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Autore: ViKy_FrA    02/06/2011    6 recensioni
"Temo che ormai il bouquet non mi serva più…"
La ragazza guardò le quattro rose in grembo, le guardò una a una, portandosele vicino al viso. Alla fine porse la rosa bianca a Eloise.
"
Una rosa per ognuna delle donne che ha provato a salvargli la vita. E un nuovo bouquet per te, Selene, che avrai un a vita nuova.
"Perchè ti amo."
[Partecipa al Contest "Rosa Rosae" di Mirya76! Lo trovate nel Forum e linkato dentro la fic. Incrociamo le dita!]
[Seconda posizionata! 94 punti su 100!!! Grazie ancora a Mirya e agli altri partecipanti =D]
Genere: Fantasy, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Le Rose della Misericordia

Now or never, love will go

I’ll be there by your side

Share your fears in the silent redemption

Touch my lips, hold me tight

Live in vanity for a while

 

(Vanity, Yuki Kajiura)

 

 

PROLOGO – MERIDIES

 

Successe tutto all’improvviso – non che le emergenze siano note per la loro prevedibilità. Da un ordinario, quasi noioso giro di routine tra i letti della Misericordia, Eloise era stata catapultata in mezzo alla tragedia. Sophia Lord, che stava scontando la punizione per essersi entusiasmata un po’ troppo nell’ultimo colpo di genio di Julian e Jordan, era entrata a razzo nel reparto che stava controllando dicendole che Megan la voleva immediatamente al piano terra per una emergenza.

Due dozzine di feriti, qualcuno molto grave, affollavano la sala del primo intervento. Era una bolgia. Difficile capire su quali letti ci fosse immediato bisogno d’aiuto. Eloise diede un rapido sguardo alla stanza cercando l’amica per ricevere ordini. Non avendola trovata alla prima occhiata stava già per dirigersi alla più vicina branda occupata, quando la stessa Megan le urlò di recarsi al primo letto sulla destra.

- E tieniti lì la Lord che le infermiere non bastano mai!

Voltandosi per parlare con Sophia, gli occhi di Eloise caddero esattamente su un Gil Morgan con una gamba insanguinata e un Ross Granville che con una smorfia in volto si teneva il braccio sinistro.

Non è possibile!

Dimentica di qualsiasi ferito il suo sguardo saettò nella stanza alla ricerca di lui. Lo trovò all’altro capo della sala, dopo letti, urla, sangue e infermiere agitate. Lo controllò rapidamente, col suo occhio clinico, prima di guardarlo in volto. Non aveva macchie rosse sui vestiti e la posizione sembrava eretta. Rassicurata, si rese conto di aver trattenuto l’aria nei polmoni solo ora che riprendeva a respirare.

Axel la stava fissando apertamente in volto, con espressione seria e grave. Eloise lo guardò negli occhi. Nel centro del suo campo visivo, in mezzo a quel caos, lo vide alzare la mano destra fino a posarla dietro il collo.

Le Cinque Lune.

Lo stava affermando chiaramente.

Spaventata da quel che doveva essere successo e insieme felice di saperlo illeso, afferrò Sophia per un braccio e si diresse al primo letto sulla destra.

 

Era rosso ovunque. La prima cosa che fece fu scostare teli, bende e lembi di vestito per capire quanto di quel sangue fosse di quel giovane semi incosciente. Trovò una ferita d’arma da fuoco vicino alla spalla e il taglio di una spada su un fianco. I punti di per sé non erano mortali, tutto dipendeva dalla tempra del ragazzo.

- Sophia, portami qui Megan… e anche Lara! Digli che è urgente – ordinò – Muoviti! – aggiunse in un urlo dato che la ragazza sembrava paralizzata dalla paura. Ma in fondo Sophia cosa ci faceva lì? Stava solo scontando una punizione. Decise che si sarebbe scusata dopo, per il momento le serviva un’assistente, per quanto inesperta.

Sophia tornò quasi subito con un flebile – Arrivano – in risposta alla domanda muta di Eloise.

- Va bene, grazie. Prendi uno di quei panni e tieni premuto più forte che puoi qui. Io devo capire se il proiettile è uscito o no.

Con gli occhi spalancati dal terrore Sophia obbedì. Bisognava riconoscerle una certa dose di fegato per riuscire ancora ad eseguire gli ordini senza farsi prendere dal panico che provava.

- Cos’è successo Eloise? Perché vuoi qui mezzo mondo? – arrivando Megan aveva già preso in mano la situazione, sistemando la posizione delle mani di Sophia e concentrandosi sulla spalla di cui si stava occupando Eloise.

- Pistola e spada, direi che posso avanzare qualche pretesa – il tono secco, ma la calma sempre mantenuta. Perderla era la fine – Lara?

- Sta suturando la ferita di Morgan! Dice, dice, e poi è al suo capezzale! – le loro mani che non smettevano di lavorare, senza sbagliare un movimento.

- Fa specie a chiunque veder qualcuno che si conosce imbrattato di sangue.

Megan tacque un attimo.

- Lui sta bene?

Eloise sospirò di sollievo al ricordo di Axel ritto in mezzo allo scompiglio.

- Sì… - bisbigliò. Poi qualcosa riportò i suoi pensieri al ragazzo steso sul letto – Vedo il proiettile! Dobbiamo aprire!

Megan esitò un istante – Eloise… Ha perso molto sangue, e qui attorno ci sono--

- Non chiedermelo Megan – la voce era bassa quanto il tono era categorico.

- Scusami. Apriamo – e si voltò a prendere gli strumenti.

Lara le raggiunse in quel momento, e Megan le assegnò la ferita al fianco; per Sophia l’ordine di assistere unicamente l’ultima arrivata – ma il vero scopo era evitarle la vista di un’operazione.

- Siamo qui in tre? – chiese Lara sorpresa.

- Bè, - Megan liquidò la faccenda – a quest’ora dovrebbero essere sbucate le ragazze Granville in un numero sufficientemente congruo da assistere tutta la Vecchia Capitale!

 

Sophia era stata brava, molto brava, Lara aveva ricucito tutto, mentre Megan ed Eloise avevano estratto il proiettile e richiuso la ferita. Tirarono il filo dell’ultimo punto di sutura quasi in contemporanea. Intorno a loro sembrava fosse scesa un po’ di calma – o forse si erano abituate al delirio.

Lara si sporse oltre il paravento cercando un’infermiera da chiamare per sistemare e pulire il paziente. Il petto del ragazzo si alzava e abbassava con una lentezza esasperante, come uno stendardo che non riesce a dispiegarsi per la mancanza di vento. Eloise si appoggiò alla parete retrostante, inspirando a fondo per riprendersi prima di tornare ad occuparsi di qualcuno. Stava per voltarsi verso Sophia, a complimentarsi per la prontezza e scusarsi per averla coinvolta – del resto era semplicemente in punizione! – quando con la coda dell’occhio vide distintamente il torace del giovane fermarsi.

Il vento che muoveva lo stendardo era calato del tutto.

