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Autore: Nenredhel    02/06/2011    2 recensioni
Dean è un umano, Castiel un elfo immortale, non potrebbero essere più diversi ma la vita li ha uniti con un affetto che vorrebbe andare oltre le soglie del tempo. Ma capire ed accettare un sentimento simile, può essere una prova assai ardua.
Il Signore degli Anelli!AU Elf!Cas/Wanderer!Dean
Genere: Fantasy, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Gabriel, Jo, John Winchester, Sam Winchester
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Middle Earth'
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Titolo: All that is gold does not glitter
Autore: Nenredhel
Fandom: Il Signore degli Anelli/Supernatural
Pairing: Terra di Mezzo!AU - elf!Castiel/wanderer!Dean, elf!Gabriel, elf!Balthazar, king!John, half-elf!Sam, half-elf!Lisa
Rating: Pg13
Chapter: 1/2
Beta:Geneviev
Words: 6605
Note: Spin off, o meglio prequel di “Not all those who wanders are lost

 

Manen Vilya an Thuio (Come l’Aria che Respiri)

 

Gli interminabili, e in molti casi tortuosi, corridoi di Imladris sembravano risplendere del chiarore del sole mattutino, che filtrava dalle migliaia di finestre che rendevano le mura del palazzo niente più che poche, indispensabili, strutture di sostegno. In ogni singolo angolo, la luce e il verde rigoglioso della valle e delle sue creature filtravano all’interno della dimora di sire John, avvolgendola in un abbraccio di splendore. Dean si muoveva velocemente tra quei corridoi: i capelli ancora arruffati dal giaciglio appena abbandonato; un’abbondante maglia di fine cotone rosso, i cui lacci pendenti ed abbandonati lasciavano scoperta una larga parte del suo giovane petto glabro, e che non sapeva certo rendere più eleganti i semplici pantaloni marroni che indossava; mentre i piedi lasciati nudi rendevano silenziosi i suoi rapidi passi.

Gli occhi verdi del giovane uomo scattavano velocemente da un lato all’altro dei vari corridoi che incrociava, nel chiaro tentativo di trovare qualcosa, mentre si districava con sicurezza fra porte e sale, svoltando a destra o a sinistra come se sapesse esattamente dove si stava dirigendo, o stesse semplicemente girando a vuoto il più velocemente possibile. Solo quando si scontrò con un giovane Elfo che trasportava un grosso vassoio colmo di vivande, il ragazzo si fermò, osservando il cibo come se gli avesse appena comunicato una profonda rivelazione, e quindi riprese la sua marcia, quasi rompendo in una corsa, con un sorriso sicuro sul volto.

Gran Burrone poteva sembrare un labirinto fin troppo complicato, per essere un semplice palazzo: la sua miriade di corridoi e sale erano cresciute insieme al paesaggio e alla vegetazione che dominava, spuntando come nuove foglie e fiori sul nucleo originale della casa di Sire John, secondo le esigenze del suo padrone. Ma Dean, dopo più di 20 anni che viveva (e correva) fra i quei corridoi, li conosceva bene quasi quanto i solchi sulla propria mano.

Non appena raggiunse la porta senza battenti della sala, dove normalmente Sire John consumava i suoi pasti insieme alla sua famiglia e a pochi amici, Dean si bloccò finalmente, fermandosi sull’uscio ad osservare i presenti, con il petto leggermente affannato dalla marcia.

Suilannen Dean (Buongiorno Dean)” lo salutò il signore di Imladris, con un sorriso tra il sorpreso e il divertito, inarcando le sopracciglia nello squadrare l’abbigliamento del suo protetto.

“Eri così affamato da correre fino qui? E senza neppure vestirti?” scherzò Sam che, seduto di fianco al padre, aveva alzato la testa velocemente quanto lui nel sentire l’inconfondibile passo pesante del fratello adottivo, e ora stava indirizzando uno sguardo perplesso ai suoi pantaloni allacciati solo a metà, e alla molto poco elegante maglia, che gli pendeva sgraziatamente da una spalla.

Dean abbassò lo sguardo su se stesso e inarcò le sopracciglia in un’espressione ‘eh-in-effetti’ che suscitò una risata nel fratello adottivo. Non aveva nemmeno indossato gli stivali, si rese conto, e improvvisamente si ritrovò a porre un piede nudo sopra l’altro, come se questo potesse in qualche modo nascondere il suo aspetto disastroso.

“No… io” il ragazzo ricominciò a scrutare la lunga tavola semideserta, senza più badare al proprio abbigliamento ma tornando a concentrarsi sul suo obiettivo principale: Sire John era seduto a capotavola, al suo fianco c’era Sam e dall’altro lato, leggermente discosti, Balthazar e Gabriel, i due figli del signore di Bosco Atro, che da qualche tempo erano ospiti a Gran Burrone.

La sedia accanto a Sam, che apparteneva a dama Lisa, era vuota, ma questo non stupì per niente il ragazzo, che invece emise uno sbuffo infastidito quando notò che anche il posto normalmente occupato dalla persona che stava cercando era vacante.

“Io stavo cercando…” rispose infine, il fiato ormai tornato praticamente alla normalità, ma Gabriel lo interruppe, in un gesto quantomeno scortese, che si guadagnò un’occhiata di biasimo dal padrone di casa.

“Il mio caro fratellino… ovviamente. Si direbbe che non riesci a muovere un passo, senza che lui ti tenga la manina” lo canzonò con una mezza risata, salvo poi indirizzare un distratto cenno del capo, che avrebbe dovuto passare per una richiesta di scuse, a John.

