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Autore: Brooke Davis24    27/05/2011    1 recensioni
E' la prima volta che posto qualcosa qui,non di certo la prima che scrivo. Per quanto possa valere,non ne potrei fare a meno,né della scrittura,né della sensazione di metterci tutta me stessa,come in questo caso...
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 Col vento caldo di un'altra estate
www.youtube.com/watch?v=1FSU_EJjp3s

Il lamento di una tromba,nel freddo gelido di un inverno senza colori,ululava con fare malinconico, apparentemente arresosi,qualunque scopo avesse perseguito e visto cadere in frantumi. Un uomo strampalato,vestito di abiti logori color verde oliva,prese aria e soffiò nel bocchino dorato dello strumento,muovendo le dita sottili sui pistoni con l'intento di modulare il suono e smussarne la rigidezza;sottoforma di urlo gentile,la campana color oro rilasciò l'ossigeno detenuto fino ad allora e si compiacque della propria precisione,dell'agilità di quelle mani violacee che,sebbene intorpidite,avevano trovato il coraggio di animarsi e dare vita ad un solitario concerto,privo di spettatori. In quel viale alberato,sul quale i rami degli arbusti tendevano gli uni agli altri nel desiderio di un incontro impossibile,tutto taceva,come se la neve avesse soffocato ogni residuo di vita e represso il desiderio di una visita da parte di avventori che non fossero il prete o le suore della cattedrale, dal quale il sentiero si snodava. Il respiro di un cane nero,accucciato sul letto di cartone che il padrone aveva preparato su una delle panchine lì presenti,assunse le connotazioni di un nascituro fantasma: piccolo e amorfo,spalancò gli occhi appena in tempo per vedersi dissolvere. Non un vagito,non un sorriso a testimoniarne il passaggio. Quanto può essere triste la vita,a volte! E quanto incredibilmente sorprendente,altre! Lo squattrinato suonatore si lagnò ancora,piangendo di un'afflizione che soltanto il suo Dio avrebbe udito,e gemette d'aria,prolungando l'estensione di quella nenia dolce e melanconica, che avrebbe potuto essere tutto o niente: il ricordo di un amore nascosto e rivelato troppo tardi,l'invocazione di un perdono senza risposta,la serenata ad un angelo,ad una Musa,ad un batuffolo bianco. Gli occhi gli si arrossarono e colmarono di lacrime e,quando queste scesero placidamente lungo i due lati del volto smagrito,sfidando la gelida aria decembrina con il loro calore,l'uomo strimpellò con maggiore tormento,perdendosi nella morbida coltre di un grigio afasico. Non si accorse neppure delle due sagome che,poggiate contro le mura medievali della chiesa,lo capirono,compiansero e abbracciarono,prima di guardarsi e sorridersi con fare incerto,inibiti dall'incapacità di comunicarsi cosa fosse venuto a mancare tra loro,cosa avesse lacerato l'empatia di cui,sempre,avevano avvertito la presenza,pietrificati dall'incertezza del significato di quell'incontro. Alessandra distolse lo sguardo,vagliando con attenzione la possibilità che qualcuno li scorgesse,e ringraziò chiunque si stesse adoperando,affinché rimanessero da soli:non che volesse nascondersi,ma non era certa delle proprie intenzioni. Avrebbe voluto parlare,pronunciare miriadi di frasi,scusarsi e pretendere perdono,porre fine all'insostenibilità di incomprensioni che stavano distruggendo qualcosa di bello,qualunque cosa fosse. Una piuma nera,oscillando pericolosamente in aria,volteggiò e danzò e s'inchinò,prima di adagiarsi sullo spesso strato di neve al di là dello steccato. La giovane desiderò impossessarsi della stessa leggerezza,conquistare le connotazioni di una leggiadria senza pensieri,che,a suo tempo,entrambi avevano conosciuto ma che,a quel punto,pareva essersi dissolta tanto celermente da non lasciare tracce. Sarebbe finita in quel modo? La stanchezza avrebbe prevalso su mesi di confidenze incomprensibili,ricordi ed esperienze condivise? Ognuno di loro avrebbe guardato l'altro e,davvero,vi avrebbe scorto estraneità,la stessa che non avevano mai sentito appartenergli?
