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Autore: Lane_Jones    27/05/2011    7 recensioni
Teresa aprì gli occhi, con la vista ancora un po’ annebbiata. Le faceva male la testa, e qualcosa le ostruiva le narici, percepiva un vago odore di detergente, disinfettante e medicinali vari, nella stanza dove era, cosa che sicuramente significava che non era a casa sua. Casa sua odorava sempre di caffè, o di pizza.
Inizia così, per noi, la quarta stagione di The Mentalist. E' una prova, un tentativo di alleviare a voi, e a noi, questa lunga estate d'attesa. Immaginare cosa succederà nella quarta stagione certo non farà male a nessuno, no? E allora, cari e care, recensite e leggete in molti. Chissà, che le cose non vadano davvero così...
Genere: Generale, Slice of life, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: Cross-over, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Mercy San Juan Medical Center
Sacramento
California

Teresa aprì gli occhi, con la vista ancora un po’ annebbiata. Le faceva male la testa, e qualcosa le ostruiva le narici, percepiva un vago odore di detergente, disinfettante e medicinali vari, nella stanza dove era, cosa che sicuramente significava che non era a casa sua. Casa sua odorava sempre di caffè, o di pizza. In più qualcosa le costringeva il petto, tagliandole i respiri a metà, e le bloccava una spalla, mentre le arrivavano alle orecchie, sempre più forti, le voci dei suoi sottoposti.
Richiuse gli occhi, nell’estremo tentativo di ricordare qualcosa e, come un fulmine a ciel sereno, le memorie di… non sapeva quanto fosse passato, in realtà... le tornarono prepotentemente nel cervello.
Avevano scoperto un enorme trappola di John il Rosso per incastrare Hightower, prontamente svelata e anche sventata da Patrick Jane – come se fosse una novità – avevano sbagliato a credere che fosse Bertram l’uomo del Rosso, avevano scoperto che era O’Laughlin, lei aveva chiamato John, che le aveva detto qualcosa come “a volte si vince, a volte si perde”, riferito alla morte del suo complice e poi l’aveva ripetuto a Jane... che le aveva promesso di richiamarla.
Ma… da quel momento in poi, buio totale. Doveva essere a quel punto che era svenuta.
Quanto era stata in coma?
Cosa era successo nel frattempo?
Riaprì gli occhi, stavolta vigili e si guardò intorno, alla ricerca di quei ricci biondi che la tormentavano in continuazione per qualsiasi sciocchezza. Alzò la testa e trovò tutti i suoi sottoposti, lì, sulla porta, a guardare fuori. Tutti, tranne uno:  Jane, ovviamente. Teresa pensò che fosse andato a prendersi un tè.
- Che cosa è successo?- Chiese, appena si fu strappata dalla faccia quegli odiosi tubicini.
- Capo! Sta bene, finalmente, iniziavamo a preoccuparci!- disse Wayne, avvicinandosi e facendo un sorriso tirato.
- Che cosa è successo?- Ritentò, capendo che qualcosa, sicuramente, non andava. Ma siccome nessuno sembrava intenzionato a rispondere si alzò a sedere e puntò il suo sguardo irritato negli occhi di ognuno di loro.
Grace non riusciva neppure a guardarla negli occhi, ma doveva essere per via la faccenda di O’Laughlin e tutto il resto. Wayne la osservava quasi dispiaciuto e impaurito allo stesso tempo.
Fu guardando Cho che la fissava con aria un po’ arrabbiata nei confronti di qualcuno che non era lei a farle capire che, probabilmente, Jane non era a prendersi un tè.
- Cho, dimmi cosa è successo.-
- Capo, ti hanno sparato e sei stata in coma farmacologico per tre giorni. Sono venuti a staccarti dalle macchine che ti sedavano ieri mattina... Hai subito un’operazione chirurgica per estrarre il proiettile, niente di grave, solo che ti toccava l’omero, e per il dolore ti davano la morfina. Sei stata in uno stato di dormiveglia per qualche ora più di una volta, ma ti sei riaddormentata sempre. E un'ora fa ti hanno staccato dai vari macchinari e il catetere...- rispose pronto, come se fosse la cosa più normale del mondo, il suo migliore sottoposto. -Ovviamente, noi siamo usciti.- completò, indicando sè stesso e Wayne
-So cosa è successo a me, più o meno. Dov’è Jane?- chiese
I suoi tre sottoposti si guardarono per una frazione di secondo, quanto bastava per far alterare ancora di più Lisbon che, pur essendo ancora debole e sedata, si sistemò per bene sul suo letto d’ospedale e premette il pulsante per chiamare un’infermiera.
Quando finalmente ne arrivò una, Lisbon si raddrizzò ancora e la guardò con un sorriso amichevole sulle labbra.
-Quando potrò uscire?- chiese
-Non presto, signorina Lisbon. Mi spiace.- rispose quella, controllando la cartella clinica ai piedi del letto
-Che significherebbe “non presto”, esattamente? Quanto tempo dovrò rimanere relegata a letto?- si alterò, un po’.
Tutta questa lentezza nel rispondere e questa poca schiettezza le dava ai nervi!
-Uhm… più o meno tre o quattro giorni di osservazione. Il dottor Rise e la dottoressa Stanley verranno a controllarla presto, per vedere se le sue funzioni vitali sono stabili e capire se tutto sta andando per il meglio. Se dovesse essere così dovrebbe essere fuori di qui entro due o tre giorni.-
-La ringrazio.- rispose le bruna, poggiando la schiena alla spalliera del letto e incrociando le braccia al petto –Lei sa dirmi che fine abbia fatto il consulente della mia squadra, Patrick Jane?-
L’infermiera la guardò un po’ stranita e controllò la cartella clinica, come se potesse suggerirle una risposta.
-No, mi spiace. Non ne ho idea. -
-Crede di poter chiedere? -
-Ma certo!  - rispose quella, cordiale, uscendo dalla stanza
In quel momento, fuori dalla stanza di Lisbon, si scatenò l’inferno.
Lei si trovava proprio al piano terra, in una di quelle stanze molto vicine al pronto soccorso, dove le ambulanze arrivano spessissimo per portare feriti e barelle.
-Abbiamo un ordine di massima sicurezza.- diceva una ragazza vestita di azzurro con i capelli biondi legati in una coda alta al banco lì di fronte alla porta della stanza – E’ un uomo sotto custodia cautelare. Sta affrontando un processo per omicidio premeditato.-
-Che cosa gli è successo?- chiese un uomo vestito di blu alto e magro, con capelli neri e folti
-Due crisi epilettiche in un giorno. Hanno ritenuto necessario portarlo qui… ma non sanno se sta bluffando. -
-Capisco. Muoviamoci allora.- disse l’uomo, ed entrambi corsero verso le porte scorrevoli.
Da quelle porte, una barella scortata da quattro paramedici iniziò a sfrecciare lungo il corridoio. E nel momento in cui quella barella passò di fronte alle ante a vetri della stanza di Lisbon, lei riconobbe l’uomo sulla barella: era Patrick Jane, il suo consulente. Il più combina guai di tutti gli uomini della terra. Era ammanettato alla barella, pallido, sudato e sfigurato. Lisbon, senza pensarci due volte, si alzò di scatto dal letto e corse fuori dalla stanza, inseguendo la barella con sopra il suo biondo, continuò a corrergli dietro fino a quando non si sentì priva di aria nei polmoni e la vista si fece nera, l’ultima cosa che sentì fu “codice blu”. Dopo di che, il buio.
 
