Titolo: Poi
ritorna nel mare Note: Sì!
E' un'altra what if con l'ormai famoso (?) incontro fra lolitrice e
shotabattler di quel video fan made molto bello Disclaimer: Santa
Beato da Rokkenjima e quell'idiota adorabile di Battler non mi
appartengono in alcun modo!
Personaggi: Battler,
Beatrice.
Pairing: BatoBea.
Rating: Verde.
Genere: missing
moment, angst, fluff.
Avvertimenti: One-shot.e deprimente!
Come al
solito, leggete e fatemi sapere se fa troppo schifo/devo piantarla di
scrivere su ciò.
Poi
ritorna nel mare
Sotto
quel caldo sole primaverile le loro risa risuonavano gioiose e si
perdevano
nella leggera brezza che accarezzava le fronde degli alberi. Sentivano
i
gabbiani piangere in lontananza, mentre sorvolavano l'isola sbattendo
le ali
fiere. E quei pianti, così consolatori e melanconici, si
aggiunsero ai loro
quando si accorsero che presto si sarebbero dovuti separare.
L'avrebbe
lasciata ancora una volta.
Ma
sarebbe tornato il giorno successivo, aveva promesso.
“Domani
tornerò”, aveva sussurrato vicino al suo orecchio,
tenendola per una mano. Era
rimasto fermo a guardarla, gli occhi scuri che sembravano non voler mai
fuggire
dal suo sguardo. Lei lo supplicava senza parlare, stringendo con forza
quelle
dita poco più grandi delle sue. Si sentiva un po' in
imbarazzo, ma quel senso
di tristezza che aveva iniziato a farsi strada in lei era
più grande e
s'impossessò delle sue labbra velocemente.
“...
Non andartene...”, affondò il viso nel suo petto,
stringendo il gilè sporco di
terra su cui si erano sdraiati poco prima. Sapeva di erba e muschio, di
quel
tea nero che lei tanto amava – quando mai aveva iniziato ad
amarlo?
“Tornerò,
lo prometto.”
Quel
sorriso rassicurante, quegli occhi allegri e sinceri.
Lei
indietreggiò appena, le mani strette al petto prima di
alzarle lentamente per
sfregarsi gli occhi e far sparire le lacrime. Singhiozzava
sommessamente,
guardando a terra – e lui in quel momento sentì
una fitta al petto, un fastidio
che non aveva mai provato prima quando s'era dovuto separare da qualche
amico.
Eppure,
anche se il tempo che aveva passato con lei era stato relativamente
poco... già
il doverla guardare mentre lo salutava con gli occhi umidi dal pianto
lo
infastidiva. Non avrebbe voluto lasciarla lì, da sola in
quell'enorme villa di
cui nessuno sapeva l'esistenza. Da sola— ancora intrappolata
da quella
recinzione enorme che teneva il povero e fragile uccellino in gabbia.
“Un
giorno, ti porterò via di qui”, vide la luce
brillare negli occhi di lei, la
stessa luce che li aveva pervasi quando lui aveva attraversato le
spesse sbarre
e l'aveva salutata intimorito.
“Un
giorno ti rapirò e verrai via con me... lasceremo
quest'isola, insieme.”
Le
morbide labbra erano ora inarcate in un sorriso lieve e sincero
nonostante le
lacrime che ancora le rigavano le gote rosee. Sembrava una bambola di
porcellana, piccola, fragile, elegante e bellissima.
E
forse lui se l'era solo immaginata.
Forse
quella ragazzina sola e tanto curiosa in verità non
esisteva; era solo una
parte di sé che aveva bisogno di sentirsi accolto da qualcun
altro. Tanto bella
e triste, eppure piena di speranze al contempo. Gli ricordava un po'
sé stesso,
e fu forse per questo che iniziò a credere che lei non
esistesse veramente, ma
che fosse solo frutto della sua immaginazione. E fu sempre per questo
motivo
che tese il braccio verso di lei, sfiorandole i capelli. Erano morbidi
al
tatto, li sentiva scivolare fra le dita.
Lei
era lì. Era vera.
Non
se l'era immaginata.
“Ti
rapirò...”, ripeté sottovoce,
allontanandosi un passo alla volta verso il fitto
degli alberi, “... e staremo insieme per sempre.”
Poche
falcate, e già era lontano da quella villa che in
verità non aveva mai
lasciato.
“E'
una promessa?”
La
voce sottile e lieve di lei lo raggiunse anche da lontano, sfiorandogli
l'orecchio dolcemente.
“Ceeertooo!”,
urlò la sua risposta, sperando che il vento la consegnasse a
lei come una
tenera carezza.
Vederla
sorridere era tutto ciò che desiderava.
Le
arruffò i capelli e rise con lei quando caddero a terra
insieme, sotto l'ombra
dell'albero che li aveva protetti anche il giorno prima. Il sole non li
raggiungeva lì e non poteva illuminare gli splendidi capelli
color del miele di
lei. Ma forse il sole era solo geloso di quanto fosse radiosa e si
nascondeva
fra le foglie per non impallidire alla vista di quel viso dai tratti
delicati,
dolci.
“Quando
mi rapirai...”, non lo guardava quando aprì bocca,
“come fuggiremo da qui?”
“A
nuoto, ovvio! Con una barca si accorgerebbero... e poi le barche non
sono
sicure, se cadi affoghi.”
“Barca?”,
sul volto aveva dipinta l'espressione più buffa e sincera
che lui avesse mai
visto.
“Mh...
è come una macchina – te ne ho parlato ieri,
ricordi?”, iniziò a gesticolare,
sperando che lei capisse, “sono degli aggeggi infernali che
vanno sull'acqua.”