Era trascorso un anno dalla loro prima conversazione,sempre che tale potesse essere definita,e,ripensandoci,la ragazza sorrise,nella speranza che Valerio non la scorgesse: il modo in cui si erano conosciuti era stato lungi dal dimostrarsi tradizionale. Nessuna sigaretta da accendere,nessuna penna da prestare,nessuna comitiva di amici in comune,nessuna attinenza scolastica,nessuna stretta di mano. Un commento,una serie di frasi dedicate da uno sconosciuto ad una sconosciuta,il timore di aver detto poco e male dell'uno ed il sorriso lusingato dell'altra,due schermi e milletrecentotrentadue chilometri come intermezzo,come ostacolo. Molto di più come aiuto per qualunque avversità,comunque fosse andata. Alcuni lo avrebbero definito un rapporto iniziato per gioco,altri un legame incosciente e malato e nessuno di loro avrebbe capito o trovato la definizione corretta;neppure loro erano riusciti ancora. Sapevano semplicemente di essersi detti tanto in un niente,di aver provato sensazioni ambigue,di aver avuto paura a tratti,di essersi buttati e di aver fatto bene,indipendentemente da quanto opportuno fosse stato. Attraverso quei tre quarti di penisola,era fluito un oceano blu corallo dalla superficie luccicante,dalla consistenza cristallina,preservato da ogni bruttura a dispetto delle aspettative: le parole avevano subìto una metamorfosi ed avevano assunto la forma di lacrime, sorrisi, sospiri, dispiacere, compiacimento, ansietà, dolore, gioia, pioggia, grandine, neve, sole, vento, mare, edifici, università, scuole, amici, musica, passioni, paure, coraggio, litigi, chiarimenti, rancori, bene, vita. Se qualcuno avesse voluto una spiegazione di cosa fossero stati e cosa sarebbero potuti essere,Alessandra avrebbe saputo rispondere,nonostante se lo fosse chiesta spesso e,a lungo,non avesse trovato via d'uscita;aveva,dapprima,dovuto convincere se stessa della correttezza di quanto vissuto e provato ed era stato difficile,tanto che,a tratti,ancora lo era. Se mai le avessero domandato chi fossero lei e Valerio,avrebbe citato se stessa. "Due occhi incontratisi ancor prima di conoscersi". E,quando le distanze erano state abolite,le città superate,il passato conservato,il presente vissuto,non avevano che avuto la conferma tangibile di quanto avessero ,fino ad allora,visto alla luce tremula di un'affezione irrazionale,contro la quale avevano desistito ancor prima di cominciare a combattere. Forse,avevano sempre avuto la consapevolezza dell'inutilità di un conflitto,perché ne sarebbero usciti sconfitti comunque.
Una nebbia desolata salì ,piano,sul suo cuore e lo sentì tamburellare al ritmo di un disagio che sperava potesse placarsi;ma,in fondo,sapeva sarebbe accaduto, per una ragione ignota a Valerio ma ben ponderata da Alessandra. Guardando a destra e a sinistra,appurò nuovamente che fossero soli e trattenne a stento il sollievo,aiutata dal peso che le gravava sul petto,estendendosi fino alla gola. Non si era più recata lì per scelta e non ne aveva sentito il bisogno. L'aria del luogo,lo scenario tenebroso,la quiete inquieta che ivi vigeva le mozzavano il fiato,di volta in volta, ed era come sentirsi protagonista di uno di quei melodrammi da teatro,al cui termine la platea si ritrovava con fazzoletti bianchi tra le mani e occhi irritati. Ne era a tal punto suggestionata da udire il suono di un violino accompagnare il suo incedere cadenzato e,a quel punto,il sole spariva,il suolo cedeva,le radici degli alberi si allungavano fino a lei e si avviluppavano al suo corpo,tirandola giù,nel profondo della terra,con il solo intento di soffocarla. Il giovane conosceva le ragioni del suo intimo tormento,ma non poteva immaginare di essere proprio lì,nel luogo del quale,a stento,Alessandra riusciva ad accettare l'esistenza. Una strana sensazione,eppure,lo sorprese impreparato,quando scorse un luccichio prepotente lungo le ciglia lunghe di lei,e provò l'impulso di tentare il gesto più folle e sconsiderato che avesse mai pensato in tutta la sua vita: prendere la rincorsa e sperare di raggiungere,con un salto,l'altra sponda,dove avrebbe avuto idea di cosa le passasse per la mente,di cosa turbasse la calma placida di quelle iridi verdi,le stesse delle quali,per mesi,aveva immaginato la sofferenza senza mai carpirla a fondo. Avrebbe voluto davvero,ogni parte del suo corpo anelava a quella missione,ma le mancò il coraggio.
