In
quella mattinata Privet Drive si presentava identica a quella precedente e a
quella prima ancora, anche se quella si prospettava come la vigilia di un giorno
diverso dagli altri; da un po’ di tempo a questa parte a Harry il panorama
fuori della finestra della sua stanza sembrava non cambiasse mai.
Il
cielo assolato con la stessa nuvola bianca accoccolata all’orizzonte che non
osava spingersi più in là per regalare un po’ d’ombra al praticello di zio
Vernon che cominciava a presentare qualche chiazza più ingiallita, la strada
pulita e il cassonetto dei rifiuti sotto al quale c’era accovacciato lo stesso
gatto nero con gli occhi socchiusi che sonnecchiava annoiato, la cassetta delle
lettere verde smeraldo che portava inciso trionfante il nome dei Dursley ed il
vialetto di mattoncini che conduceva alla porta di casa nascosta agli occhi di
Harry.
Per
il ragazzo era come restare fisso ad osservare la stessa cartolina per ore. Si
era sistemato su uno sgabello e giaceva appoggiato coi gomiti sul davanzale
capace così di poter carpire ogni movimento o suono che potesse attirare la sua
attenzione. Nonostante si fosse mantenuto in una posizione scomoda per non
cedere al sonno si trovò addormentato.
Aprì
gli occhi solo a notte fonda, il viale era all’oscuro e la debole luce dei
lampioni pareva restia ad illuminare bene la strada, il gatto non c’era ma il
resto era rimasto uguale. Guardò l’orologio, erano le quattro, ottimo orario
pensò Harry per cominciare a studiare. Gli tornò in mente quando pochi anni
prima era costretto a nascondersi sotto le lenzuola per studiare temendo gli
scatti d’ira di suo zio, oramai poteva starsene comodamente seduto alla
scrivania e finire il suo saggio sui poteri e le controindicazioni dell’uso
del sangue di drago. Pulì alla buona il tavolo dalle cacche d’Edvige, dalle
pergamene accartocciate e dalle ultime lettere di Ron ed Hermione, erano
trascorse settimane dall’ultima volta che gli avevano scritto, pensò; accese
una tozza candela sgocciolata e si mise a sfogliare il grosso tomo di pozioni
rilegato in pelle. L’idea di dover spendere ore della sua vita a combattere
contro se stesso dando del suo meglio nel realizzare un compito affidatogli dal
professore che odiava di più al mondo gli torceva lo stomaco e gli corrucciava
la fronte, ma preso dalla lettura si rassegnò.
“La notevole utilità dell’uso del sangue di Drago in più di un
ambito che concerne la vita quotidiana e la modalità d’elaborazione sono
opera
Di studi magici e scientifici condotti dal prof Albus Silente Preside
della scuola di Hogwarts, Ordine di Merlino prima classe, Grande
Esorcista, Stregone Capo, Supremo Pezzo Grosso, Confederazione
Internazionale di Maghi…”
Harry
sorrise e il suo viso a distanza di giorni s’illuminò di nuovo. Fece per
intingere la penna d’oca nel suo calamaio quando fu immobilizzato dal
sopraggiungere alle sue orecchie di un mormorio proveniente dal piano di sotto.
Harry pensò che ci fossero degli intrusi in casa, accostò l’orecchio alla
porta ma il legno spesso non lo lasciava distinguere le parole, se fosse sceso
lo scricchiolare del pavimento l’avrebbe tradito; venne cosi illuminato da un
lampo di genio. Scivolò nel suo baule e infilò sotto la porta un lungo filo
color carne, sapeva che un giorno avrebbe fatto tesoro dei doni dei fratelli
Weasley. Si mise in ascolto e con sua gran meraviglia individuò la fonte di
quei bisbigli:
-
Petunia cara, sei certa che sia questo il momento più adatto per avventurarti
in quel posto?-
-
Sht…abbassa la voce, il ragazzo potrebbe sentirci..-
-
Oh, no.. sono giorni ormai che non esce da quella camera potrebbe essere morto
per quel che ne sappiamo..-
-
Non essere sciocco, è più furbo di quanto potremmo aspettarci..-
-
Aspetta domattina per andare, alla luce del sole sarà più sicuro..-
-
No Vernon, devo andare ora cosicché non ci debba più mettere piede…-
I
suoi zii confabulavano in cucina col favore delle tenebre facendo vaghi
riferimenti a lui; le loro voci gli giungevano chiare e precise grazie alle
orecchie oblunghe firmate Fred&George.
