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Autore: Stephen Nowhere    31/05/2011    1 recensioni
Nessuno è senza peccato.
Un assassino scava nel passato dei più celebri cittadini newyorchesi, infliggendo loro le pene dell'Inferno Dantesco.
Chiamato dal dovere, il tenente Seymour O'Connor scaverà fin alle fondamenta di una New York densa di rancore e conti in sospeso mai saldati.
Genere: Mistero, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I.

Javier Ramirez Martin aprì lentamente gli occhi. Impiegò qualche istante per mettere a fuoco il luogo in cui si trovava. Quando ricordò tutto, i suoi sensi, ovattati dal cloroformio, conobbero scintille di paura.
   Si accorse di essere sdraiato sul pavimento di un vecchio capannone, probabilmente abbandonato. Aveva voglia di fuggire a gambe levate da quel posto, ma aveva gli arti immobilizzati da lunghe strisce di nastro adesivo, così come lo era la bocca. Percepì il calore delle lacrime scivolare lungo le guance e in quel momento si rese conto di quanto fosse patetico.
   Martin era un ricco industriale argentino di Buenos Aires, detto el Gordo perché divorava, in termini economici, tutto ciò che poteva. Era un uomo sulla cinquantina che nel corso della sua carriera aveva rilevato un'industria dopo l'altra, curandosi solo dei propri interessi. Era volato a New York per un viaggio d'affari e sarebbe tornato nella soleggiata Buenos Aires entro due giorni.
   Ma qualcosa andò storto.
   Un ricordo emerse gradualmente dalla sua memoria. Si trovava nell'atrio di un lussuoso palazzo nelle vicinanze di Central Park, un sorriso soddisfatto stampato sul volto. Era stata una giornata molto redditizia e aveva intenzione di festeggiare. Sarebbe tornato nel suo lussuoso Hotel, e approfittando della solitudine della camera, si sarebbe sniffato una striscia di coca. Dopo di che, travolto dall'euforia artificiale, avrebbe contattato una di quelle puttanelle d' alto bordo.
   Tutto ciò non sarebbe mai accaduto.
   Proprio quando era in procinto d'abbandonare il palazzo, un uomo lo prese alle spalle, immobilizzandolo. Quel che vide fu una mano guantata premergli un fazzoletto sul viso. Il cloroformio fece effetto dopo pochi istanti e il Gordo fu inghiottito dalle tenebre dell'incoscienza.
   I ricordi si interruppero, sfumati da una coppia di mocassini pestati sul cemento.
   Alzò lo sguardo. Si trovò a fissare la canna di una pistola puntata davanti ai suoi occhi. Gli ultimi istanti della vita di Javier Ramirez Martìn coincisero con il lento calare di un grilletto e con la sorda esplosione di un proiettile.


II.

Il telefono squillò nel cuore della notte.
   Seymour O' Connor cercò a tastoni il cordless sul comodino, maledicendo l'uomo dall'altra parte della cornetta.
   “Pronto”, mugugnò con la voce impastata dal sonno.
   “Tenente, sono Duncan, è un'emergenza! Mi raggiunga di corsa a Central Park.”
   O' Connor si passò una mano sul viso, tentando di riprendersi dalla stanchezza.
   “Di cosa stai parlando?”
   La voce dell'altro salì di un'ottava per l'agitazione: “I giornalisti ci andranno a nozze, fottuti avvoltoi.”
   Seymour sbuffò spazientito: “Taglia corto! Dimmi che cazzo è successo.”
   Udì Duncan, dall'altra parte del filo, prendere un profondo respiro per tranquillizzarsi.
   “Le anticipo solo che hanno ammazzato un pezzo grosso. Il nome Javier Ramirez Martìn le dice niente?”
   Il tenente inarcò un sopracciglio: “Intendi il magnate?”
   “Esattamente. L'ha trovato un vecchio ubriacone che passeggiava per il parco.”
   Duncan fece una piccola pausa, dietro la quale si celavano centinaia di parole non dette.
   “C'è dell'altro ma deve vederlo di persona”, aggiunse infine, come conferma ai dubbi del tenente.
   Conclusa la telefonata, O' Connor inveì un'ultima volta contro il telefono e prese a vestirsi rapidamente. Uscì di casa che erano le due di notte, avvolto nell'impermeabile di pelle scura.
   Le luci della Grande Mela lo accecarono per un istante.
   Montò sulla sua Kawasaky e diede gas. Giunto a destinazione, trovò Central Park in fermento, le transenne blu bloccare una delle entrate. Uno spettacolo riservato a pochi, pensò Seymour. Era sicuro che il distintivo gli avrebbe garantito un posto in prima fila.
   Duncan gli corse in contro. Era un giovane sui vent'anni, il fisico esile ed i capelli biondi spettinati dal vento che soffiava quella notte.
   “Mi segua. Al momento l'uomo che ha trovato il cadavere è sotto interrogatorio.”
   Il tenente lo seguì. Giunti sul luogo del delitto, una goccia di sudore gelido come ghiaccio gli imperlò la fronte.
   Javier Martin era un uomo basso ed abbronzato, i capelli brizzolati ed il naso aquilino. Al momento giaceva a pancia in giù su un prato.
   “Si avvicini alla vittima”, lo invitò Duncan.
   O' Connor obbedì.
   “Cazzo...!”, esclamò stupito.
   Il poveraccio aveva la mascella rotta, in modo tale che la sua bocca risultasse sempre spalancata, immersa nel fango di Central Park. Un altro particolare attirò l'attenzione del tenente: la vittima stringeva un pezzo di carta nel pugno della mano destra.
   Lo prese e lesse ad alta voce:

Amor, ch'a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte
che, come vedi, ancor non m'abbandona

Duncan corrugò la fronte con aria interrogativa.
   “Che diamine è?”
   O' Connor rimase in silenzio, sentendosi come un cacciatore pronto a stanare la propria preda. Era cosciente del fatto che molto probabilmente stesse per cominciare la più importante battuta di caccia della sua vita.
   Sorrise amaramente verso Duncan, che non colse lo scintillio negli occhi del collega.
   “Non credevo che agli psicopatici piacessero questo genere di cose: è una terzina della Divina Commedia.”
  
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