Eloise fu subito su di lui, le mani sul cuore, il tentativo disperato di far riprendere il battito. Megan e Lara ad aiutarla come possibile. Un colpo, due, tre, quattro… ma sotto i suoi palmi nessun muscolo riprese a muoversi. Non smise, non smise nemmeno quando vide le dita di Megan posarsi sulle sue nocche sbiancate.

- Eloise, basta… – le sussurrò – non possiamo più fare niente…

Riluttante si allontanò dal ragazzo esanime. Non poteva crederci. Le sembrava davvero che a insistere, un movimento dopo l’altro, prima o poi avrebbe ripreso a respirare. Perché sarebbe dovuta andare altrimenti? Ma Megan aveva ragione, non potevano più fare nulla, razionalmente se ne rendeva conto.

Scossa, si distanziò dal letto. Avrebbe voluto fermarsi, restare al capezzale di quel ragazzo e metabolizzare quello che era successo. Ma non avevano tempo. Ci avrebbe pensato dopo, con calma; forse avrebbe pianto, forse non sarebbe riuscita a toglierselo di mente per un po’, certo era che non poteva concedersi altro tempo. Si voltò verso Sophia, aveva lo sguardo fisso, il viso bianchissimo: sicuro la ragazzina non era abituata a eventi del genere.

- Sophia, dammi una mano con qualche contusione – la spinse via dolcemente; più bassa di Sophia, Eloise le posò le mani sul braccio e quella, docile, si lasciò portar via – Ci penseremo dopo. Ora non possiamo farlo…

Lara lo stava coprendo con un nuovo lenzuolo bianco, Megan andava a cercare un’infermiera. Sapevano di aver fatto l’impossibile, sapevano che tre medici su una persona sola in una situazione del genere era più del massimo che si potesse chiedere, sapevano fin dall’inizio che dopo aver perso tutto quel sangue era un’impresa disperata. Eppure non riuscivano a guardarsi in faccia.

 

 

PRIMO GIORNO

 

La Misericordia era di nuovo nella quiete. Superata l’emergenza, tutti avevano trovato una collocazione – in un reparto o nei sotterranei...  – e il salone del primo intervento era tornato deserto in poche ore.

Eloise stava tornando dal ragazzo che non erano riuscite a salvare, le infermiere le avevano detto di averlo lasciato nel salone, ben isolato dai paraventi, in attesa dell’arrivo dei parenti. Avrebbe avuto più senso portarlo nelle cripte, ma la giornata non era calda e la famiglia intendeva allestire la camera ardente a casa.

Eloise scostò la tenda e si sorprese di trovarvi già qualcuno. Era una ragazza sottile, seduta al capezzale del giovane come se fosse malato; lo guardava con gli occhi acquosi di chi ha pianto, i lunghi capelli chiari posati su una spalla. In grembo aveva qualche rosa dal gambo lungo e le spine appuntite.

La luce del sole entrava dalla finestra a fiotti, illuminando i teli e le lenzuola, entrava in modo pieno, prepotente.

- Scusate… - mormorò Eloise e fece per andarsene, ma la ragazza la fermò.

- Siete voi che ve ne siete occupata? – malgrado le condizioni, la voce era ferma, sottile come la sua figura. All’assenso di Eloise, la ragazza continuò – Ve ne sono grata. Mi hanno detto che c’erano ben quattro persone attorno a lui, quattro donne che hanno fatto il possibile.

Doveva avere la stessa età di Eloise, qualche anno in più al massimo. Annuì di nuovo, ma preferì tacere, e la ragazza, abbassando lo sguardo sul letto, continuò.

- Ho guardato i punti alle ferite… e penso abbiate fatto molto più del possibile…

Respirò piano, e aprì lentamente la bocca, come a scegliere le parole una ad una.

- Ci saremmo sposati dopodomani – il cuore di Eloise non poté fare a meno di picchiare un colpo più forte degli altri contro le costole – e queste rose servivano al mio bouquet. Non sapevo come farlo, e ’sta mattina presto ho reciso una rosa per tipo per mostrargliele e chiedere a lui che colore preferisse – sorrise – sapevo che mi avrebbe detto di usarle tutte, ma mi sarebbe piaciuto sentirlo dalla sua stessa bocca – tacque – Temo che ormai il bouquet non mi serva più…

La ragazza guardò le quattro rose in grembo, le guardò una a una, portandosele vicino al viso. Alla fine porse la rosa bianca a Eloise.

- Grazie. Per non averlo lasciato dissanguare in un angolo.

Con la gola chiusa, Eloise prese in mano la rosa, riuscendo a mormorare solo un flebile – Mi dispiace…

 

- Bianca? Evidentemente ispiri purezza a tutti, meno che ai miei pensieri su di te.

La voce bassa di Axel scese densa nelle sue orecchie da un punto imprecisato sopra di sé. Era tardo pomeriggio ed Eloise era seduta sugli scalini che portavano al giardino interno della Misericordia, la schiena poggiata alla spessa balaustra di pietra. Alzò lo sguardo su di lui, ruotando il capo, sul viso nessuna reazione alla provocazione.

- Cos’è successo? – chiese invece con un sospiro.

- Non posso dirtelo. Lo sai. Non qui, non ora… - trovò il mormorio di Axel rassicurante, malgrado il senso delle parole. Una coperta un po’ ruvida ma calda, dove avvolgersi dopo una giornata estenuante. Ma un pensiero nefasto non l’avrebbe fatta dormire serena.

- Saresti potuto essere tu…

- Tu non lo sai, ma ho passato di peggio.

Eloise si alzò, la rosa ancora tra le mani, conservata con cautela per non pungersi con le spine, la stessa cautela che doveva usare nel maneggiare certe questioni con lui. 

- Chi era? Il ragazzo. Puoi dirmelo? – chiuse gli occhi e posò la fronte sul braccio di Axel.

- Un ragazzo sfortunato, – le posò una mano sulla nuca. L’avrebbe stretta a sé, non fosse stato per la rosa tra di loro – che si è trovato in mezzo suo malgrado. È il figlio del capo della Corporazione dei Fiorai e degli Apicoltori. La ragazza che devi avere incontrato è Selene Blondehaar, di famiglia nobile decaduta, ha la mia età. Si dovevano sposare a breve.

- Lo so.

Axel si abbassò su di lei, cingendola debolmente per non ferirla con le spine del fiore, raggiungendo con la bocca l’orecchio per rispondere – in parte – alla sua domanda.

- Sembra che qualcuno abbia scoperto chi siamo – sussurrò. Il cuore di Eloise si fermò – C’è stato un attacco in pieno giorno, nel bel mezzo della città, ed è rimasta coinvolta gente che non c’entrava nulla. Anche Ross e Gil hanno riportato danni. Abbiamo sistemato tutto, e l’evento è stato preso da tutti per il colpo di testa di un gruppetto di delinquenti. Ma non sappiamo chi c’è dietro e non possiamo abbassare la guardia.

Eloise non riusciva a parlare, il cuore che ora batteva troppo forte rimbombandole fin nella gola.

- Temo che d’ora in poi non sia prudente che tu mi avvicini, soprattutto in giro per la Vecchia Capitale.

Combattuta tra la rabbia e l’ansia, Eloise non sapeva se abbandonarlo lì dov’era – ma era colpa sua, l’esser stato scoperto? l’indossare una maschera? – o stringerlo forte finché era in salute – finché era vivo?