-
E’ necessario che faccia questo stanotte per evitare sospetti..-
La
voce di zia Petunia era fredda e pungente, ma con una nota di paura; Harry
riconobbe quel tono in quanto era quello che usava quando si riferiva a lui o
alla sua famiglia, un tono sempre tracotante e superbo ma alquanto intimorito e
inquieto.
-
Non occorre che rimani alzato caro, va pure a dormire ci vediamo domattina..-
Con
queste parole si chiuse la porta alle spalle, lasciando il soggiorno immerso nel
silenzio.
Harry
non sarebbe mai riuscito a capire quale fosse la faccenda che turbava in tal
modo sua zia ma giurò di voler andare fino in fondo. S’infilò il mantello
dell’invisibilità e sgusciò fuori della sua stanza, cercando di causare il
minimo rumore raggiunse il piano di sotto e scorse, seduto sul divano, zio
Vernon in vestaglia e pantofole con in mano un bicchiere colmo di brandy. Gli
scivolò davanti sperando che non si accorgesse di lui ma vide lo sguardo dello
zio concentrato nel vuoto evidentemente immerso nei suoi pensieri.
Si
calò dalla finestra e si ritrovò sul prato davanti casa, aguzzò la vista e
vide in lontananza la sagoma scura di zia Petunia che camminava lungo la strada.
La seguì di corsa e la vide fermarsi poco più in la dell’ultima villetta a
schiera di Privet Drive. Restò impalata per alcuni minuti guardandosi
l’orologio e il dubbio di Harry su chi o cosa stesse aspettando fu presto
chiarito. Davanti al marciapiede si accostò un taxi nero e il conducente scese
in fretta dall’auto per aprire la portiera della signora che aspettava
immobile.
-
Buonasera signora.-
-
Buonasera, vedo che la puntualità non è prerogativa di questo servizio.- fece
zia Petunia vistosamente irritata.
Harry
colse al volo l’occasione e entrando dalla portiera del tassista rimasta
aperta si sedette sul sedile anteriore controllando che non fosse visibile da
sotto il mantello.
Durante
il tragitto regnò il più profondo silenzio, ogni debole tentativo del tassista
di fare conversazione fu presto scoraggiato da zia Petunia che guardava avanti
tenendo ben alto il lungo naso aquilino.
Dopo
venti densi minuti di attesa il taxi si fermò davanti ad un viale di campagna
alberato non asfaltato. Il signore scese dall’auto e Harry lo seguì a ruota.
-
Sarò di nuovo da lei tra una mezz’ora, mi auguro che lei sia qui al mio
ritorno.- disse zia Petunia non appena scesa dal taxi.
-
Certo signora..- Il giovane uomo sorrise senza la speranza di essere
contraccambiato.
Harry
si guardò in giro, cosa mai avrebbe fatto una donna come sua zia un posto come
quello? La vide inoltrarsi tra gli alberi e la seguì tenendosi a debita
distanza per non farle notare il rumore che provocava calpestando i rami e le
foglie secche del viale; ma la donna sembrava non accorgersi neanche che intorno
a lei ci fossero le tenebre e che stesse camminando ormai da dieci minuti senza
chiedersi dove fosse o guardarsi intorno per riconoscere la strada; Harry pensò
che quello doveva essere un luogo a lei famigliare.
Camminarono
ancora e si trovarono inoltrati in un bosco, ma tra le chiome degli alberi Harry
distinse i tratti di una casa. Era una villa elegante di più piani, i colori
porpora e bianco erano coperti da una pesante coltre di polvere e sporcizia,
sintomo di anni di disuso. La donna avanzava nel portico ma pareva avesse
rallentato il passo, aprì la porta ed entrò, Harry avanzò con prudenza salì
gli scalini in legno e si sentì mozzare il fiato quando vide a fianco alla
porta aperta sul campanello un nome scritto a lettere dorate incastonate sul
muro: “Famiglia Evans”. Harry era nella casa d’infanzia di sua
madre.