 

Sigla
The Mentalist
 
Directing by
Bruno Heller
 
Starring
Simon Baker
Robin Tunney
Owain Yeoman
Tim Kang
Amanda Righetti
Aunjanue Ellis
Pruitt Taylor Vince
Michael Gaston
 
Guest stars
Katherine Heigl
 
The Red Ariadne’s Threat*
 
72 ore prima

-Pistola a terra e mani dietro la nuca!- gridò una delle guardie giurate, avvicinandosi con la pistola puntata, mentre l’altro lo ammanettava.
Patrick Jane sospirò. Certo, se lo aspettava. Insomma, uno non si può mica sparare a bruciapelo a un tizio nel bel mezzo di un centro commerciale e sperare di andarsene via fischiettando, dopo aver lasciato sul tavolino dieci-dollari-resto-mancia. Ne aveva visti tanti, in quei sette anni, di arresti.
Ma fino ad un certo punto. Insomma, lui, di solito, era quello che, dopo aver attirato l’assassino in trappola, se ne andava nella mansarda del CBI a sorseggiare tè e leggere avvolto nel suo plaid a righe grigie, bianche e nere. Non sapeva nulla della trafila post arresto.
Cinque minuti dopo, ne era già bell’e stufo.
Era seduto nella cellulare della polizia, sul sedile posteriore, fra due agenti armati che lo tenevano molto d’occhio. Probabilmente erano già stati informati delle sue spiccate abilità da prestigiatore, visto da come lo tenevano spalla a spalla. Un po’ di prudenza va bene, ma non era mica Houdini!
La brusca frenata della macchina lo riportò alla realtà. Il CBI. Ovviamente.
La segretaria all’entrata, che da più di tre mesi stava tentando di sedurlo con mise accattivanti e grande sollazzo da parte sua, nel vederlo entrare ammanettato e scortato da due poliziotti ebbe un quasi infarto e stette lì, come un pesce lesso, a bocca aperta. Jane non si poté trattenere dal rivolgerle un caloroso sorriso, prima di essere tirato via dall’agente.
L’inseparabile prese l’ascensore e si diresse verso una delle sale atte agli interrogatori. Tutti, mentre passava, lo guardavano e sussurravano scioccati fra di loro: in fondo, Patrick Jane era uno dei più importanti consulenti del CBI.
Jane si guardò intorno, cercando con lo sguardo la sua squadra. Sperava di non dover vedere nessuno finché non fosse stato dietro le sbarre. Poteva sopportare tutto, ma non di nuovo il naso rotto. In quel momento poco gli importava se stava rischiando l’ergastolo o addirittura la pena di morte. Teresa aveva detto di stare bene, no? E poi John era morto. Aveva avuto vendetta.
L’agente lo buttò con ben poca grazia sulla sedia dell’interrogato e Jane sorrise, divertito.
-Divertente, non sono mai stato dall’altra parte del tavolo neppure quando facevo il truffatore… come assassino devo migliorare...- esclamò, tranquillo.
Di certo l’agente Capo LaRoche non la pensava allo stesso modo. E dall’alto della sua grande stazza lo osservava quasi lo volesse mangiare.
-Senta, Jane, lei si trova in una situazione molto spinosa - esordì LaRoche - Omicidio premeditato, detenzione di armi da fuoco non regolamentato e, da ultimo, procurato allarme. Senza contare i danni morali al corpo investigativo: si rende conto che razza di scandalo nascerà? Lei ha appena gettato tutto lo staff in pasto ai giornalisti, oltre ad aver rovinato le carriere dei suoi colleghi che l’hanno coperta. E devo parlare della reazione del direttore generale Bertram?-
Patrick, che durante quell’assurdo soliloquio era rimasto in silenzio, chiese, con lo sguardo fiammeggiante ed indignato
-Io ho appena ucciso un uomo e lei si preoccupa per la sua carriera? – cercò di alzarsi, ma la guardia dietro di lui lo tenne giù.
L’agente si fermò di colpo, mentre camminava in su e giù, e si sedette davanti a Jane. Poi si avvicinò e disse, malevolo - Non t’importa nulla degli altri, vero? No, tu dovevi avere la tua vendetta. Ma così agendo, sei arrivato a rovinare prima la vita di tua moglie e di tua figlia,  e ora l’agente Lisbon è in pericolo di vita. E tu non sei lì a vedere se vivrà. Contento? –
-Lei non è in pericolo di vita, me lo ha detto...- cominciò, in preda al panico. In quel momento avrebbe preferito mille volte il naso rotto.
-Sì, prima di svenire stava sicuramente bene. Ma adesso è in terapia intensiva… se non già in una sala operatoria.- sembrò quasi sghignazzare l’agente.
Jane ci vide nero e si alzò in piedi, furente, facendo allertare le guardie. Poteva reggere gli sguardi altrui, poteva capire il risentimento altrui. Ma il pensiero di aver fatto del male a Teresa, quello non lo poteva tollerare. E adesso lo poteva finalmente ammettere. E non solo il male fisico che le era stato procurato da quell’uomo solo per colpa sua, ma anche quello psichico e morale. Sarebbe stata distrutta.
-Che cos’ha? - chiese, quasi gridando, mentre gli agenti lo tenevano fermo. Erano davvero convinti che fosse lui il pazzo?
-Uno pneumotorace, è in coma! - rispose compiaciuto J.J., mentre gli altri agenti portavano via Patrick, in stato catatonico.
-Ma... gli altri già lo sanno?- chiese tentando di combattere contro il ghiaccio che gli attanagliava le viscere.
-Loro sono con lei, se ti riferisci a Lisbon. Ma se ti riferisci a te... no. Non  me la sono sentita di aggravarli anche dei tuoi problemi per adesso. Ma lo sapranno presto.-
Patrick poteva sopportare tutto, sì, ma non questo: non che Teresa stesse rischiando la vita.
-Devo vederla! Fatemela vedere!- gridò, tentando di divincolarsi
-Oh, no. Adesso tu andrai in carcere per quello che hai fatto. Pagherai, come è giusto. Ti sarà comunicato se Lisbon starà bene... per il resto… Sei sotto custodia cautelare fino alla fine del processo. E, credimi, sarà lungo.-
Così dicendo LaRoche fece segno agli agenti di portarlo via e se ne andò, a passo lento, verso il suo ufficio.
 
