Capitolo 1 - Cyborg
Ricordo
ancora la felicità sul volto dei miei genitori e dei miei amici dopo aver saputo
che ero stato ammesso ai corsi di BeyBlade del monastero Borkov. Fin da piccolo
avevo sempre adorato quello sport, ed ero intenzionato a diventare il migliore,
di rendere tutti fieri di me.
Purtroppo, prima di mettere piede nel monastero, non sapevo che non avrei più
rivisto né i miei amici né la mia famiglia.
Pensavo che avrei incontrato altri ragazzi con la passione per il BeyBlade come
me. Invece, ciò che vidi al monastero non fu altro che persone senza sentimenti,
a parte l'odio e la rivalità, il cui unico scopo era vincere. Là dentro non si
poteva perdere. A chi perdeva non veniva data una seconda possibilità. Mi sentii
immediatamente disgustato da questi assurdi ideali, e soprattutto, detestavo
ricevere ordini, specialmente da persone ripugnanti come Borkov e gli altri
insegnanti. Continuavo ad allenarmi, ma allo stesso tempo continuavo a
comportarmi in modo ostile nei confronti di quell'uomo. Lui non accettava un
solo briciolo di disubbidienza, ma sapeva che ero un buon elemento all'interno
del monastero, per cui cercava sempre di misurare la sua rabbia.
Fino a quando, un giorno, uscii dalla mia stanza e cominciai a girare per il
monastero. Borkov ci aveva proibito di recarci nei sotterranei, e così, tanto
per disubbidirgli andai a dare un occhiata. Trovai ciò che non pensavo di
trovare. Laboratori dove si studiavano le potenzialità dei BeyBlade ed infine…
bit power artificiali. Quando Borkov si accorse della mia presenza, non riuscì
più a trattenere la sua rabbia nei miei confronti.
Quella sera mi lasciò tornare in camera mia. Ma il giorno dopo, degli scienziati
vennero a prendermi e mi portarono in uno dei loro laboratori. Attaccarono tanti
strani fili al mio corpo, ed infine mi iniettarono dell'anestetizzante. Poi mi
chiusero all'interno di una capsula. Ricordo solo quel che mi disse Borkov,
prima di addormentarmi e sentire quel liquido gelido sul mio corpo.
"Ora imparerai ciò che significa l'obbedienza, Yuriy. D'ora in poi sarai sotto
il nostro controllo, per sempre." Mi spaventai a morte sentendo quella frase, ma
non riuscii neanche a rifletterci su prima di chiudere gli occhi e sentirmi
privo di forze.
Quando mi svegliai, non ero più lo stesso. Mi trovavo in uno stato di confusione
totale, mi sentivo come se nella mia mente ci fossero anche i pensieri di
un'altra persona. E come se questi pensieri stessero prevalendo sui miei. Molto
lentamente.
Chiesi immediatamente spiegazioni, e Borkov mi spiegò cos'era successo. "E'
molto semplice, sei diventato un cyborg." disse. Ricordo ancora il suo sorriso
spietato mentre lo diceva. "Con i nostri macchinari ora possiamo controllare la
tua mente. Cancellare o ripristinare qualsiasi tuo sentimento o pensiero.
Ringraziaci, perché grazie ai dispositivi che abbiamo installato nel tuo corpo
sarai in grado di elaborare strategie vincenti e di diventare il miglior blader
al mondo. Non è sempre stato questo il tuo obiettivo?"
Il mio odio nei confronti di Borkov, da quel momento in poi, cominciò a
diventare sempre più forte. Quel delinquente mi aveva trasformato in una
macchina, in una loro marionetta! Come osavano manipolare i miei sentimenti…?
Mi sentivo frustrato, diverso dal resto del mondo, per questo motivo presi le
distanze dagli altri ragazzi e non parlai più con nessuno. O forse, ero
semplicemente guidato dal mio cervello manipolato. Nessuno comunque faceva
niente per avvicinarmi; avevano tutti paura di me. Ed anch'io avevo paura di me
stesso…
L'unica cosa che mi rimaneva al mondo era il BeyBlade. Cominciai ad allenarmi da
solo, utilizzando la rabbia e l'odio come uniche armi per vincere gli incontri
che disputavo. A nessuno importava qualcosa di me, ero solo, completamente solo.
Solo con il mio Bey.
