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Autore: Chu    31/05/2011    31 recensioni
Sirius è pazzo. Nel petto di Remus c'è un buco ogni volta che lo guarda.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Potter, James Potter, Lily Evans, Severus Piton | Coppie: Remus/Sirius
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Durante l'infanzia di Harry
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Titolo: Chasing butterflies
Personaggi: Remus Lupin, Sirius Black (un cameo di: Harry Potter, Lily Evans in Potter, Severus Snape e James Potter)
Pair: Wolfstar
Rating: PG15
Parole: 2.581 (Word)
Prompt: "Atollo" ("c'è un buco al centro") per la HSM Maouropia Treasure Hunt @ [info]fanfic_italia. Qui la mia schedina.
Riassunto: Sirius è pazzo. Nel petto di Remus c'è un buco ogni volta che lo guarda.
Avvertimenti: slash, angst, What if?, la ff parla di pazzia e problemi mentali quindi se la cosa vi disturba non leggete.
Note: L'idea nasce (e muore) anni fa, quando mi capitò di leggere una ff inglese che aveva lo stesso presupposto - Sirius che, in quanto Custode Segreto dei Potter, viene torturato ed impazzisce. E' risorta di recente, grazie/a causa del circolo per picchiatelli che ho sotto casa. Personcine divertenti, un po' casiniste, ma fondamentalmente innocue che girano nella via sulla quale si affaccia la finestra della mia camera; ormai li conosco e, beh, niente.
Mi rendo conto che questo sia un tema piuttosto delicato, ed infatti non era quello che volevo affrontare, ma volevo concentrarmi sulle conseguenze che il prendersi cura di una persona malata comporta. Tutto qui.
Spero non vi angstizziate troppo ♥

Edit 31/05/11
La fanfic ha partecipato al contest The best off... di Acardia&Nefene, classificandosi prima e ricevendo, oltre ad un meraiviglioso giudizio, un incantevole banner ♥
Il giudizio potrete leggerlo alla fine della storia, il banner eccolo ♥




Ancora


"È una gran cosa quando realizzi di avere ancora l'abilità di sorprenderti. Ti fa chiedere cos'altro puoi fare che ti sei dimenticato."
(American Beauty)


Sirius sta inseguendo le farfalle insieme a Harry, mimandone i movimenti: quando il bambino gira su sé stesso, lui fa uguale; quando corre, lui gli va dietro e se cade, Sirius gli si mette accanto, con espressione preoccupata. Sorprendentemente Harry non piange mai, ma rialza la testa facendo un sorriso al padrino.

Remus sa che il piccolo è un bambino intelligente e si comporta con Sirius come farebbe con un fratello minore.

“Remus.” Chiama Lily, avvicinandosi con un vassoio pieno di frittelle dolci. “Abbiamo finito lo sciroppo al cioccolato, ma ho mandato James a comprarne un po’… Puoi aspettare?”

Il licantropo ride, mentre si volta verso di lei. “Voi mi viziate troppo… Le tue frittelle sono buone comunque.”

“Le mie frittelle sono buone comunque, ma con il cioccolato ti sembrano ancora più buone.”

Touché.” Risponde lui, mentre lo sguardo della giovane donna si sposta oltre le sue spalle; il suo sorriso non vacilla nemmeno per un momento, ma Remus le legge negli occhi una punta di compassione. Sa che sta guardando Sirius, ma non la biasima; a volte s’accorge di guardarlo in quel modo lui stesso.

“Harry, Sirius! Venite a mangiare il dolce, avanti!” Li invita con voce perentoria e un sorriso dolce: è nata per fare la mamma.

“Sono frittelle?” Domanda il piccolo Harry, cinque anni di vivacità allo stato puro; quando sua madre annuisce fa un piccolo saltello, esclamando felice. Sirius, che gli trotterella dietro, osserva le frittelle e poi si guarda attorno agitato.

“Dov’è James? E il cioccolato per Remus? Lo sai che non le mangia senza! A lui piacciono così, lo sai.”

“Sirius.”

“Non c’è il cioccolato!”

“James è andato a prenderlo. Ora siediti vicino a me, ok?” Remus gli sorride mentre col broncio di un bambino l’altro gli si siede accanto e guarda male le frittelle; il licantropo gli passa una mano fra i capelli ingarbugliati, continuando a sorridere.

Lily li osserva per un attimo e trattiene un sospiro. Fa ancora male, dopo tutto.