 
 

Mercy San Jan Medical Center
Sacramento
California

-Libera!- gridò una dottoressa dai capelli biondi mentre, con uno slancio premeva le piastre del defibrillatore sul petto di Lisbon. Kimball, Grace e Wayne aspettavano fuori. Osservando impietriti la scena che si presentava aldilà del vetro.
La loro posizione rimase immutata finché in quella stanza non finirono i movimenti frenetici e un bip rassicurantemente ripetuto suonava tra le mura.
La giovane dottoressa uscì dalla camera, avvicinandosi a loro – Siete i familiari?- chiese
-No. Siamo la sua squadra investigativa. Ha dei fratelli, stanno arrivando – rispose Cho, apparentemente l’unico capace di farlo
-Bene, noi dobbiamo portarla in sala operatoria al più presto possibile. Non vorremmo rischiare che il proiettile facesse più danni di quanti non ne ha già fatti. E’ molto vicino all’aorta e sarebbe meglio evitare che la perforasse. Verrò a informarvi il più possibile.-
Disse la dottoressa, iniziando ad incamminarsi verso un tabellone poco lontano e, preso un pennarello nero, vi scrisse qualcosa.
-Come si chiama?- chiese Grace, in preda a una crisi di panico.
-Sono la dottoressa Stevens, Isobel Stevens. – rispose quella, allontanandosi a grandi passi.
I tre rimasero lì, tutti guardavano prima l’orologio e poi si fissavano l’un l’altra. Quando la dottoressa Stevens e un dottore che si fece chiamare “Rise” vennero a prendere Lisbon per portarla in sala, Jane non era ancora arrivato.
Nessuno dei tre riusciva a capirne il motivo, ormai era quasi un’ora che erano tutti lì, un’ora che Lisbon era stata ferita. Sapeva che sarebbe dovuta andare all’ospedale, ma allora perché non arrivava?
Non che non avessero tentato di chiamarlo, ma niente da fare. Il cellulare era staccato. Di Jane non si sapeva niente. Per quel che ne sapevano loro, si era benissimo potuto buttare sotto un autobus per l’ennesima trappola mancata per John.
Solo quando il cellulare di Cho squillò, mostrando il numero dell’ufficio di LaRoche, però, iniziarono tutti a preoccuparsi seriamente.
-Agente Cho.- rispose l’orientale
-Salve agente, notizie dell’agente Lisbon?- chiese la voce melliflua dell’uomo dall’altra parte.
-Niente capo. E’ in sala operatoria. – disse lui, secco.
-Non è il momento migliore per dirvelo, forse, ma ritengo che dobbiate saperlo: il vostro consulente, Patrick Jane, ha appena ucciso un uomo a sangue freddo. E’ stato per ora identificato come John il Rosso. Non siamo certi che sia davvero lui. –
Cho rimase in silenzio un attimo.
-Okay.- rispose
-In seguito agli avvenimenti del giorno, credo di poterla nominare Agente Capo della squadra fino a che l’agente Lisbon non si risveglierà.- sospirò – dovrebbe venire a interrogare Jane.-
Un altro attimo di silenzio.
-No. Non posso venire. Non mi importa di cosa ha fatto Jane. Resto qui, fino a che non avremo notizie su le condizioni dell’agente Lisbon.- disse, sicuro di sé.
-Capisco. Beh... immagino che il signor Jane possa aspettare. Sarà interessato a sapere che il signor Jane ha ucciso in un luogo pubblico, apparentemente senza una ragione ben precisa. Il così detto “John il Rosso” aveva con sé un arma da fuoco, ma non la stava puntando contro di lui.-
-Capisco. Abbiamo finito?-
-Immagino di sì.-
Quando, una volta riattaccato il telefono, raccontò il tutto ai suoi colleghi, lo stupore generale fu seguito dallo sdegno, dal rifiuto e dal terrore.
Solo una cosa, al momento, era più importante. Ed erano le condizioni di Lisbon.
 
 

°°Cliccate qui e mettetela a volume basso: http://www.youtube.com/watch?v=NMP_tpaN1rs. Le parole scritte al centro e in corsivo sono quelle che ‘scorrono sullo schermo durante “il video”’, per intendersi. C’entrano, più o meno, con quel che succede a Jane per cui fateci caso!°°

 

Folsom State Prison
Sacramento
California

Mentre il pulmino della polizia penitenziaria si fermava davanti ad un edificio enorme, immerso nel nulla più assoluto, a Jane parve di risentire quella canzone che aveva ascoltato una volta dall’iPod di una vittima… come si chiamava? Here without you, gli pareva – la canzone, non la vittima.  La Folsom era uno dei penitenziari di massima sicurezza più famosi e, appunto, sicuri, di tutta la California.
 

A thousand lies have made me colder
And I don't think I can look at this the same

 
I giornali, alla sua riapertura, dopo quasi cinque di lavori, l’avevano ironicamente ribattezzata ‘La nuova Alcatraz’. Tutti i ‘bad guys’ più incalliti finivano lì. Normalmente, per non uscirne mai più. La guardia all’entrata, incaricata di prendere il nome, le impronte, fare la foto e mandare in cella i nuovi arrivati, guardò Patrick incuriosita e basita allo stesso tempo. Certo, l’agente Foster era stato avvertito che il signor Jane era un assassino a sangue freddo in custodia cautelare con l’accusa di omicidio, ma non se l’aspettava così. Voglio dire, quello che si trovava davanti era un uomo sulla quarantina, ridotto al rudere di sé stesso, gli occhi spenti e opachi, la pelle smunta, gli atteggiamenti cauti, sembrava non aver capito  ancora bene cosa gli fosse successo ed essere sul punto di crollare da un momento all’altro. Sentì quasi un brivido di pietà per quel tizio: sembrava un morto vivente. E poi, essendo un ex-poliziotto, non avrebbe avuto vita
facile là dentro.
Jane, dopo essersi cambiato, ed aver indossato la divisa arancione dei detenuti, si guardò un secondo nel vetro della reception, come se non si riconoscesse come galeotto, e poi quell’arancione così forte non si intonava con i suoi capelli. Poi, con un sospiro, seguì l’agente Foster ed un altro, l’agente Kelmar, lungo il corridoio. 
 