Venivo sottoposto a nuove terapie ogni settimana, e questo mi aiutava a superare
la frustrazione che provavo in quei momenti. Cominciai a non provare più altri
sentimenti, oltre l'odio, la rabbia e la voglia di vincere.
Finalmente soddisfatto di me in tutto, Borkov decise di consegnarmi un nuovo Bey
ed un bit power. Wolborg.
Solo allora mi parlò della Borg, e delle vere intenzioni dell'organizzazione. A
loro non importava nulla della passione per il BeyBlade, tutti i ragazzi del
monastero sarebbero stati al loro servizio, ed i migliori avrebbero contribuito
al loro piano di conquista del mondo. Il mio obiettivo, d'allora in avanti
sarebbe stato quello di sconfiggere e rubare il maggior numero di bit power
esistenti, e la Borg avrebbe usato i loro poteri per conquistare il mondo.
Ormai, ero completamente accecato dall'odio, e non esitai un secondo ad
accettare il mio ruolo. Come se, in effetti, avrei davvero potuto rifiutare… Nel
momento in cui accettai Wolborg, entrai a far parte della squadra nazionale
Russa, i Demolition Boys.
Gli altri tre componenti della squadra erano ben disposti ad accettarmi tra di
loro, ma io continuai a mantenere le distanze, almeno all'inizio. Il tempo
consolidò il nostro legame, anche se non riuscii mai a considerarli degli amici
ed a provare affetto per loro. Non sapevo più cosa fosse l'affetto, ormai.
In seguito conobbi Kai. Borkov praticamente ci impose di accettarlo nella nostra
squadra. Era un tipo silenzioso e freddo, davvero molto simile a com'ero io.
Pensavo di poter andare d'accordo con lui, ma presto mi accorsi che gli
importava solo di se stesso. E Borkov non faceva niente per "addomesticarlo"
come aveva fatto con me e i miei compagni di squadra. Si vedeva lontano un
miglio che preferisse lui a me, e la cosa mi dava sui nervi. Dopo tutti i
sacrifici che avevo fatto per diventare come lui mi voleva, preferiva un
presuntuoso egoista che non si identificava né nell'organizzazione né nei
Demolition Boys?
Quando Kai tornò con la sua vecchia squadra, poi, cominciai sul serio ad
odiarlo. Borkov si accorse di questa mia collera improvvisa, ed in seguito ad
una conversazione con lui realizzai di aver provato fiducia nei confronti di
Kai, anche se solo per un attimo. Mi sembrò così strano poter provare un
sentimento simile ancora una volta. Ma ciò irritò smisuratamente Borkov, il
quale procedette nuovamente al mio lavaggio del cervello. Una volta prima
dell'inizio del torneo, e una volta prima del mio incontro contro Takao.
Installarono nel mio cervello un numero infinito di dati, trasformandomi in
un'arma vera e propria che, ipoteticamente, avrebbe dovuto essere in grado di
sconfiggere il suo avversario.
Ma nonostante ciò, i Demolition Boys vennero sconfitti dai BladeBreakers…
Wolborg fu sconfitto. Ma soprattutto, io fui sconfitto. E la cosa più strana era
che non mi rodeva il fatto di aver perso. Mi rodeva il fatto che una volta
tornato al monastero, le cose sarebbero cambiate. Radicalmente.
"Yuriy Ivanov,"
Diedi un ultimo sguardo alla porta, prima che la chiudessero definitivamente.
Ivan, Boris e Sergey erano là fuori, probabilmente preoccupati. Erano sempre
stati premurosi nei miei confronti, anche se non lo davano mai a vedere. Chissà
se il vero Yuriy si sarebbe affezionato a loro…
Mi voltai verso Borkov, i suoi occhi feroci mi fissavano con ripugnanza.
"Hai perso," mormorò. "Devo supporre tutta la nostra fatica nel renderti il
blader perfetto sia stata vana." La loro fatica? E la fatica che avevo fatto io
nel seguire i loro allenamenti? E il modo in cui loro mi avevano manipolato?!
Non avevo chiesto io di essere trasformato in un cyborg.
"Non sei stato in grado di utilizzare al meglio ciò di cui ti avevamo reso
capace. Sei soltanto un buono a nulla; per colpa tua la Borg ha perso
un'occasione preziosa, te ne rendi conto?"
