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Autore: Ulisse85    26/05/2011    8 recensioni
Questo è il racconto che ho presentato all'iniziativa "Autori per il Giappone".
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Come sempre era lì. Sulla nuvola più alta, bianca e lontana.

Si muoveva agile e deciso nonostante la bruna armatura che lo ricopriva totalmente, e con la sua pesante spada menava fendenti netti e veloci attraverso l’aria rarefatta. La spada attraversava l’aria così velocemente da tagliarla senza creare nemmeno un alito di vento, ed egli la roteava eseguendo a memoria e con attenzione tutti i giornalieri esercizi del perfetto guerriero, dal più semplice al più complesso. Maneggiava senza fatica la pesante arma, andava in avanti, si abbassava per poi girarsi con una torsione della gamba destra, parare ed essere di nuovo pronto a infilzare… tutto questo con la massima naturalezza e senza risentire dell’armatura che indossava, un’armatura marrone scuro, così compatta che nella rapidità dei movimenti sembrava un unico pezzo, un’unica ombra che danzava ritmicamente nell’alto dei cieli.

Dai tempi più remoti ogni Dio e Dea ha avuto un’emozione o un sentimento da proteggere e di cui farsi simbolo e paladino. Alcuni dei hanno scelto, altri erano predestinati. Così come la dea nel cui petto ardeva il sacro fuoco dell’Amore non poteva che farsi protettrice dell’essenza più pura di quel sentimento.

Così anche il guerriero delle nubi era predestinato a vegliare sulla rabbia e la disperazione degli uomini, su quello “spirto guerrier” che “rugge” in ognuno di noi, perché più di ogni altro era capace di percepirli e farli propri, sublimandoli in Rabbia e Disperazione.

Questo guerriero ha sempre raccolto e accolto in sé la rabbia e la disperazione dell’umanità nei vari momenti e nei vari attimi della sua storia, liberando l’una o all’altra quando essa raggiungeva un livello tale che non poteva che trovare finalmente necessario sfogo. E quando l’una o l’altra raggiungeva quel certo livello, la rabbia e la disperazione dell’umanità, diventavano la rabbia e la disperazione del guerriero, che accecato trasformava i suoi eleganti esercizi di stile in aspre battaglie contro le nuvole.

La lotta tramutava e incupiva il cielo, le nubi si facevano scure e partecipi della sua emozione e sofferenza, tutto il cielo prendeva parte, e le nubi si addensavano fino a sfogare nella pioggia.

Pioggia che poteva essere fitta e languida se generata dalla disperazione, una intensa pioggia da un cielo grigio spento, una pioggia sofferente ma consolatrice, come una mano che ti accarezza la testa scorrendo lentamente tra i capelli bagnati.

E pioggia che poteva essere scrosciante dal cielo nero, se generata da rabbia, violenta come il pianto disperato di un bambino che sta male senza sapere nemmeno perché.

Ma dopo lo sfogo il cielo tornava sempre sereno e luminoso come gli occhi dopo il pianto, e la pioggia nata da sentimenti così violenti portava sulla terra la vita, rendendo i terreni fertili, i fiumi ricchi, la natura rigogliosa e l’aria pulita.

E così andò avanti per millenni, in cui ad ogni pioggia seguì sempre il sole, e in cui ogni pioggia fu fresca e necessaria alla terra, alle piante agli animali e agli uomini.

Ma un giorno il guerriero delle nubi incontrò una bellissima figura eterea avvolta in un manto celeste chiaro che ne confondeva la figura al cielo. I suoi capelli erano di un biondo chiarissimo come paglia sottile e ci si poteva perdere nei suoi occhi dell’azzurro tenue e morbido dell’oblio.

Era la Noncuranza…. Il guerriero la vide e subito l’amò.

Così decise di stare con lei, e mentre credeva di vivere l’emozione più bella, in realtà non si accorgeva che si stava abbandonando e stava lasciando che ella lo conducesse tra le braccia di un Morfeo pronto a sopire tutte le sue emozioni. E così per anni si perse in quella languida figura e nella calma senza tempo del nulla, della tranquillità incosciente di sé. Intanto la rabbia e la disperazione dell’umanità crescevano e si accumulavano, ma anziché trovare in lui salutare sfogo, venivano da lui, o forse da lei, sopite e soffocate.

Mentre lui credeva di amare, la terra, non più bagnata dalla pioggia portatrice di vita si faceva sempre più arida. Arida come un uomo il cui “spirto guerrier” si è ormai arreso. Senza la forza dirompente e talvolta violenta di quelle emozioni, andava scomparendo anche la forza vitale di ogni essere sulla terra e della terra stessa.

Ma una mattina il guerriero svegliandosi non trovò più accanto a sé, fra le celesti coltri, colei che credeva essere Sua, la Noncuranza lo aveva abbandonato all’improvviso ed egli si rese conto che anche se lui si era perso in lei, non era riuscito però a legarla a sé, perché ciò era impossibile.

Ora, nel vuoto lasciato, sfociarono dirompenti come un fiume in piena tutta la rabbia e la disperazione accumulata dagli uomini negli ultimi decenni e che non avevano potuto ancora trovare libero sfogo, queste si unirono a quelle personali del guerriero per la propria perdita e il fiume trovò così sbocco in una tremenda alluvione che devastò la terra già messa in ginocchio dall’aridità.

Il diluvio durò anni e rischiò di trascinare via con sé la possibilità stessa di smettere, come succede spesso che possa venire trascinata via la luce della ragione spenta dalla luce abbagliante della follia. Luce abbagliante come quella dei lampi che a lungo incendiarono il cielo.

Poi la pace tornò.

Il cielo lentamente da nero tornò sereno sfumando fra tutte le gradazioni di grigio, e su quella bianca, lontana nuvoletta, riapparve il guerriero, ora chino con le mani sulle ginocchia e lo sguardo stanco fisso ai propri piedi: per la prima volta sentiva il peso della propria scura armatura.

Consapevole della devastazione provocata e avendo ormai capito che non avrebbe mai più dovuto lasciare che rabbia e disperazione, anzichè sfogare volta per volta, si accumulassero, volse lo sguardo alla terra devastata dove i primi uomini sopravvissuti stavano uscendo dai rifugi.

Rialzato lo sguardo, si rimise orgogliosamente dritto sulla schiena e assunse la posizione iniziale per un nuovo esercizio di stile, di nuovo netto, preciso, veloce e pulito.

Gli uomini uscivano dai rifugi e guardavano ancora timorosi il cielo, ma poi capivano che era finita ed era loro data la possibilità di un nuovo inizio.

Era scritto in quel cielo di un blu intenso, pieno e profondo come mai prima.

   
 
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