Vinse il desiderio di abbandonarsi contro il suo corpo, finché poteva stargli ancora vicina. Tenendo la rosa bianca in un mano, scelse di abbracciarlo, sentendosi subito afferrata dalla morsa dolce e sicura delle braccia di Axel.

 

*

Le cripte della Misericordia erano avvolte nell’ombra per ventiquattro ore al giorno, fredde per quattro stagioni e deserte per dodici mesi l’anno. Eppure non è che ne mancassero, di ospiti.

Eloise avanzava lenta per i corridoi bui senza la minima voglia di tornare in mezzo al trambusto e al rumore del Collegio; aveva smontato da poco e voleva prendersi del tempo per pensare prima di avere nuovamente attorno la gente. Teneva in una mano il lungo gambo della rosa bianca, che ondeggiava sulla gonna seguendo mollemente la sua andatura.

Certo che il luogo non era dei più ameni. Le abituali frequentazioni di Ashton la stavano influenzando un po’ troppo, si disse, da lì a poco – indipendentemente dal fatto che fosse una viva o una non morta – avrebbe cominciato a abitare la notte, intrattenendo rapporti ambigui con l’altro sesso. Portò il fiore all’altezza del viso, fissando il bianco dei petali. No, tutto sommato era un pensiero abbastanza irrealistico.

Si accorse con la coda dell’occhio di una porta socchiusa, e dubitando fortemente che gli ospiti delle cripte desiderassero far cambiare aria ai loro alloggi decise di dare un’occhiata. Aprendo la porta si rese conto che la serratura era semplicemente rotta. La stanza era vuota, fuorché per il catafalco al centro della stanza e il suo ospite adagiatovi sopra. Era una ragazza vestita di bianco, e nella penombra Eloise pensò di vederle un mazzo di rose bianche tra le mani.

Guardando la sua rosa, arretrò fino alla parete e si lasciò scivolare fino a terra. La rosa del bouquet di un matrimonio che non potrà mai essere celebrato. Perché Selene quel pomeriggio le aveva dato proprio una rosa bianca, tra quelle che aveva in mano? Caso?

Evidentemente ispiri purezza a tutti, meno che ai miei pensieri su di te.

Arrossì, sentendo montare nel sangue tutto il dispetto e l’irritazione che qualche ora prima la stanchezza aveva bloccati. Sfacciato! Dopo tutto quello che le faceva passare!

Accarezzò i petali ancora morbidi: ma doveva tornare al Collegio e recuperare un vaso con dell’acqua, se non voleva lasciarla morire.

Lasciarlo morire.

Non aveva rimpianti, non aveva rimorsi, non aveva la coscienza sporca. Eppure veder spegnersi una persona era comunque qualcosa che ti toccava da vicino. Ma non era stato il primo, e non sarebbe stato l’ultimo. Magari col tempo avrebbe imparato ad assimilare la cosa con più velocità. Per ora però aveva bisogno di ancora un po’ di tempo.

Eloise alzò lo sguardo sul catafalco, e si chiese dove fosse ora il corpo del ragazzo del pomeriggio. La luce serale entrava soffusa dalla finestrella in alto, passava per l’aria, le pietre, l’erba, i fiori del cortile interno della Misericordia, e illuminava la ragazza sul suo ultimo letto. Forse per tutto quel bianco, forse per la luce impalpabile, forse per il suo stato d’animo, Eloise trovò quel quadro affascinante e insieme commuovente.

Le piaceva il bianco, le piaceva quando candido e pulito nascondeva le sue sottovesti nere, la croce tatuata sul braccio, le cicatrici sul corpo di Axel. Tornò a guardare la rosa bianca. Anche lei nascondeva qualcosa? Qualcosa di nero e buio? Qualcosa di simile alla morte? Qualcosa come il lutto di un matrimonio finito prima di iniziare?

Evidentemente ispiri purezza a tutti, meno che ai miei pensieri su di te.

Questa volta il dispetto e l’irritazione non emersero dal suo petto. Qualcosa nascondeva quella rosa, qualcosa nascondevano i gesti misurati di Axel, qualcosa nascondeva lei stessa.

Meno che ai miei pensieri su di te.

Eppure nella loro intimità, Axel l’aveva sempre trattata con l’attenzione e la delicatezza che si riservano a una rosa bianca.

 

 

SECONDO GIORNO

 

Megan era reduce dal turno di notte, l’ideale dopo una giornata come la precedente. Aveva aperto l’anta di legno dell’armadietto per recuperare mantello e borsa, quando qualcuno le toccò la spalla. Voltandosi, pronta ad esprimersi in turpiloquio, si ritrovò davanti Lara; frenò la lingua unicamente perché la vide provata quanto lei. E lo sforzo fu notevole, considerato che solo il suo gomito ferreo era in grado di battere la sua lingua tagliente.

- Domina Heraclis ha detto di cercare Dominus Fenaretes e portargli questo – aveva in mano dei fogli legati insieme da una corda, probabilmente scartoffie sulla strage del giorno prima che il Tanatologo nella sua svagatezza si era dimenticato di compilare.

- Io?

- Ha detto “la Linnett” e, scusami, ma questa volta ho tutta l’intenzione di seguire i suoi ordini alla lettera. Non sono riuscita a chiudere occhio e non ho la forza di iniziare il turno correndo alla ricerca di Fenaretes.

- Va bene – Megan sospirò – dammi i fogli… Farò un giro nei sotterranei… conoscendolo, immagino che sia lì a fare compagnia a qualche morto.

Lara riuscì a sghignazzare. Megan prese la borsa dall’armadietto mentre l’altra apriva il suo, si diresse a un tavolo in un angolo dello spogliatoio e sfilò la rosa gialla dal vaso di vetro con l’acqua.

- Megan, dici che le infermiere hanno in giro un vaso da fiori? - Lara si voltò con in mano la sua rosa rossa.

Le ragazze trattennero una risatina per la coincidenza. Vedere il fiore dell’altra, riportò alle loro menti la stessa scena, lo stesso bouquet.

- Bè, effettivamente le infermiere ne avevano uno, - commentò alla fine Megan brandendo il vaso – ma l’hanno dato a me!

- Non avevo voglia di pensarci, – Lara immerse con delicatezza la sua rosa nell’acqua – così l’ho lasciata a far capolino dalla mia borsa fino a stamattina.

Megan si strinse nelle spalle, la rosa tra le mani – Io la stavo chiudendo nell’armadio, quando un’infermiera mi ha visto e mi ha portato la brocca.

- Chissà quanto ha sofferto senz’acqua… o senz’aria… – Lara passò le dita sui bordi ancora freschi della sua rosa.

Megan la fissò attentamente negli occhi.

- Forse sono semplicemente molto più forti di quanto non sembrino.

Forse noi siamo semplicemente più forti di quanto non sembriamo.

Lara corrispose quello sguardo serio.

- Hai ragione. Altrimenti dopo tutto questo tempo non sarebbe ancora così.

Altrimenti dopo tutto questo tempo non saremmo ancora qui.

Si sorrisero, e tornarono ognuna alla propria giornata.