***


Sirius non ha voluto parlare; non ha ceduto nemmeno dopo l’ennesima Cruciatus. Nessuno ha mai capito quante ne abbia ricevute prima di perdere la ragione, ma ha resistito a lungo; i Medimaghi che l’hanno controllato non appena portato in ospedale hanno detto che sarebbe potuta andare molto peggio: gli è rimasto quel minimo di senno per riconoscere le persone, per riconoscere sé stesso. Può sembrare poco, ma Remus sa che deve ringraziare il cielo per quel piccolo dono.

Piccolo, ma almeno non deve accudire un vegetale.

Ufficialmente la custodia di Black era stata affidata ai Potter, ma Remus non aveva voluto. Con Harry ancora piccolo sarebbe stato troppo faticoso per loro, quindi, ufficiosamente, è lui a prendersi cura di Sirius, a tenerlo in casa con sé. Al Ministero non importa più di tanto: i malati di mente costano poiché quelli meno gravi – il caso di Sirius – ricevono una sorta di “pensione d’invalidità”; non importa, quindi, se viene fatto fuori da un licantropo. Sono soldi in meno da dare via e ci sarebbe un’ottima giustificazione, oltreché qualcuno da incolpare. La logica del Ministero è ineccepibilmente pragmatica quando si tratta di denaro.

Prendersi cura di Sirius non è difficile e, dopo quattro anni, non è nemmeno doloroso come lo era all’inizio; tanto per cominciare, Sirius sa chi è ed è autosufficiente abbastanza per permettere a Remus il lusso di farlo chiudere in bagno se vuole la porta chiusa. Ed ogni tanto sembra avere degli sprazzi di lucidità agghiaccianti. Una volta l’ha trovato a fissarlo e quando gli ha chiesto se si sentisse male, Sirius gli ha risposto con un mezzo sorriso, gli ha messo una mano sulla guancia e gli ha detto: “Scusami.”

I Medimaghi dicono di non illudersi. E Remus ha smesso di farlo da tempo, ma quell’episodio gli ha scavato qualcosa nel cuore. Non speranza, non dolore. È una buca intricata quella che ha nel petto, ma non gli pesa perché la ignora per la maggior parte del tempo.

***


Quand’è notte, di tanto in tanto, Sirius sgattaiola fuori dal suo letto per intrufolarsi in quello di Remus. Prima succedeva molto più spesso, ora solo un paio di volte a settimana.

Si accoccola vicino a lui e lo guarda per minuti interi senza dire niente, senza rispondere alle domande del licantropo (“Hai fatto un brutto sogno?” “Stai male?” “Hai sete?”); lo guarda e basta, fino a che non chiude gli occhi e gli dà un bacio sulla fronte. Qualche volta è capitato che, stendendosi sopra di lui, gli abbia chiesto di fare l’amore. È difficile da gestire in quelle situazioni; a volte Remus ha l’impressione che se provasse a mettergli le mani addosso sarebbe come approfittarne, ma se è Sirius ad agire, allora lo lascia fare. Non ha ancora capito, però, se lo faccia perché ricorda che lo facevano prima, quand’era ancora sano, e quindi vuole emulare il sé stesso di una volta, o se lo faccia perché lo vuole.

In ogni caso, dopo di solito gli si rannicchia vicino e dorme come un bambino, contento e soddisfatto, per il resto della notte.

A volte combina qualche disastro: si taglia con un coltello, fa cadere qualcosa a terra. Niente che un bimbo non farebbe, solo che Sirius ha venticinque anni – quasi ventisei.

Remus rimette a posto tutto, fa del suo meglio per non arrabbiarsi, per non ricordare. Ma intanto il buco nel petto si fa più profondo.

***


Ha appena fatto cadere un vaso e lo guarda senza fare niente, come se si aspettasse di vederlo mettersi a posto da sé.

Remus si precipita nella stanza e gli controlla le mani. “Ti sei fatto male?” Chiede con leggera preoccupazione e Sirius scuote la testa, indicando poi il vaso.

“È caduto.”

“Lo so.” Gli risponde l’altro.

“È caduto.” Gli ripete Black, trattenendogli le mani.

“Lo so, Sirius.” La voce di Remus è un po’ meno calma del solito – la luna piena è vicina e lui spera sempre che Sirius non combini pasticci proprio in quel periodo del mese. Stavolta non è andata bene. È solo un vaso di nessun valore, ma a volte basta davvero così poco.