“Raccontami qualcosa.” Chiese e il barlume di un sorriso fece capolino sulle labbra di Alessandra,tanto che,a sua volta,la imitò. Da quando si conoscevano,le aveva avanzato quella richiesta molto spesso ed era venuto a conoscenza di tanti,piccoli episodi di un’infanzia,di un passato che,sebbene lontano quasi diciannove anni, era parso farsi più vicino,tangibile a tratti. Gli aveva parlato di puerili riti notturni col padre,di come,a distanza di tempo,questi solesse ancora chiamarla per annunciarle di essere in procinto di mettersi a letto,e,in un’occasione,ne aveva avuto dimostrazione,quando,parlandole del più e del meno a telefono,aveva carpito l’accento di un uomo che,come tante altre persone della quotidianità,avevano fatto parte anche della sua;e gli piacevano quelle confidenze disinteressate,ricche di una tenerezza alla quale Alessandra era stata sottratta troppo brutalmente. Non era mai stato un tipo romantico,né si sarebbe definito tale,se qualcuno gliel’avesse domandato;eppure,per quanto se ne fosse vergognato all’inizio,aveva dovuto ammettere almeno a se stesso di esserlo in maniera particolare nei suoi confronti,quasi fosse dovuto,al di là del proprio carattere,al di là del fatto che lei fosse ritrosa,al di là dell’imbarazzo.
“Quando ero piccola,mordevo sempre il Cucciolone prima di leggere le vignette. Poi,mi accorgevo di aver fatto una cavolata,sputavo il pezzetto ma non c’era verso di capire cosa ci fosse scritto.” Ricordò la diciottenne e,istintivamente,ridacchiò,memore di un’infanzia come ogni bambino avrebbe dovuto averne. Era stata così felice,allora,che ne aveva sottovalutato la pregevolezza;da sciocca,aveva creduto che quella serenità le fosse dovuta,aveva vissuto spensieratamente i giorni e le notti,aveva giocato,corso,guidato la bicicletta;era caduta,sbucciandosi ginocchia e gomiti;era partita con i cugini alla volta di un grande appezzamento di terreno incolto,nella speranza di appropriarsi di un numero quanto maggiore di lumache,affinché la nonna le cucinasse la sera stessa;aveva finto di impastare il pane,ricoperto le guance di farina e fatto il pagliaccio;aveva assaggiato quell’intruglio di uova,farina,acqua e lievito e ne era rimasta disgustata;si era seduta su un basso muretto,circondata dalla propria famiglia,e,con una pizzetta fatta in casa,si era goduta la freschezza della sera,il venticello tiepido,persino i morsi di zanzara. Nostalgica,chiuse gli occhi e si rivide all’età di tre anni,stesa sul pavimento con un bambolotto tra le mani e lo sguardo contrariato,rivolto verso i piedi di una sconosciuta. Aveva sempre provato ribrezzo per quella parte del corpo,persino da piccina,e quell’inspiegabile disgusto,misto ad una dose di innocente sfacciataggine,l’aveva portata ad accusare la collega della zia di puzzare eccessivamente. “Lucia puzza di piedi” era,oramai,un’icona della sua infanzia.