Dean rivolse ai due fratelli un’occhiata di fuoco, strinse i pugni e aprì la bocca per rispondere a tono, ma Sam si alzò improvvisamente, richiamando tutta l’attenzione con le sue imponenti dimensioni e impedendogli di dire qualcosa di più rude di quanto sarebbe stato tollerabile.

“Credo che Castiel sia uscito per una passeggiata” spiegò, indicando con un cenno della mano le grosse finestre che coprivano la parete dietro di lui “Ma fermati a fare colazione prima di raggiungerlo…” lo tentò Sam, prendendo in mano un morbido panino bianco e facendo il gesto di offrirglielo.

Il giovane uomo sentì il proprio stomaco ruggire come una belva feroce, e d’altronde sapeva bene che Sam stava cercando di salvarlo dall’ennesima figuraccia, in quel modo: irrompere in una stanza dove erano presenti non una, ma ben due linee di sangue reale, fare una domanda e quindi fuggire senza dire altro sarebbe stato quasi un affronto. Ma Dean non era per nulla nuovo a gesti di quel tipo, inoltre non era un Elfo e, nel suo modo di vedere le cose, questo lo rendeva molto meno vincolato alle loro rigide e assurde regole di etichetta.

“Dopo, sicuramente dopo, Sam” esclamò, allargando sul volto un sorriso radioso e strizzandogli rapidamente l’occhio in un ringraziamento muto mentre si dirigeva con passo deciso verso di lui, afferrava il panino che gli aveva simbolicamente teso e quindi lo superava senza aggiungere altro, semplicemente voltandosi per inchinarsi rapidamente in un gesto di congedo dei presenti, prima di oltre passare una delle grandi portafinestra della sala, attraversando il terrazzo e scavalcando il parapetto con un unico balzo atletico, per scomparire nei giardini sottostanti.