“Sei arrabbiato?”

“No, ma devo pulire.” Tenta di liberarsi dalla presa dell’altro, ma Sirius non lo molla. “Sirius, lasciami, devo pulire.”

“Sei arrabbiato con me.” Lo accusa con voce lamentosa.

“No, ma devi lasciarmi libere le mani.” Ma l’altro si ostina a trattenergliele e allora scoppia. “Sirius, non puoi fare così! Non sono arrabbiato con te, ma non puoi continuare a comportarti in questo modo… Non sei un bambino capriccioso, non vuoi esserlo, vero?”

“Sei arrabbiato con me perché l’ho rotto.”

“No. Sono arrabbiato con te perché-”

Dipendi da me, non fai altro che rompere le cose e aspettare che io le metta a posto per te, che io rimetta a posto te.

Se Sirius non fosse così probabilmente potrebbe accusarlo di tutto ciò; se Sirius non fosse così non ci sarebbe nemmeno motivo di dirgli quelle cose. Ma è così.

Remus sospira, calmandosi. “Non sono arrabbiato, okay?” Gli fa, dandogli una bacio sulla fronte. Di solito quello lo tranquillizza.

“Hai detto che lo sei. Hai detto che lo sei, ti ho sentito.”

“L’ho detto, ma non è vero. Era una bugia.”

“Le bugie non si dicono…”

“Lo so, mi dispiace. Mi perdoni?”

Sirius annuisce, poi gli sorride e lo abbraccia. “Certo che sì. Certo.”

***


“Sirius è…”

“Ti ho chiesto di Black, per caso?”

Remus scuote la testa, sorride e cicca la sigaretta nel posacenere di fortuna che Severus non gli ha fornito. “A volte dimentico che non vuoi sentirne parlare. Tutti fingono di non volerne sapere, ma alla fine me lo chiedono comunque. Come sta lui? E tu come stai? Dev’essere difficile per te…

“Le persone amano sentirsi dire che le cose sono difficili per gli altri. In questo modo la loro situazione non sembra più tanto male.” Commenta icastico Snape, tirandosi indietro per sfuggire alle spire del fumo.

“Già.” Remus chiude gli occhi e si appoggia alla sedia. Gli piace stare con Severus: è uno dei pochi che non lo guarda come se fosse lì lì per spezzarsi e crollare in mille pezzi, l’unico che non gli chiede nulla di Sirius, l’unico a cui può appoggiarsi quando vuole fuggire. “Grazie.”

“Piantala.”

Ah, già, gli piace anche perché i convenevoli sono inutili per lui.

“Non ti senti in colpa? Mentre il cervello di Black marcisce, tu sei qui a… spassartela.”

“T’interessa davvero sapere dei miei sensi di colpa?” Domanda il licantropo, sollevando perplesso le sopracciglia.

“Voglio solo capire fino a quando riuscirai a reggere la pressione.”

Legge fra le righe: fino a quando ci vedremo. Con Severus non si può fare altro che quello: interpretare. Sorride, eludendo la domanda e guardandolo di sbieco.

“Ho il privilegio di dimenticare un po’ le mie responsabilità quando sono qui.” Sbuffa via l’ultimo residuo di fumo, prima di ciccare il mozzicone.

“È questo che ci guadagni?” Domanda Severus, poi alza la mano, bloccando la sua risposta perentoriamente. “Ed io che ci guadagno?”

Remus sorride di nuovo. “Questo dovresti dirmelo tu.” Lo scruta e sente restituirsi indietro un’occhiata affilata.

Le labbra di Snape sono piegate verso l’alto, in una smorfia ironica. “Dovresti averlo capito: non mi sento così tanto male, guardando te.”

***


“Ero a mettere Harry a letto, Lily era in cucina a rassettare. Giuro, era dietro di me! Ma quando mi sono girato non c’era più!” James non è mai stato così agitato nemmeno quando Silente gli ha detto che Voldemort aveva intenzione di uccidere lui e la sua famiglia.

Remus suppone che si tratti di una sorta di senso del dovere che lo fa reagire così: Sirius ha sacrificato la sua sanità mentale, la sua vita per salvarlo e adesso il minimo che James può fare è preoccuparsi se sparisce. Poi ci sono i sensi di colpa, ma Remus non può davvero biasimare Prongs per aver pensato prima a suo figlio che al suo migliore amico.

