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Autore: Doralice    31/05/2011    8 recensioni
Perché certi numeri contano quando non c'è nient'altro a cui aggrapparsi.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Grace Van Pelt, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Forty-two Tiles


Tre i mesi di sospensione, sette gli interrogatori, zero le telefonate, due le chiamate a deporre in aula, centottantadue le notti insonni, uno l'incubo giornaliero che devi vivere da più di due settimane, quarantadue le mattonelle che stanno tra l'ascensore e la tua scrivania.

Non ci facciamo mancare niente, qui.

Cammini per i corridoi del CBI con passo sicuro. Riconosci ogni piastrella del pavimento, ogni trave del soffitto, ogni riflesso delle vetrate. Ogni testa che si volta a guardarti. Ogni sguardo. Ogni smorfia. Ogni voce.

Ogni collega che ti crocifigge sul posto, puntuale. Un rito mattutino cui ti trovi a sottostare senza fare una piega.

Ne conosci tutti i nomi. Hai fatto la scuola d'addestramento con alcuni di loro, con altri hai condiviso il dramma di pranzare con sandwich di dubbia natura, ci hai trascorso infinite e pallosissime nottate di appostamento, hai contribuito alla spesa per le loro pacchiane torte di compleanno.

Ci hai vissuto con loro, sei una di loro. Ripetitelo, avanti, 'ché fa sempre bene.

Sono una di loro.

Tre mesi di sospensione non tolgono valore al tuo distintivo. Sette interrogatori non fanno di te una criminale. Deporre in aula è un sacrosanto diritto e dovere di ogni onesto cittadino dei gloriosi Stati Uniti d'America. Dopo centottantadue notti a guardare il soffitto e ripeterti questa litania, dovresti esserti convinta.

O forse ti crea qualche problema il silenzio? Come “quale”? Dai, hai capito.

Il silenzio del tuo cellulare in quasi quattro mesi. Il silenzio dei tuoi familiari quando hai dato loro la notizia. Il silenzio che si crea quando entri in una stanza. Il silenzio che piomba tra te e la tua squadra un po' troppo spesso, ultimamente.

Il silenzio che hai dentro e che ti accompagna sempre, discreto. Sfrigola muto, come il rumore bianco della tv non sintonizzata.

Vorresti essere la Hightower. Per lo meno lei ha qualcuno da proteggere – l'idea di dover proteggere qualcuno, un'idea a cui aggrapparsi. Qualcosa che riempia quel silenzio immane.

Tutto, pur di colmare un vuoto pronto a riempirsi di melma auto-indotta. Ma non sei in grado e fattene una ragione, che è meglio.

Tanto sei già consapevole che stanotte sarà la centottantatreesima notte insonne. Sei già consapevole che quel lugubre silenzio persecutorio ti farà da gentile chaperon ancora a lungo – non sia mai che la tua coscienza abbia un momento di tregua. Sei già consapevole che il distintivo non smetterà presto di bruciarti sul petto come un marchio d'infamia, come la Lettera Scarlatta di puritana memoria.

Altrimenti non avresti una gran voglia contare ancora una volta le mattonelle che dividono l'ascensore dalla tua scrivania, piuttosto che soccombere sotto il fuoco incrociato degli sguardi dei tuoi colleghi. Il tuo personale cammino di redenzione giornaliero.

...trentanove, quaranta, quarantuno, quarantadue.

Appendi la giacca, siediti, accendi il computer. Forse oggi ti lasceranno in ufficio e potrai fissare i pixel del monitor con la riconoscenza che si riserva ad un vecchio amico che non ti giudica. Forse ti risparmieranno il disagio di viaggi in auto con una compagnia che apre bocca solo per disquisire sul tempo o commentare l'ultima partita dei Oakland Raiders.

O forse no.

Van Pelt. –

Sì, capo? –

Riordina i fogli sul tavolo, brava. Ogni scusa è buona per non guardarla in faccia.

Oggi andiamo a trovare Jane. –

I tuoi occhi saettano da Lisbon al computer. Vorresti farti risucchiare da una delle porte USB e scomparire nei circuiti del world wide web come in Tron – prima o poi troverai il modo.

Quando Cho e Rigsby si fanno avanti, capisci di non avere alcuna via di fuga. Annuisci, riprendi la tua giacca e li segui mesta.

Troppo impegnata nel solito conteggio delle mattonelle, non ti accorgi che ti hanno fatto circolo. Così come non fai caso alle occhiatacce che Rigsby lancia ai colleghi che incrociate nei corridoi. Non noti Cho fissare con gelido ammonimento un'agente che, appena uscita dal cucinino, ti ha rivolto una smorfia. E a malapena ti rendi conto di quello che ha appena detto Teresa al tizio uscito dall'ascensore.

Problemi, signore? –

Segui la scena come fossi dentro una bolla, incapace di comprendere che in realtà la vera protagonista sei tu.

Il tuo capo ha una mano sul fianco, molto vicina alla pistola d'ordinanza. Il signore in questione è quel gran simpaticone di Ardiles. E lo scambio di sguardi e il silenzio teso fanno molto Mezzogiorno di fuoco.

Lui non pare scomporsi, ma pensa bene di allontanarsi. Senza però esimersi dal dare una spallata a Rigsby. E Wayne, che è buono ma non scemo, risponde con un gancio destro: la faccia di Ardiles si accartoccia contro il suo pugno.

Di risse ne hai viste, e parecchie anche, ma nessuna scoppiata dal nulla.

Ardile si allontana con il naso rotto e l'orgoglio ferito. Nel frattempo il CBI si è trasformato nel set di una soap-opera: tutti mormorano tra di loro e nessuno osa avvicinarsi a voi.

Qualcun altro ha dei problemi? – chiede Lisbon a voce alta.

La gente si mantiene a distanza e smette di mormorare.

Il tuo capo annuisce: – Bene. –

Devi ancora capire esattamente che diavolo è successo, quando ti ritrovi nell'ascensore assieme a loro. E in tutto questo ti viene da dire solo una cosa.

Grazie. –

Lo dici con la voce un po' scema di chi si è reso conto all'improvviso di una verità lapalissiana.

Cho scrolla le spalle, Rigsby si gratta il naso con un dito, Lisbon t'invita a salire in auto con lei.

Ti allacci la cintura: – Quanto hanno fatto gli Oakland? –

Non lo so, ma con la pioggia che tirava saranno stati tutti incazzati. –

Vi scambiate un sorrisetto mentre mette in moto.

Quante erano le mattonelle da...? Oh, ma chi cazzo se ne frega!

   
 
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