 

~~~

 

Il sole del mattino accendeva ogni cosa di colori brillanti, e faceva sembrare ogni singola foglia degli alberi della valle di Imladris come una piccola gemma, più preziosa di qualsiasi gioiello mai incastonato sulle corone degli uomini. Era primavera, e quello era sempre il periodo migliore dell’anno per passeggiare nei suoi prati e piccoli boschi. L’acqua dei fiumi sembrava voler mostrare nel suo intenso colore azzurro chiaro il gelo che aveva strappato dai ghiacciai stessi delle Montagne Nebbiose, mentre gli alberi sembravano fare a gara a chi sarebbe esploso per primo dei colori più accesi.

Dean era cresciuto giocando in quei boschi. Aveva visto mille volte lo splendore dorato dell’autunno, così come la vita rigogliosa che esplodeva in primavera, e non era certo il tipo da trovare piacere nel fermarsi ad adorare i colori di un bel quadro, eppure ogni volta l’esplodere di vita delle creature di Gran Burrone riusciva a lasciarlo a bocca aperta. Stavolta, però, era troppo impegnato a cercare di tirarsi fuori una grossa scheggia da un piede, imprecando e maledicendo a mezza voce il nome di ogni Vala che gli occorreva alla mente, per avere il tempo di notare lo splendore dell’albero sotto il quale si era accucciato, con un piede tra le mani e quasi davanti alla faccia.

Come sempre, malgrado lo conoscesse da anni e ogni volta giurasse che non sarebbe più riuscito a prenderlo alla sprovvista, Dean non sentì l’Elfo avvicinarsi, e intento com’era a compiangere il suo povero piede malandato, non si accorse della sua presenza finché non fu lui ad apostrofarlo.

Man agoreg si, Dean? (Cosa hai combinato stavolta, Dean?)” gli chiese, appoggiato ad un albero alla sua destra, con le sopracciglia inarcate e un sorriso divertito, ma solo accennato, sul volto.

Il giovane sollevò la testa dal suo piede ferito e lanciò un’occhiataccia all’Elfo, che gli si era rivolto esattamente con la stessa voce che usava sempre quando era ancora un bambino e lui stava per ammonirlo per l’ennesima marachella. Non lo aveva mai veramente sgridato, eppure riusciva ogni volta a farlo sentire molto più in colpa di chiunque altro, con quel suo sorriso gentile. Restò a guardarlo in tralice per alcuni secondi: aveva addosso una leggera e morbida tunica verde chiaro, che lo faceva sembrare solo un altro germoglio in mezzo alla foresta, le maniche leggermente svasate, il collo aperto a v sul petto; anche i suoi piedi erano nudi, ma non sembravano aver riportato il benché minimo danno.

“Mi spieghi come diavolo fate, voi orecchie a punta, ad andare in giro a piedi nudi nei boschi?” domandò scontroso, finendo di estrarre la scheggia con una smorfia di dolore, e quindi iniziando a massaggiarsi il piede “Quella cosa ha praticamente tentato di uccidermi” sbuffò infine, con una certa dose di ironia e un mezzo sorrisetto già di nuovo sulle labbra.

“Pensavo che avessi imparato, finalmente, che Elfi e Uomini sono diversi” sospirò Castiel, staccandosi dal tronco per andare a sedere di fianco a lui “Le ossa degli Elfi sono elastiche e cave. Siamo molto più leggeri di un uomo, e sappiamo muoverci i modo molto più leggero” spiegò distrattamente, mentre puntava gli occhi blu sulla piccola ferita sotto il piede del ragazzo “Credo che sopravvivrai. Ma ovviamente, se vuoi, si può sempre amputare” commentò l’Elfo, e Dean lo guardò stranito, perché era terribilmente raro sentirlo usare del sarcasmo.

“Ehi, per una volta che fai una battuta, devi proprio farla a mio danno?” lo rimbeccò Dean, tirandogli un pugno amichevole sulla spalla e quindi alzandosi, per provare ad appoggiare, titubante, il piede a terra “Perché non usi la tua nuova padronanza dell’ironia con quei simpaticoni dei tuoi fratelli? A proposito, quando se ne vanno?” aggiunse storcendo il naso, ma senza permettere di dedurre se fosse per il dolore al piede o per aver nominato i due Elfi più antipatici della Terra di Mezzo.

“Sono i miei fratelli Dean, e sono fratelli maggiori. Gli dovresti almeno un po’ di rispetto, se non proprio di affetto” lo ammonì di nuovo Castiel, alzandosi a sua volta, ma senza mettere la minima enfasi nelle sue parole. Sapeva perfettamente che si trattava di una causa persa in partenza “In ogni modo, cosa ci facevi nel bosco senza scarpe e mezzo svestito?” continuò, corrugando la fronte ed inclinando appena la testa di lato mentre osservava i vestiti non proprio ordinati del ragazzo.

“Ti cercavo!” esclamò Dean, facendo comparire una gran sorriso mentre si appoggiava, più pesantemente del dovuto, alla spalla dell’amico e iniziava a camminare guardando attentamente dove metteva i piedi.

Castiel si limitò a increspare ancor più le sopracciglia, mentre gli passava un braccio intorno alla vita ed iniziava a camminare con lui, come se l’amico fosse veramente abbastanza ferito da aver bisogno di un supporto.

“Stanotte, o meglio… ieri sera… mi sono dichiarato a Dama Lisa!” annunciò il ragazzo raggiante, alzando finalmente gli occhi verdi dal terreno per incontrare quelli dell’Elfo. Rimase, però, spiazzato da quello che vi trovò.

Aveva creduto che l’amico avrebbe esultato insieme a lui, invece la sua espressione sembrava tanto sorpresa quanto preoccupata, tanto che dopo alcuni secondi di silenzio, Dean stava per ripetere la frase, temendo che l’Elfo non avesse capito bene quello che gli aveva appena detto.

“E lei cosa ha risposto?” domandò infine Castiel, fermandosi sulla cima di un pendio erboso, completamente sgombro di alberi o arbusti, che andava a terminare, solo alcuni metri più in basso, in un vivace torrentello acceso di mille riflessi dal sole mattutino.

Dean allargò ulteriormente il proprio sorriso, e il suo volto assunse un’espressione a metà tra il furbo e il malizioso. Quella era esattamente la domanda che stava aspettando. “Arrivo dalle sue stanze, proprio ora…” disse solamente, lasciando la frase in sospeso e guardando l’amico in attesa dell’ovvia reazione.

Ancora una volta, l’Elfo lo stupì, lasciandosi sfuggire un sospiro che non sembrava avere proprio nulla di felice “Spero che tu sappia quello che stai facendo, Dean” disse dopo altri, lunghi, momenti di silenzio, alzando i brillanti occhi blu per incontrare quelli dell’amico e tornando ad indossare quel sorriso condiscendente che lo faceva tanto sentire un bambino colto a rubare la marmellata.

“Che cosa vuoi dire?” chissà perché, tutta la sua euforia era andata a farsi friggere e un leggero velo di nervosismo stava cercando di impossessarsi dei suoi pensieri. Era sicuro di quello che aveva fatto? Ma certo! E allora perché, ora che lo aveva detto a Castiel, si sentiva come se avesse appena commesso un gigantesco errore.

“Dean…” iniziò Castiel, ma un sospiro interruppe di nuovo la sua voce pacata e dolce come sempre “Gli Elfi sono diversi in molti modi dagli uomini. Lisa non è del tutto un Eldar, e questo potrebbe cambiare le cose, io non posso saperlo, ma…” di nuovo un silenzio, Dean iniziava ad essere tanto esasperato quanto impaurito da quei silenzi “Gli Eldar amano una volta sola, Dean. Quando scelgono un compagno, è per la vita, e questo significa per l’eternità” concluse finalmente, voltandosi del tutto verso di lui per potergli appoggiare una mano sulla spalla.

Dean non gravava più con tutto il suo peso sull’amico: la preoccupazione per ciò che gli stava dicendo gli aveva fatto del tutto dimenticare il piccolo dolore al piede. Certo, lui sapeva queste cose, era cresciuto con gli Elfi e sapeva come funzionavano certe cose tra di loro. Lo aveva saputo anche la sera prima, quando era andato nelle stanze di dama Lisa, e si era sentito tanto sicuro di sé. “Io… la amo” rispose con una breve esitazione. E allora perché in quel momento, mentre fissava il blu profondo di quello sguardo, di fronte a lui, non si sentiva più sicuro di niente.

