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Autore: shadowsdimples_    31/05/2011    1 recensioni
Hilary, normalissima ventottenne con origini italiane, si ritrova catapultata nel mondo dello star system. Ma non sarà questo a cambiarle la vita, ma bensì un incontro. Un incontro a dir poco meraviglioso... P.S.:E' la mia prima FF, siate clementi!! T.T
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Jared Leto, Nuovo personaggio, Shannon Leto, Tomo Miličević
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Los Angeles, 6.03 PM

Era colpa mia se avevo un amico così deficente? No, non credo.

 
La Los Angeles di quel momento era quella che più preferivo: ero su una strada di Beverly Hills, che me ne stavo seduta su un muretto con un libro in mano. Dietro di me c'erano i miei amici che facevano gli idioti a farsi i gavettoni con secchi, bottiglie piene d'acqua
e palloncini che avevano assunto la forma di una bomba a mano. Davanti a me, dall'altra parte della strada, c'era un bar molto popolato, con gente che se ne stava tranquillamente seduta su dei tavolinetti a parlare allegramente. Dietro di me c'era un parco con una fontana
enorme che fungeva da rifornimento ai miei amici. Avevo una gamba piegata sotto l'altra e sentivo tremendamente caldo in quella posizione. Per un momento, un momento solo, pensai che forse farmi fare un gavettone non era un'idea così pessima. Poi, con un sorriso sghembo,
ci ripensai. Mentre giravo pagina, mi arrivò una secchiata d'acqua, proprio dietro di me. Avrei potuto prevederla e spostarmi dall'ombra che c'era a terra davanti a me, ma ero troppo concentrata, come in quel momento, ero troppo concentrata ad elaborare un insulto adatto
a quel cretino del mio "amico".
 
"Zac, che cavolo ti passa per quel cervello bacato?!", iniziai a sbraitare cercando di controllare se il mio libro era intatto. Nulla di grave, solo qualche goccia sulla copertina, io, invece, ero zuppa: il mio gilet beige larghissimo a maniche larghe fatto "a rete", era zuppo, come la mia maglietta bianca, che metteva in risalto il costume colorato che indossavo e che mi si era appiccicata addosso come un cerotto. I pantaloncini erano bagnati solo dietro e potevo tranquillamente affermare che "sembrava che non avessi raggiunto un bagno in tempo", nei miei stivaletti neri di finta pelle, ora c'erano Nemo e i suoi amici.
 
"Hills, rilassati, non è nulla, solo un po' d'acqua!". Odiavo quando mi chiamava con quel soprannome demenziale. Ditemi se "colline" era un soprannome umano. Dio, che rabbia. Mi alzai, misi il libro nella borsa e mi tolsi il gilet. Lo strizzai e poi lo misi sul muretto ad asciugare. Beh, per la maglietta non potevo fare niente. Me la tolsi, insomma, eravamo tutti compagni di college, non ci scandalizzavamo per così poco. Giusto per il fatto che Zac mi sbavava dietro, ma non ci badai più di tanto. La mia unica amica, Ashley, era nella mia stessa situazione. Era senza un cambio. Sospirai: forse era meglio tornare a casa. Abitavo li vicino, a piedi erano dieci minuti. Dividevo l'appartamento con lei. Essere figlia di uno dei presidenti di non so quale accidenti casa discografica aveva i suoi vantaggi. La villetta era molto grande, a due piani, e lussuosa. Aveva perfino un terrazzo. Mentre riprendevo la mia roba, attraversavo la strada affiancata da Ashley e passavamo davanti al bar, un ragazzo molto alto, bello e biondo ci si avvicinò, o meglio, mi si avvicinò.
 