“Sei sempre stata pirla,non c’è che dire! Più ti conosco e più ne sono convinto.” commentò lui,ma non potè fare a meno di ridere ancora,nel figurarsi l’immagine di una tappetta bionda dagli occhi verdi nell’atto di riunire un pezzo morsicato di gelato al resto,ancora intatto. “Altro?” inquisì e la osservò. Seppe che,nonostante sorridesse e apparisse distesa,il suo inconscio celasse qualcosa di ben diverso,qualcosa che avrebbe voluto conoscere,indipendentemente dalle conseguenze. Dispiaciuto,riflettè sull’ingiustizia del Dio nel quale ancora credeva,lo stesso che aveva perso la fiducia di Alessandra,e si sentì arrabbiato. Come avrebbe potuto persuaderla a non disperare,se lo avesse guardato con quel rammarico negli occhi? Con quale coraggio avrebbe trovato la forza di darle contro,se avesse dovuto assistere,per la prima volta dopo mesi,alla disperazione di lei? Sarebbe stato pronto davvero? L’altra avrebbe detto di no,lo sapeva già.
“Non so se si tratti proprio di un ricordo,anche se penso lo sia,perché sento di averlo vissuto. Mi vedo su un seggiolone,ancora molto piccola,con la bavetta e un piatto di pastina al formaggino davanti. Riconosco il vecchio tavolo di mia nonna,la sedia rumorosa verde,la luce soffusa della lampadina… E’ uno di quei frammenti di passato che mi piacciono tanto!” disse e assottigliò lo sguardo,come aspettasse una conferma da parte della neve. Quella morbida e fredda distesa di bianco le ricordava guance arrossate,nasi freddi,guanti di lana e giubbotti talmente bombati da impedire ogni sorta di movimento; quel gelo le ricordava silenzio e,immediatamente dopo,trambusto,risate sguaiate,stomaci doloranti ma anche fuoco,stufe,legna ardente,cioccolata calda e dormite tutti addossati l’un sull’altro.
“E’ molto bello!” le assicurò,ma s’insinuò in lui il dubbio di aver risvegliato un passato più doloroso di quanto non lo fosse il presente. Gli occhi verdi di Alessandra raggiunsero quelli di Valerio,vi impressero l’intensità dei sentimenti che la ragazza sembrò provare nel frammento di un secondo,e,non troppo lontana,la tromba suonò ancora,sgridandolo per aver agito male ancora. O,forse,stava sgridando Dio!
“Seguimi...” le sentì dire e trovò il tono duro,autorevole per certi versi. In un'altra occasione, se mai gli avesse riservato un simile trattamento,se ne sarebbe risentito fortemente;in quel caso,invece,ebbe la certezza che quella distanza non dipendesse dai loro problemi,che non volesse ferirlo con la propria freddezza,e,acconsentendo alla sua richiesta,tentò d'immaginare dove lo stesse portando,perché avesse scelto quell'ambientazione lugubre e,al contempo,mistica per un chiarimento. Rimase volutamente qualche passo indietro e,per la prima volta da quando si erano incontrati,ne osservò la rigidezza,ne percepì il tormento e l'angustioso,intimo travaglio. Quante volte,benché le avesse chiesto di renderlo partecipe del suo dolore,si era trincerata dietro un muro scosceso ed invalicabile?Quante volte aveva tentato di scalarlo e,in tutta risposta,l'aveva vista innalzare ulteriormente le difese,come quel tentativo potesse danneggiarla?