“E allora va tutto bene, Dean. Ed è una cosa splendida” cercò di rassicurarlo Castiel, stringendo appena la mano sulla spalla e allargando un po’ il proprio sorriso.

“Per i Valar, Cas! Perché non puoi essere un amico normale? Perché non puoi semplicemente rallegrarti, fare festa e saltellare di gioia quando un amico ti annuncia una buona notizia?” protestò Dean sbuffando e prendendo a calci un legnetto, che rotolo velocemente giù per il pendio.

“Vorresti davvero che fossi così?” chiese Castiel, piegando la testa in quel suo modo peculiare, ma senza che il sorriso scomparisse dal suo volto.

“No” rispose subito Dean, allungando una mano per scompigliargli i corti capelli castani, come se fosse lui l’adulto e l’Elfo un bambino “Però quando ero piccolo eri più divertente” aggiunse quindi, corrugando la fronte come se il pensiero lo disturbasse.

“Quando eri piccolo passavi il tempo a giocare con me, per forza ti sembrava tutto più divertente” replicò l’Elfo, togliendo la mano dalla sua spalla ed inarcando le sopracciglia, stupito e un po’ innervosito da quella strana constatazione. Conosceva il ragazzo da abbastanza tempo per riuscire a leggergli in faccia che stava escogitando qualche scherzetto.

“Dovremmo giocare di nuovo” ribatté immediatamente il ragazzo, come se quella fosse stata esattamente la risposta che voleva sentire “Vediamo se riesco a farti giocare, e ridere, di nuovo” esclamò, quindi senza dargli il tempo di ribattere o fare alcunché, afferrò la tunica dell’Elfo sul petto e lo tirò verso di sé mentre si gettava a terra, di lato, iniziando immediatamente a rotolare giù per il pendio.

Dean gli avvolse il busto con le braccia e lo tenne stretto, un po’ perché la sua costituzione magra continuava ad apparirgli fragile, nonostante sapesse bene che lui, come ogni altro Elfo, era molto più resistente di quanto non apparisse, e un po’ perché ricordava ancora quando questo Elfo lo teneva in braccio per farlo addormentare, e la sua vicinanza, per quanto fosse strano, lo faceva ancora sentire bene. Il ragazzo iniziò a ridere fragorosamente, intervallando le risa a piccoli urli di divertimento ogni volta che, nel rotolare, Dean si sentiva sbalzare per aria, e allo stesso tempo trattenere a terra dall’abbraccio di Castiel.

Non ci volle molto perché anche l’Elfo gettasse alle ortiche tutto il contegno nobile e distaccato che teneva di solito, iniziando a ridere tanto quanto l’umano che teneva a sua volta tra le braccia, godendosi il contatto insieme dell’erba soffice, e delle braccia del ragazzo, strette intorno a lui in un gesto protettivo.

Dean non aveva voluto arrivare fino in fondo, e certo non aveva calcolato che il pendio fosse troppo ripido per riuscire a fermarsi prima di finire direttamente in mezzo al ruscello. Finì con il colpire direttamente un sasso, sul letto del piccolo torrente, con la testa, ma le mani di Castiel lo stavano ancora tenendo contro di lui, e gli impedirono di farsi troppo male. L’acqua, però, era assolutamente gelida e Dean urlò, sorpreso e deliziato al tempo stesso, mentre il loro slancio li faceva finire a rotolare in mezzo all’acqua, proprio in modo che lui fosse sdraiato a terra, immerso in pieno nelle acque cristalline provenienti direttamente dai ghiacciai, mentre Castiel era coricato sopra di lui, con solo braccia e gambe immerse nella corrente.

L’Elfo non aveva ancora smesso di ridere, ma lo fece più forte quando vide l’espressione boccheggiante di Dean mentre cercava di venire a patti con la temperatura del ruscello.

“Allora, ti piace ancora la tua idea geniale?” domandò tra le risa, ma fece a malapena in tempo a concludere la frase, prima che Dean desse un veloce colpo di reni, che portò la situazione a ribaltarsi e lui a boccheggiare, sommerso di acqua gelida.

Castiel e Dean si guardarono in faccia, seri, per qualche secondo - solo pochi centimetri a dividerli, eppure completamente a proprio agio – poi le risa ricominciarono, e il giovane uomo smise di tenersi puntellato sulle braccia, ma si sdraiò del tutto sul corpo dell’Elfo, poggiando la fronte alla sua spalla mentre i loro corpi ancora vibravano di divertimento, e lasciando che l’acqua gli lambisse ritmicamente la fronte. Poteva essere assurdo, ma nemmeno quella mattina, quando aveva aperto gli occhi su un letto di piume con le mani delicate di dama Lisa poggiate sul suo petto, si era sentito così tremendamente bene.

Erano passati parecchi secondi da quando entrambi avevano smesso di ridere, ma Dean non se n’era neppure accorto. Solo quando sentì la mano di Castiel muoversi verso l’alto sulla sua schiena, si rese conto che quella non era solo una posizione piuttosto scomoda, ma che avrebbe anche dovuto essere imbarazzante. Sollevò il capo e sorrise all’amico, cercando di mettere in quell’espressione le scuse per un disagio che non sentiva, ma Castiel non rispose al suo sorriso. Il suo viso era serio, i suoi occhi intenti come quando fissava il bersaglio di una delle sue frecce, ma molto più intensi, e Dean sentì un formicolio strano percorrergli la spina dorsale, su e giù, e un nodo quasi doloroso ma certamente non spiacevole chiudergli il petto, dalla gola fino al ventre.

Forse, qualcosa dentro di lui se lo aspettava, anzi, non stava aspettando altro, ma rimase comunque sorpreso quando Castiel gli posò una mano, delicatamente, sulla nuca, e sporse il viso verso di lui, fino a poggiare due labbra bagnate sulle sue. Le piccole gocce d’acqua erano gelide, ma sotto di esse, la sua bocca era morbida e tiepida. Non somigliava al bacio di Lisa, non era così delicato da sembrare l’ala di una farfalla, sebbene il suo tocco fosse gentile, quasi non volesse essere troppo invadente. Lisa sapeva di fiori di pesco e odori dolci e sommessi di donna, mentre questo… questo aveva il gusto morbido ma forte di un bosco alle prime ore del mattino, un gusto selvatico che sapeva di libertà e gli faceva venire voglia di assaporarlo di più, fino in fondo.

Il ragazzo ebbe giusto il tempo di formulare questo pensiero, che il contatto era svanito, veloce com’era arrivato, lasciandolo stupito di se stesso e allo stesso tempo terribilmente insoddisfatto. Dean rimase paralizzato, fermo con gli occhi inchiodati sul viso dell’Elfo: lineamenti che conosceva da una vita; espressioni gentili che erano state con lui sempre, senza chiedere nulla il cambio; il volto di un amico; il volto che aveva cercato sempre, ogni giorno della sua vita, che fosse un giorno speciale o una semplice mattina di sole. Il volto che amava.

Non lasciò che il suo cervello potesse formulare un pensiero razionale, un pensiero che gli avrebbe ricordato quello che doveva e non doveva fare, quello che era e non era permesso, l’unica cosa che gli interessava, in quel momento, era quel sapore. Il sapore che sentiva ancora sulle labbra ma che stava già svanendo, che non era riuscito a sentire davvero, sulla lingua, che voleva gustare davvero, con tutto se stesso.

Inclinò leggermente il capo verso il basso, le labbra appena socchiuse mentre un sospiro andava a perdersi sulle labbra del compagno, facendo scivolare su di esse una piccola gocciolina d’acqua. Dean la raccolse gentilmente dall’angolo della sua bocca con la punta delle dita, e Castiel spalancò per un secondo gli occhi, in un’espressione tanto incredula quanto felice, prima di incontrare di nuovo le sue labbra.

 

