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Autore: AmberRei    30/05/2011    1 recensioni
Dedicata alla mia Giotto italiana di rp, e sempre per la writing challenge di Syllables of Time su LJ. Prompt: "Inghiottito dall'oscurità che brilla". Speranza e disperazione sono due facce di una stessa medaglia per Giotto e Cozart., nella loro complessa relazione semi-simbiotica. E il cuore, è una cosa complessa.
Genere: Malinconico, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altro Personaggio, Giotto
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L'immagine offuscata, nel ricordo, di una scalinata breve davanti casa, che dava al giardino. Gatti, i gatti di Giotto, che amava tanto. Ruffiani, meticci, grandi, piccoli. Il sole che baciava l'erba, i soffioni, le margherite, le fragole. Loro due, seduti sulle scale, a godere la brezza. Primavera, un pranzo semplice, un caffè. Due chiacchiere. ...due chiacchiere? Cozart attendeva quelle due chiacchiere come se gli dovessero rivelare l'origine del mondo. I primi caldi, un fiore violetto che si rigirava tra le dita. Era puramente, e semplicemente, felice. Non avrebbe saputo descrivere diversamente i suoi sentimenti.
Chiuse gli occhi. Il profumo dell'erba e dei fiori si miscelò nelle sue narici all'odore della pelle di Giotto, così vicino, intento a dare del cibo alle bestiole. Le parole tra i due si susseguivano, serene e armoniose, in battere e levare.
Aprì gli occhi. Verde, azzurro, bianco luminoso gli scintillavano negli occhi. E poi il biondo, il rosato, e ancora bianco. Qualcosa di troppo puro, troppo luminoso, troppo accecante.
Ma preferiva divenir cieco.
D'improvviso fu il silenzio, e gli sguardi si incontrarono.
Da quanto si conoscevano? Un mese? Due? Sei? No, forse nove.
Mio dio, non aveva inizio nè fine.
Aveva avuto fino allora un'infanzia inutile e vuota, priva di eventi che fossero degni di nota. La gioventù gli accarezzava la fronte, beatamente ignorata. Aveva ben pochi amici-ne aveva? E ciò nonostante rideva, beffardo. Sorrideva sempre, e sotto il suono delle sue risate calde di sole, copriva il gelo notturno della sua solitudine.
Ma tutto era cambiato. C'era lui, e i sogni che aveva sempre tenuto a malincuore per sè potevano essere divisi e moltiplicati. Non aveva bisogno di null'altro, e di nessun altro.
Voleva dargli tutto di sè.

Mentre era perso nell'alba a contemplare questi pensieri, sentì la sua voce.

"Senti..." Disse Giotto, l'aria dolcemente esitante, per attirare l'attenzione dell'altro. Cozart rimase, silenzioso, in attesa.

"Puoi sentire qui? Proprio qui." Disse, indicandosi il petto, con un'aria innocente. Cozart fu sorpreso dalla richiesta. Guardò un po' attonito l'altro, per poi tendere le dita allo sterno dell'altro, timidamente, e poggiarvi i polpastrelli.

Giotto fece un'espressione tutta di disappunto, che diceva "non capisci proprio niente! Faccio io."; prese la mano di Cozart, e la premette sul suo petto, all'altezza del cuore, tenendo la sua su quella dell'altro.

Poi, guardò Cozart con aria severa, preoccupata, seria ma ingenua e bambinesca allo stesso tempo.

Cozart prima ricambiò, imbarazzato, lo sguardo, poi fissò le due mani unite.
Socchiuse gli occhi, e si concentrò sulle sensazioni.
Il dorso della sua mano era scaldato da quella, piccola e delicata, di Giotto; il palmo toccava la stoffa morbida e liscia della camicia, attraverso cui poteva sentire un ritmo regolare e lento.

Il cuore, il cuore di Giotto.

Si vergognò. Era una cosa troppo intima, sentire il cuore...! O almeno, per lui, era così.

Il cuore è una cosa seria.

Giotto riprese a parlare, mentre l'altro, lentissimamente, si calmava a percepirne il battito.

"Allora?" Chiese con lo stesso tono con cui avrebbe chiesto "ma sei stupido?".

Cozart, a disagio, si svegliò dall'incanto in cui, pur a fatica, era caduto, e lo guardò, sorpreso e un po' disorientato. "Non capisco, cosa c'è?"

"E' lì?" Chiese Giotto, esasperato e apparentemente preoccupato.

"....?" Cozart gesticolò. "Ma cosa?"

"...il cuore, è ancora lì?" Chiese il biondo, con tono d'urgenza.

...Cozart guardò in cielo. "...non avrei mai immaginato che fossi un tale sciocco. Proprio tu, Giotto?" E qui guardò lui, incredulo. "Senza cuore in petto, saresti morto."

Giotto sembrò sollevato per qualche istante, poi si intristì, e abbassò gli occhi. "Eppure...! Sento..." Premette la mano dell'altro maggiormente sul petto, unendovi anche l'altra mano. "...c'è un vuoto, qui. Sento vuoto...!" La voce aveva un tono disperato, vicino al pianto. Nascose gli occhi lucidi abbassando ancora la testa.

Cozart non capiva fino in fondo. Il cuore c'era, lo sentiva così bene... perchè insisteva? Abbassò la testa verso il suo petto, cercando timidamente di allontanare la mano e portarvi l'orecchio. Giotto lo lasciò fare, due lacrime ai lati degli occhi, un'espressione impaurita.

Cozart con un braccio teneva i suoi fianchi, con l'altra mano si poggiò al suo petto. Con quella, iniziò a tenere il tempo.

Tu tum, tu tum, tu tum.

"...è dove dovrebbe stare..." disse infine, la voce calma, un tono tenero, per rassicurarlo.