 

Il pomeriggio precedente Lara e Megan si erano casualmente incrociate nei pressi del letto dove le infermiere avevano collocato il corpo dello sfortunato ragazzo. In un tacito accordo avevano scostato le tende bianche, e lì avevano conosciuto Selene Blondehaar e la sua piccola storia.

Sembrava sul punto di rompersi, di andare in pezzi come un delicato oggetto di vetro, punta da una delle spine del suo bouquet si sarebbe frantumata davanti ai loro occhi. Invece le aveva ringraziate, aveva sorriso e aveva dato a ciascuna una delle rose che teneva in grembo, scegliendole accuratamente – gialla per Megan, rossa per Lara.

Sembrava sul punto di rompersi, invece resisteva ferma e malinconica nel suo triste vegliare, in mezzo ai raggi del sole che attraversavano i vetri senza curarsi di chi andavano a colpire.

Megan e Lara si congedarono in silenzio. Erano provate dalla lunga giornata, dall’adrenalina che era scorsa nelle vene, e dal senso di irrealtà che dava la perdita di qualcuno che si è cercato di salvare. Ed ora erano anche scosse dal singolare incontro con quella ragazza, vedova prima delle nozze.

- Hai il turno stanotte?

Scendevano le scale in silenzio, ognuna con lo sguardo fisso sul proprio fiore.

- No, ricomincio domani mattina. Tu?

- Sì…

- Non dovresti essere in dormitorio, ora?

- Non avrei chiuso occhio, e ormai è troppo tardi per andarci.

- Già…

Stranite da tutto quel sole o da quel singolare incontro, si erano salutate al piano terra, pervase da un vago senso di irrealtà.

 

*

Megan aveva appena consegnato il pacco di scartoffie a Dominus Fenaretes, trovandolo dove aveva immaginato, e ora con incedere spedito si dirigeva verso le scale, la corolla gialla della rosa sbucava dalla borsa da medico, dondolando seguendo il suo passo. Eppure una porta socchiusa attirò la sua attenzione.

Sembrava che la serratura si fosse rotta, probabilmente era marcita – chi aveva interesse a forzare la porta di una stanza dove riposava un morto? – ma diede comunque un’occhiata all’interno.

Vi trovò una ragazza vestita di bianco, illuminata dal sole mattutino, i contorni e i colori sfumati dalla penombra della stanza. Non osò avvicinarsi, la scena aveva un che di sacro che intimidiva anche lei. Credette di scorgerle delle rose gialle tra le mani, ma non pensò di avvicinarsi per verificare.

Invece si appoggiò alla parete fissando la sua rosa.

Giallo. Che colore insolito. Non voleva forse descrivere cose come tradimento, gelosia e simili circostanze? Che colore assurdo da mettere in un bouquet di nozze! Eppure era un gran bel giallo, vivido. Di per sé sarebbe stato bene in un giorno di festa.

Ripensò un istante ai ragazzi del giorno precedente, il paziente che avevano perduto e la sposa mancata conosciuta nel pomeriggio. Le spiaceva, ovviamente, e non era nemmeno la prima volta che succedeva un fatto del genere. Tuttavia pensava fosse legittimo rattristarsene; credeva che nel momento in cui l’avesse considerata una cosa normale avrebbe fallito come medico.

Si era resa conto di quanto quel ragazzo fosse in una situazione disperata, e accorgersi di essere inutile non era una sensazione piacevole, sotto nessun punto di vista. Però Eloise nutriva ancora qualche speranza, e anche Megan stessa alla fine aveva pensato ce l’avessero fatta. Ma c’erano cose che non potevano controllare. In quei due giorni le erano pesati addosso tanto la stanchezza e l’amarezza quanto un fastidioso senso di sconfitta.

Sospirando, Megan tornò a guardare il mazzo di rose gialle a qualche metro da lei.

Un bel pugno in un occhio in mezzo al tulle, si disse, più o meno come il mio gomito piantato nella gola di qualcuno, e sghignazzò. Sapeva benissimo che almeno la metà delle matricole provava un timore reverenziale nei suoi confronti, ed erano poche le infermiere che si fermavano a chiacchierare con lei. Non era buona come Eloise, né bella come Lara, aveva modi spicci e un gran senso pratico.

Bisogna saperti apprezzare, le aveva detto qualcuno tanto tempo prima. Doveva essere stata Eloise o Lara, al loro primo anno allo Studium quando ancora non ci si conosceva bene e tutte le matricole erano per lei un’unica grande massa, nella quale avrebbero pian piano iniziato a restarle nella mente le due amiche, Stephen Eldrige e pochi altri.

Riconosceva di avere modi bruschi, esageratamente diretti, e anche di mancare in pazienza. Ma non perdeva mai la calma e sapeva sempre quello che doveva fare, era competente nel suo ambito e non predicava riguardo ciò che non conosceva. A volte era deliberatamente caustica e adorava punzecchiare Eloise. O Lara, o chi le capitava a tiro. Di tutto questo era perfettamente consapevole, ora come quando aveva sedici anni ed era appena entrata nella Facoltà delle Arti.

Tuttavia, una considerazione come quella non le era andata a genio sulle prime, men che meno pronunciata da qualcuno che la conosceva da un paio di settimane. Eppure giorno dopo giorno aveva legato proprio con quelle persone che le parlavano senza peli sulla lingua, che in un modo o nell’altro riuscivano a parare i suoi colpi senza doverglieli necessariamente rendere indietro.

Megan alzò lo sguardo dal proprio fiore per posarlo sul gomito piantato nella gola che era quel mazzo di rose gialle in mezzo a trine e pizzi.

Bisognava saperlo apprezzare.

 

*

Lara stava fuggendo da un Gil Morgan perfettamente ripresosi dalle lesioni del giorno prima, fin troppo baldanzoso per un ferito ricoverato alla Misericordia. Turno finito, mantello indossato e borsa sotto braccio, Lara aveva messo un solo piede fuori dallo spogliatoio quando un’infermiera sorridente le aveva comunicato che Morgan la stava cercando in giro per l’Ospedale. In quel momento l’unico luogo sicuro le erano sembrati i sotterranei.

Se ne andava a passo spedito per i corridoi, facendo sobbalzare la corolla rossa della sua rosa, meditando di nascondersi davvero in una delle stanze, quando una vecchia porta socchiusa le passò di fianco. Quasi istintivamente si arrestò ed entrò.

La porta non voleva saperne di stare chiusa, ed effettivamente si rendeva conto di quanto fosse stupido scappare da un buontempone nascondendosi in una cripta; ma aveva addosso troppa stanchezza e l’ultima cosa che voleva attorno erano perditempo guariti troppo in fretta dalle loro ferite.

Aveva ancora in mente il ragazzo del giorno prima – difficile dimenticarlo se si gira con la rosa della sua non-sposa in borsa – e ogni volta che ci pensava un senso di fallimento si mischiava a un senso di impotenza. Era determinata a diventare il miglior medico in circolazione, ma doveva accettare che c’erano cose su cui non aveva potere, e per la natura delle quali aveva tutto il diritto di sentirsi triste.