Chi va davvero biasimato è lui, che ha pensato prima a sé stesso e poi all’uomo che professava di amare.

“Va bene, James. Vedrai che lo troveremo.” Gli dice, anche se non sa da dove iniziare.

“Okay.” Annuisce Potter, cercando di ignorare il fatto che all’amico tremino le mani.

Si dividono e Remus setaccia tutti i posti in cui sono stati di recente, poi anche i luoghi in cui non vanno da un po’ e alla fine tutti i posti dove non vanno da mesi. Sirius sembra scomparso nel nulla ed è allora che Remus sente una strana fitta riempirgli il buco nel petto.

Si accascia su una panchina, tenendosi la mano stretta sul cuore; lo sguardo vaga a terra, cercando di capire di che cosa si tratti, mentre gli si aprono davanti agli occhi prospettive che gli parlano di ritornare a vivere, di non avere più responsabilità.

Si lascia per un attimo cullare da quelle fantasticherie, prima di realizzare che quello che ha sentito era sollievo.

Sollievo per aver perso Sirius; sollievo per non doversi più preoccupare di quello che potrebbe fare. Sollievo.

Si alza con rabbia, si allontana dalla panchina come se fosse lei la colpevole di quel sentimento. Torna a punzecchiare con un dito la buca, spingendo via ciò che l’aveva riempita ingiustamente, finché non ritorna un profondo buco vuoto e nero.

E ricomincia a cercare.

***


Sirius è seduto sulla riva del lago, un po’ ingobbito su sé stesso e stretto intorno al mantello.

Remus ringrazia di nuovo Hagrid e si avvicina lentamente. È adesso che dovrebbe provare sollievo e si sforza di sentirlo, ma non lo percepisce.

Si ferma a qualche passo da lui e lo ascolta mentre borbotta qualcosa fra sé; forse dovrebbe affidarlo a James, come deciso d’ufficio; forse dovrebbe portarlo al reparto del San Mungo dove possono curarlo, prendersi cura di lui come si deve. In quei quattro anni la prospettiva non gli era mai sembrata così giusta.

Fa per chiamarlo, con l’intenzione di portarlo a casa e spiegargli quello che ha intenzione di fare. Sirius probabilmente non capirà, penserà che è arrabbiato con lui – e lo è, è molto arrabbiato con lui per essere sparito nel nulla per un pomeriggio intero, per aver fatto preoccupare tutti, per averlo fatto sentire sollevato, solo per un attimo – ma va fatto. Per il suo bene.

Apre la bocca, la prima sillaba del nome già pronta ad uscire, ma ecco che sente più distintamente il borbottio di Sirius: in ogni frase delirante il centro del discorso è lui, Remus; Remus inizia le frasi, le finisce, ne è il sottinteso. Probabilmente senza Remus Sirius non parlerebbe nemmeno.

Gli si stringe il cuore, caccia indietro le lacrime; il nodo in gola viene inghiottito via.

“Sirius?” Lo chiama, avvicinandosi.

Black si volta solo quando il licantropo gli è accanto; gli fa un sorriso beffardo, un po’ storto. “Mi hai trovato!” Esclama, come se avessero giocato a nascondino fino a quel momento.

“Sì. Ti ho trovato.” Gli sorride Remus, carezzandogli piano i capelli.

“Non è stato facile arrivare qui. C’erano delle farfalle che non volevano farsi acchiappare, ma io le ho prese.” Sirius dondola sulla roccia sulla quale è seduto.

“Ah sì?” Remus si chiede perché gli piacciano tanto le farfalle; prima di quello non aveva mai dimostrato particolare interesse per quegli insetti.

“Sì. Farfalle molto dispettose. Molto dispettose!” Gli risponde imbronciato l’altro. Poi gli sorride di nuovo ed inizia a frugare fra le tasche del mantello.

“Sei stato bravo a prenderle, allora.”

“Lo so. Erano piccole e scivolavano però a te piacevano.”

“Come?” Remus interrompe per un momento le carezze fra i suoi capelli, e lo guarda senza capire. Di solito riesce a stare dietro ai discorsi senza senso di Sirius, ma questa volta manca decisamente qualcosa di più della logica. Manca un pezzo nella memoria di Remus e, nonostante non sappia per quale motivo ne sia convinto, sa che il discorso di Sirius ha perfettamente senso e che è lui che non riesce a ricordare un particolare fondamentale.

