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Autore: Helena Evelyn    25/05/2011    0 recensioni
"Nome: Alexander Skyler
Età: 23
Professione: Non ho una fottuta professione da 3 anni. Sono il "nulla" più assoluto.
Segni particolari: Tendente al suicidio, direi. Schiavo di alcool e di quelle cazzo di Malboro Rosse. Mentalmente fragile.
Status civile: Odio l'amore.
Residenza: Dove capita.
Cosa vuoi fare: Finire con questa vita alquanto assurda."
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Volevo trovare la maniera più veloce e indolore per andarmene, ne avevo abbastanza delle sofferenze, delusioni, di tutto.
Nessuno si sarebbe mai accorto che ero sparito, a nessuno avrebbe mai importato che fine avessi fatto.
La mia vita aveva preso una strada buia, senza uscita ed ora mi trovavo in un vicolo cieco, rintanato in quell'angolo che ormai conoscevo da anni.
Non sapevo più che colore avesse il mondo oltre quel muro,la fioca luce che riuscivo a tollerare era anch'essa diventata insopportabile nel giro di pochi giorni.
Avevo visto morire, davanti ai miei occhi, tutto quello che amavo.
Che sia stato il destino a riservarmi un trattamento del genere?
No, non credevo nemmeno più in quello.
Avevo preso coscienza delle mie azioni e avevo mandato a quel paese, la scusa che è il destino che gira le carte al posto nostro.
L'alcool ripuliva la mia mente dalle frustrazioni sempre presenti, disinfettava quei maledetti pensieri che martellavano incessantemente nella mia testa, facendola scoppiare.
Un pacchetto, anche di più, di sigarette, riusciva a calmare,dando un senso di galleggiamento, di pace, al mio corpo. Aspiravo quella "medicina", la sentivo invadere i miei polmoni,riempirli,ma sapevo che ogni volta mi strappava cinque minuti della mia vita, sempre se si poteva considerare tale.
Chiunque mi incrociasse tra i suoi passi, cercava di non fissarmi negli occhi, vitrei,contornati dal viola delle occhiaie sempre più profonde.
Ero caduto in profondità, dove la luce del sole non mi avrebbe dato la forza di risalire,dove nessuna mano si sarebbe mai tesa in mio soccorso.
Le mie notti, passate a girovagare per i quartieri, ad odiare le coppie di innamorati che promettevano di amarsi per sempre.
Per me non esisteva il per sempre, era solo una stupida frase ingannevole per i sognatori.
Io, avevo lasciato quel mondo,non ero più così spensierato ed ansioso di perdermi in qualche bel sogno che avrei finito per non realizzare.
Fù una notte, quella notte, in cui capii che non c'era più neanche un briciolo di speranza di salvarmi in me.
Camminavo per la strada del ponte, non mi era mai sembrata così lunga e buia. Una leggera pioggia bagnava la strada, facendola scintillare sotto la luce gialla dei lampioni. Il freddo dell'aria, mi bruciava nel petto.
Non avevo mai pensato al suicidio o perlomeno tentavo di rimuovere l'idea,spaventato da quel pensiero di chiudermi in un buio da cui non mi sarei mai svegliato.
Ma, quella sera, era perfetta.
Era inverno, la neve si stava sciogliendo ai lati delle strade deserte. Le luci delle case, trasmettevano un calore, quello della famiglia.Vagavo nell'ombra, stringendomi nelle spalle per il freddo.
Ero sul ponte,ormai.
Mi sedetti con le gambe verso il vuoto,dondolandole di tanto in tanto.
Non volevo un gesto plateale, di quelli che la gente se ne accorge subito, doveva essere come una puntura, "veloce ed efficace".
Aspirai per l'ultima volta quel amaro sapore, mischiato a quello forte di alcool che mi riscaldò subito.
Scattai in piedi sul bordo rimanente, deciso al salto nel vuoto.
  
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