Anime & Manga > Katekyo Hitman Reborn
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Autore: AmberRei    30/05/2011    1 recensioni
Quando meno me l'aspettavo m'è venuta da scrivere 'sta roba... sappiate che si basa su una mia pippa mentale conseguente al Target 328. Come sempre sono banale e ripetitiva e una fabbrica di stupido fluff/angst. >_> *SO COME INVOGLIARE I LETTORI NEH X°°°D*
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altro Personaggio, Giotto
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La luce del tramonto si rifletteva in mille scintille sulle pietre umide della strada, e all'orizzonte il mare visibile in lontananza si era acceso di un color oro sfavillante. I tetti delle case, i muri, i vetri, gli alberi, l'erba, la gente, gli animali, i tombini. Tutto era ricoperto da un sottile velo di malinconia color ocra, che i due riuscivano a malapena a recepire con la coda dell'occhio, nella loro folle e spensierata corsa lungo le strade del piccolo borgo. L'inseguimento terminò, tra risate argentine, in un capannone in periferia dove entrambi crollarono esausti e ansanti, a poca distanza l'uno dall'altro, su dei grossi sacchi di farina probabilmente depositati lì dalla panetteria accanto. Una nube bianca si sollevò, e risero ancora. Il ragazzo col cappello si alzò però in fretta, respirando ancora a fatica, spolverandosi con le mani i calzoni consunti. Il biondo lo osservò stagliarsi di fronte a sè. Il sole ormai calante gli disegnava a terra un'ombra mostruosa, e gli marcava i lineamenti del viso in modo innaturale, facendolo sembrare una creatura inumana. Improvvisamente, d'istinto, ne ebbe paura, e il sorriso sereno e stanco sulle sue labbra si attenuò gradualmente in un'espressione incredula lasciando la bocca leggermente schiusa, e gli occhi spenti e sbarrati, fissi sull'altro. Si sentiva uno sciocco a temerlo. Quel ragazzo rappresentava per lui la persona, l'unica, a cui potesse aprire liberamente e completamente il suo animo. L'unica persona in compagnia della quale provava un senso di profonda e sincera felicità. E allora perchè, perchè gli si stringeva così tanto il cuore in un misto di tristezza, dolore e terrore?...
L'altro, con un gesto improvviso, gli prese le mani che aveva raccolto al petto con le sue, strappandogli un urlo di sconforto e timore. Tremando, cercò di ritrarle, sottrarle alla stretta, che però si fece più forte. Due occhi dall'iride di un innaturale rosso scarlatto, lo stesso colore dei suoi capelli arruffati, lo fissavano da distanza ravvicinata.

"Giotto... Giotto, dobbiamo andare, si sta facendo buio...! Che hai, cosa ti prende...!" incalzò l'altro, avvicinando di più se possibile il viso a quello del biondo.

Il sole in quel preciso istante lambì l'orizzonte, fondendosi al mare come una goccia di miele versata in una tazza di tè. La luce, lentamente e gradualmente, divenne omogenea e flebile: la sera stava nascendo. Il volto di Cozart, ora privo di ombre, era vicinissimo al suo. Giotto potè distinguerne e come riscoprirne i lineamenti, mascolini ma allo stesso tempo armoniosi, la sua bocca larga, quei medesimi occhi scarlatti che un attimo prima nella loro manifesta innaturalezza lo avevano sconfortato, e di cui scopriva in quel momento l'espressione, dolcemente preoccupata, rivolta verso di lui. Si accorse che stava singhiozzando incontrollabilmente, e cercò di liberare una mano per coprirsi la bocca. Questa volta Cozart lo lasciò fare, e pur non capendo nulla di ciò che stesse accadendo, lo abbracciò d'istinto, forte, stringendo la testa dell'altro al suo petto, e cingendogli la vita con l'altro braccio. Provava un dolore acuto, un bruciore sordo al petto, nel vedere l'altro soffrire a quel modo, senza poter fare nulla, nè comprendere.
Giotto si sentiva in colpa, per aver dubitato anche solo per un attimo dell'altro, e senza una ragione valida. Allo stesso tempo, quella sensazione non gli era affatto piaciuta, e aveva paura. Paura di qualcosa che il suo istinto aveva percepito da quella visione distorta, e che non riusciva ad afferrare. Lo spavento e il rimorso si mescolavano, contraddittori ma allo stesso tempo concordi. Si lasciò andare al pianto, cercando il contatto con l'altro, stringendoglisi come a volersi accertare che fosse reale.

"Non lasciarmi... non andare via... non cambiare...!"

Si ascoltò dire queste parole, sentendosi ancora più sciocco, e si sentì sprofondare ancora di più in quelle sensazioni senza via d'uscita. Si chiedeva anche perchè mai gli fossero sfuggite, e da quale recondito angolo del suo cuore fossero nate. In bocca gli restò un retrogusto amaro, e provò vergogna.

Cozart si distaccò per un attimo dall'abbraccio per guardarlo, coi suoi occhi dalle pupille simili a rose dei venti immersi negli occhi dell'altro, color dell'alba. La sua espressione era triste, ma non piangeva. Ai lati degli occhi, i soliti segni che lo rendevano più adulto in apparenza di quanto non fosse, forse accentuati dallo sguardo addolorato.

Non rispose.

Lo avevano educato a non dire bugie.
  
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