Il
cuore gli batteva rumorosamente e sperava che sua zia in piedi nell’ingresso
della casa non lo sentisse da sotto il mantello.
La
stanza era immersa nel buio e zia Petunia si accinse ad accendere i candelabri
sparsi per la casa aiutandosi con la torcia che teneva stretta in mano.
Sul
soffitto c’era un grosso lampadario di cristallo che rifletteva luccicando la
luce delle fiammelle che coloravano l’ingresso.
Alla
sua destra dal pavimento partiva un’elegante scalinata in legno coperta da un
lussuoso tappeto rosso e impolverato che scendeva uniformemente agli scalini,
tutte le pareti erano coperte di bei quadri raffiguranti paesaggi e fiori,
“quadri tipicamente babbani pensò Harry” tuttavia c’era qualcosa di
strano che aleggiava nell’aria, il ragazzo giurò più volte di aver sentito
sussurri e fruscii dagli angoli della stanza.
La
zia Petunia si diresse verso la porta in fondo alla camera e illuminò la stanza
dove entrò insieme a Harry, un lungo tavolo rettangolare di legno scuro con
alte sedie che lo circondavano, mobili con vetrate di cristallo che mostravano
l’argenteria scurita dal tempo, poi nell’altra stanza una cucina ordinata
simile a quella di sua zia, Harry la vide allungare la mano per strisciare con
due dita l’impolverato piano di cottura. Immaginò che stesse per mettersi i
suoi guanti di gomma rosa confetto e che cominciasse a darci dentro col
detersivo, ma camminò avanti per uscire dalla cucina e ritrovarsi nell’ampio
ingresso. La donna camminava sempre più lentamente e Harry dovette frenare la
sua euforia e curiosità tenendo un passo equilibrato a quello di sua zia che
appoggiando una mano sul corrimano prese a salire le scale scarlatte. Il ragazzo
in punta di piedi la seguì sgranando gli occhi. La torcia non illuminava
abbastanza e Harry fu sfiorato dall’idea di sguainare la sua bacchetta
gridando forte “lumos”, ma decise di mantenere la copertura sperando che la
zia si trattenesse in quel luogo ancora a lungo.
Vide
la schiena della zia scomparire dietro una porta e la seguì. Si trovo in una
stanza con un letto al centro coperto di cuscini e bambole di pezza, una
scrivania ordinata con penne e libri affilati per grandezza e a terra un
colorato scendiletto a fiori; avvicinandosi scorse sul comodino un porta foto e
riconobbe nel visino giovanile contornato da capelli biondi, occhi azzurri e un
lungo naso sottile la donna in piedi davanti a lui che gli dava le spalle.
Harry
che era rimasto sull’uscio lasciò la zia nella sua camera e lentamente
indietreggiò per essere libero di dirigersi nella seconda stanza del corridoio.
Al centro c’era un letto sfatto ma all’apparenza molto comodo, sulla
sinistra la stessa scrivania della stanza precedente si presentava molto
diversa, coperta da pergamene accartocciate, penne d’oca spezzate e diversi
libri d’incantesimi, come cestino un vecchio calderone bucato sintomo di vari
esperimenti falliti di pozioni, a terra un tappeto di pelle di drago sfrangiato
ad un’estremità, era tutto coperto di polvere compresi gli stendardi del
Grifondoro attaccati alla parete. A terra c’era un mucchio di libri sparsi e
su una sedia sotto la finestra una vecchia divisa di scuola, Harry la riconobbe
subito perché era identica a quella di Hermione.