~~~

 

Erano alcuni giorni che non vedeva Castiel, e non lo vedeva perché lo evitava accuratamente, soffrendo addirittura la fame per potersi sedere a tavola quando fosse sicuro di non doverlo incontrare. Non più di tre, non potevano essere trascorsi più di tre giorni dall’ultima volta che aveva incrociato il suo sguardo, quella mattina, in un ruscello gelato, eppure a Dean sembrava di diventare matto: non si era mai sentito così solo in tutta la sua vita.

Non si era mai reso conto di quanto contasse sulla presenza dell’amico, di quanto la cercasse e ne avesse addirittura bisogno. Certo, non era la prima volta che non si vedevano per un certo periodo: Castiel era tornato a Bosco Atro con i suoi fratelli, in alcune occasioni, e allora erano trascorsi mesi prima che potesse rivederlo. Eppure allora, per quanto ne sentisse la mancanza, non aveva percepito la solitudine, perché sapeva che sarebbe tornato, e sarebbe stato sempre e comunque il suo migliore amico. Questa volta, invece, non c’era più niente di chiaro, non era più sicuro di niente.

Questa era la ragione per cui lo stava evitando come la peste, e sempre questa era la ragione per cui sapeva che non sarebbe riuscito ad andare avanti così molto a lungo. Non aveva idea di cosa fosse successo in quel ruscello, ma sapeva che qualunque cosa accadesse, non poteva perdere Castiel.

Dean sospirò e sedette sul parapetto di pietra del piccolo terrazzo, accarezzando distrattamente i boccioli, chiusi per la notte, dell’albero che in quel particolare punto del palazzo si intrecciava alle sue mura e alle sue colonne. Il sole non era tramontato da molto, e in fondo all’orizzonte, dove il suo sguardo verde era rivolto, si riuscivano ancora distinguere gli ultimi raggi infuocati del sole scomparso. Il cielo era blu, di un blu intenso che riportò immediatamente i pensieri del ragazzo agli occhi che aveva osservato tanto da vicino, quella mattina di tre giorni prima.

Scosse il capo e tirò un calcio all’aria, tornando a voltarsi verso la finestra della propria stanza, solo per trovarvi incorniciata una figura che non aveva sentito avvicinarsi. Il suo cuore perse almeno due battiti, prima che i suoi occhi potessero rendersi conto che quell’Elfo era decisamente troppo alto per essere Castiel.

“Sammy, che ci fai in giro?” chiese distrattamente Dean, senza alzarsi dalla sua postazione e senza più nemmeno guardarlo.

“Ti cercavo” replicò l’Elfo, avvicinandosi e poggiando gli avambracci al parapetto, proprio accanto all’uomo, per guardare l’orizzonte insieme a lui “Sei silenzioso e molto tranquillo in questi giorni” commentò, in tono casuale “Cosa è successo?” domandò quindi, tornando a guardarlo in viso e mettendo tutta la sua grave serietà nella propria voce.

Il ragazzo non riusciva a scorgere propriamente i lineamenti dell’Elfo, mentre sapeva bene che lui poteva vedere alla perfezione il suo viso. Tutto ciò gli era sempre sembrato molto ingiusto, e aveva sempre cercato di evitare di parlare al buio con chicchessia, a palazzo. Questa volta, però, non aveva voglia di alzarsi ed accendere una candela: forse sperava davvero che Sam capisse cosa non andava in lui, perché indubbiamente lui non ne aveva idea.

“Niente di particolare” replicò Dean, stringendosi nelle spalle e rifiutandosi di ricambiare lo sguardo dell’Elfo.

“Cambierò domanda. Cosa è successo fra te e Castiel?” insisté il giovane Elfo, continuando a piantargli in viso i suoi penetranti e inquisitori occhi verdi.

