Titolo:
How to say goodbye
Fandom:
The Vampire Diaries
Personaggi/Pairing(s):
Damon/Katherine
Avvertimenti:
oneshot, het, pseudo-missing moment
Genere:
Introspettivo, Angst
(/o\ amico mio, sei tornato!)
Credits:
i dialoghi in corsivo, ad eccezione della battuta finale, sono tutti
presi dalla
2x21
Challenge/Prompt:
scritta
per il TVG!Fest
@vampiregeometry,
prompt
Damon/Katherine
- addio
Note
iniziali: Dunque, questa l'ho iniziata
il giorno dopo aver visto la magggica 2x21, l'ho finita tra atroci
sofferenze tipo l'altro giorno e per motivi che ancora devo spiegarmi.
Non lo so. Non mi convince molto, ma ormai l'ho scritta e ve la
beccate. Grazie
mille a
Ecate
e Aika
che hanno letto e betato ♥
Katherine
aveva immaginato spesso Damon morire.
Un
attacco violento, imprevisto e inevitabile come lo sparo che lo aveva
colpito in quella fredda notte a Mystic Falls, togliendogli la vita -
la sua seconda morte sarebbe giunta ugualmente rapida e improvvisa.
Addirittura,
la vampira si era stupita che uno come lui avesse potuto vivere tanto
a lungo.
Non
che non lo credesse in grado di affrontare l'esistenza da immortale
–
in quella, Damon sembrava sguazzarci benissimo - , ma con il suo
carattere irriverente e testardo, avrebbe finito per pestare i piedi
a gente più forte di lui, diventando il bersaglio perfetto
in
qualunque situazione pericolosa.
Per
natura, Damon era incline alla rissa, alla battaglia, alle scelte
impulsive compiute a sangue bollente, e gli atti generosi e
stupidamente eroici erano la sua specialità.
Sarebbe
morto così – ostinato e incosciente come aveva
vissuto
– magari
con un arto in meno e il cuore letteralmente strappato via dal petto.
Ma
quello...
Katherine
non si aspettava quello.
Non
conosceva le esatte conseguenze di un morso di licantropo, ma aveva
sentito abbastanza per intuire che non ci fosse agonia e sorte
peggiore, per un vampiro.
Una
morte lenta, dolorosa e miserabile.
Una
fine così non
da Damon.
"Quindi...
morirai e basta?”
Una
cosa che Katherine aveva imparato con l'esperienza, a proprie spese,
era che c'è sempre una scappatoia, una soluzione.
Sempre.
Il
sacrificio poteva essere enorme, finanché impossibile da
sopportare
per quei residui umani di coscienza che nemmeno la natura di vampiro
riusciva mai del tutto a cancellare.
Eppure
una via di fuga era possibile.
Avrebbe
dovuto
esserci anche per Damon.
Ma
fu un pensiero sfuggente, orribilmente ingenuo, spazzato via in un
istante da ciò che Katherine vide sul volto di Damon: totale
accettazione, mista alla vaga preoccupazione di non avere abbastanza
tempo o energie per fare quello che avrebbe voluto – uccidere
Klaus, salvare Elena e tutti gli altri.
Non
c'era nessuna speranza, in lui, ma nemmeno la paura che la donna si
sarebbe aspettata.
In
passato, aveva riconosciuto terrore, sconfitta, disperazione
– in
ogni loro sfumatura – negli occhi azzurri e nei lineamenti
marcati
del vampiro, e notarne l'assenza ebbe l'effetto di spaventare lei,
invece.
La
colpì al punto da accenderle qualcosa, dentro, che non si
sarebbe
aspettata di poter provare ancora, per Damon.
"Centoquarantacinque
anni e nemmeno un addio?”
Non
aveva idea del motivo che l'aveva spinta a dire quella frase.
Non
le era importato della sua fine, di fronte alla certezza che Stefan
–
che lei
e Stefan – avrebbero vissuto.
Aveva
perfino preso in considerazione l'ipotesi che Damon, in un ultimo
slancio di folle devozione per lei, si sarebbe fatto ammazzare per
salvarla.
Non
le importava.
Non
le sarebbe importato.
Non
le era mai
importato.
Katherine
continuava a ripeterselo.
Eppure,
adesso, quei centoquarantacinque anni le piovevano sulla pelle come
pioggia incandescente.
"Non
ti meriti un addio”
Non
poteva dargli torto.