Si
sarebbe voluto accovacciare tra le lenzuola che avevano accompagnato molti anni
prima i sogni di sua madre ma continuò a guardarsi intorno per cercare di
carpire ogni particolare e per stamparsi in mente tutto ciò che aveva davanti
agli occhi; ma vide sul comodino qualcosa che lo colse di sprovvista, un
portafoto impolverato. Harry si avvicinò e togliendo la mano da sotto il
mantello lo prese, pulì la superficie con un lembo della sua camicia tanto
lunga da arrivargli alle ginocchia, evidente “regalo” di Dudley, e si
specchiò nel viso dell’uomo raffigurato nell’immagine che agitava la mano,
chiusa a pugno che intrappolava un boccino d’oro, in segno di saluto, una
divisa da cercatore, capelli arruffati e scuri ma dietro gli occhiali due
estranei occhi nocciola. Harry non avrebbe mai immaginato di somigliare tanto a
suo padre.
-
Hai visto Harry come somigli a tuo padre?-
Una
voce sorprese Harry alle spalle, si voltò a vide sua zia in piedi sull’uscio
composta e rigida come sempre ma con uno strano calore negli occhi, in una mano
aveva la torcia in un’altra la sua elegante borsetta color lilla.
Harry
era sorpreso e spaventato allo stesso tempo: -Zia Petunia puoi vedermi?-
-
Oh, certo che no, sciocco..- Lo riprese la donna che ora aveva un sorriso
beffardo sul viso ma che si rivolgeva a più punti della stanza vicino al
comodino dato che non sapeva dove fosse di preciso il nipote.
-
Sapevo che mi avresti seguito, se te l’avessi chiesto credo che non mi avresti
neanche dato retta...-
Harry
era sempre più confuso.
-
Ora ti dispiacerebbe renderti visibile, mi stai mettendo in difficoltà..-
Harry
si tolse in fretta il mantello dell’invisibilità tenendo ancora stretta in
mano la foto di suo padre.
La
zia pose il suo sguardo su di lui, e Harry si sentì ancor più vulnerabile.
-
Beh..sai già dove siamo, non ho intenzione d’offendere la tua intelligenza
spiegandoti ciò che sai già..ma credo comunque che tu voglia sapere il perché.-
Harry
non riusciva ancora a crederci. – Zia Petunia è questa la casa dove sei
cresciuta?-
-
Come non detto..- Sbuffò la donna. – Sì, e questa è la stanza di tua madre,
e come si potrebbe dubitarne…- Disse la donna guardandosi intorno e
soffermandosi sul groviglio di abiti ai piedi del letto.
-
Volevi mostrarmela? E’ per questo che siamo qui?- Chiese Harry con voce
tremante.
Ma
la zia non rispose si avvicinò a lui a piccoli passi e lo guardò negli occhi.
Harry gli rimandò lo sguardo e per la prima volta nella sua vita notò il
colore degli occhi di sua zia, non era poi tanto differente dal suo, pensò.
-
Harry, solo ora posso mostrarti questo…- Ora anche la voce della donna
tremava. – Sono riuscita ad ottenere un risultato dall’incantesimo solo
ora..-
Harry
ancora incredulo continuava a guardarla, ma nel caos della sua mente vagava
anche questo pensiero, quella che aveva di fronte era la stessa persona che si
riferiva alla magia come a dell’immondizia tossica e alle stregonerie come
delle inutili idiozie, o era solo il suo corpo che era stato posseduto?
-
Zia petunia...-
-
Non m’interrompere!- Tuonò la donna, evidentemente voleva liberarsi di un
peso dallo stomaco.
-
Prima che tu cominci a criticarmi, ti chiedo scusa…..scusa… per tutto il
tempo che ci ho impiegato..-
Harry
era sbigottito ma la zia ignorò il suo sconcerto.
-
Purtroppo il tempo a nostra disposizione è assai poco, e credo che non sarà
sufficiente…beh neanche una vita intera lo sarebbe, che tu ci creda o no
neanche per me.-
Harry
azzardò a parlare. -Per cosa non basterebbe, zia, cosa c’è in questa casa?-
-
Lo saprai, Harry, te lo farò vedere…-
Indietreggiò
tornando alla porta che era rimasta aperta dietro di lei, lentamente la chiuse
lasciandola cigolare. L’ombra della stanza era spezzata dalla sola luce della
torcia. –Harry tira fuori la bacchetta, fa luce.- Fece la donna dal buio della
stanza.
