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Autore: The DogAndWolf    26/05/2011    5 recensioni
Le ultime parole di Evey rivolte a V.
L'ultima occasione per vederlo ancora.
L'ultimo addio.
Genere: Drammatico, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa one-shot nasce inizialmente per far parte ad un concorso a cui mi ero iscritta. Poi, ovviamente, non ce l'ho fatta a rispettare la scadenza...
Detto questo, hope you'll like it! ^^

*****

Eravamo muti, sul tetto. Lui stava fissando l'orizzonte plumbeo, pensando a chissà cosa.
Mi volgeva le spalle, ammantate da quel nero profondo che caratterizzava ogni suo abito. Ora mi sembrava palese che contraddistinguesse anche ogni suo minimo frammento di vita. Era così immerso in quel nero che ero certa di doverlo vedere affogare in esso da un momento all'altro. Sprofondare, agitando le braccia, inerme. Alzare gli occhi verso di me in un'ultima disperata richiesta d'aiuto, mentre onde scure spazzavano via la sua figura, lo soffocavano, distruggendolo, lasciandosi dietro solo la sua maschera sciolta.
In realtà stava già succedendo. Ora me ne rendevo conto. Tutto quello era già capitato molto prima di quel momento. Tutto quello stava ancora accadendo in quel preciso istante.
Provai a distogliere lo sguardo, cercando di ricordarmi perché fossi lì. Non riuscii a fare né l'una né l'altra cosa. Quelle ampie spalle che conoscevo così bene mi avevano completamente ipnotizzata. Non potevo fare altro che stare lì a fissarle, domandandomi perché non si voltasse. Mi doveva aver certamente sentita, ma perché non si girava? Perché non mi guardava? Perché diavolo se ne restava lì, immobile?
Mi schiarii la gola, provando ad allontanare quel presentimento che dall'inizio mi attanagliava lo stomaco, decisa a parlargli.
 
«Me ne vado...».
 
Avevo cercato con tutto me stesso di allontanare quel momento con il mio silenzio, non permettendole di arrivare a tanto. Non permettendole nemmeno di parlare.
Dove avevo sbagliato? Possibile che ci fosse altro in me che non fosse Odio? Possibile che la mia sola salvezza fossi tu?
Perché non l'avevo capito subito? Perché non avevo apprezzato fin dal primo momento la tua umanità sconfinata?
Perché te l'avevo strappata di dosso a forza? Che mostro ero diventato per sentirmi autorizzato a farlo?
Eppure volevo solo...
 
«V? Hai sentito?» chiamai con una sensazione di vuoto straziante nel cuore. Perché non mi rispondeva? Perché si rifiutava di parlarmi?
La prima goccia fu preceduta da una luce bianca e malsana che illuminò tutto il panorama circostante per un attimo. Si riflesse sui vetri delle costruzioni di Londra, stagliandosi imponente nel cielo carico di nuvole cupe.
La pioggia raggiunse il boato del tuono, improvvisando un acquazzone già da tempo premeditato e preparato con cura dal cielo.
La pioggia scendeva accompagnata dalla frase della nonna di Valerie, che si ripeteva e si ripeteva all'infinito nella mia mente, tante volte quante gocce cadevano.
 