"Dove stiamo andando?" si costrinse a pronunciare,quando il silenzio divenne così insopportabile da rendere fastidioso persino il rumore delle scarpe contro la neve. Non attese una risposta,non rimase male del mancato arrivo di essa. Semplicemente,tacque,pregando che il melanconico pianto di quel suonatore avesse fine,che smettesse di accanirsi in quel modo,acuendo la sua insofferenza rispetto alla propria condizione. Adesso,lo sapeva,ne era certo: non avrebbe sopportato la vista di quello che riteneva gli avrebbe mostrato. Non era pronto per quel dolore,non era pronto per lei,non era pronto a conoscere la profonda intimità di quanto avesse celato al suo interno. “Ale? Io…Voglio tornare indietro!” le comunicò,mentre l’incedere dei suoi passi diminuiva e il suo peso,aggravato dal senso di colpa per la decisione presa,lo costringeva ad affondare ulteriormente contro il suolo gelato. Osservò i capelli lunghi di Alessandra ondeggiare sulla schiena,sfiorare la curva più bassa di essa e seguirne la traiettoria e si chiese per quale ragione non si fermasse ad insultarlo,perché non avesse colto al volo l’occasione per accusarlo,quale fosse il motivo di cotanta indifferenza. Soltanto nel frangente in cui la disperazione dello strimpellatore squattrinato accompagnò l’inquietante cigolio di un cancelletto nero e basso,costeggiante la cattedrale a formazione di un piccolo camposanto in vecchio stile,comprese che non ne avrebbe conosciuto la disapprovazione,che,in quell’esatto istante,aveva permesso si congedasse per sempre da lei,che la titubanza ostentata lo avesse reso imperdonabile agli occhi di Alessandra. E fu a quel punto che si pentì,che,flettendo le gambe in avanti,volle sperare che una corsa a perdifiato e delle scuse sincere potessero bastare. Desiderò redimersi e fare ammenda per quell’unico,significativo,grande sbaglio. Il sentiero,però,prese ad allungarsi,la sua energia venne a mancare e il suo fiato si fece corto fino a mozzarsi del tutto,quando la figura di lei divenne una scura,superba virgola,che non avrebbe più potuto abbracciare,a dispetto delle lamentele di lei. L’aveva perduta!

Il tintinnio di una moneta lo ridestò dalla condizione di trance, nella quale era caduto,e,battendo le palpebre,si guardò intorno: un enorme cane nero mugolava con compiacimento per le carezze di Alessandra,che,sorridente,se ne stava occupando,mentre il suonatore lo osservava di sottecchi. Quegli occhi grigrio/viola sondarono la sua anima,le sue iridi,il suo cuore e le sue paure e vi lessero la purezza di un’affezione sincera,di timori ai quali aveva concesso libero corso per via dell’effetto sortito dalle note del magico soffio dello sconosciuto. Sorrise appena,prima di rivolgere la propria attenzione alla ragazza ed impossessarsi delle mani di costei;le raccolse interamente tra le sue,carezzandole con movimenti caldi e decisi,e non si interruppe un solo istante. La morsa della gelosia strinse lo stomaco di Valerio,il cui colorito passò dal bianco cereo al verdastro,ma non ebbe il tempo di far sbocciare un simile germoglio,giacché la magia tra i due s’interruppe,relegata nelle dimensioni di un piccolo frammento di carta,che Alessandra osservò stupefatta.
“Cosa c’è scritto?” domandò e,accostandosi alla spalla di lei, la vide spiegare il foglietto ingiallito,scorrerne le righe con gli occhi e ripetere il gesto ancora e ancora,quasi volesse afferrare un contenuto del quale,a stento,riusciva a reggere la portata. Istintivamente,il ventitreenne affondò le mani nella tasca del giubbotto,con l’intento di estrarne gli occhiali da vista,ma,anziché la custodia di essi,le sue dita sfiorarono i contorni qualcosa di molto più fragile,qualcosa che,una volta estratto,lo lasciò interdetto come non mai. L’altra si volse,lasciando oscillare lo sguardo dagli arti del giovane allo sguardo perplesso dello stesso.
“Anche tu ne hai uno?” fece lei e,annuendo,la invitò a leggere il contenuto di ciò che le giaceva tra l’indice e il pollice della mano destra. “Ma tu che stai perché rimani?Un altro inverno tornerà domani…” declamò,alzando gli occhi su di lui con espressione greve,quasi quel piacevole intermezzo,dovuto all’incontro col duo uomo-animale, fosse stato pregevole ma non abbastanza da cancellare le loro divergenze,i suoi timori. Allungando una mano,Valerio la pose sulla guancia gelida di Alessandra,che,per istinto,s’irrigidì,e rise di lei,strappandole una delle sue buffe espressioni contrariate,una di quelle che sapevano di scherzo e armonia nel loro rapporto. Tacitamente,ringraziò lo squattrinato suonatore per avergli fatto comprendere cosa sarebbe accaduto,se si fosse tirato indietro,e di aver lasciato che rimanesse un timore,parto della sua immaginazione.
“Rifioriranno le gioie passate col vento caldo di un’altra estate…”

  
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