"Ehm, scusa...", farfugliò lui bloccandomi delicatamente per un braccio.
"Si?", feci confusa tirando su i miei Ray-Ban.
"Non ne sono sicuro ma ci siamo già incontrati?", chiese evidentemente in imbarazzo.
Ah, andiamo proprio bene! Prima il gavettone e adesso 'sto qua che dice di conoscermi. Ma dove cacchio ero finita?! "Ehm... Non credo... Mi ricorderei di te...", dissi ridendo. Ashley mi seguì, ridacchiando con la sua vocetta da soprano.
"Beh, allora mi presento: mi chiamo Justin e faccio parte dei "provinatori" per le modelle di Victoria's Secret", disse con un sorriso troppo bianco.
"Piacere, Hilary McQueen", dissi stringendo la mano al ragazzo. Non so dirvi con precisione quanti anni avesse, ma sicuramente era più piccolo di me. Si, decisamente, dimostrava meno di 28 anni. "Ehm... Adesso?", chiesi. Iniziava a tirare un po' di vento, e io ed Ashley eravamo ancora zuppe.
"Piacere, Ashley Night", disse Ash presentandosi.
"Piacere.", disse Justin sorridente.
"Ehm... Adesso?", ripetei. Iniziavo ad avere i brividi.
"Oh, si, scusatemi, sicuramente starete morendo di freddo", disse. La mia faccia era tipo "eh, già". Riprese:"Beh, volevo chiedervi se eravate interessate a fare un provino per entrare nel cast degli angeli di Victoria's Secret", disse guardandoci. In effetti eravamo senza maglietta... Stavo per declinare gentilmente l'invito, ma Ash esplose in una delle sue parlantine.
"Ohmmioddio!! Certo che siiii!! Cavolo, quando ci ricapita un'occasione del genere?!", disse urlando e saltellando come una bambina di cinque anni.
"Eh, gia... Quando?", feci io acida. In quel momento non ne volevo sapere di costumi o intimo. La doccia di casa mia mi reclamava.
"Bene. Questo è il mio numero. Presentatevi sabato mattina alle 10 a quest'indirizzo. Ora scappo. Ci vediamo", disse correndo verso una Porsche nera parcheggiata li vicino. Ashley lo salutava come un'idiota. La guardai male: accidenti, non volevo fare la modella!
"Che accidenti ti salta in mente, me lo spieghi?! Io non voglio fare la modella!", dissi a voce un po' troppo alta. Le persone sedute ai tavoli mi guardarono. Ash mi guardò come un coniglio spaventato.
"Pensavo ti interessasse... Dicevi sempre che volevi sfondare!", disse Ash difendendosi. Recuperai un po' di calma nei meandri della mia mente e risposi.
"Nel campo della musica, non come modella, dannazione!", iniziai a camminare velocemente verso casa. Ora stavo veramente congelando. Avevo la sensazione che tra poco mi sarebbe passato a ritirare il camion dei surgelati.
"Va bene, allora chiamerò e annullerò tutto", disse. "Sei ancora arrabbiata?", chiese dopo un breve silenzio.
"No, non sono arrabbiata. Sono infreddolita. E assonnata. Per punizione cucini tu stasera.", dissi cupa. Ash esplose di nuovo.
"Siiiii!! Va bene, stasera ti preparo una cena fantastica!", disse. E fu così che ci ritrovammo a mangiare la pizza.
Arrivata a casa, ci furono subito Keira e Lola ad accogliermi, il mio rottweiler nero e l'husky bianco e nero di Ash.
"Ciao, cucciole!", esclamò Ash iniziando a farsi leccare dalle cagnette. Io buttai la borsa sul divano bianco e salii le massicce scale bianche, diretta verso il bagno di camera mia. L'enorme doccia avorio Vichy, idea di mia madre, era utile solo in casi come questo. Mi spogliai e mi infilai sotto il getto potente delle quattro bocchette che sparavano acqua calda dappertutto. Il calore dell'acqua mi fece rabbrividire. Quando uscii dalla doccia mi sembrava di essere tornata da un campo di guerra. Mi infilai l'accappatoio enorme ed assolutamente morbido e mi diressi in camera. Misi i miei vestiti nella lavatrice e i miei stivaletti capovolti sullo stendino che avevo sul balconcino. Mi fermai sul balconcino e rimasi a guardare il viale dove abitavo io. Il giardino della casa era recintato da alte siepi verdi curate dai giardinieri e davanti a me c'era un'altra villa, molto più grande della mia. Insomma, qui ci vivevamo solo io ed Ash, in quell'altra ci viveva una famiglia tipo carica dei 101. Mi mordicchiai le unghie mentre osservavo i bambini rincorrere un cane per la strada leggermente in discesa. Sorrisi e rientrai dentro. Mi infilai un magliettone dell'Hard Rock, un paio di pantaloncini e lasciai i miei capelli sciolti e bagnati. Mi osservai allo specchio. I miei occhi azzurri erano spenti, stanchi, i capelli neri erano leggermente arruffati e scendevano fino a metà schiena e la mia pelle non era poi così abbronzata. Tutti tratti ereditati da mia madre. Alzai il braccio destro per andare a sistemare i capelli e osservai il