Rimasi in silenzio, ed il fatto di non aver risposto alla sua domanda irritò
smisuratamente Borkov. Scagliò un colpo di frusta sul pavimento.
Per anni l'avevo visto mentre usava la sua frusta contro altri ragazzi. Ed ora…
per la prima volta quell'arma attendeva di colpire me. Chissà che fine aveva
fatto in quel momento l'effetto delle manipolazioni sul mio cervello. Perché in
quel momento, oltre l'odio e la rabbia provavo anche un orrendo terrore?
"Sei fortunato che il presidente Hito abbia una simpatia per te," disse Borkov.
"Sai, mi ha chiesto di non farti fare la stessa fine che faranno i tuoi compagni
di squadra e di portarti alla sua residenza." Cosa volevano fare ai miei
compagni? Metterli in cella d'isolamento, o buttarli via dal monastero? Non osai
neanche domandare. "Il presidente si sente piuttosto solo ultimamente, sai? La
sua villa sarà la tua prigione fino a data da stabilirsi, e dovrai seguire ogni
ordine che ti verrà dato." Non capivo. Cosa intendeva con quelle parole?
"Domani mattina verrai portato nella tua nuova casa," continuò. "Sono stato
chiaro?"
La frusta sbatté nuovamente contro il pavimento, questa volta a pochissima
distanza da me. Chinai il capo, cercando di trattenere i tremori. Non riuscivo a
capire se Borkov volesse picchiarmi oppure soltanto terrorizzarmi. E non capivo
neanche se le mie reazioni lo irritassero ancora di più. "Rispondi, codardo!!!"
Questa volta mi colpì, alla schiena. Feci del mio meglio per non gridare e non
mostrare segni di dolore. Anche se in realtà faceva un male cane. "S-
sissignore."
"Così va meglio," rispose Borkov, sorridendo malignamente. "Puoi tornare in
camera tua."
Le porte della stanza si riaprirono. Mi voltai e vidi i miei compagni. Avevano
delle espressioni cariche di compassione. Non volevo che mi guardassero in quel
modo. Oltretutto, avrebbero sicuramente fatto una fine molto più orrenda della
mia.
Poco dopo, dei monaci afferrarono i tre per le braccia e li bloccarono. "Ehi,"
esclamò Sergey, tentando immediatamente di liberarsi dalla presa. "Che cosa
avete intenzione di fare?!"
Borkov ci raggiunse, e con il suo solito sorriso freddo spiegò loro la triste
realtà.
"Non mi servite più," mormorò. "Siete soltanto delle palle al piede. Nel nuovo
progetto di conquista della Borg, i vostri nomi non sono scritti e non lo
saranno mai. Tornate alle vostre case, e se non ne avete, sistematevi dove
preferite."
"Come vuole che ci ricordiamo dove si trovi la nostra casa?" esclamò Ivan,
fremente per la rabbia. "Ci ha portati via dalle nostre abitazioni quando ancora
non sapevamo neanche pronunciare il nostro nome! E, senza il becco di un
quattrino come faremo a sopravvivere?!"
"Parli troppo, Ivan," ribatté Borkov. "Portateli via."
Non poteva davvero abbandonarli al loro destino in quel modo. Era atroce. "Yuriy,
ti prego, aiutaci!" esclamò Ivan, e quelle parole furono come una coltellata al
cuore. Separarmi da loro… mi sembrava quasi impossibile. Da anni eravamo sempre
stati insieme.
Borkov mi bloccò non appena tentai di avanzare verso di loro. E quando mi voltai
verso di lui, vidi i suoi occhi allargarsi; per la prima volta dopo tantissimo
tempo, stavo piangendo.
"La prego, non lo faccia," sussurrai, in preda alle lacrime. "Faccia di me
quello che vuole, ma la prego…" Non feci in tempo a finire la frase, il suo
schiaffo mi aveva già scaraventato sul pavimento.
"Sei patetico," rispose Borkov. "Fortunatamente non avrò più a che fare con te.
Sai che effetto mi fanno le tue lacrime? Mi fanno schifo. Se penso che ho tenuto
in squadra uno come te mi viene la nausea. Non sei neanche capace di mantenere
un briciolo di dignità senza quei maledetti macchinari del laboratorio." Non mi
levò gli occhi di dosso un secondo, mentre mi rialzavo.