“Erano piccole e scivolavano però a te piacevano.” Ripete Black, dondolando ancora. “Piccole Farfalle di Cioccolato di Mielandia, per Salutare Dolcemente la Primavera.”

Remus ha una vertigine inattesa, mentre improvvisamente ricorda le farfalle di cioccolata che vennero messe in vendita solo per una stagione, quasi dieci anni prima, nel negozio di Mielandia. Erano piccole ed il cioccolato si scioglieva tanto velocemente che non si faceva in tempo a morderle; per questo motivo le vendite non andarono bene e dopo quell’anno non vennero più riproposte; ma a lui piacevano lo stesso e Sirius gliene aveva regalate due confezioni come regalo di compleanno in ritardo.

Si porta una mano tremante alla bocca, rendendosi pienamente conto di quanto sia vero che in ogni frase, in ogni gesto, in ogni pensiero di Sirius Remus sia il centro.

Lo guarda mentre continua a scavare tra le tasche e poi, finalmente, tira fuori i pugni chiusi e glieli porge. “Ecco! Ecco, dammi la mano! Attento che volano via!”

Il licantropo allunga una mano e quando quelle di Sirius si aprono, nulla cade nel suo palmo, solo aria.

“Le hai viste, Remus? Le hai viste? Stanno volando via! Le vedi?” Sirius si agita guardandosi intorno, sventolando le mani per acchiappare le sue farfalle invisibili.

E allora Remus lo abbraccia, stringendolo talmente forte che per un attimo l’altro grida; lo culla, tranquillizzandolo, e Sirius si abbandona contro di lui, chiudendo gli occhi.

Non è sollevato, non prova dolore, non spera.

Ma sente la buca nel petto farsi meno profonda perché ogni respiro, ogni gesto, ogni pensiero è per Sirius.

“Le vedo, Sirius. Le vedo.”



Fine


Sopravvissuti? Bene :D siete stati coraggiosi, quindi meritato un biscottino ♥*offre i biscottini ai poveri lettori*

PRIMA CLASSIFICATA:

Chu, “Chasing butterflies”



GRAMMATICA E CORRETTEZZA FORMALE: 8,5
PARTICOLARITA' STILISTICA E RICCHEZZA LESSICALE: 8,25
CREDIBILITA' E CARATTERIZZAZIONE: 10
ORIGINALITA' E PERSONALIZZAZIONE: 9,5
GRADIMENTO PERSONALE: 9,5


TOTALE: 45,75




Splendida. Le parole per descrivere questa fan fiction sono – a ragione – molte, ma ve n’è una più appropriata di altre: toccante. Toccante, commovente, a dir poco emozionante. C’è poi un elemento caratteristico di questa storia che certifica il tuo innegabile talento e soprattutto la tua ottima prova d’autore: fa male. Fa male da morire, di quel dolore di qualità che s’incunea nel lettore prima ancora che quest’ultimo possa accorgersene, senza strani espedienti o carte false.
Il dramma traspare quasi da ogni riga, ma non è palpabile. C’è, aleggia tra una parola e l’altra, ma non aggredisce il lettore come i flutti inarrestabili di un bacino dopo il crollo di una diga: è un rivolo lento, a malapena un torrentello, che inietta il terreno di tristezza mista ad angoscia, eppure non schiaccia un singolo filo d’erba.
Sarebbe stato semplice sfruttare la stessa, medesima trama e ridurre il lettore in ginocchio al primo paragrafo: ti sarebbe bastato calcare un poco la mano su alcuni pulsanti, trasformare la triste rassegnazione in sofferenza piena e consapevole, e ci avresti avute stese a terra, pressate sotto il peso di una vicenda così complessa da mozzare il respiro.
Ma no, tu hai preferito lasciare trasparire la dolcezza prima del dolore, permeare l’atmosfera di una fragranza dolce e domestica prima di stendere sul tutto un nuvolone di pioggia dal quale fare emergere – dopo un improvviso e devastante acquazzone – un limpido arcobaleno. E così facendo la trama assume tutto un altro spessore: invece di presentare al lettore il cuore della noce, magari eccessivamente frantumato a causa degli urti tra un tegame e l’altro sul ripiano della cucina, hai optato per servire in tavola le noci ancora corazzate, protette dal proprio guscio, senza accompagnarle né con un utensile appostito né con un bicchiere. Perché certi gusci vanno rotti con le mani, senza troppa foga – non ci si vuole certo ferire i palmi – così che alla fine ci si ritrovi tra le dita non solo la polpa della storia, ma anche i frantumi di quanto la racchiudeva con tanta premura.
Utilizzi uno stile semplice, anche se a volte l’eccessiva semplicità pare danneggiarti più che giocare a tuo favore. Abbiamo colto soprattutto una particolare flessione del lessico a seconda del personaggio con il quale Remus interagisce: quando si approccia con Sirius il registro si abbassa, iniziano a comparire espressioni come “fa uguale”, “facendo un sorriso”, come se in qualche modo gli occhi di Remus vedessero il mondo in pochi e più netti colori in presenza dell’amico/ex compagno. Tuttavia, nell’arco dello stesso paragrafo, compaiono anche verbi come “vacillare”, “biasimare”, tipici di un gergo più raffinato.
Durante la conversazione con Severus, invece, il tono della narrazione si alza, diviene più maturo.
Ci è sembrato di cogliere una certa intenzionalità in questa sommaria elasticità del registro, eppure non abbiamo potuto fare a meno di notare che, pur essendo presente, talvolta l’inflessione non è netta, dunque non si può dire che la volontarietà sia, in sé, in grado di sanare del tutto alcune incongruenze.
Nonostante ciò, lo stile rimane molto buono, coinvolgente, efficace e appassionante, pur rimanendo il lessico abbastanza elementare.
Il punteggio della correttezza grammaticale si abbassa per una serie di sviste di varia rilevanza:
* la ripetizione del termine “piccolo” (“Piccolo, ma almeno non deve…” – “Con Harry ancora piccolo sarebbe stato…”);
* un congiuntivo errato (“Non ha ancora capito, però, se lo faccia perché… o se lo fa perché lo vuole.”);
* un uso parzialmente improprio della punteggiatura nei dialoghi (““Lo so.” Gli risponde l’altro.” La forma corretta sarebbe: ““Lo so,” gli risponde l’altro.””)