Harry
sbigottito obbedì e pronunciò: - Lumos!-.
La
luce della bacchetta illuminò la sagoma della donna che era in piedi al fianco
della porta e che alzava le braccia verso un velo scuro appeso al muro che prima
era stato coperto dalla porta aperta. Quando il velo impolverato cadde a terra
Harry si trovò di fronte un’ampia cornice dorata che proteggeva una tela
vuota ingiallita dal tempo.
-
Avvicina la bacchetta Harry…- Disse zia Petunia che diventava sempre più
nervosa, ma i secondi passavano freneticamente ed Harry non sarebbe di certo
stato in grado di accorgersene dato che ora aveva letto l’iscrizione in basso
sulla cornice:
“Lily
Evans, Eccellente strega, prode combattente, moglie fedele, ottima madre.”
Alzò
lo sguardo verso il quadro e nel silenzio di quella stanza in cui l’unico
rumore percepibile era quel del battito del suo cuore, si mise in attesa che ciò
che sperava con tutta l’anima accadesse davvero di lì a pochi istanti.
Harry
col cuore in gola gettò uno sguardo a sua zia che si guardava il polso e alle
sue orecchie giunsero sei rintocchi d’orologio, provenienti dal piano di
sotto.
-
E’ il momento Harry..- Dicendo così zia Petunia infilò una mano nella
borsetta e ne cavò una manciata di polvere scura, si mise davanti al quadro e
la gettò sulla tela, la quale aspirò la nube di fumo e cominciò a prendere
colore.
D’un
tratto la tela iniziò a delineare una sagoma, via via la polvere occupava i
contorni del soggetto conferendogli forma, dopo pochi istanti comparve il viso
di una donna dai lunghi capelli castani e intensi occhi verdi come quelli del
ragazzo che le stava di fronte.
Quando
i colori del quadro furono nitidi l’immagine rappresentata sembrava solo il
riflesso della donna in uno specchio, perché poteva muoversi e in quel momento
stava sorridendo.
Dalle
labbra, poi, ne derivò una voce, stranamente famigliare, Harry non ne aveva
alcun ricordo suo malgrado.
-
Ciao Harry…-
Il
ragazzo si sentì mancare, in quel momento poteva finalmente parlare con sua
madre.
-
Mamma…- Fece con voce pencolante. Era strano, non era mai riuscito a proferire
quella parola riferita a nessuno ma ora poteva farlo e sentì che stava per
piangere.
-
Harry, non te l’avevo mai sentito dire...- Harry si stupì vedendo le lacrime
rigare il viso di sua madre, fino a quel momento dalle foto l’aveva vista solo
sorridere e salutarlo con la mano.
-
Sei come tuo padre Harry.- Nel ripetere il nome del figlio sembrava non averne
mai abbastanza. – Non mi stupisce affatto.-
-
Avrei voluto vederti crescere, ma credo comunque di aver condiviso con te ogni
giorno, anche se da molto lontano..-
-
Harry, parlami..- Lo esortò la madre.
Il
ragazzo continuava attonito a fissare il quadro, con le labbra serrate.
Poi
si prese coraggio: - Ciao…-
-
Ciao…- sorrise la donna. –So che non ti saresti mai aspettato una serata
come questa in vita tua…-
Harry
arrangiò un sorriso che gli parve un po’ forzato, era ancora sconvolto.
- Mamma ma tu..tu sei..-
-
Sì caro, sono morta.-
-
Ma come…- Harry balbettò.
-
Mi è stato concesso di affacciarmi sul vostro mondo quel tanto che mi basta per
farti sapere un paio di cose..-
La
donna alzò gli occhi guardando sopra la sua testa. –E’ stato un regalo, ti
lascio indovinare di chi, anche se allora non capivo lui sapeva che mi sarebbe
stato utile nel momento giusto.-
Harry
capì immediatamente che quel quadro le era stato donato da Silente.
-
Perché è questo il momento giusto?- Riuscì ad enunciare Harry.