Anche trovarsi davanti quell’idiota di Morgan in un lago di sangue era qualcosa che faceva tremar le gambe. Se adesso io sbaglio qualcosa, lui non c’è più. Terrificante. Per quanto molesto e fastidioso sia, per quanto lo si vorrebbe in esilio in terre lontane, in caso di fallimento una persona che si conosce verrebbe a mancare.

Doveva migliorare, essere più ferma, più decisa. O forse doveva metterci più cuore, come Eloise che a volte sembrava muoversi solo per istinto.

Oh, ma lei il cuore ce lo metteva, più di quanto non le piacesse ammettere.

Si voltò verso la stanza arrossata dalla luce del tramonto che filtrava dalla finestrella in alto. Malgrado la porta difettosa, la camera era occupata: avvolta dal riverbero scarlatto una ragazza vestita di bianco era distesa al centro, tra le mani quello che pareva un mazzo di rose rosse. Una scena emozionante.

Lara sfilò la sua dalla borsa e, spalle contro il muro, la fissò a lungo, attentamente.

La rosa per eccellenza, elegante, bella. Insieme così romantica impudente e regale. Romantica nel significato, impudente nell’intensità del colore, regale in mezzo agli altri fiori. Come lei – tanto per dirla senza falsa modestia. Non che in quel momento fossero doti che le servissero a qualcosa.

Non aveva la dolcezza di Eloise, né il senso pratico di Megan, ma di certo non mancava in determinazione: sapeva da sempre come voleva la sua vita, e aveva tutte le carte per realizzarla. Al diavolo la corte di Morgan, gli uomini mascherati, e i momenti di sconforto. Forse della rosa aveva più che altro le spine. Forse.

Lara accostò il viso ai petali del suo fiore, erano ancora morbidi e la rosa aveva ancora un buon profumo. Era vero, aveva una gran determinazione, che le rafforzava lo sguardo dandole un’aria regale. E un modo di fare deciso, a volte sfacciato, che era capace di renderla impudente. E metteva il cuore in quel che faceva – negli sforzi per realizzare il suo sogno, per migliorarsi, nella segreta fascinazione che subiva dai gesti cavallereschi – un cuore che la mostrava passionale e romantica.

Lara tornò a guardare quella chiazza di rosso nella luce del tramonto.

Era così romantica, impudente e regale.

 

 

TERZO GIORNO

 

Sophia stava morendo di noia. Era all’ultimo giorno della sua punizione – perché punirla solo per aver saltato un paio di lezioni allo scopo di farsi un giretto per la Vecchia Capitale, poi – e alla Misericordia non stava succedendo nulla. Eloise non aveva ancora iniziato il suo turno e nessun medico l’aveva cercata per alcun tipo di commissione: non pensava che non avere nulla da fare fosse peggio che stare in castigo.

Seduta mollemente su una sedia, le gambe allungate davanti a sé, le braccia penzoloni, lasciava passare il tempo in una delle camere di degenza vuote del primo piano, la finestra spalancata sul cortile interno. L’aria cominciava ad essere calda, ed era piacevole lasciarla entrare nelle stanze – per qualche minuto, non per qualche ora!

Dovrebbero mettere degli obblighi, per gli studenti anziani che distribuiscono punizioni ai più giovani, si disse. Per esempio che non si poteva abbandonare il punito a se stesso, e nemmeno prendersela eccessivamente con i parenti stretti. Erano stati colti in flagranza di reato niente di meno che da Axel Vandemberg, il quale – grazie allo status, ai titoli, ai doveri, all’anzianità e Dio solo sapeva cos’altro – poteva bellamente aggirarsi per la Vecchia Capitale nella mattina di un giorno feriale. Rispediti allo Studium praticamente con la sola forza dello sguardo del principe, ognuno aveva vinto la sua pena: a lei era toccata la Misericordia e a Julian le cucine del Collegium di Aldenor. Quanto a Jordan, fratello di sua eccellenza, si vociferava in merito a delle non ben localizzate latrine. Questa era crudeltà.

A casa, riferita la notizia, Ashton era scoppiato a ridere, Cain si era detto solidale con lei, e Adrian non aveva fatto una piega, si era giusto sprecato nel raccomandarle prudenza. Conoscendo la natura del rapporto tra Ashton e Axel Vandemberg, Sophia si era poi giocata il tutto e per tutto.

“Ashton” aveva mugolato spudoratamente “era solo una passeggiata, non ti sembrano punizioni un po’ eccessive…?”

“Sophia, hai contravvenuto alle regole. La prossima volta che le infrangi, fallo da furba…” aveva cantilenato lui, sulle labbra ancora la forma della risata, lo sguardo come sempre oltremodo affascinante. Al che Sophia si era sentita sciogliere le ginocchia e aveva perso tutte le parole con cui controbattere.

C’erano volte – come quella – in cui vivere con tre vampiri era insopportabile, ti portava allo stremo delle forze fisiche, mentali ed emotive.

“E poi sarai principalmente agli ordini di Eloise, che non è propriamente famosa per essere un tiranno” aveva concluso Ashton.

Quando Vandemberg aveva nominato l’ospedale, si era aspettata di finire a far la schiava di Eloise. Era da diverse settimane a quella parte che l’erede al trono di Aldenor aveva preso a favorire in maniera sfacciata quella che ormai era palesemente la sua fidanzata, con o senza le ufficializzazioni del caso. Cosa aspettassero Sophia non riusciva a immaginarlo. Aveva provato a ottenere qualche informazione da Jordan, così tanto per fare, ma lui sembrava – sinceramente – non capire dove lei volesse andare a parare. Così aveva rinunciato, pensando che l’amico considerasse Eloise come una sorella maggiore, diventando quindi sordo a tutto ciò che la riguardava come ragazza. Oppure ci stava dietro un qualche contorto cavillo regale, o i genitori di lei si opponevano, o… Alla fine Sophia aveva perso interesse per la faccenda.

Inoltre c’era la tenera predilezione che Ashton aveva per Eloise, che rendeva Sophia inconsapevolmente gelosa.

 

Il sole era ormai alto nel cielo e Sophia era sempre più stufa, scocciata e annoiata. Si alzò dalla sedia con l’intenzione di farsi un giro per l’ospedale; che la andassero a cercare, se c’era bisogno di lei.

Raccolse dal letto la sua rosa incastrata in una piccola provetta d’acqua – gliel’aveva trovata Cain chissà dove – e si avviò per i corridoi.

Erano passati due giorni da quando aveva incontrato Selene Blondehaar, da quando l’aveva trovata seduta al capezzale di qualcuno che non aveva più bisogno di nessuna assistenza. Selene l’aveva ringraziata, e le aveva dato una rosa di quello che sarebbe stato il suo bouquet di nozze.

“Quanto sei giovane…” le aveva detto porgendole un bocciolo con dei pallidi petali rosa. La voce dolce, il sorriso triste e gli occhi chiari umidi.

Aveva visto una persona morire. Dolcemente, senza troppo rumore o scandalo. Ed era qualcosa che non si sarebbe mai aspettata di trovare sul proprio cammino, non qui, non ora, qualcosa che la disturbava e le metteva paura. Cercava di non pensarci, di cacciare via il ricordo, ma talvolta tornava rendendola di cattivo umore.