secondo di tre tatuaggi: Provehito in Altum. L'altro, la Triad, il primo, era sul mio polso e i glyphs erano tatuati tutti e quattro dietro il collo. Scesi in soggiorno e feci uscire Keira e Lola dalla porta-finestra che affacciava dapprima su una veranda, poi sul giardino. Mi sdraiai sul divano e iniziai a pensare. Non potevo farmi mantenere a vita da mia madre, a insaputa di mio padre. Mio padre è come ve lo aspettate: un grosso ciccione, ricco e, per di più, anche avaro. E' vero, volevo sfondare nella musica, ma volevo farlo da sola. Non volevo sembrare quella che si fa raccomandare. Era meglio se avessi iniziato a cercare un vero lavoro, se volevo tenermi la casa, i cani e tutto. L'idea iniziale di mio padre era quella di iscrivermi ad Harvard, dall'altra parte dell'America, per farmi diventare uno dei tanti avvocati che avrebbero difeso la sua società da eventuali cause. Quando me lo disse io avevo 25 anni. Rifiutai categoricamente quel ruolo del cavolo. Non volevo campare sulle disgrazie degli altri. Così scappai da casa, presi il primo aereo per Los Angeles e mi iscrissi all'Università delle Arti, dove conobbi quella banda di matti dei miei amici. Mia madre continuò a sostenermi, pagandomi la retta dell'Università e lasciando le altre spese a me. Ora lavoro in uno Starbucks a Beverly Dr., e ne vedo di gente famosa, quasi tutti i giorni; infatti un intero muro della mia stanza era sepolto da foto ed autografi. L'unica che non avevo ancora era quella con Jared e Shannon Leto e Tomo Milicevic. Accesi la tv e mi sintonizzai su MTV. Stavano passando la pubbilcità del festival del rock. C'erano anche i Mars. Ero tranquillamente andata in cucina per prendere qualcosa da mangiare, visto che Ash si era infilata sotto la doccia e ancora non era uscita, quando la conduttrice annunciò i partecipanti al festival. Quando disse "30 Seconds To Mars", quasi mi strozzai con una carota e mi precipitai in salotto ansimante. La pubblicità diceva di chiamare un numero per aggiudicarsi i biglietti per viaggiare per tutta l'America con i Mars. Mi attaccai al telefono.
"Acquisto biglietti MTV, cosa posso fare per lei?", disse una donna dall'altra parte.
"Salve, vorrei acquistare due biglietti per il concerto dei 30 Seconds To Mars.", dissi sovreccitata.
"Quelli per il festival del Rock?", chiese picchiettando sulla tastiera del suo pc.
"Sisi, quelli per il concorso del tour per l'America...", dissi precisando.
"Va bene, prima fila o tribuna?", disse. Mi schifai al ricordo delle tribune. Erano sempre sporche e l'acustica era pessima. E poi, in prima fila rischiavo anche di trovarmi sulla transenna un Jared Leto scatenato, sudato e bagnato che mi cantava in faccia. Rischiavo, eh.
"Prima fila, prima fila...", confermai.
Un altro paio di picchiettate sulla tastiera:"Bene... Fanno 110 $", disse la donna.
Rimasi come un pero:"Che cosa?! Due biglietti 110 $?! Ma che sono, d'oro?!", dissi.
La donna non perse la calma come me:"Signora, 50 sono per un biglietto, e fanno 100, e i 10 sono per il concorso", replicò calma.
Sbuffai:"E va bene.", acconsentii. Mi spiegò come pagare i biglietti e attaccai. Ash scese in soggiorno strofinandosi i capelli con un asciugamano.
"Che hai? Si sentono le tue urla da sopra!", disse.
"Ho prenotato due biglietti per il concerto dei Mars!!", urlai saltando come una bambina felicissima. Ash, che era Echelon quanto me, si mise a saltare con me sul divano bianco. Poi riuscimmo a ribaltarlo, cioè lo schienale era finito a terra e la seduta faceva da schienale. Andai a prendere due Bacardi Lime nell'immenso frigo e un pacco enorme di patatine. Accensi la tv e misi Alexander nel lettore. Mentre smangiucchiavamo qua e la, facevamo fantasie, erotiche e non, su Jared e Shannon.
"Anche se è nano, me lo farei volentieri", disse Ash, attaccandosi alla bottiglia verde. Sorrisi.
"Jared è mio.", sentenziai. Lei scoppiò a ridere, segno che il Bacardi aveva avuto un certo effetto sulla sua poco lucida mente.
"E chi te lo tocca, a me basta l'animale. E' un micio strasexy. E poi hai visto che culo che ha...?", fece incantata.
"Sinceramente no. Io lo vedo sempre seduto alla batteria", replicai calma, mentre bevevo l'ultimo goccio di Bacardi che, su di me, non aveva alcun effetto. Continuammo così fino a che non mi ritrovai Ash spiaccicata addosso. Riuscii a buttarla sull'altro divano, mentre io, un po' barcollante, raggiunsi la mia stanza e mi buttai sul letto. L'ultima cosa che pensai fu "E se non fosse solo un sogno?"


   
 
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