The miles just keep rollin'
As the people leave their way to say hello

 
-Ehi Fred - disse quest’ultimo al collega - dobbiamo stare attenti a questo qua, è già fuggito una volta di prigione. E ha quasi aggredito l’agente che lo stava interrogando. –
-Io non ho aggredito proprio nessuno.- si difese Jane, guardando quel tizio negli occhi.
L’agente Foster, ignorandolo, alle parole del collega, lanciò un’occhiata quasi spaventata al neo-galeotto, prima di farlo entrare nella cella 18-5-4, chiudere la porta e allontanarsi in gran fretta, a disagio.
-Novellino e già con una brutta fama. - commentò una voce alle sue spalle.
Patrick si girò di scatto: a parlare era stato il suo compagno di cella, un uomo sui trentacinque anni e con un’aria da leader. - Non è una buona cosa, sai? Soprattutto se si è ex poliziotti, l’appoggio dei secondini è essenziale, o sei in balia degli altri. - continuò, squadrandolo.
-Bhè… in realtà ero solo un consulente.- Commentò laconico Patrick, restituendo lo sguardo. – Sono già stato in carcere una volta... me la sono cavata con “gli altri”, ci so fare con le persone... - calcare per un po’ i sicuri panni del mentalista, o soccombere, ecco quali erano le sue scelte al momento.
-Ah sì? - ribattè l’altro  - E cosa facevi, portavi il caffè e andavi a comprare le ciambelle? O altre pericolose mansioni del genere? –
-Chiudevo i casi - rispose, citando, senza volere, Teresa.
Quante volte glielo aveva sentito dire? E adesso, per il suo ego smisurato, per colpa sua, non l’avrebbe più vista. Se anche per caso fosse sopravvissuta, perché mai avrebbe voluto rivederlo? Le aveva rovinato la carriera, l’aveva fatta innamorare di lui e poi fatta soffrire con quello stupido video dell’agenzia d’incontri di Erica Flynn.
 

And when the last one falls
When it's all said and done
It gets hard but it won’t take away my love

 
-Ah… e come ha fatto un così importante membro dell’unità degli sbirri di Sacramento a finire qui a Folsom? - continuò l’altro, sardonico.
-Omicidio. - mormorò il biondo, sedendosi sul letto di sotto, desiderando solo di rimanere da solo. Impossibile, in un posto del genere.
Ma aveva bisogno di pensare a qualcosa che non fosse Teresa o alla squadra. Insomma, si sentiva bene per aver adempito alla sua vendetta? Non lo sapeva neppure. Si era sentito libero, questo sì. Ma felice? Na… non più di tanto.
-Non hai l’aria da assassino - commentò l’altro, con voce leggermente più amichevole, sedendosi sul bordo del letto - Comunque, sono Jonathan .- disse, porgendogli la mano.
-Nemmeno tu quella da scassinatore. - Mormorò lui - Patrick.- rispose, stringendola.
-Come hai fatto a saperlo? - chiese basito il criminale.
-Deformazione professionale.- 
Furono interrotti dal suono di una campana. L’ultima della sera.
-Bhè, fenomeno, buonanotte - disse Jonathan arrampicandosi sul letto di sopra. Dopo un quarto d’ora, già ronfava. Jane purtroppo non fu così fortunato.
Alla fine, verso le tre di notte, scivolò in un sonno senza sogni. Incubi.
 

But you're still with me in my dreams
And tonight girl its only you and me

 
 

California Bureau of Investigation
Sacramento
California

L’orientale entrò nella sala interrogatori molto irritato, molto arrabbiato e anche molto deluso. Ma non lo dava a vedere, come al solito. La sua faccia di pietra trasmetteva solo schiettezza e superiorità. Non che l’orientale si sentisse superiore, ma si deve ammettere che lo fosse della maggior parte di quelli che interrogava, con cui lavorava e quant’altro.
Per cui sì, in quel momento guardava con sguardo superiore anche Jane. Sapeva che dall’altra parte del vetro c’erano LaRoche, il Direttore Generale Bertram, Hightower -già riabilitata-, Brenda -pronta a dare a bere ai giornalisti qualsiasi fesseria le dicessero di dire-, diversi poliziotti, un procuratore distrettuale e qualche altro esponente della giustizia.
-Ehi, Cho!- esclamò Jane.
Kimball non sapeva dirsi se fingeva nonchalance perchè non voleva essere ripreso nel suo vero essere dalle telecamere, o se non sapesse niente di Lisbon, o semplicemente non gliene importasse.
Ma optò per la prima, quando vide che gli occhi del biondo erano cupi, scuri e tristi. E anche gonfi, ad essere sinceri. Anche non essendo un mentalista, anni e anni in polizia ti formano e ti aiutano a capire le persone.
-Ciao, Jane.- gli rispose, sedendosi davanti a lui e aprendo la cartella davanti agli occhi di entrambi. – Vuoi dirmi cosa è successo?- chiese.
-Ho sparato a John. – disse Jane, tranquillo –Come sta Lisbon?- domandò poi, preoccupato.
Che strana persona che era.
-Ha superato con successo l’operazione, dovrebbe risvegliarsi a breve.- sospirò –Perché hai sparato a quell’uomo? –
-Vuoi dire “perché hai sparato a John”, suppongo.- lo corresse, Jane, tirando un sospiro di sollievo quando seppe che Teresa stava bene. –Potrò vederla?-
-Jane, ora parliamo del caso. Perché ti sto interrogando. Quando verrò a trovarti in carcere parleremo di Teresa. – disse, asciutto – Comunque, non possiamo ancora sapere se è John e probabilmente non potremmo saperlo fino a che non avremo delle prove certe. E come facciamo ad avere prove certe se tu l’hai ucciso?-
-Lui mi ha detto chi era.- rispose Jane, beffardo.
-Supponiamo che fosse uno scagnozzo. –
-Non lo era.-
-Come puoi dirlo? Hai delle prove?- Chiese l’orientale, aprendo un taccuino, pronto a scrivervi sopra.
-Mi ha detto delle cose... delle cose riguardo a mia moglie e mia figlia… cose che potevo sapere solo io e John stesso, che le ha uccise.- una lieve morsa allo stomaco attanagliò il mentalista, mentre rispondeva, rendendosi conto di ciò che poteva essere veramente successo.
-Cose che il vero John avrebbe potuto dire a uno qualunque dei suoi complici per dartela a bere.- commentò Kimball, soffocando un sospiro e appuntando qualcosa sul taccuino.
-Ha risposto alla chiamata del telefono di O’Laughlin...- ormai si stava arrampicando sugli specchi, per non ammettere a sé stesso che forse, e dico semplicemente forse, aveva ucciso un uomo che non era John.
-A te sembra normale che il più noto serial Killer d’America sia seduto a un tavolino di un bar, proprio accanto al suo giocattolo preferito, parli con i complici che devono fare il lavoro più sporco e ti dica di essere lui così, tanto per fare?-
Questo non era Cho, era LaRoche, che, entrato nella stanza si era intromesso nell’interrogatorio.
-Sinceramente, ritengo che credesse di tendermi una trappola. Non immaginava che io fossi più avanti di lui di un passo e...-
-Secondo me un Serial Killer serio, come John è, non si presenterebbe così, in mezzo alla gente. E se io fossi John non tratterei con i complici che devo mandare a fare lavori come “innamorarsi” di una collega del mio giocattolo. Sarebbe rischioso... come farei ad essere certo che non mi tradirebbe?-
-Per il semplice fatto che se ti tradisse lo uccideresti... e alle persone non piace morire.- commentò Jane
-Jane, credo che quello fosse il vero John. Ma dobbiamo valutare tutte le possibilità, e questa è una. Ora scopriremo chi è nella realtà l’uomo che hai ucciso e poi vedremo di confrontare lo stile di vita e tutte quelle cose della quotidianità di quell’uomo con il profilo di John.- intervenne a quel punto Hightower, entrata anche lei. –E lei, signor LaRoche, mi deve delle scuse.- disse poi.
-Non è questo il luogo, Agente Hightower.-
-No, non lo è, ha ragione. Quindi forse è meglio se lasciamo all’agente Cho il compito a lui assegnato.- completò, con un tono di voce e un’espressione tanto sicura da smuovere anche il glaciale JJ.
L’interrogatorio proseguì come di routine. Domande sul come, il dove, il motivo, cosa si erano detti, cosa lo aveva spinto a ucciderlo a bruciapelo in  mezzo a un locale, da dove veniva la pistola...
Eccetera, eccetera, eccetera. Quando finirono Cho lo scortò fino agli agenti e lo salutò con una pacca sulla spalla e un avvertimento.
-Giuro che quando uscirai da quella prigione ti tiro un pugno.- e se ne andò, lasciando Jane di nuovo in balia di quegli agenti/soldati, che lo avrebbero portato di nuovo in quel buco di matti.
Kimball compilò tutte le scartoffie che il caso di Jane aveva procurato con una smorfia di tristezza sul volto, non era un uomo che lasciava trasparire le sue emozioni, ma in certi casi non poteva che lasciare che scorressero sul suo viso. Almeno quando era da solo, nell’ufficio del suo capo che stava in ospedale, compilando scartoffie che avrebbero potuto portare Jane, uno dei suoi due migliori amici, alla pena di morte.
Era un brutto affare, anche per un uomo apparentemente freddo come Cho. Craig, Grace, Wayne, John, LaRoche (che non lo convinceva affatto, anzi, sempre di meno), Jane, Lisbon... tutti pensieri fortemente negativi e poco speranzosi gli affollavano la mente.
 