Il ragazzo, preso alla sprovvista, si voltò di scatto, molto prima che la sua mente arrivasse a capire che Sam aveva solamente osservato il suo comportamento, e dedotto che qualcosa non andava dal fatto che fosse passato dal girare costantemente insieme all’Elfo, all’evitare addirittura le ore dei pasti per non vederlo. Dean soppesò l’idea di negare nuovamente, ma sapeva che non sarebbe servito a niente. Conosceva abbastanza Sam da sapere che non avrebbe mollato fino a che non avesse saputo cosa non andava, e non fosse riuscito a fargli un bel discorsetto sui sentimenti. Se c’era una cosa che Dean non sopportava del suo gigantesco fratello adottivo, era proprio la sua mania dei sentimenti.

“Per i Valar, Sam! Perché voi Elfi dovete essere sempre così loquaci e sentimentali?!” sbottò infine, continuando vanamente a sperare di poter cambiare argomento.

“Gli Elfi non sono loquaci, sono saggi” protestò il giovane Eldar sospirando, e quando fu chiaro che Dean non avrebbe risposto altro aggiunse “Hai litigato con lui? Insomma cos’è successo? Passi le tue giornate con Castiel da quando è arrivato a Imladris”

Dean ricordava a malapena quel giorno, era stato fin troppo piccolo, però rammentava perfettamente la prima immagine che aveva avuto di lui. Era stato cresciuto dagli Elfi, ed era quindi abituato alla loro apparenza eterea ed elegante. Le creature che lo accudivano avevano sempre affascinato molto la sua mente di bambino, ma trascorreva così tanto tempo con Sam e perfino con John, da essersi abituato alla loro presenza.

Eppure Castiel… Castiel era stato un’altra cosa.

Ricordava benissimo quando Castiel era entrato nella grande sala comune, per salutare il sire che lo avrebbe ospitato per gli anni a venire, dietro richiesta di suo padre, il signore di Bosco Atro. La sua lunga tunica chiara sembrava cambiare ad ogni suo passo, catturando la luce e trasformandola in puro colore, bagliori liquidi che scorrevano sulla stoffa, avvolgendo il suo corpo fino a farlo sembrare esso stesso sinuoso come acqua corrente. Ma non era stato questo a far spalancare gli occhi al piccolo bambino umano, ad incidere quell’immagine nella sua giovane mente per tutti gli anni a venire: erano stati i suoi occhi. I suoi occhi gentili lo avevano guardato prima ancora di rivolgere il suo saluto a sire John, e avevano sorriso solo per lui.

Il ragazzo si riscosse da quel ricordo, rendendosi conto di avere lasciato che il silenzio si allungasse fin troppo tra di loro.

“Io… gli ho detto di Lisa, e lui mi ha parlato dei legami immortali degli Eldar…” fu la prima cosa che gli venne in mente, ed era anche abbastanza vicino alla verità da non farlo sentire in colpa per avere raccontato una bugia a Sam. Potevano non essere veramente imparentati, ma lui lo considerava a tutti gli effetti suo fratello e non avrebbe voluto nascondergli niente.

“E’ per questo che avete discusso?” esclamò Sam, sorpreso “Sei preoccupato per quello che Castiel ti ha detto?” Dean si limitò ad annuire cautamente. Forse, se l’avesse lasciato parlare, se la sarebbe cavata “Sicuramente quello che ti ha spiegato è vero, gli Elfi tendono a scegliere un compagno per la vita. Ma io e Lisa non siamo veri Elfi… questo cambia le cose. Per me le ha cambiate” spiegò Sam, poggiando una mano sul braccio del ragazzo, come per rassicurarlo.

Dean gli sorrise, annuendo di nuovo in quello che sperò sembrasse un silenzioso ringraziamento, e finalmente Sam annuì in risposta e fece per allontanarsi da lui, soddisfatto di lasciarlo a rimuginare sulle nuove informazioni che gli aveva fornito. Fu in quel momento che Dean si stupì di se stesso, afferrando il braccio dell’Elfo per trattenerlo.

Lui odiava parlare di sentimenti, ma questa volta era davvero troppo confuso e tutta questa faccenda era davvero troppo grossa per fare semplicemente finta di nulla, archiviando il caso sotto la voce ‘mai successo’. Sam era la sua unica speranza, l’unica speranza di ottenere un consiglio: non avrebbe osato parlare con nessun altro.

“Hai mai…” iniziò titubante, ma poi si interruppe. Voleva un consiglio, ma fino a che punto era disposto a spiegare la situazione a Sam? Forse lo considerava come un fratello, ma certamente era anche il fratello di Lisa “Hai mai sentito davvero il bisogno… un bisogno quasi doloroso di avere accanto una persona? A prescindere da come sia con te, semplicemente… averla?” continuò, soppesando ogni singola parola e cercando furiosamente dentro di sé quelle giuste per spiegare ciò che lo tormentava.

Ormai, anche gli ultimi raggi del sole erano scomparsi dal cielo, e Dean non poteva scorgere che un’ombra dei suoi lineamenti, ma fu quasi sicuro di vedere l’Elfo sorridere a quel punto, poco prima che gli prendesse una mano tra le sue. “Gerig baur ha manen vilya an thuio (Ne hai bisogno come l’aria che respiri) Lo so, può spaventare” replicò Sam, con voce accondiscendente “Ma quello è solo… meleth (amore). Non c’è un altro modo per dirlo. Quel bisogno che fa male, è amore, quello vero, ed è splendido se ti abbandoni ad esso” una sottile vena di entusiasmo e forse commozione si insinuò nelle sue parole, ed era molto più di quanto non esprimesse normalmente una qualsiasi Elfo “Ma dovresti parlarne con lei Dean. Ti aiuterà” detto ciò, gli diede una veloce pacca su una spalla, e si allontanò, lasciandolo davvero solo con i propri pensieri.