Dio è nella pioggia
 
Lo pensai, senza trovare la forza di girarmi a guardare i suoi occhi. Quegli occhi ora senza la minima traccia di paura o rimorso. Non il più piccolo sprazzo di emozione umana.
Quello sguardo che avevo voluto rendere così simile al mio.
Ero sempre stato molto geloso del mio Odio. Mi aveva salvato diverse volte, mi aveva insegnato a vivere. L'avevo avidamente e costantemente respirato per la mia stessa sopravvivenza, per godermi e concentrarmi ancora di più sulla mia Vendetta.
Poi sei venuta da me, chiedendomi di aiutarti. Supplicandomi, Evey. Vidi una supplica muta nei tuoi occhi quel giorno.
Così l'ho fatto. Nell'unico modo che credevo possibile. Con gli unici mezzi che conoscevo. Lo stesso Odio che avevo custodito così avidamente per me stesso.
L'ho messo a tua piena disposizione. Ti ho scaraventata senza alcun riguardo in esso.
L'ho fatto per aiutarti, perché credevo fosse l'unico modo per farti sopravvivere agli orrori di questo mondo.
Per aiutarti...
Accorgendomi troppo tardi che ti stavo trasformando in qualcosa che non avrebbe mai potuto salvarmi. Distruggendo la tua qualità più importante, l'unica che mi avrebbe potuto scampare quest'Inferno nel quale mi sembra di affogare da una vita.
Non ho alcun rimpianto per questo, per una volta non m'interesso di me stesso. Per una volta non si tratta di me, della mia Vendetta.
Per la prima volta non rispondo all'Odio. Per la prima volta l'Odio non è il mio padrone. Per la prima volta si tratta di qualcos'altro. Così potente e terribile da eclissare totalmente il mio inutile Odio. Così struggente da ridicolizzare ogni attimo della mia vita dedicato ad esso.
L'ho fatto per te, Evey.
L'unica cosa che ho ottenuto è stata una condanna eterna sottoscritta da Mefisto in persona. Non solo per me, non mi bastava. Ho dovuto trascinare anche te in tutto questo. Mi sentivo solo nel mio Inferno personale.
Ma c'era ancora una possibilità. Dovevi andartene di lì. Fuggire il più velocemente possibile da me e dalla mia maschera sciolta nel nefasto fuoco dell’Odio più puro.
Per non fare la mia fine, per salvarti veramente.
 
Continuava ad ignorarmi, perso nei suoi pensieri. Tutte quelle parole non dette erano quasi palpabili nell'aria. Non era più l’essere sconosciuto e imperscrutabile che era stato una volta per me.
Forse perché ora ero come lui. Forse perché anch'io ormai non riconoscevo altro che il potente Odio in cui si stava annegando.
Allontanai quei pensieri con fastidio. Lui mi voleva solo aiutare. E gliel'avevo chiesto io. La colpa era solo mia.
Non provare più paura, rimorso, indecisione… in fondo era tutto quello che avevo sempre desiderato dalla morte di mio fratello e dei miei genitori. Non essere più la debole e patetica Evey Emmond che niente può, in balia delle voglie del Fato.
 
Fato
 
Fato: mia inconsistente e irreale nemesi immaginaria, creata da uomini deboli con il solo patetico intento di dare un nome alla loro incapacità o ai loro meriti.
Eppure tutto era già stato scritto. Tutto era già accaduto e io non potevo fare nulla per impedirlo.
 
Tutto era già stato deciso perché era già successo. Ora lo capivo distintamente. E non c’entrava assolutamente nulla con il
 
Destino.
 
Io, come Dio, non gioco ai dadi, e non credo nelle coincidenze
 
Ancora non si girava.
Ormai cadevano grandi gocce su di noi, in un attimo eravamo entrambi fradici.
Come quando ero rinata per la prima volta.
 
Come quando ero rinato per la prima volta.
Dalle fiamme.
E nelle fiamme ero finito.
 
E nelle fiamme sarebbe finito.
Scrollai la testa, riappropriandomi della concentrazione in tutta quella confusione senza senso. Trovavo tutto surreale.
Io e lui su quel tetto, come un ricordo sbiadito che apparteneva a troppo tempo fa. Sospesi semplicemente nel tempo. Immobili. La città a farci da sfondo. Dio nella pioggia tutto intorno a noi. Dio era ovunque potessi guardare.
Perché non si voltava? Volevo solo guardarlo negli occhi per l’ultima volta. Era chiedere troppo? Si trattava di una supplica irragionevole?
«V!» lo chiamai ancora. Volevo che mi rispondesse. Volevo smuoverlo da quella sua immobilità estenuante, anche se avrei dovuto lanciarmi contro di lui, fargli male.
All’improvviso mi accorsi delle lacrime calde e salate sulle mie guance.
Piangevo. Provavo paura e sconforto. Non mi aveva trasformato in un mostro senza emozioni.
 