L’agente Hightower entrò nell’ufficio di LaRoche proprio mentre questo faceva le valige per prendere possesso di un altro ufficio e lasciare quello di Agente Capo a Madeline.
-J.J. – lo salutò
-Madeline.- rispose lui – Come stai? – chiese
-Non mi lamento, anche se sono preoccupata per Lisbon e la squadra. Non saranno più gli stessi, senza Jane. – commentò lei
-Già. Ma almeno abbiamo un serial killer in meno e il killer del serial killer in prigione. Mi sembra una cosa di cui essere piuttosto felici, nonostante tutte le conseguenze burocratiche e legali della cosa... –
-Certo… tu parli della carriera, lo capisco. No, io intendevo le conseguenze morali e lavorative che ricadranno su tutta la squadra. Lisbon in particolare... –
LaRoche annuì – Sì, me ne sono accorto anch’io. Ma non possiamo farci niente, è il nostro dovere... mettere in carcere i cattivi... – disse e alzò gli occhi un po’ strabici su Hightower – Da questo punto di vista credo che mi capirai riguardo ciò che ho fatto. Eri la più plausibile e le impronte... insomma, come potevo immaginare che fosse tutta una... trappola per incastrarti?- domandò
-Tranquillo, J.J., sono un agente anche io, per cui questo lo capisco. Ma esigo delle scuse per il modo in totalmente irrispettoso in cui sono stata trattata mentre ancora lavoravo qui ed ero una persona rispettabile. –
-In tal caso... mi dispiace. – disse il capo degli affari interni, alzando le mani in segno di resa –Dello Scotch? – chiese, cordialmente
-No, grazie. Non bevo. – declinò –Bene, sono contenta che ci siamo chiariti. Vado dai miei figli... –
-Ma certo. – sorrise LaRoche, sedendosi per l’ultima volta alla scrivania di Madeline e riempiendosi un bicchiere – Ci vediamo, agente Hightower.-
-A domani, agente LaRoche.
 

**********

 