"Torna nella tua stanza, e ringrazia che non ti abbia chiuso in cella
d'isolamento."
Passai la notte a piangere e protestare silenziosamente per la vita che avevo
vissuto e che avrei vissuto in futuro. Nonostante Takao e la sua squadra si
fossero dimostrati tanto buoni e generosi, avevano abbandonato tutti i ragazzi
del monastero al loro destino, pur conoscendo la verità. Ma in fondo, dopo tutto
ciò che gli avevamo fatto era comprensibile che fossero furiosi con noi, e
soprattutto con me. Ma… non era giusto. Non era affatto giusto prendere tutte le
colpe di chi ci aveva fatto diventare suoi schiavi. Borkov, a parte il fiasco
totale del suo piano, non aveva subito conseguenze dopo il termine del torneo.
Noi invece eravamo destinati ad essere sostituiti, come vecchi giocattoli. E
chissà cosa sarebbe successo una volta alla villa di Hito Hiwatari. Avevo
sentito dire in giro che fosse davvero furente con i Demolition Boys. Ed io,
essendo il capitano, avrei probabilmente subito la sua ira. Forse aveva
intenzione di torturarmi, o di uccidermi lentamente.
Credevo di essere sempre stato solo. Non sapevo se questa mia ipotesi fosse
corretta. Ma sapevo che in quel momento, in quel preciso istante avevo perso le
uniche persone a me vicine. Sapevo che questa volta ero davvero da solo. Perché
Dio aveva voluto salvare il mondo e non me? Perché io tra tante persone?
Cos'avevo fatto di male per essere destinato ad essere niente più che un
prigioniero?
Tempo fa, quando il signor Daitenji aveva imposto a me, Takao, Rei e Max di
formare una squadra che rappresentasse il Giappone ai mondiali, pensavo che una
volta terminato il nostro viaggio alla conquista del titolo di campioni li avrei
lasciati perdere e avrei seguito la mia strada da solo.
Ed invece, erano passati mesi ed ancora eravamo insieme. La verità era che,
sinceramente, senza di loro non avrei avuto una strada da seguire. Erano
diventati miei amici, nonostante prima non avessi mai voluto considerarli come
tali. Solo ora mi accorgevo di essere stato uno stupido. Senza loro a quest'ora
sarei stato perso.
Era da un po’ che ripensavo al modo in cui ero stato allevato al monastero,
quand'ero piccolo. Non facevano altro che ripetere quando l'amicizia e l'affetto
fossero stupidi. Se avessi continuato a vivere laggiù, non immaginavo proprio
come sarei finito. Pensando a tutto questo, avevo cominciato a chiedermi se dopo
il torneo Borkov avesse lasciato liberi tutti quei ragazzi chiusi al monastero.
Probabilmente no. Chissà come mai il presidente della BBA non si era preoccupato
di trarli in salvo. Chissà che fine avevano fatto i Demolition Boys. Soprattutto
Yuriy. L'avevo visto leggermente sconcertato dopo il suo match contro Takao.
Avrei voluto chiedergli cos'avrebbe fatto d'allora in poi, ma Borkov era
comparso e l'aveva allontanato da me prima che lui avesse avuto anche solo il
tempo di pensare ad una risposta. Dall'espressione sul suo volto, non sembrava
che lo aspettasse qualcosa di positivo. Ed in fondo era normale… Borkov
sicuramente avrebbe punito lui ed i suoi compagni di squadra per aver tradito la
sua fiducia. E la domanda che mi assillava era sempre la stessa. Perché nessuno
aveva fatto niente per salvare le persone rinchiuse nel monastero? Al solo
pensiero che altre persone stessero subendo ciò che avevo subito io… e
probabilmente anche peggio… mi sentivo rodere di rabbia.
"Kai, cosa c'è che non va?" Mi voltai verso Takao; era da tempo che mi osservava
mentre restavo immerso tra i miei pensieri, e finalmente aveva trovato il
coraggio di rivolgermi la parola. "Sei così assorto, ultimamente… se c'è
qualcosa che ti preoccupa puoi parlarne pure con noi."
Per quanto mi sentissi legato ai miei compagni di squadra, odiavo parlare con
loro dei miei problemi, sempre se problemi si potessero chiamare. Scossi il
capo, "No, non preoccupatevi. Forse ho solo bisogno di fare un giro."