Il fanciullo biondo dal corpo esile, senza aggiungere una parola, strinse a sè con forza l'altro, una mano sulla sua testa, una sulla sua schiena. Forte da far male, disperato. Cozart provava dolore ma lo lasciò fare, anzi, ricambiò l'abbraccio, con calore e calma. Lento e sicuro gli cinse la vita con le braccia. Ogni tanto gli carezzava la schiena.

Qualcosa non andava, non sapeva cosa, ma di questo era sicuro: l'altro aveva bisogno di conforto, più di tutto. E glielo avrebbe dato, senza fare domande.

Stettero qualche minuto stretti così. Cozart era scomodo, ma non l'avrebbe detto. All'improvviso, sentì l'altro dire, con tono sorpreso e sofferente:

"Adesso c'è...

...adesso c'è...! Però...

...provo dolore, Cozart..."

Fu allora che il ragazzo dai capelli cremisi si staccò dal suo petto, e gli gettò le braccia al collo, facendogli perdere l'equilibrio. I due finirono sdraiati a terra, abbracciati. Stettero così, fuori dalla casa deserta.

"...non ti allontanare, o mi sparirà ancora... preferisco questo dolore a quel nulla...!" Disse Giotto, timoroso. Cozart lo rassicurò stringendolo appena.

Quelle parole erano un ingenuo 'Ti amo'. Cozart forse non lo capiva, nè Giotto lo sapeva; il rosso sapeva soltanto che se avesse dovuto strapparsi il cuore dal petto per farlo battere nel corpo dell'altro, l'avrebbe fatto.




L'immagine offuscata, davanti agli occhi, di una scala a chiocciola che dava sul nulla, e portava al nulla. Sangue, il sangue di Cozart. Nerastro, a chiazze, a grumi, fuori di lui. L'ombra che lambiva il pavimento, buio, fiamme, lacrime. Sedeva, solo, sul trono del re, nell'oscurità più profonda. Estate, giorni di agonia, incubi e memorie. Dolore... dolore? Cozart attendeva la fine di quella sofferenza come la più grande delle liberazioni.
L'estate calda e feconda penetrava nella terra, ma non raggiungeva il maniero sotterraneo, gelido e sterile.
Il freddo penetrante, le mani aggrappate alle ginocchia nel tentativo di mantenersi vivo. Eppure avrebbe voluto, puramente e semplicemente, morire. Non avrebbe saputo esprimere un desiderio diverso.
Chiuse gli occhi. L'odore di chiuso, fumo e umido si miscelò nelle sue narici a quello del sangue e delle lacrime, nauseandolo, portandolo ad un'altra ondata d'angoscia. Il silenzio lo penetrava, in ogni sua fibra, nelle carni, fino al midollo.
Aprì gli occhi. Nero, rosso, arancio si miscelavano nei suoi occhi. Che colori orribili, a parte forse l'arancio. Qualcosa di troppo vero, troppo doloroso, troppo asfissiante.
Ma preferiva soffocare.
D'improvviso sospirò, e il sospiro riecheggiò nell'enorme sala.
Da quanto se ne era separato? Un mese? Due? Sei? No, forse nove.
Mio dio, non aveva inizio nè fine.
Aveva vissuto con lui una gioventù splendente e ricca, piena di luce e degna di essere vissuta, attimo per attimo. La vita gli baciava le labbra, apprezzata appieno. Aveva lui, aveva G, aveva i suoi amici, una città da proteggere. E per ringraziare la sorte rideva, beffardo. Sorrideva sempre, e sotto il suono delle sue risate calde di sole, copriva la luna dolce dell'amore che provava.
Ma tutto era cambiato. Non c'era lui, non ci sarebbe più stato, ed i sogni che avevano condiviso e che si erano impegnati con tutto il cuore a realizzare insieme si erano infranti come vetri fragili sotto una sassaiola. Lui stesso era perduto, privato di Giotto, per il bene di Giotto. Ma in sua assenza non poteva salvarlo null'altro, e nessun altro.
E non poteva più dargli nulla, di sè.

In mezzo al petto, un buco nero si espandeva a partire dal punto in cui avrebbe dovuto essere il suo cuore, vorticando; con le dita poteva sentire l'attrazione gravitazionale a malapena resistibile: la materializzazione del suo desiderio di assorbirlo, del volerlo con sè, in sè.

Mentre era perso nel crepuscolo a contemplare questi pensieri, sentì la sua voce.

"...coraggio...!" disse, ferma e piena d'affetto, ma con una nota di tristezza.

Fu sorpreso,

poi, per un attimo, un sorriso beffardo si dipinse sulle sue labbra.

"...sei ancora con me, Giotto! Per te io---!"

L'urlo, gioioso, energico, rabbioso, crescente, svanì in un secondo, avvolto in un abbraccio di tenebra che da egli stesso era scaturito.

La separazione, per quanto da egli stesso voluta, aveva prodotto infine una disperazione troppo grande.

Aveva perso, così, la scommessa con il Simon Ring.

La terra tremò, fuoco e fiamme arsero il maniero.

Di lui, non fu trovata traccia.

Furono lutto e lacrime, e gli anelli vennero sigillati nel suo feretro, affinchè non dilaniassero in futuro l'animo di un altro uomo dal cuore straziato.

Una stella, piccola da stare in un pugno, si materializzò accanto al viso del Vongola Primo, quando il Boss dei Simon svanì.

"Dammi tu un po' del tuo cuore, stavolta."

E così la stella esplose, lasciando all'uomo singhiozzi e lacrime in dono, e la consapevolezza che al mondo non esisteva più il solo uomo che poteva rimettergli il cuore in petto.
  
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