Folsom state Prison
Sacramento
California

Dopo tre giorni che si rifiutava di uscire dalla sua stanza se non per andare a farsi interrogare al CBI, Jane dovette cedere ai fabbisogni del corpo e mangiare e così, per la prima volta da quando era entrato, un poliziotto lo scortò insieme al suo nuovo amico, fino alla mensa.
-La colazione. - spiegò Johnatan.
E qui il nostro biondo dovette affrontare una delle peggiori prove che un nuovo arrivato in un posto come la prigione debba poter affrontare: l’arrivo in pubblico. Circa cento paia d’occhi lo fissarono mentre entrava. Si sa, le voci girano, e la storia dell’ex piedipiatti che era stato accusato di omicidio intenzionale aveva già spopolato.
-Ehi, ma l’avete saputa l’ultima? Sembra che la figlia del tizio che ha ammazzato sia andata in una casa famiglia! - disse uno dietro.
Jane tese le orecchie, ascoltando ogni minimo particolare e sentendo crescere dentro una paura immensa.
-E tu come fai a saperlo? - chiese un altro.
-Bhè, me l’ha raccontato il mio avvocato d’ufficio, che è amico dell’assistente sociale. Una tredicenne.-
Red John aveva una figlia dell’età di Charlotte? E lui l’aveva appena privata del padre? E’ vero che era un serial killer. Ma questo bastava, per rovinare la vita di quella ragazzina?
E se… avesse sbagliato persona? Dopotutto, John avrebbe potuto raccontare tutti i particolari ad un complice per poi mandarlo al massacro. Non l’avrebbe mai potuto sapere. Per dimostrare che ce l’avrebbe fatta, per dare seguito al suo smisurato ego, aveva agito senza pensare, e aveva rovinato la vita ad almeno due persone.
Il respiro si fece più corto e aritmico, ansimante. Il mondo iniziò a diventare sempre più opaco.
-Ehi, questo qua sta male! - esclamò uno del capannello, chiamando una scettica guardia, mentre Jane si appoggiava al muro per non perdere l’equilibrio.
-E’ famoso per essere un bluffatore, non preoccupatevi - ribatté annoiata quella, venendo subito smentita: il galeotto si accasciò al suolo, scosso da una crisi epilettica. Iniziarono ad arrivare agenti, e, dopo trenta minuti e altre due di crisi, decisero di portarlo in ospedale.
All’entrata, furono accolti da un triage inviperito.
-Da quanto è in queste condizioni? – chiese una dottoressa bionda e molto carina
-Ha avuto tre di queste... cose in... non so, quaranta minuti? – rispose l’agente
-Quest’uomo è rimasto senza soccorso con una crisi epilettica per quaranta minuti? - abbaiò una delle infermiere, strappando di mano all’agente la barella.
-Si chiama Patrick Jane. Pensavamo bluffasse…- tentò di giustificarsi uno dei tre, dissuaso però dallo sguardo di fuoco della dottoressa Isobel, che iniziò a spingere e a sentire il polso.
-Bhè, dovremmo venire con lei. - Disse l’altro, mentre arrivava un altro dottore dai capelli neri e stavano attraversando le porte.
-Non si preoccupi, in questo momento il signor Jane è troppo con l’anima fra i denti per fuggire – disse guardandolo con il suo sguardo più freddo e cattivo, mentre si avviavano correndo verso terapia intensiva.
Mentre lo trasportavano un nuovo attacco colpì l’uomo e la dottoressa Stevens gli iniettò il Lorazepam velocemente e con l’aiuto di due infermieri lo spostò dalla barella al lettino, in attesa che la crisi finisse e che lo strutturato che l’aveva lasciata a sé stessa poco prima tornasse per gestire la situazione.
-Aggiornami, dottoressa Stevens. – disse
-Patrick Jane, 41 anni. Sano all’arrivo in carcere. Detenuto da tre giorni della prigione di massima sicurezza di Folsom. In attesa di processo per omicidio. Ha avuto quattro attacchi di Grande Male, dei primi due non conosciamo l’intensità, ma i poliziotti hanno detto che il primo non è stato molto forte, mentre gli atri due di più. L’ultimo attacco, pochi minuti fa, era Clonico. Gli ho somministrato 50 cc di Lorazepam per gli spasmi e ho già richiesto una Tac e una risonanza magnetica. Per l’elettroencefalogramma ho voluto aspettare lei. Ma da quanto sanno i poliziotti incaricati di scortarlo non ne è mai stato affetto. Sarebbe stato riferito alle autorità al momento dell’arresto.-
Il dottore annuì e si avvicinò al paziente, lo auscultò per qualche secondo e poi richiese gli esami di routine, prima di portarlo a fare tac e risonanza.
Patrick aprì gli occhi non appena il dottore fu uscito.
-Ehi... posso avere un po’ d’acqua, per favore? – chiese, con voce graffiata
-Ma certo, signor Jane.- rispose lei, gentile
-Lei è una persona carina... le sono successe tante cose brutte nella vita, ma è gentile anche con me. Che a quanto lei sa ho ucciso un uomo...- commentò, mentre lei gli porgeva l’acqua
Lei lo guardò in modo strano.
-Non mi è permesso giudicare, signor Jane. E al momento lei è in condizioni troppo critiche e misteriose perché io mi preoccupi di cosa ha o non ha fatto. La mia preoccupazione è la sua salute, quella delle forze dell’ordine sarà la sua presenza in ospedale, e non altrove, e quello che ha combinato.-
Jane le sorrise – Tenta di essere distaccata, ma non ci riesce fino in fondo perché è una persona sensibile e sentimentale. Non le piace dover essere “impersonale” – mimò le virgolette con le dita – né con coloro che vorrebbe giudicare male, né con coloro che vorrebbe poter rassicurare.- sorrise di nuovo –Ha una personalità interessante... –
Mentre finiva la frase la voce gli morì in gola e accasciò la testa sul cuscino, addormentato.
-Valium. – sussurrò Isobel –le farà bene signor Jane, un po’ di calmante. –
 
Kimball Cho camminava lentamente per il corridoio, cercando il dottor Willoby, che in quel momento aveva in cura il suo amico/collega/omicida Patrick Jane, per sapere come stesse.
Quando lo trovò, lo strutturato stava bevendo un caffè mentre osservava le lastre di quello che sembrava tanto un cervello.
-Lei è il dottor Willoby?- chiese, incrociando le braccia al petto
L’uomo lo guardò, inghiottì il caffè che aveva in bocca, mise le lastre sotto il braccio e allungò la mano libera verso l’orientale, sorridendo. –Sì, è così. Lei deve essere l’agente Kimball... mi avevano avvertito della sua visita. –
Cho la strinse e annuì, abbozzando un sorriso. Il dottor Willoby era un uomo sulla cinquantina, basso, mezzo calvo ma con il fisico asciutto e l’aria allegra di chi non ha problemi con nessuno di nessun tipo.
-Vorrà sapere come sta il signor Jane, suppongo, e cosa ha causato le crisi...-
Quando Kimball annuì di nuovo il dottore gli fece segno di seguirlo e lo portò in una stanza con quelle classiche lampade al neon attaccate al muro su cui si mostrano radiografie e risonanze. Posizionò le lastre che aveva sotto braccio su uno di quei pannelli e lo accese.
-Come può vedere nel lobo temporale – iniziò indicando con la mano la parte più a sinistra del cervello – non si trova nessuna “sclerosi dell’ippocampo”... il che significa che l’epilessia del signor Jane non è genetica né si ripeterà se non per un motivo psichico. Quello che è probabilmente successo al signor Jane è una forte emozione che ha scatenato i neuroni del lobo temporale... un forte scatto d’ira, un forte shock o una qualche reazione emotiva dovuta ad agenti esterni. Ovviamente le crisi che ha avuto non sono le prime, a quanto risulta dai test effettuati sul cervello del signor Jane, questa è più o meno la terza volta nella sua vita che ha a che fare con l’epilessia. –
Kimball annuì, aveva capito tutto, ovviamente, perché quando scegli di entrare in polizia ti danno delle basilari nozioni di medicina, per poterti destreggiare sui luoghi del delitto. E poi Cho era un grande lettore, affamato di ogni conoscenza, e aveva letto moltissimi libri di medicina.
-Si sa, più o meno a quando risalgono le altre crisi epilettiche di Jane? – chiese
Il dottor Willoby annuì – Oh, beh, certo, immagino siano importanti per voi quanto per noi. La prima risale a quando il signor Jane aveva dieci anni. Il... 7 agosto del 1979 è stato ricoverato al Clarke County Hospital, a Osceola, in Iowa. Abbiamo cercato nell’archivio internazionale il nominativo del signor Jane con tutti i vari dati anagrafici per capacitarci di come fosse possibile che il paziente abbia avuto queste scariche ad un età ormai matura della sua vita senza dei precedenti o malformazioni genetiche e... –
-7 agosto 1979. Ho capito. – lo interruppe Kimball – Ha perso sua madre a dieci anni. Immagino sia per quello. –
Il dottore non era rimasto ferito dall’interruzione di Kimball, o se lo era non lo diede a vedere. – La seconda risale a otto anni fa, quando il signor Jane aveva 33 anni. Il 10... –
-... Febbraio del 2002. Il giorno in cui sono state uccise sua moglie e sua figlia. – finì Kimball per lui. – È tutto chiaro, dottor Willoby. La ringrazio. – disse e, dopo averlo salutato se ne andò.
 