"Ma fra poco sarà pronta la cena. Non hai fame?" In quel momento sorrisi, Takao
era sempre il solito. Lui però non ricambiò il sorriso. Sapevo che gli desse
fastidio il fatto che non mi confidassi mai con loro, ma dovevano abituarsi,
prima o poi. Ero fatto così.
Mi alzai dalla panchina su cui prima avevo osservato distrattamente gli incontri
tra i miei compagni ed il team europeo. "No, non ho fame. Ci vediamo dopo."
Detto questo, cominciai ad incamminarmi verso i sentieri del giardino di quella
villa enorme.
Ralph ci aveva invitati a casa sua dal momento che nel suo stadio personale si
sarebbero tenuti degli incontri amichevoli tra squadre di diversi paesi del
mondo, più precisamente una sorta di torneo. Non avrebbero partecipato solo
squadre forti come i White Tigers o gli All Starz, ma anche quelle che comunque
si erano classificate nei tornei nazionali. Gli European Dream ritenevano che
anche le squadre inizialmente meno forti avessero il diritto di prendersi delle
rivincite contro chi in precedenza li aveva sconfitti. Sarebbe stato un torneo
interessante, dal momento che sicuramente tutte le squadre invitate si erano
allenate duramente in vista di quest'avvenimento. Mi chiesi se avessero invitato
anche i Demolition Boys…
Accidenti, la mia stava diventando un ossessione. Chissà perché pensavo tanto a
quei quattro odiosi ragazzi. Forse perché erano sicuramente simili a come sarei
diventato io se fossi rimasto al monastero, o forse perché probabilmente non si
comportavano così di natura. Anch'io ero diventato freddo e chiuso in me stesso
a causa degli allenamenti in quell'orrendo luogo…
Ora che avevo riacquistato la memoria, quel monastero stava lentamente
diventando la mia ossessione. Prendeva il posto dell'inferno nei miei incubi
peggiori. Soprattutto ora che l'altruismo stava facendo capolino nel mio cuore.
Non dovevo più pensarci, dannazione. Non potevo permettere che il passato
tormentasse il mio presente. Avrei soltanto fatto il gioco di Borkov e di mio
nonno…
Eccolo che ricominciava. Ma perché non riusciva ad aprirsi con noi neanche un
poco? Detestavo vederlo turbato, offrirmi di aiutarlo e poi sentirmi dire che
non aveva niente, o che dovevo farmi gli affari miei. Ma in fondo, non potevo
mica costringerlo… Forse aveva ragione, forse davvero dovevo farmi gli affari
miei, in fondo troppa indiscrezione da fastidio a chiunque, figuriamoci ad un
tipo introverso come lui.
Piuttosto che torturarmi, decisi di pensare ad altro. "Ragazzi, è pronta la
cena?"
Rei sospirò. "Non ancora. Takao, possibile che tu non pensi ad altro che a
mangiare?"
"Tanto è inutile, Kai non si aprirà mai con noi, neanche fra un migliaio di
anni." Quello stupido scorbutico… "Pensavo che fosse cambiato, dopo il torneo in
Russia."
"Ma in fondo è cambiato," s'intromise Max. "Confrontate il modo in cui si
comportava con noi tempo fa con quello di ora. Prima, se tu gli avessi chiesto
di confidarsi con te come minimo ti avrebbe strozzato!"
"Con il tempo ha imparato a considerarci come amici, vedrete che con il tempo
riuscirà anche a fidarsi di noi." Non mi trovai d'accordo con le parole del
prof. Kappa.
"Non penso si tratti di sfiducia," dissi. "Secondo me Kai non vuole mostrarci le
sue debolezze. In fondo, crescendo com'è cresciuto gli avranno messo in testa
tante di quelle sciocchezze… deve ancora superare il fantasma di Borkov e del
monastero."
Max, Rei ed il professore chinarono il capo. "Già."
Mi guardai attorno, rendendomi conto che oltre me e i miei compagni di squadra
non c'era nessun altro. "Che fine hanno fatto Ralph e gli altri?"
"Non so, hanno cominciato a parlare tra di loro e sono entrati di fretta nel
castello." rispose Max.
Immaginai quanto i miei occhi s'illuminarono in quel momento. "Che sia pronta la
cena?"