Quando la sala del primo soccorso si era finalmente svuotata, Eloise l’aveva fatta sedere su un letto e le aveva parlato. Le aveva fatto i complimenti su come si era comportata e su quello che aveva fatto; le aveva detto che succedevano anche cose del genere, cose per le quali spesso non si poteva fare nulla. Infine l’aveva abbracciata.

Cresciuta in orfanotrofio, Sophia non era abituata al contatto fisico, anzi a volte la disturbava. Eppure quell’abbraccio era stato come una tazza di tè caldo in mezzo al freddo della paura e dello sgomento che si rendeva conto di provare. Rincuorata aveva poi deciso di far visita alla salma del ragazzo nel pomeriggio, prima che lo portassero via, visita che le avrebbe fatto conoscere Selene Blondehaar.

E proprio nelle cripte l’avevano portata i suoi piedi sovrappensiero. Era decisa a far dietrofront per evitare che pensieri deprimenti legati agli ultimi avvenimenti la assalissero, quando una porta socchiusa attirò la sua attenzione. Pensò che avrebbe fatto bene a farsi gli affari suoi, visto che stava già scontando un castigo, ma vinse la sua curiosità.

Aprì lentamente la porta dalla serratura malandata e vi trovò una ragazza stesa sul catafalco. Era vestita di bianco, e le avevano messo tra le mani un mazzo di fiori. Rose in boccio?

Un rumore dal corridoio fece sobbalzare Sophia, che, temendo per una seconda punizione, si chiuse nella stanza senza pensarci due volte. Si accucciò contro la parete pensando di lasciar passare qualche minuto prima di rimettere il naso fuori e fuggire da un posto così macabro.

Eppure c’era qualcosa nello scenario di fronte a lei, qualcosa di quieto sereno pacifico. La luce che entrava dalla finestrella sembrava voler illuminare solo il corpo di quella ragazza, il suo vestito, le sue trine, i suoi pizzi e le sue rose.

Sophia abbassò gli occhi sulla rosa che si portava appresso da due giorni. Era ancora un bocciolo, un bocciolo piuttosto grosso ormai, ma comunque coi tenui petali ancora chiusi.

Quanto sei giovane.

Quanto sono piccola, si disse. Era ancora frastornata dagli avvenimenti dell’ultimo inverno, dalla scoperta delle sue origini, dall’incontro con Ashton e da quelli con Cain e Adrian. Aveva mantenuto il cognome dell’orfanotrofio, non si era trasferita e aveva continuato a condurre la stessa vita di prima. Frequentemente si recava alla residenza Blackmore e piano piano prendeva confidenza con quanto era stato, con la famiglia che non aveva avuto, con ciò che riguardava la reggenza di Altieres. Senza forzature, protetta dai tre redivivi, imparava cosa voleva dire essere una Blackmore.

Ashton soprattutto voleva fare le cose con calma. Sosteneva non fosse prudente sbandierare ai quattro venti il ritrovamento dell’ultimo dei Balckmore, in particolare con Maderian così smaniosa di inglobare Altieres. Preferiva lasciare le cose come stavano ancora per un po’, intanto Sophia avrebbe avuto tutto il tempo per diventare davvero l’ultima del Blackmore, e riprendersi ciò che era stato della sua famiglia: il regno, il potere e la stima.

In tutto ciò Sophia non aveva nulla in contrario. Le piaceva quella vita in cui era ancora un po’ Lord e pian piano diventava Blackmore. Non si sentiva nemmeno oppressa o sotto pressione. Ashton, Cain e anche Adrian la affascinavano. Aveva tutta l’intenzione di godersi gli anni spensierati del triennio delle Arti.

Solo che alle volte – quando Ashton la fissava dritto negli occhi, quando trovava un vecchio ritratto di sua madre, quando vedeva Julian, che amava come un vero fratello, distante da lei, quando si imbatteva in un albero genealogico, quando ricordava che di lì a poco non sarebbe più stata un’orfanella ma l’unica reggente di un intera Nazione  – alle volte le capitava di sentirsi un piccolo fiore in preda al vento. Un piccolo fiore non ancora sbocciato, indifeso, nascosto, timido. Un fiore ancora incapace di affermarsi nella sua bellezza e nella sua identità.

Strinse al petto il bocciolo che teneva tra le mani, e gli – si – sussurrò parole rassicuranti.

- Non preoccuparti, tra poco sboccerai…

 

 

EPILOGO – TERZA NOTTE

 

Aprì gli occhi e provò a respirare. Aveva sempre pensato che fosse qualcosa all’altezza della gola a far gonfiare d’aria il petto; ora invece si rendeva conto che erano i muscoli delle costole a tirare i polmoni per risucchiare ossigeno dentro il corpo. Spostò un braccio e posò il palmo aperto sul letto dove era sdraiata e fece leva per alzarsi. Si rese conto che si aspettava di sedersi eretta solo quando si ritrovò eccessivamente piegata in avanti, che pensava di metterci molto tempo solo quando i suoi occhi non riuscirono a seguire il cambiamento di angolazione da cui guardavano la stanza.

Si alzò in piedi, tenendo il bouquet stretto al petto e provò a fare qualche passo, attendendosi un incedere intorpidito. Le sembrò invece di saltare a ogni movimento dei piedi, la gonna bianca che strusciava a terra in un fruscio inatteso.

Stava diventando tutto molto irritante.

Probabilmente aveva già provato sensazioni simili quando – la prima volta che era nata – si afferrava il piedino per morderlo, incapace di comprendere come quel piede potesse essere una parte di lei. Ma allora non aveva coscienza di sé, e un mondo inesplorato la circondava. Ora doveva ricomporre un corpo e un mondo che già conosceva in un quadro ancora ignoto.

Fece un giro del catafalco e raggiunse la finestrella da cui filtrava la luce della luna. Oltre le sottili sbarre di ferro che proteggevano i sotterranei – l’obitorio non è certo luogo da cui poter scappare – vedeva il disco bianco e rotondo della luna. Rimase a guardarla, come se la vedesse per la prima volta.

Allungò la mano e toccò i ferri conficcati nelle pietre delle mura. Sembravano così fragili, ora! Ne curvò due come fossero giunchi e provò ad uscire. Con una mano sola riuscì a issarsi e scivolare fuori dalla stanza.

Si ritrovò nel giardino interno della Misericordia, lo riconobbe perché era un luogo che aveva già visitato. Prima.

Mormorii che ancora non sapeva riconoscere, colori che le apparivano chiaramente distinguibili, fragranze che non aveva mai sentito. Era sempre stata così irreale la notte illuminata dalla luna piena?

Amava pensare di avere un rapporto speciale con la signora del cielo notturno. Per il suo nome, perché era femmina, perché era nata all’inizio dell’estate sotto il suo segno. Poteva davvero tradirla mostrandole anche lei un mondo diverso da quello che conosceva? Dunque nemmeno quell’amica le era rimasta?

Posò lo sguardo sul mazzo di rose che teneva ancora in mano. Erano belle. Eteree. Fresche. Morbide. Sgargianti. Profumate.

Erano perfette.