Aveva ottenuto quello che voleva: una definizione chiara, concisa e determinante, di quello che lo assillava. Sam era stato anche molto felice di dargliela. Chissà se lo sarebbe stato altrettanto se avesse saputo che lui non stava parlando di Lisa? Il ragazzo fece penzolare distrattamente un piede oltre il parapetto una paio di volte, prima di saltare giù e dirigersi a sua volta verso la porta della sua camera.

 

~~~

 

Dean arrivò davanti alla porta che tante volte aveva spalancato senza nemmeno pensarci un momento, senza neppure ricordare quel briciolo di educazione che avevano cercato di inculcargli senza risultato, e si fermò. Per la prima volta nella sua vita si fermò ad osservare quella porta, e la sua liscia superficie di legno gli sembrò un ostacolo insormontabile.

Dietro di lui, da una delle migliaia di finestre che costellavano le mura di Imladris, entrava solo un lieve accenno di luce lunare, giusto quel tanto che bastava per proiettare la sua ombra sul battente chiuso davanti a lui. Sembrava che la sua stessa sagoma scura lo stesse prendendo in giro, standosene lì, sulla porta che non riusciva ad aprire. Era lì per parlare, continuava a ripetersi, era lì perché non aveva intenzione di gettare alle ortiche un’amicizia del genere per un momento di… per un momento. Sollevò la mano, stretta a pugno, pronto a bussare. Poi si fermò, sentendosi incredibilmente stupido, fermo davanti ad una porta con un pugno alzato, pronto a bussare ma troppo sciocco per farlo. Ma di cosa diavolo aveva paura?!

Il ragazzo masticò un’imprecazione che avrebbe fatto sobbalzare qualsiasi Valar, quindi picchiò il pugno sul muro accanto alla porta, e si inclinò in avanti fino a che la sua fronte non impattò contro la superficie di legno davanti a lui con un suono sordo, quasi sicuramente troppo basso perché chiunque stesse dormendo in quella stanza potesse sentirlo. Come al solito, aveva dimenticato che gli Elfi erano molto diversi dagli uomini, che per la maggior parte del tempo non dormivano affatto e che avevano un udito molto più fine di quanto un uomo potesse immaginare.

Quando Castiel aprì la porta, Dean quasi cadde in avanti, riprendendosi solo all’ultimo secondo, e sentendo la pelle chiara del suo viso avvampare sotto le poche lentiggini sparse che si portava sul naso. Adesso che si sentiva stupido.

“Scusa. Non volevo svegliarti” balbettò il ragazzo passandosi una mano sul collo in un gesto imbarazzato.

“Non stavo dormendo” replicò l’Elfo, fermo sulla porta ad osservare con un sorriso parzialmente divertito l’atteggiamento dell’amico, “Mi cercavi?” aggiunse quindi, quando il silenzio si fu protratto troppo a lungo, corrugando le sopracciglia in quella sua peculiare espressione perplessa.

Finalmente Dean trovò il coraggio di alzare lo sguardo per guardare l’amico, e improvvisamente si sentì la bocca arida. Il giovane Elfo indossava una tunica lunga, di quelle che metteva di solito solo in occasioni speciale o particolarmente eleganti, del colore dei sempreverdi, ricamata con mille intarsi di foglie di un verde più chiaro ma i cui lacci era completamente slacciati. La poca, pallida luce che penetrava dalla finestra alle spalle dell’uomo, si contendeva con il tremulo bagliore rosso di una candela il possesso della pelle chiara e perfetta sul petto dell’Elfo, mentre il suo viso era reso irreale come un sogno dall’argento della luna, e vivo e cangiante dal caldo fremente della fiamma. Incastonati in quell’incredibile volto, quegli di un blu scuro che sembrava strappato al mare in tempesta lo fissavano placidi e confusi, e quando Dean li incrociò si rese conto che non sarebbe più stato capace di distogliere lo sguardo.

“Io…” iniziò a rispondere, perché si rendeva conto di fare la figura dell’idiota, li fermo imbambolato e muto, ma semplicemente le parole non volevano venire.

Cosa aveva avuto in mente di dirgli? Cosa era venuto a fare? E come aveva, in tutti quegli anni, a non vedere cosa aveva davanti? Come aveva fatto a stargli lontano per tre interi giorni? Dean sentì il cuore iniziare a martellargli in gola, invece che nel petto, mentre sentiva crescere in sé il desiderio di avvicinarsi e baciarlo di nuovo, come aveva fatto nell’acqua del ruscello, solo più profondamente e più a lungo di quanto un uomo fosse mai riuscito a fare.

Già, proprio un gran bel casino questo.

“Vieni, entra” lo invitò infine Castiel, che aveva inarcato le sopracciglia alla sua frase troncata ed al suo strano mutismo, e lo guardava ancora come se non capisse davvero che cosa stesse succedendo al suo amico di solito così loquace e spaccone.

Possibile che una creatura del genere non si rendesse conto di quanto splendida potesse apparire? Possibile che la sua innocenza riuscisse solo a farlo apparire ancora più splendido?

Dean distolse lo sguardo da lui ed entrò in quella stanza che conosceva bene quanto il viso del suo amico, eppure quella sera anche la camera gli appariva diversa. L’aria che entrava dalla finestra spalancata sembrava portare profumi esotici, odori di piante che il ragazzo non aveva mai visto e di cui non conosceva il nome; i libri e le carte sparpagliate disordinatamente sulla scrivanie, tra due candele già parzialmente consumate non gli sembravano più solo noiosi pezzi di carta; ma era il letto, quel letto dalle coperte intonse dove da bambino si era spesso rifugiato per dormire rannicchiato sul petto del suo amico, quel letto sembrava canzonarlo da lontano.