E
poi, cosa avrebbe potuto concedergli, Katherine?
Un
ultimo bacio?
Una
scopata?
La
carezza di una bugia gentile che, una volta tanto, non lo ferisse?
(“Mi
importa di te”)
No.
Non
lo sapeva.
Le
parole rimanevano serrate oltre il respiro fremente, a labbra
dischiuse – premevano per uscire, ma la forza crudele e
primitiva
di autoconservazione, che aveva sempre guidato ogni passo della
vampira, le imponeva di trattenersi.
Sopravvivere.
Solo
questo contava.
"In
qualche modo, tu sei l'unica che vince. Come mai?”
"Non
ho permesso che l'amore entrasse in gioco”
Quand'anche
era successo – ed era successo più volte di quante
avrebbe mai voluto ammettere –
Katherine aveva agito con cura morbosa.
Negando
– sempre.
Recidendo
legami – sempre.
Aveva
calpestato l'amore e l'amor proprio di Damon all'infinito.
Aveva
rinunciato ad avvicinare Stefan per oltre un secolo.
Tutto
per proteggersi da Klaus.
Aveva
previsto che lui l'avrebbe trovata, e l'unico modo per combatterlo
era sbarazzarsi di ogni debolezza.
Trevor,
Elijah, Rose, Pearl, i Salvatore, Mason e innumerevoli altri.
Cinquecento
anni, centinaia di cuori ed esistenze da immolare all'altare della
propria sopravvivenza, e il rimorso che veniva sempre soffocato dal
desiderio insopprimibile di fuggire, di essere libera.
Oh,
solo il pensiero di quella libertà per cui aveva ucciso gli
altri e
se stessa bastava a rendere sopportabile ogni sacrificio.
Aveva
sempre pianificato e manipolato tutto.
Fino
all'ossessione, fino alla paranoia, fin quasi a perdersi.
Katerina
non esisteva.
Chi
fosse quella giovane dama – la fragile ragazza che, nel
silenzio
della notte, piangeva per le sorti della propria bambina - lei non lo
ricordava più.
Katerina
era morta, e il suo fantasma non sarebbe mai più riemerso
dalle
ombre, richiamato dallo sguardo gentile e innocente di Stefan, dalle
attenzioni passionali di Damon.
Quel
che Katherine non aveva messo in conto però, era che l'amore
potesse
raggiungerla comunque, alla fine.
Sì,
avrebbe vinto anche quella volta.
Ma
che vittoria sarebbe stata?
Che
libertà avrebbe avuto?
"Goditi
un'eternità di solitudine, Katherine”
Nessuna.
In
passato, quando tutti le imponevano il loro amore quasi fosse ovvio e
scontato che lei li avrebbe ricambiati, Katherine lo aveva sempre
rifuggito.
Lo
odiava, e odiava se stessa per il fatto di non poterselo permettere.
Non
aveva mai avuto la libertà di scegliere.
Ora
non avrebbe più potuto farlo.
"Andrò
a offrirmi come sostituto a Klaus”
"Non
ti prenderà. Ha visto il tuo morso, ha detto che il tuo
sangue
è
impuro. Mi dispiace, Damon. Ma Jenna è morta e non
c'è
niente che
tu possa fare”
"Mi
dispiace”
Non
per Jenna, per Elena, per il destino di Mystic Falls o di chiunque
altro.
Per
lui.
Quelle
parole erano uscite dalle labbra di Katherine con una
facilità
inaspettata.
E
da quanto tempo era che non le pronunciava?
Ma
a stupirla di più fu ciò che successe dopo.
Si
vide avvicinarsi a Damon, osservò la propria mano destra
appoggiarsi
sul suo petto, senza alcuna traccia di malizia, per una volta.
Lui
non disse nulla, non si ritrasse.
Il
suo cuore batteva placido come se, anche quello, si fosse rassegnato
alla fine imminente.
"Mi
dispiace” ripeté Katherine debolmente, e nel dirlo
comprese nel
profondo quanto lo credesse
sul serio.
Ne
ebbe paura, e lasciò andare la mano come se si fosse
scottata.
Damon,
di nuovo, rimase in silenzio.
Distolse
lo sguardo e abbandonò la stanza, lasciandosi dietro il
suono
vuoto
di centoquarantacinque anni di parole non dette.
Forse,
a due come loro non era concesso altro addio che quello.
Forse,
due come loro non sapevano davvero cosa significasse, dirsi addio.