Ed erano senz’acqua da almeno tre giorni.

- Cos’hai fatto?

Sapeva che lui era lì. Non perché avesse fatto rumore raggiungendola, non perché sentisse il suo respiro o il battito del suo cuore. Lo percepiva e basta.

- Selene, io…

- Cos’hai fatto! – urlò.

- Ti sei avvelenata, hai--

- E’ stata una mia scelta! – il magone che le premeva contro la gola faceva male allo stesso modo di quando ancora non aveva tutti quei tendini che ora le attraversavano il corpo – Dannazione, un mia scelta. Non sei in grado di rispettare nemmeno questa?

- Non potevi chiedermi di perderti.

- Non potevi chiedermi di restare con te – la voce ridotta a un sussurro.

- Pensare a un mondo con una Selene felice da qualche parte sotto il cielo aveva un senso. Ma sapere che per quante terre attraversate non ti avrei più rincontrata… Non potevo accettarlo.

- Prima o poi sarei morta comunque!

- Avrei visto i tuoi capelli diventare bianchi, la tua pelle segnarsi. Avrei visto i tuoi figli e i tuoi nipoti. Avrei avuto tutto il tempo per farmene una ragione.

- E se non te la fossi fatta? Se non l’avresti mai accettato? – lui non rispose, e Selene continuò – In tutto questo, io… io che fine faccio?

L’orologio di una cattedrale in lontananza batté l’ora, lo sentirono entrambi distintamente.

- Non è ancora mezzanotte… Mi sarei sposata oggi, e questa sarebbe stata la mia notte di nozze…

Non lo disse per ferirlo, pensava ad alta voce. Gli occhi chiusi, il volto levato di nuovo verso la luna.

- …e mi sono svegliata sola, in un letto vuoto.

Una nuova vita, ma non quella che si aspettava.

Riaprì gli occhi lasciando scivolare lo sguardo sul bouquet tra le mani – Quando mi hanno detto che era stato ferito, che aveva perso troppo sangue, che… che non ce l’aveva fatta… Ho pensato che un mondo sotto il cui cielo lui non sorrideva da nessuna parte, era un mondo in cui non volevo vivere.

La luce della luna le bagnava il vestito bianco. I pizzi sul corpetto sembravano decorazioni in ceramica, il tulle era una bruma attorno la sua figura e i nastri di raso rilucevano come specchi. I capelli chiari parevano biondi e la pelle appariva – era davvero? – bianca come la luna in cielo.

- Cosa hai fatto? Perché mi hai fatto questo? Perché mi hai riportato indietro?

- Perché ti amo.

Lo disse con un tono semplice da disarmare, una sincerità in volto tale da lasciare inermi.

Il respiro si fermò nella gola di Selene, e non riuscì più a dire nulla.

- Ti amo. E vivo della luce che hai negli occhi. Che è parte di te, che è te. E muore e rinasce con te.

Turbata, Selene abbassò lo sguardo. Sapeva dell’affetto che li legava, e forse sapeva anche quanto lui l’amasse. Ma non sapeva che scontrarsi con tutta l’intensità di quelle parole potesse sconvolgerla tanto.

- Non posso ricambiarti. Non ora che ho ancora sulla pelle il tocco delle sue dita.

- Non è quello che ti chiedo. Mi basta un mondo dove tu esisti.

Lui fece qualche passo indietro, si stava voltando per andarsene quando lei, lo sguardo ancora fisso sulle rose, parlò di nuovo.

- Come possono avermi fatto compagnia per tutto questo tempo senza nutrimento? Le hai scelte tu? – tornò a guardarlo.

- E’ l’ultima sperimentazione della Societas di Filosofia Naturale. Pare ci sia una miscela di acqua e altre sostanze: se i fiori la bevono si cristallizzano e restano belli in eterno.

- In eterno? – Selene accarezzò i petali delle rose più grandi – Non c’è nulla di eterno a questo mondo.

Tacque.

- Nemmeno la mia morte…

Il sussurro di Selene rimase sospeso nella luce della luna insieme ai mormorii, ai colori, alle fragranze di quella notte, in quel mondo inesplorato che avrebbe imparato ad accettare – e ad amare di nuovo – solo con il tempo.

 

 

Never coming back, love will go

You’ll be there by my side

You may never know my devotion

Feel my breath in the quiet night

Live in vanity for ever

 

Won’t you feel my gentle emotion

Let us live in peace with conviction

If you’re here please hold me…

 

(Vanity, Yuki Kajiura)



 

 

 

 

NOTE

 

Il Titolo

Il titolo si rifà all’opera di Ryoko Ikeda, Le Rose di Versailles (Berusayu no Bara, in Italia Lady Oscar, 1972), riguardo la quale l’autrice ha assegnato una rosa a ciascuno dei personaggi femminili principali, le stesse qui nominate.

Misericordia ha la doppia valenza del nome dell’ospedale e del comporta-mento delle ragazze nei confronti del giovane ferito, soprattutto agli occhi della fidanzata.

Selene Blondehaar

Il cognome viene da Isotta dai Biondi Capelli (Isolde Blondehaar, nell’opera di Gottfried von Strassburg del tredicesimo secolo), la quale “muore d’amore” davanti al corpo senza vita di Tristano.

A tal proposito ringrazio mia sorella e il suo tedesco.

Contesto

La storia si svolge poche settimane dopo gli eventi di Black Friars, L’Ordine della Spada, attorno all’inizio della primavera.

Occupa l’arco di tre giorni, il tempo necessario a un morto per risvegliarsi come redivivo.

“Meridies” significa “mezzogiorno” in latino (nominativo).

Betaggio

Ringrazio Paola che in mezzo al lavoro ha trovato un momento per prendere le lettere le parole che mi sono scappate dalle dita e rimetterle a posto. Grazie per le bellissime parole di commento!

E ringrazio anche la mia mamma, che a poche ore dalla consegna mi ha spiazzata con un “Ma io non dovevo leggere una tua storia?”. E così è stata la seconda lettrice di questa fanfiction.

Le Immagini

Ritratte nelle immagini ci sono 4 delle rose rosse del mio bouquet di laurea messo a seccare: i miei rudimenti di Photoshop hanno provato a trasformarle nelle rose della storia: prima in mano a Selene, con un’estremità del nastro abbandonata sul cuscino, e poi con entrambe senza nessuna mano da avvolgere.

Vanity

Vanity è una canzone di Yuki Kajiura del 2003, interpretata soprattutto Emily Bindiger, ma io la conosco tramite l’interpretazione di Wakana al live del 2008: in questa esecuzione ha un qualcosa di drammatico ed emozionante che mi ha fatto inserire una parte della canzone in questa storia.

 

 

 

 

BHA! BUBBOLE!!!!

ovvero… le NOTE STUPIDE

 

Che emozione contribuire ad inaugurare la sezione su EFP di BF!!! Gaudio e Gioia!