Piangeva. Aveva paura. Non l’avevo trasformata in un mostro senza emozioni.
C’era ancora speranza, non ero riuscito a renderla totalmente simile a me. Non ancora.
Era per questo che doveva andarsene da lì, per quella minima speranza.
Ma, prima, volevo ancora salutarla, visto che non avevo potuto farlo l’ultima volta.
 
Ma, prima, volevo ancora salutarlo, visto che non avevo potuto farlo l’ultima volta.
La maglietta attaccata alla pelle per la fredda pioggia, il volto scavato dalle lacrime e dalla disperazione. Dalla paura.
Non volevo lasciarlo ancora.
Alzai lo sguardo e notai che si era girato verso di me e avvicinato, senza proferire parola.
All’improvviso capii. Eppure…
 
sembrava tutto così…
 
Reale
 
Un singhiozzo mi uscì involontariamente dalle labbra serrate.
Non potevo sopportarlo un’altra volta.
 
Mi avvicinai. Non potevo chiederle di sopportarlo un’altra volta. Volevo solo che capisse.
Le presi delicatamente il volto tra le mani guantate in nero e lo alzai finché i suoi occhi non scivolarono nei miei.
E sorrisi.
 
E sorrise.
In qualche modo a me ignoto sapevo che mi stava sorridendo dietro quella sua maschera.
Feci un altro rumore strozzato, tentando inutilmente di trattenere le lacrime che ormai mi scendevano copiose. Mi rifugiai tra le sue braccia forti e accoglienti. Lo strinsi più che potevo.
Non volevo che se ne andasse.
 
«Ti prego, stai ancora un po’ qui con me… non lasciarmi…»
 
Il suo sussurro risuonò forte nella mia testa, facendomi sorridere di nuovo. Questa volta si trattava di un sorriso estremamente triste e affranto.
Non volevo lasciarla. Ma non potevo rimanere ancora per molto.
 
«Non posso, Evey… sai che devo andare…»
 
Annuii, in mezzo alle lacrime. Lo sapevo. Era anche stato più a lungo delle altre volte.
Un riflesso rosso cupo si propagò ovunque. Il tetto era circondato da ardenti fiamme danzanti.
Non mi importava. Non mi importava nulla al di fuori di lui.
Lo fissai mentre il fuoco si avvicinava e me lo portava via.
 
Sospirai, senza poter far altro oltre che stringermi a lei per l’ultima volta.
 
«Addio Evey…»
 
Singhiozzai ancora e ancora.
La sua immagine iniziava a sfumare lentamente, soccombendo al calore per me inesistente intorno a noi, sfuggendo dalle mie braccia.
Fissai il suo volto.
Quello che lui voleva che conoscessi come suo volto. Quello che per lui era il suo vero volto.
Le fiamme lo ghermirono e lui sparì di colpo davanti a me.
Mi rimase solo una cosa tra le mani.
La sua maschera sciolta dalle fiamme. Poco a poco si disfaceva tra le mia dita, come la cera di una candela.
Piansi, le lacrime e le gocce di pioggia che cadevano sui residui della tua maschera sciolta al pari di neve al sole.
 
«Addio V…»
 
 
**********
 
Mi alzai di colpo a sedere. Sulle guance il sapore secco delle lacrime, le coperte incollate al corpo per il freddo sudore, completamente scossa da quelle immagini ancora così vivide nella mia memoria. Era l’ultima volta che lo vedevo.
Anche perché era morto già da tanto tempo. Il suo personale cinque Novembre era già passato da anni, ormai, ma eravamo riusciti a dirci addio solo quella notte.
Infatti, dopo quell’ultimo sogno, non lo rividi mai più.
   
 
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