prima volta in tutta la sua vita da bambola perfetta, per un folle secondo, avrebbe desiderato ignorare quelle convinzioni  che avevano creato la sua gabbia, per uscire ed avvicinarsi a lui. Anche solo per un istante prima di doverlo lasciare per sempre …
Strinse le mani attorno ai tonfa, i muscoli contratti come prima di un combattimento. Cosa diavolo gli passava per la testa?
Tanto Sawada era morto …
Sentì un fortissimo bisogno di sentire il rumore delle ossa scricchiolare come carta vetrata sotto i suoi tonfa, di urlare e di vivere.

[E la tua mamma? Non pensi alla tua mamma? Non devi farla preoccupare! Devi essere composto. Sii perfetto e vuoto come una bambola, pronto a proteggere Namimori quando è minacciata, Kyoya! ]

E si fermò. Si fermò e distolse lo sguardo. Distolse dal mondo il suo desiderio, violentò il suo sogno, distrusse la fantasia, sbriciolò il suo amore per quel misero erbivoro, si uccise pezzo dopo pezzo.
Ignorò la portata impetuosa dei suoi ricordi e ricreò un volto impassibile che non avrebbe potuto ferire la sua mamma; e poté godersi il sonoro applauso che partì dagli spalti, infrangendosi dentro di lui.

[Molto bene, davvero molto bene! Una scena magnifica, un ottimo copione! ]
 
 


Quando lo vide fu un colpo violento al cuore, eppure il suo splendido viso non venne intaccato dal dolore dell’anima. Era esattamente come lo ricordava dieci anni prima, così ingenuo e puro, con quei suoi occhi nocciola che ancora non avevano conosciuto pienamente la crudeltà del mondo.
Piccolo e sorridente. Con quella risata a fior di labbra.
La sua voce nelle orecchie, miele proibito, nettare divino da rifuggire come la peste. E l’eccitazione che lo pervase nel momento in cui cominciarono a combattere l’uno contro l’altro, gli sfuggì persino un sorriso! Perché si era sentito vivo …
Vivo come non lo era da anni. La fiamma arancione che bruciava sulla sua fronte ed animava i suoi occhi di determinazione, l’espressione concentrata con la quale si batteva e quei fugaci istanti nei quali le loro pelli si sfioravano per poi allontanarsi celermente seguendo il ritmo di quella danza: tutto sarebbe diventato un ricordo prezioso.
E non potè fare a meno di sorridere, per la frenesia che bruciava dentro le sue vene e scorreva veloce pompata dal cuore che batteva incessantemente. Sorrise mentre l’altro svanì all’interno della sua Box ed i fischi invasero la sua mente …

[Pessima interpretazione! Il copione è stato violato!]

 … Mentre la prigione tornava ad avvolgerlo ed il respiro viene a mancare.

[ Non pensi alla tua mamma? Si preoccuperà così, non credi? Devi solamente comportarti come se fossi vuoto, tu non hai sentimenti, ricordi? ]

Magari avrebbe potuto anche infischiarsene ed ignorare quelle parole, uscire dalla gabbia e comportarsi come chiunque altro …
Ma in fondo …
In fondo non era meglio così?
Sentì delle urla provenire dall’interno della sua Box, Sawada cercava disperatamente una via d’uscita dalla prigione nella quale lo aveva imprigionato.

Come ci si sente, Tsuna?
Adesso lo sai …
Comportati da Boss, distruggi quello che ti separa dalla tua famiglia.
Io ancora non ci sono riuscito …

Lo fissò apatico e non si curò di rispondergli o di aiutarlo, non lo faceva mai d’altronde. Perché le bambole non parlano, giusto?

 
[Applausi, per favore.]



Questa è la mia prima fic su KHR, probabilmente sono andata OOC
La famiglia di Hibari nell'anime è praticamente inesistente, ma tutti noi ne abbiamo una, perciò ho provato ad immaginare il rapporto che potrebbe avere con la mamma...
Beh, fatemi sapere che ne pensate...
Alla prossima

  
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