“Ma...
hai detto che se cadi da questa barca affoghi, a nuotare non potrebbe
succedere
la stessa cosa?”
“Ricorda:
le barche, le automobili e gli aerei sono
spaventosi e vanno evitati il
più possibile! Raggiungono velocità esagerate e
se dici di aver paura la gente
ti prenderà in giro!”
Sul
volto di lei scomparve improvvisamente il sorriso, che venne sostituito
da
un'espressione che poteva sembrare indifferente ma, lui lo sapeva, era
d'agonia.
“Le
persone fuori da questo recinto sono così cattive?”
“N-no,
non tutte! Lo fanno per ridere e scherzare. Ogni tanto capita di usare
delle
parole, mh... esagerate, sbagliate, ma lo si fa in buona fede! Non
sempre
s'intende ciò che si dice...”
Smisero
di parlare, entrambi assorti in pensieri differenti. Le loro mani
intrecciate
si strinsero appena, palmo contro palmo e le dita che quasi graffiavano
la
pelle dell'altro. Un dolore lieve, sopportabile, che lui
trovò anche quasi
piacevole. Gli piaceva sentire quelle dita poco più piccole
delle sue sulla sua
pelle. Sentirla così vicina, vederla respirare al suo fianco
per qualche
ragione lo rassicurava e lo faceva sentire felice.
Voleva
portarla via di lì, portala con sé quando sarebbe
dovuto andarsene.
Voleva
vederla più spesso, poterle parlare – o anche solo
stare accanto – più spesso.
Adorava
stare in sua compagnia.
“Ti
dispiacerebbe andartene da qui?”
Le
pose quella domanda a bruciapelo, continuando ad osservare il cielo fra
le
foglie dell'albero sotto cui si erano rifugiati. Per un attimo temette
di
ricevere una risposta che non si sarebbe aspettato e... e se avesse
dovuto
abbandonare l'idea di tornare a prenderla un giorno? Non voleva
lasciarla lì,
non in quel luogo da sola... Non in un posto dove non poteva vederla e
parlarle. Non così lontana...
“No.”
Con
la mano sinistra giocava con gli orli dell'abito, fissando l'erba a
terra come
rapita. Aveva un'espressione dolce in volto, calma e rilassata
– l'esatto
opposto di ciò che gli era parsa quando era sbucato la prima
volta fra gli
alberi ed aveva superato quella barriera che la
separava dal mondo che
tanto avrebbe voluto conoscere e vedere. Un desiderio il suo che aveva
espresso
più volte in silenzio, parlando senza usare alcuna parola.
Un desiderio che lui
avrebbe voluto avverare non appena avesse potuto.
“Non
voglio più... vivere rinchiusa qua dentro. Voglio vedere il
mondo.”
Una
tristezza velata permeava quelle parole, insieme ad un'ansia difficile
da
percepire ma che, inevitabilmente ed irrimediabilmente, era presente.
“Quindi...
portami via, va bene?”
“Lo
farò. Ti trascinerò via con me, anche se tu
cambiassi idea.”
La
sentì ride appena, e gli s'incresparono le labbra in un
sorriso.
“E
se
mi buttassi in mare?”
“Ti
seguirei.”
“Potresti
annegare.”
“E
allora?”
Sorriso
beffardo in volto, la guardò sperando di infonderle
sicurezza, di farle capire
che non l'avrebbe mai più lasciata sola. Non c'era
più tristezza negli occhi di
lei, ma solo preoccupazione mista a gratitudine ora.
“Sc-sciocco...”,
fu la sua unica risposta prima di mettere il broncio.
Lui
rise, seguito poco dopo dalla voce allegra e cristallina di lei.
Una
risata così limpida e dolce, un suono che avrebbe volentieri
ascoltato a lungo
cullato da quella brezza leggera che proveniva dal mare così
vicino.
“Ho
portato... qualche libro nuovo, ti va di leggere qualcosa?”
E,
facendo forza sui piedi, si alzò da terra ed
aiutò lei a fare lo stesso.
Le
sorrise ancora una volta, chiudendo gli occhi e mostrandole la lingua e
poi,
senza preavviso e senza alcuna motivazione, si mise a correre verso il
gazebo
in centro al giardino.
“E-ehi!
Aspettami!”
Qualche
passo sbadato, inciampando nel suo stesso abito.
Lui
era lontano, davanti a lei. La guardava, agitando una mano e
continuando a
sorridere.
“A-aspettami!
Non correre così velocemente!”
Il
tempo di sbattere le palpebre e quel mondo di luce sparì da
davanti i suoi
occhi, inghiottito dalle tenebre del mare. L'acqua fredda si
insinuò in lei
velocemente e presto respirare divenne difficile, chiudere gli occhi
sembrò
così semplice... la cosa giusta da fare e per la quale il
suo corpo la pregava.
Strinse
l'oggetto che ancora aveva fra le mani contro il petto e chiuse gli
occhi
abbandonandosi a quell'acqua gelida che le bloccava il respiro. L'abito
ora
ingombrante le fasciava il corpo con forza; non sarebbe potuta scappare
da quel
fato. Era stata lei a decidere di gettare via la sua vita ed ora non
sarebbe
stata in grado di cambiare idea e tornare sulla barca che in superficie
la
stava ancora aspettando.
Qualche
lacrima lasciò i suoi occhi in quel momento e quel pianto
silenzioso si perse
nelle ombre del mare, circondato dal vuoto in cui presto sarebbe
precipitata e
scomparsa.
E
poi, cogliendola di sorpresa, due braccia l'avvolsero e la strinsero.
Sapeva che era lui e lo tirò a sé con quanta
forza le fosse rimasta in corpo.
Rise,
quando altre lacrime salate lasciarono i suoi occhi inevitabilmente.
“Che
sciocco...”