Man tellig an pedi nin? (Cosa sei venuto a dirmi?)” chiese Castiel d’improvviso, con il tono basso e suadente che assumeva sempre la sua voce quando parlava nella propria lingua e una nota di malinconia a pervadere le sue parole nonostante il sorriso che permaneva sul suo volto.

Dean si voltò velocemente verso di lui, trovandolo alla propria sinistra, ed aprì la bocca per replicare con il discorso che si era tanto accuratamente preparato prima di lasciare la propria stanza, ma il suo cuore non la voleva smettere di pulsare nel posto sbagliato, e il suo ritmo serrato proprio sul fondo della gola semplicemente gli impediva di trovare la voce. O forse era quella vocina nella sua mente, che sussurrava che le parole che aveva scritto mentalmente nella sua camera non erano state preparate per questo momento, per questa persona. Quella vocina che insinuava che se avesse pronunciato ora quelle parole, invece di fare quello che realmente voleva fare, lo avrebbe rimpianto per il resto della sua vita.

Hiriel Lisa dartha galu an geri meleth cîn (Dama Lisa è fortunata ad avere il tuo amore)” aggiunse l’Elfo, sorridendo all’amico con più convinzione, come cercando di scacciare quella persistente nota grama nella propria voce, mentre andava a sedere sul bordo del letto “Ecco cosa sei venuto a dirmi” continuò, con un sospiro, guardando negli occhi verdi del ragazzo da sotto in su.

Forse furono le sue parole, forse il fatto che fosse andato a sedere proprio quel letto, come quando, bambino, correva nella sua stanza spaventato dalle ombre della notte, forse solo il sorriso che continuava a mantenere sul proprio viso, per rendere a lui il compito più facile. Forse furono tutte queste cose insieme, e forse nessuna, forse aveva solo avuto bisogno del tempo necessario per ascoltare davvero quella vocina che, più che nella mente, gli sussurrava nell’anima. Il suo cuore impazzito continuò a correre come un cavallo selvaggio, ma tornò a farlo nella sua giusta sede, e Dean sentì improvvisamente la voce tornare, insieme alla certezza di quello che voleva. Finalmente.

Si avvicinò a sua volta al letto e rimase in piedi di fronte all’Elfo seduto. Portò una mano ad accarezzare la stoffa leggera e morbida di seta della lunga tunica verde scuro, dal petto fin sulla spalla, per poi sfiorargli distrattamente con la punta delle dita la pelle del collo; mentre l’altra mano giocava leggermente con i morbidi capelli castani che gli ricadevano in un disordine perfetto sulla fronte. Dean seguiva i movimenti delle proprie stesse dita sulla pelle del compagno, come ipnotizzato, solo quando finalmente si decise a rispondere, tornò ad incrociare i profondi abissi blu di Castiel, che apparivano finalmente ricolmi di una speranza a cui non voleva credere.

Avo (No)” disse con decisione, scuotendo lentamente il capo mentre sollevava una gamba, per poggiare il ginocchio sul letto, di fianco a Castiel “Avo Lisa dartha galu (Non Lisa è fortunata)” continuò, sentendo la propria voce raschiargli la gola in modo strano, mentre si sforzava di pronunciare quella lingua conosciuta da sempre e da sempre estranea alla sua voce mortale “Anìron le (Desidero te)” gli sussurrò all’orecchio, dopo che ebbe poggiato anche l’altra gamba sul letto, dall’altra parte del corpo dell’Elfo, e sorrise quando lo sentì rilasciare lentamente un lungo sospiro.

Dean scostò il viso dal suo per poterlo guardare, per poter fissare le sue perfette ciglia socchiuse, le sue guance lisce dove la barba non poteva crescere, i suoi occhi blu resi scuri dal desiderio e brillanti da una felicità incredula, le sue labbra piene ed appena aperte per lasciare fuggire sospiri troppo profondi. No, non poteva rinunciare ad avere tutto questo. Voleva bene a Lisa, era una donna splendida nella sua bellezza passionale ed altera al tempo stesso, ma era distante, come se non l’avesse mai conosciuta davvero. Era stato un gioco il loro, perché non poteva credere davvero che lei potesse provare più una pur forte ammirazione ed un profondo affetto fraterno, per un ragazzo che aveva, certo, visto crescere, ma da lontano.

Questo era diverso, questo era quel sentimento, quella morsa al petto che non ti lasciava respirare per la felicità quando ti stringeva tra le braccia, e per l’abbandono della solitudine quando quelle stesse braccia erano negate. Questo era quel bisogno dolce come la pazzia di cui John gli aveva parlato una volta, raccontandogli dei suoi genitori. Quel giorno di tanto tempo fa non aveva creduto alle parole di sire John, perché non aveva creduto possibile che una persona potesse sentirsi spaccare dall’interno per un’emozione, ed esserne perfino felice. Ma ora sapeva…

Il ragazzo tornò ad avvicinare il viso a quello dell’Elfo, stringendo le dita sulla sua nuca e fra i suoi capelli castani.

Im melin le Castiel, ernil ardh ennorath” bisbigliò, muovendo le proprie labbra contro quelle dell’Elfo come se le sue parole fossero una carezza sussurrata, “Ti amo Castiel, principe del reame boscoso” ripeté nell’idioma comune, per poter gustare sulla propria lingua il sapore di quelle parole, prima di sprofondare nella bocca del compagno con il gemito di chi, assetato, affonda infine il proprio disperato bisogno in uno specchio d’acqua cristallina.

   
 
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