 

Mercy San Juan Medical Center
Sacramento
California

Lisbon aprì gli occhi e per la seconda volta nello stesso giorno era sdraiata in un letto d’ospedale, con una flebo in vena e dei tubicini al naso e non sentiva altro che un gran mal di testa e una pressione al petto, dove la medicazione stringeva fino a bloccarle la circolazione.
-Ouh... – esclamò, tentando si alzare un po’ la schiena e portando una mano alla testa per una fitta
-Capo, non si sforzi.- disse, fermandola, Rigsby
-Wayne, chiamami per nome, sono sdraiata in un letto d’ospedale. – rispose lei, continuando ad alzarsi il più possibile per mettersi più comoda.
Strinse gli occhi e si guardò intorno per la stanza. C’erano solo lei e Wayne. Perfetto. Era il momento perfetto per estorcere notizie sull’accaduto.
Senza Cho o Van Pelt nelle vicinanze, Rigsby era il perfetto gaffman dalla parola facile.
Per cui, Lisbon si girò a guardarlo, finse una faccia da cane bastonato e guardandolo con gli occhi più da capo che conoscesse e un sorrisetto appena accennato chiese – Come sta Grace?-
Prenderla alla larga per restringere il campo è il miglior modo per arrivare a una risposta non desiderata da parte dell’interlocutore. Confondere e colpire, quello era il suo mantra.
-Insomma, non si aspettava che Craig fosse il complice. Ma infondo nessuno se lo aspettava e poi il fatto di averlo ucciso... – Rigsby si fermò, scuotendo la testa perso tra i suoi pensieri –E’ stato un duro colpo, per lei.-
-Lo capisco, soprattutto perché non sa come mai Craig si è unito a John...- commentò
-Già... poi adesso non lo potrà sapere mai più! – rispose lui
-Oh, ma dai! Lo prenderemo prima o poi!-
-Sì, dall’oltretomba!-
Il sangue si gelò nelle vene di Lisbon. Red John era morto? E come? Quando?
-Wayne. Rigsby. Spiegati. Bene. – asserì, trattenendo a stento la voce
-Oh cavolo!- sobbalzò lui, alzandosi in piedi e mettendosi ai piedi del letto dell’agente Lisbon –Io... ecco... –
-Come? – chiese lei
-Come cosa?-
-Come è morto, cavolo!-
Rigsby esitava e Lisbon lo fulminava con lo sguardo.
-Dimmelo!- imperò
-Jane. Jane l’ha ucciso.-
Teresa alzò un sopracciglio, lo guardò di sbieco e rise. Ma vedendo che Wayne non ricambiava il sorriso tornò seria.
-È per questo che è ammanettato? Non perché ha spedito qualcuno a casa di chissà chi per trovare chissà cosa. No. No no no no no... non ci credo. Cazzo, Jane! – iniziò a farneticare scuotendo la testa e tentando di alzarsi dal letto –No no no no... oh, mio Dio, Jane no. Non puoi averlo fatto… io ti uccido, ti ammazzo, ti faccio a brandelli e ti butto nel fuoco...- tutto ciò mentre, riuscita ad alzarsi dal letto, aveva staccato la busta della flebo e, messa sotto braccio, si era diretta a passo deciso fuori dalla stanza.
-Capo... Lisbon, Lisbon non puoi, torna in camera.-
-Sta’ zitto, Rigsby. Sta’ zitto. Devo andare ad uccidere Jane. –
Le infermiere provarono a fermarla, e anche la dottoressa Stevens ci provò, ma niente la fermò finché non arrivo di fronte alla stanza di Jane.
Ma si dovette fermare, lì davanti. Perché l’idea che morisse era peggiore di quella che avesse ucciso John il Rosso. Anche perché, sinceramente parlando, lei riteneva che John si meritasse di morire. Solo che vederlo lì, sdraiato su un lettino d’ospedale, pallido, magro, con i capelli intrisi di sudore, gli occhi semichiusi e le labbra screpolate le dava una sensazione di vuoto.
Lo sguardo del biondo si spostò su di lei, e tirando le labbra fino a farle sanguinare, le sorrise.
Lei trattenne il sorriso di risposta a stento. In quel momento lo odiava. Lo odiava con tutta sé stessa.
Entrò nella stanza come un fulmine e si fermò, pugni sui fianchi e sacchetto della flebo sulla spalla, a tre centimetri dal letto dove Jane era sdraiato inerme.
-COME CAVOLO TI E’ VENUTO IN MENTE?- gli gridò, allarmando tutti quelli che stavano fuori.
Jane strinse gli occhi e si portò me mani alle orecchie, voltando la testa dall’altra parte –Aho!- disse
-Non fare il bambino, stupido idiota! Come ti è saltato in mente di ucciderlo? – chiese
Jane si girò di nuovo verso di lei e sorrise, facendo sanguinare di nuovo le labbra. E lei cercò di ignorare quella piccola particolarità.
-Sono molto felice di vederti anche io, Lisbon. –
Lisbon gli pizzicò il braccio.
-Io no, idiota! Idiota, idiota! Ma ti rendi conto? Potrebbero darti la pena di morte! Sei un cretino! – disse lei, alzando la mano come per dargli uno schiaffo
-Sai che sei l’unica che se ne sia preoccupata? – considerò lui.
-Oh, ma credimi, ti giuro… Sì, Patrick Jane, ti giuro che ti uccido con le mie mani se esci da questa situazione! E sappi che non ti do un pugno perché potrebbe cadermi questa stupida busta piena di... non so neppure cosa! Come hai potuto ucciderlo?-
-Era il mio compito...- rispose lui
-Non ti perdonerò mai, per averlo fatto. Ricordatelo. Hai perso la mia fiducia, Patrick Jane. – e così dicendo Teresa girò sui tacchi e fece per andarsene.
Jane la fermò afferrandole il braccio e lei si voltò a guardarlo altera.
-Mi dispiace, Lisbon...- disse l’uomo – Non ho avuto la forza di... –
Lisbon strattonò il braccio e si allontanò
-Sei una minaccia, Jane. E io non potrò esserci sempre a tenerti il filo per farti ritrovare la strada. Tanto non va mai a finire diversamente da come è andata ad Arianna. È troppo tardi per chiedere scusa. Te ne ho perdonate tante, Jane. Ma questa… questa no. – scosse la testa – Mi fa piacere sapere che stai bene, comunque. –
-Anche a me saperlo di te. –
Teresa annuì e se ne andò correndo per i corridoi fino alla sua stanza.
 