 

Questa fic partecipa al Contest di Mirya76 “Rosa rosae” e si basa sull’opera Black Friars di Virginia de Winter. Quindi Lode e Gloria a Mirya, che se non era per la sua idea non so se sarei mai riuscita a scrivere qualcosa su BF, per quanto mi sarebbe piaciuto! Perché, malgrado l’allegria che trasuda la storia, mi sono divertita molto a scriverla! Ok, alcune parti…

Tra l’altro, per essere sicura di arrivare alla fine (sono la donna delle storie eterne…), la prima parte ad essere stata scritta è stato il finale! E, modestia a parte, mi è piaciuto da subito!!!

Di certo mi sono divertita a creare le COPERTINE (fronte e retro) e a cercare una CANZONE adatta! (se ho imparato a usare l’html potete anche vedervi le canzoni e ascoltarvi la copertina. eh???)

[OTTIMO, con l’html ho TRAGICAMENTE fallito tranne inspiegabilmente per il link al contest… Che tanto ho rimosso perché quando lo aggiungevo con l’html mi compattava tutto… Quindi:

Rosa rosae -> http://freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd=9678600

Black Friars -> http://www.virginiadewinter.net/home/

Copertine -> http://codenamewasailorviky.wordpress.com/2011/06/02/lerosedellamisericordia/rose-copertina-3/ e

http://codenamewasailorviky.wordpress.com/2011/06/02/lerosedellamisericordia/rose-4-di-cop/

Canzone -> http://www.youtube.com/watch?v=aFdEl35oUGQ

Mi arrenderò a NVU… Sono resistita senza per 5 anni però! ^^]

 

Bene, so già che quando leggerò le altre storie in concorso (quelle degli autori che vorranno pubblicarle) avrò complessi di inferiorità immensi… Bha pazienza!!! Prima di questo concorso pensavo non sarei mai riuscita a scrivere di Eloise e Axel! [Infatti non è che abbia scritto propriamente di loro… dettagli!!!]

 

Quanto alla storia… due o tre cose che non interessano a nessuno…

* OOC non l’ho messo nelle note perché non era nelle mie intenzioni uscire dal personaggio… Penso che ogni FF sia NECESSARIAMENTE OOC, per mille mila motivi. Infatti Mirya gradiva la specificazione dell’OOC, quindi nelle note per il contest c’è! [Sì, e quindi….?]

* Trovo il cognome di Selene ORRENDO, ma mi piaceva il collegamento con Isotta! Tra l’altro il fatto che fosse chiara di capelli l’avevo deciso prima che mia sorella mi trovasse il riferimento… era destino!!!

Quanto al fidanzato… Non ha nemmeno un nome! Uomo inutile che tira le cuoia senza nemmeno dire una battuta! Non è vero, mi sento un pochino in colpa per averlo fatto fuori così… *lacrimuccia*

* Siccome il tema del contest era la ROSA volevo collegare le Rose Stabilizzate ai redivivi [da qui la morte e la depressione che caratterizza la fic…]. In realtà le Rose Stabilizzate vivono un sei o sette anni, non per sempre. L’altra opzione erano i fiori secchi peccato che se li tocchi vanno in frantumi… ho sparpagliato petali per tutta la casa x far le foto alle 4 rose in copertina! E poi è un mondo parallelo, magari la Facoltà di Filosofia Naturale è più avanzata dei nostri chimici!!!

* Non ho diviso la storia in capitoli perché avevano una lunghezza RIDICOLA!!! A proposito, la storia in sé conta ESATTAMENTE 7000 PAROLE! Sono oltremodo orgogliosa di ciò!!!

* Lascio alla vostra immaginazione perché la serratura fosse rotta (lett. “porta scalcagnata”). L’ha rotta il vampiro senza nome per mordere la sua Selene non appena era stata portata nelle Cripte? Era marcia di suo e lui è stato il primo a trovarla avvelenata e per salvarla l’ha morsa? Io non mi pronuncio anche perché non ricordo nei dettagli come un redivivo diventa tale! preferisco che ogni lettore possa fantasticare *cuoricino* !

 

Buona lettura e grazie per essere arrivati fin qui!!!

Tengo le dita INCROCIATISSIME!!!

 

Ps: Riporto il primo commento che ha ricevuto questa storia, unicamente per tirarmela per portarmi fortuna! Grazie Paola! EMMMMMMMOZIONE!

 

Ciao!! Devo ammettere che non ho colto il collegamento del vampiro.. forse perché non sono proprio addentro a queste cose… non mi vengono spontanee, mettiamola così!

Ho scritto un paio di cose in rosso. Non temere, sono errori di battitura! Uno l’avevo segnato in redazione nelle prime pagine.. ma ora non lo trovo più!!

Un’altra cosina: non ho ben capito quando distribuisce le rose a tutte, ma non so se sia fondamentale come annotazione..

Per il resto… e per quanto possa valere il mio parere.. devo farti le mie più vive congratulazioni!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! In tutta sincerità: lascia perdere Hermione e Mowgli, o per lo meno, tienili come tuo esercizio personale… questa sì che è prosa degna della VICKY!!!!!!!!!!!

Belli anche i nomi e ottima la soluzione scelta per descrivere una vedova-sposa!!

 

No, un momento…

Evidentemente ispiri purezza a tutti, meno che ai miei pensieri su di te.”

Ho fatto leggere una cosa del genere A MIA MADRE??? OMMIODDIO…!!! Voglio sparire… In ogni caso lei ha detto “Bella!!! C’è qualche errore di sintassi…” Pazienza, io la chiamo licenza poetica!

Però le è piaciuta! *cuoricino* Sì, ma se ci penso voglio sotterrarmi lo stesso…

 

 

 

 

9 Luglio 2011

Come ho già scritto qualche giorno fa nell’intro alla fic, questa storia è arrivata seconda al contest Rosa Rosae (*scuoriciamenti vari a oltranza*)!!! GRAZIE a Mirya, al suo tempo, alla sua dedizione, al suo impegno, e GRAZIE anche agli altri quattordici partecipanti per le storie che hanno scritto! Sarebbe stato un onore anche arrivare quindicesima!

Qui -> http://freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd=9678600&p=8

trovate la valutazione di Mirya, è il diciassettesimo post, post più post meno.

Mirya ci ha chiesto se vogliamo la valutazione come recensione alla fic, e io la voglio assolutamente!!!

Sono oltremodo COMMOSSA dalle sue parole, soprattutto per quel che mi dice dei personaggi, della sintassi e del tema. (E come sempre gongolo per tutto ciò che posso considerare un complimento. Ahahaha!!!). Quanto alle mie pecche dico solo che ondeggiano tra semplici errori di battitura (corretti ^^”), errori veri e propri, cattive abitudini e meri capricci.

Siccome i 5 bellissimi commenti (a cui finalmente mi degno di rispondere ^^”) ricevuti fin’ora si basano sulla fic così come l’ho inviata al contest, non penso di fare grandi correzioni (a parte gli errori di battitura ^^”). E poi c’è la faccenda delle 7000 parole tonde, di cui ho fatto un punto d’orgoglio (ride), per cui diventa ostica la correzione: devo riuscire a non riscrivere frasi intere!

Felice di aver partecipato al secondo Contest, ringrazio chi ha commentato e chi commenterà!

 

Bene, ora che ho dissipato i miei timori nello scrivere una fic su BF, vado ad elaborare un paio di idee… eheheh…

   
 
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