-
Avrei dovuto aspettare che un’altra persona fosse pronta.- E sorrise in
direzione della sorella.
-
E’ questo?- Chiese.- E’ questo l’unico modo che avrò mai per parlare con
te?-
La
donna sospirò. - Il mio desiderio più grande sarebbe quello di appartenere ad
un sogno insieme a questa notte cosicché tu possa svegliarti e pensare che sia
stato irreale. Vorrei che il ricordo di questo momento non ti faccia soffrire,
ma ormai sei grande abbastanza e non ti meriti questo..-
-
Che cosa intendi dire?-
-
Non sarà più possibile che venga da te e se non vuoi dimenticare voglio solo
che tu capisca che non hai affatto bisogno di me..-
-
Ma che dici? D’ora in poi sarà tutto più facile..parlerò con te ogni volta
che vorrò e …-
-
No Harry, sarà più difficile di quanto pensi.- Il tono di sua madre si fece più
serio e smise di sorridere. –E’ più difficile soffrire per il bisogno di
qualcosa che non si è mai avuto piuttosto che esigere ciò che, anche se solo
per pochi minuti, si è potuto raggiungere.- La donna nella cornice abbassò lo
sguardo. –Harry se speri sempre di ritrovarti con noi un giorno, vivrai una
vita a metà…-
Lily
Evans cominciò a parlare più in fretta come per paura di non poter dire tutto
ciò che necessitava far sapere a suo figlio.
-
Harry..- Continuò. – sono orgogliosa di te e di ciò che hai fatto, di come
sei cresciuto e del valore che dai al nostro ricordo, vedi, io e tuo padre
vogliamo che tu viva pensando al tuo futuro e non al nostro passato. Tante cose
che avremmo potuto dirti nella vita sei stato costretto a scoprirle da solo e
anche ad un prezzo molto alto, ora ti chiedo di dedicarti a te stesso e di
cercare la tua strada, un giorno quella parte vuota del tuo cuore sarà occupata
come tu hai occupato la nostra...-
-
Non potrò, non ci riuscirò mai dopo questa notte..-
-
Dovrai..-
Harry
non si era accorto cha aveva lasciato cadere a terra la sua bacchetta che aveva
smesso di emanare luce, ma riusciva ancora a vedere sua madre.
-
Vorrei toccarti…- Fece.
-
Tesoro mio, abbracciandomi riproveresti un’emozione già vissuta, nascosta
sotto la pelle. C’è stato un tempo in cui mi hai tenuta stretta a te, il
tempo in cui hai avuto bisogno di me, ma ora quel tempo è passato e non ho
rimorsi, so che sarai felice.-
Le
parole rimbombavano nella stanza buia vibrando nell’aria polverosa di quella
che era stata la camera da letto di colei che ora la guardava dalla parete.
Per
la prima volta Harry abbassò lo sguardo per poi rialzarlo con più coraggio:
-Pensavo di aver tante cose da dire e chiedere, in realtà pensavo di aver
bisogno di mille risposte, solo ora ho capito che volevo soltanto che qualcuno
mi rispondesse. Qualcuno che mi desse il suo amore disinteressato senza che io
nemmeno lo pretendessi e invece..- Singhiozzò.-…Invece voi avete lasciato che
io restassi solo per tutta la vita!-
Harry
non si accorse che aveva cominciato a gridare e a piangere, piangeva di rabbia,
un fervore incontenibile che sgorgava dal suo corpo.
-
Ora anche Sirius è morto, non ho più nessuno, tutto il mondo conosce il mio
nome ma sono la persona più sola che ci sia!…Per colpa vostra!-
Harry
prese a piangere sonoramente, gli sembrava che fosse la prima volta in vita sua,
stava riuscendo a liberarsi del peso opprimente che aveva portato dentro di sé.
Finché la voce di zia Petunia lo interruppe dopo che lui aveva, fino ad allora,
trascurato la sua presenza.
-
Devi essere orgoglioso dei tuoi genitori, Harry! Sono morti per salvarti e
insieme a te hanno salvato tutti noi!-
La
sorpresa e lo stupore del ragazzo lo calmarono.