Rei sospirò di nuovo. "Non penso… Mentre parlavano osservavano la cappa di fumo
che proviene da una delle campagne là in fondo." Gesticolò con la mano verso un
filo di fumo in lontananza. "Forse c'è un incendio."
"E' probabile," commentò il professore. Ci avvicinammo alla ringhiera del
giardino, cercando di scorgere qualcosa. Purtroppo, nessun risultato, c'erano
troppi cespugli. "Speriamo non si estenda, il vento oggi è particolarmente
forte."
In quel momento, mi tornò in mente Kai. A volte era capitato che uscisse dalla
villa per una delle sue passeggiate. Sperai che non si trattasse di una di
quelle volte. "Speriamo che Kai non si allontani troppo." Anche se in fondo
sapevo quanto fosse in grado di badare a se stesso…
Mentre mi allontanavo dalla villa, sentii sempre più vicino uno strano odore di
bruciato. Mi guardai intorno, il cielo ormai era oscuro, oltretutto l'ambiente
era circondato da cespugli e alberi. Oltre tutti quegli arbusti, però, riuscivo
a vedere un punto non tanto distante, illuminato da qualcosa. Forse si trattava
di un incendio.
Mi avvicinai ancora, più mi avvicinavo, più il caldo aumentava. E più sentivo
vicino un rumore familiare. Non riuscivo ancora a capire che rumore fosse, però.
Ma era come se l'avessi sentito tantissime volte prima, solo che non mi
ricordavo in che occasioni…
Eppure, più mi avvicinavo, più sentivo quel suono familiare. Inoltre, a quel
suono si sommava lo scoppiettio di ciò che ormai ero certo fosse un incendio.
M'infilai tra due cespugli, e ciò che vidi mi fece sentire stupido. Un BeyBlade.
Dannazione, come avevo fatto a non accorgermi che quel suono tanto familiare era
il suono di un BeyBlade che ruotava? Solo… non capivo che ci facesse un Bey in
mezzo a tutto quel fuoco.
Guardai meglio… C'erano tante strane stradine di fuoco, una di queste finiva
proprio sotto il Bey. Che fosse stato l'attrito della sua rotazione a creare
quel fuoco? Sarebbe stato incredibile.
Mi voltai verso destra, e vidi qualcosa. No, non qualcosa. Qualcuno, piuttosto.
Mi avvicinai di fretta, il ragazzo aveva la schiena che bruciava come l'erba
tutt'intorno a lui. Mi tolsi la sciarpa e tentai di spegnere quelle poche
fiamme, fortunatamente riuscendo nell'intento.
Poi afferrai il ragazzo per le spalle e lo voltai con la schiena sul prato,
dopodiché tentai di posarlo sul mio grembo. Solo allora notai chi era la persona
tra le mie braccia.
Fui colto di sorpresa… tra tante persone non mi aspettavo di vedere proprio lui.
Lo sentii lamentarsi e dimenarsi nella mia presa, poi vidi quei perforanti occhi
azzurri aprirsi lentamente. "Yuriy Ivanov…?"
Mi voltai di nuovo verso il Bey. In quel momento, vedendolo bene, lo riconobbi.
Era davvero Wolborg. Mi girai verso Yuriy quando lo sentii tremare nella mia
stretta, e vidi quegli occhi fissarmi sia con sorpresa che con astio. Sentii una
strana sensazione travolgermi in quel momento; non capii se fosse stata paura, o
ancora peggio, terrore, o forse la strana impressione di essere odiati fin dal
primo sguardo. Lo sentii prendere un respiro, quasi faticasse a far entrare
dell'aria nei suoi polmoni, dopodiché con la sua debole voce riuscì a spifferare
qualche parola. "M- maledetto bastardo… che cosa ci fai qui…?"
Pochi attimi dopo, tante scariche elettriche sembrarono scaturire dal suo corpo.
Precisamente dal punto in cui la sua schiena aveva preso fuoco. Già, a
proposito, come aveva fatto a prendere fuoco? E soprattutto, cos'erano quelle
improvvise scariche, e perché sembravano provenire dal corpo di Yuriy? "Potrei
farti la stessa domanda. Come ti sei ridotto in questo stato?"
Lui ringhiò, proprio come il lupo alato che animava il suo Bey. "Non sono affari
che ti riguardano."
"Beh, forse non riguardano me, ma senz'altro riguarderanno Ralph. Le campagne
intorno al suo castello sono di sua proprietà, e tu hai praticamente messo fuoco
ad una di queste."