 

California Bureau of Investigation
Sacramento
California

Il giorno dopo il risveglio di Lisbon il team era di nuovo a lavoro. Il fatto che  il caso John fosse chiuso, dovevano ammetterlo, era piuttosto piacevole, ma la conseguenza di ciò era devastante. Jane in prigione, con la possibilità che finisse per avere, se non la pena capitale, l’ergastolo, era qualcosa che avrebbero voluto evitare a qualsiasi costo.
-Insomma, ma non poteva solo ferirlo? – domandò per l’ennesima volta Rigsby
Cho alzò gli occhi dalle scartoffie e li puntò in faccia a Wayne, impassibile – Jane non voleva fermarlo, non voleva farlo incarcerare. Voleva ucciderlo. Posso capirlo. È sbagliato ma è comprensibile. –
Rimase a studiare Wayne un altro istante e poi, ritornando a guardare le scartoffie, esclamò – hai parlato con Grace?-
L’uomo, seduto sulla sua sedia, si raddrizzò di scatto.
-Che dovrei mai dirgli? Ha dovuto uccidere l’uomo che amava.- rispose, mascherando i suoi sentimenti
-Non so... magari che ti dispiace per la sua perdita. Oppure lavori di fantasia. – commentò
Rigsby sospirò –Possiamo non parlarne?-
-Certo. –
In quel momento l’agente Hightower entrò nel Bullpen e Grace uscì dal cucinino dove era andata a farsi un caffè. Madeline si sedette sulla sedia di Jane li guardò negli occhi uno per uno.
-Prima di tutto volevo ringraziarvi per avermi coperto. – sorrise –non eravate tenuti a farlo e questo è il primo momento di tempo che ho da quanto tutta questa storia è degenerata per dirvi grazie. Grazie a voi, all’agente Lisbon e a Jane io e i miei figli non siamo più in pericolo e la mia carriera è stata salvata.- sospirò –Prima di dirvi in cosa consiste il vostro prossimo caso, voglio che sappiate che in contemporanea al vostro lavoro abituale dovrete occuparvi anche di Jane. E dovete anche sapere che farò tutto quanto in mio potere per ingraziarmi tutti quelli che dovranno seguire il suo caso. Farò di tutto perché Jane possa essere scagionato. Non assicuro che, se e solo se lo scagioneranno, potrà tornare a lavorare al CBI, però sarebbe meglio saperlo vivo, non credete? Vivo e libero magari. Anche per Lisbon, non le fa bene vederlo là dentro... – disse
Tutti annuirono, grati.
-Bene. Detto ciò, sappiate che il vostro prossimo caso è che stiate in vacanza una settimana. Non è giusto che stiate qui dopo tutto quello che è successo. Quindi... andate dove vi pare ma non voglio vedervi qui fino alla prossima settima. L’unica cosa che vi chiedo è di tornare pronti ad affrontare una lunga serie di processi e anche abituarvi a lavorare senza l’aiuto di Jane.-
-Grazie, capo. – dissero i tre in coro, non troppo entusiasti di andare in vacanza.
-Capisco che lavorare vi distragga, ma dovete andare avanti. Okay? –
-Certo.-
Madeline annuì, si alzò dalla scrivania di Patrick e se ne tornò nel suo ufficio.
Poco dopo se ne andarono tutti, e le luci del Bullpen si spensero, lasciando una silenziosa e strana quiete in quegli uffici.
 
Le luci si riaccesero poco dopo, l’agente Cho era tornato al CBI, incapace di addormentarsi. Era la seconda volta nella sua vita che faceva il capo e la prima era stata molto più rilassante e divertente. Questa invece proprio non gli dava pace. Si sedette alla scrivania di Teresa e tirò fuori la cartella di Jane e il file di John. Le aprì e si mise a confrontarle. Osservando lo smile e le foto della moglie e della figlia di Jane, Cho sospirò e si mise a scrivere.
 

The Mentalist



 

Spazio delle pazzoidi:
Buona giornata a tutte voi, care lettrici (non diciamo lettori, perché se anche ce ne fossero noi siamo un po' femministe ... ;))! Sì, non siamo morte, o comunque non abbiamo abbandonato la scrittura, anzi. Per cui, dato che tutti noi siamo rimasti spiazzati dal finale della quarta stagione abbiamo pensato bene di scrivere noi un idea di quarta. Certo, chiaramente non abbiamo la minima idea di ciò che accadrà nella prossima serie (magari l'avessimo!!), però possiamo sempre inventarci tutto, no? Chissà che magari non ci azzecchiamo pure qualcosa!
Bene, bando alle ciancie, ora vi spieghiamo un paio di cosette che sicuramente avete notato leggendo...

Primo: l'asterisco. Ovvero, voi tutto conosciete il "filo d'Arianna", no? Avete presente... il mito di Teseo e tutta quella roba del minotauro... sì, avete presente. Filo, in inglese, si dice (anche) "thread". Noi abbiamo scritto "threat", ovvero, minaccia. Jane è la minaccia e Teresa è l'Arianna di turno che deve stare a tenere il filo... Quindi, mantenendo l'assonanza tra i due nomi, abbiamo fatto un bel... tutt'uno. ^_^

Secondo: due asterischi. Gergo medico. Siccome Lane è fissata anche con Grey's anatomy (aspettate il terzo punto!!) lei e il gergo medico vanno di pari passo e siccome Jones vuole fare medicina siamo tutte bell'e prepatate in questo campo. Quindi, sì, quelle cose sull'epilessia, le medicine e quelle cose lì sono reali e sintomi, patologie, cause e co sono esattamente come devono essere. Ogni riferimento a cose NON è puramente casuale. XD 

Terzo: la Stevens. Dato che non volevamo mollarla dove era... cioè non si sa dove... abbiamo deciso di inseririrla come Guest Star in questo capitolo (non è detto che non diventi un personaggio, in quanto ... no, niente spoiler!). Anche perché potrebbe essere utile a molti dei personaggio effettivi nel corso della serie. Izzie ne ha passate tante. E, credetemi, questo non è l'unico capitolo dove il Mercy sarà tirato in ballo.

Quarto: I copyright (che maroniiiiiii). I personaggi, gli attori, le faccende sovracitate non sono di nostra proprietà e non ne traiamo vantaggio.

Abbiamo finito.
Beh... dovremmo aggiornare la prossima settimana. Quindi... recensite in tantissimi!!!
Lane e Jones 

  
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