Poi
la madre continuò: - Harry, hai il diritto di essere in collera con me. Sappi
non è solamente il tuo nome che ti rende così amato. Solo una persona buona
come te può soffrire così e sono felice che tu abbia la giusta sensibilità
che ti fa essere un buon amico e un bravo figlio, un figlio per molte più
persone che tu credi.-
Harry
pensò a Silente, alla Mcgranitt, a Lupin, alla signora Weasley, poi ai suoi
amici, non sarebbero bastate le dita di una mano per contarli.
-
Sei circondato dall’affetto più puro e sincero, se non fosse così ti
pregherei di pensare a me, invece voglio che tu mi conservi come un ricordo
lontano a cui non devi dedicarti più del necessario, quel poco che ti basta per
sorridere…-
Poi
la donna inclinò la testa verso la porta, per quanto la cornice glielo
permettesse, e si rivolse alla sorella.
-
Petunia, questo è stato il dono più bello che tu mi abbia mai fatto, ma non il
primo. Sapevo di poter contare su di te..-
La
zia Petunia immersa nell’ombra restò immobile con lo sguardo fisso su Harry,
il quale riusciva solo a vedere il tenue luccichio della luce sulle lacrime che
le riempivano gli occhi.
-
Ora..-
Harry
aveva il timore che quelle stavano per essere le ultime parole di sua madre e
asciugandosi il viso le disse in fretta: - Mamma…ti farò tornare..ripeterò
l’incantesimo, ce la farò..vedrai..-
-
No, non è possibile ripetere quest’incantesimo di magia nera per una seconda
volta e non puoi certo essere tu a farlo..-
-
Perché, perché non posso..?-
-
Non vedi che tua zia mi volge le spalle? Non può guardarmi, se lo facesse
sarebbe risucchiata dal quadro..e non avrebbe senso per te rischiare per non
potermi nemmeno guardare negli occhi..-
-
E perché zia Petunia l’avrebbe fatto?!-
La
donna non rispose subito alla domanda perché aspettò che Harry cominciasse da
solo a capire la risposta.
-
Lo ha fatto per te Harry.-
-
E’ impossibile…-
La
donna, il cui viso era rigato dalle lacrime, sospirò: - Lo ha fatto perché tu
potessi sapere..-
Harry
sentiva lo sguardo della zia su di se.
-
Sapere cosa?!- Gridò Harry dal profondo del cuore.
-
Che non sei solo…-
Dopo
le ultime parole i colori del quadro si fecero più tenui, si spegnevano
lentamente perché cominciavano a scivolare via, le forme perdevano tono e non
si riuscivano a definire indistintamente le fattezze della donna. Il cuore di
Harry gli salì in gola, cercò di gridare ma non ci riuscì, vide sua madre
andare via e vide il suo sorriso cancellarsi dalla tela come l’ombra che
scompare da uno specchio.
Il
groppo alla gola si sciolse e il ragazzo cominciò a singhiozzare, finché si
trovò chinato in ginocchio, a terra, con i pugni serrati che premevano sul
pavimento impolverato.
-
Non le ho detto neanche addio…- Piangeva.
-
Non ho avuto nemmeno la forza di dirle addio..- Piangeva sempre più sonoramente
e pensava di parlare solo a se stesso perché non si aspettava una risposta:
-
Harry..- Fece la zia avanzando di pochi passi. – Lei non sia aspettava che le
dicessi addio.-
Harry
alzò lo sguardo, aveva gli occhi rossi e gonfi, si scansò i capelli dal viso e
disse:
-
Zia Petunia.. non le ho detto neanche che le voglio bene…-
-
Non era necessario che le dicessi neanche questo.-
Harry
non capiva.
-
Vedi Harry…lei non voleva che le dicessi niente di quello che sapeva già.-
Harry
comprese e per un attimo si sentì sollevato; si guardò intorno ricordò
dov’era e sorrise. Guardò la zia e le disse: - Era il mio regalo?-
La
donna si chinò, gli appoggiò una mano su una spalla e disse:
-
Buon compleanno Harry…-
THE END