La caratterizzazione, unitamente all’originalità, è senza ombra di dubbio il tuo cavallo di battaglia.
Non abbiamo NULLA da eccepire in merito all’approfondimento psicologico dei personaggi: sono così dolorosamente tangibili, nelle proprie sfaccettature e nella propria imperfetta umanità, da sembrare frutto di esperienza vissuta.
La follia di Sirius è gestita splendidamente: non è semplice trattare con una simile menomazione senza banalizzarla o distorcerne le cause o gli effetti. Non c’è nulla, in bocca a questo Sirius bambino e innocente, che non appaia in tutta la propria ricercatezza, frutto di un’evidente riflessione.

“Dov’è James? E il cioccolato per Remus? Lo sai che non le mangia senza! A lui piacciono così, lo sai.”
“Sirius.”
“Non c’è il cioccolato!”


Oppure, ancora:

“Ti sei fatto male?”
“È caduto.”
“Lo so.”
“È caduto.”
“Lo so, Sirius.”
“Sei arrabbiato?”
“No, ma devo pulire.” “Sirius, lasciami, devo pulire.”
“Sei arrabbiato con me.”
[…]
“Hai detto che lo sei. Hai detto che lo sei, ti ho sentito.”
“L’ho detto, ma non è vero. Era una bugia.”
“Le bugie non si dicono…”
“Lo so, mi dispiace. Mi perdoni?”
“Certo che sì. Certo.”


Questi dialoghi, da soli, sono in grado di far salire le lacrime agli occhi. Da soli.
Un’introspezione perfetta, un’interpretazione impeccabile della psiche e delle reazioni dell’animo umano di fronte alle difficoltà.

“Si accascia su una panchina, tenendosi la mano stretta sul cuore; lo sguardo vaga a terra, cercando di capire di che cosa si tratti, mentre gli si aprono davanti agli occhi prospettive che gli parlano di ritornare a vivere, di non avere più responsabilità.
Si lascia per un attimo cullare da quelle fantasticherie, prima di realizzare che quello che ha sentito era sollievo.
Sollievo per aver perso Sirius; sollievo per non doversi più preoccupare di quello che potrebbe fare. Sollievo.”


Splendido, semplicemente splendido. L’apoteosi dell’imperfezione.
Tanta sensibilità, tanta delicatezza, non poteva che meritare il primo posto di questa classifica.
È facile indurre al pianto tramite la disperazione più cupa e più nera. Molto più difficile è farlo attraverso la dolcezza.

Complimenti, dal profondo del cuore.
  
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