I suoi occhi leggermente socchiusi si allargarono. "Ralph…? Sono… in Germania?"
"Devi essere ridotto molto bene se non sai neanche dove ti trovi." ribattei, ma
la sua espressione mi fece capire che non fosse dell'umore di sentirsi dire
battutine. "Scusami."
Lui non rispose, rimase semplicemente a fissare il fuoco che danzava intorno a
noi, come se fosse stupito di aver causato un tale disastro. Il suo Bey si
avvicinò a noi, dopodiché Yuriy lo prese tra le mani. Un'altra di quelle
scariche fuoriuscì dal suo corpo, questa volta attraversò anche me. Lui fece del
suo meglio per soffocare il suo grido, ma non riuscì perfettamente nell'intento.
Io, dalla mia parte, ero un tantino scioccato.
"Che… che succede?" domandai. Lui non rispose neanche stavolta. Si limitò a
fissare il suo Bey, sembrava fosse esitante sul dire qualcosa. "Senti, ora ti
porto alla villa di Ralph, sei ridotto male, hai bisogno di cure." Lui sembrò
sorpreso dalle mie parole. Dopotutto, nella sua vita non doveva capitare tutti i
giorni d'incontrare persone che si preoccupassero davvero per lui.
Dopo un'attesa che sembrò durare un'eternità, finalmente Yuriy si decise a
parlare. Anche se non rispose alla mia domanda.
"Kai, ti sfido."
"Huh?"
"Hai capito benissimo, ti sfido ad un incontro di Bey." Si districò dalla mia
presa e, con qualche difficoltà, riuscì ad alzarsi in piedi.
"Non penso che tu sia nelle condizioni di combattere," risposi. Lui mi fissò
come se l'avessi picchiato, e, con le mani tremanti, posiziono il suo BeyBlade
sul dispositivo di lancio, poi lo puntò verso di me. Non capivo come mai tutta
questa fretta di combattere.
"Ti conviene far scendere in campo Dranzer, se non vuoi essere tu la vittima di
Wolborg."
Prima che potessi dire anche solo un'altra parola, lui mi fermò. "E non voglio
sentire altre domande. Chiaro?"
Chinai il capo, sprezzantemente. Non adoravo battermi con avversari in decisivo
svantaggio contro di me, ma Yuriy era una testa calda, e non mi avrebbe permesso
di rifiutare. "E va bene. Come vuoi. Ma non dire che non ti avevo avvertito."
To be continued...
Note dell'autrice (Umbry-chan): la mia prima fanfic su BeyBlade! =) Dedicata ad
uno dei miei due personaggi preferiti, ovvero Yuriy!! o^^o E' TROPPO bono!!!
Riguardo al pairing, preferisco non svelarvi niente finché non lo scoprirete
leggendo la fanfic. In questo capitolo per ora non c'è alcuna traccia di yaoi (o
forse sì XD), ma a partire dai prossimi capitoli sì, per cui gli omofobi sono
pregati di non leggere, e soprattutto di non inviare messaggi di critiche e cose
varie! Tanto non riuscirete a scoraggiarmi XD! Mwahahahahh!
Ah, a proposito, il titolo della fanfic deriva dalla canzone delle Tatu, "Robot"
=) A parte il fatto che mi piace tantissimo, ho letto la traduzione del testo e
mi è sembrata perfetta ^^.
Vabbé, ora vi lascio, queste note stanno diventando più lunghe della fanfic ^^;.
Note dell'autore secondario (Kai/Kei): ehm ehm XD ciao a tutti! Questa fic è
originaria di Umbry-chan. In pratica lei non vuole più continuare a scrivere
questo stupendo capolavoro e quindi io mi sono offerto, con il suo completo
permesso, di impossessarmene. Io comunque ho voluto che il suo nome, la maggior
parte in assoluto di quello che ha scritto e le sue note siano per come le ha
fatte lei; mi sono limitato a correggere alcuni errori, a mettere dei nomi per
ogni capitolo, ad unire prologo e capitolo 1 e a scrivere gli ultimi capitoli!
Aspettiamo tanti tanti tanti vostri commenti e recensioni (per me sono commenti
XD per il sito recensioni, per voi boh XD). A presto con il secondo capitolo!
Ciao!