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Autore: _Enya    02/06/2011    4 recensioni
L'Irlanda. Una terra così magica, vittima di una guerra terribile. Stella, giovane ragazza irlandese, farà di tutto per dare il suo aiuto. Con un piccolo aiuto da un personaggio abbastanza noto...
[Perdonate, non sono brava con le introduzioni]
Genere: Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: John Lennon
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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If you had the luck of the Irish
You'd be sorry and wish you were dead
You should have the luck of the Irish
And you'd wish you was English instead!

New York, 1972
 
In quel periodo il mondo era scosso da un evento tragico:
L’ Irlanda, la pacifica e magica Irlanda, era coinvolta in un orrore internazionale: la guerra d’indipendenza.
Gli Irlandesi, ovunque andassero, erano soggetti di violenze fisiche o mentali, oppure trattati come cani, o anche, ancora peggio, non considerati.
Era un pomeriggio di primavera quando John Lennon la vide sentì delle grida soffocate da dietro un muretto. Si sporse per guardare e vide una giovane ragazza a terra in un lago di sangue, e sopra di lei un uomo che la stava picchiando violentemente. Scavalcò il muretto con un balzo e fermò le braccia dell’uomo.
“Si può sapere che cazzo stai facendo, eh? Non ti vergogni minimamente?”
L’uomo, senza neanche guardarlo, disse “Perché dovrei? È una sporca Irlandese! Non vale nulla, dovrebbero solo sparire questi bastardi!”
John gli girò la testa, in modo da guardarlo negli occhi.
“Guardala. Dovresti sentirti un verme, un fottuto verme, picchiare una ragazzina. Irlandese o non Irlandese. Vattene, prima che mi venga voglia di picchiarti, sparisci!”
L’uomo se ne andò, non prima di averlo mandato a quel paese.
John guardò la ragazza chinandocisi sopra e controllò le ferite. -Non sono gravi- pensò.
Aveva un occhio nero, e tanto sangue che le usciva dal labbro. La prese in braccio, era leggerissima, non si preoccupò nemmeno di macchiarsi la camicia di sangue.
Tornò di corsa a casa, dove, aiutato da Yoko, le ripulì le ferite e provò a curarle. Restò ad osservarla fino a quando, il giorno dopo, la ragazza iniziò a svegliarsi.
Era di corporatura minuta, i lunghi capelli rossi che le ricoprivano gli occhi le arrivavano un po’ dopo le spalle. Portava una medaglietta con un trifoglio d’argento, simbolo dell’Irlanda. Si stropicciò gli occhi, sbadigliando. “Dove mi trovo?” Chiese spalancando due grandi occhi verdi.
Aveva un accento inconfondibile del Nord, tutto di lei diceva chiaramente “Sono Irlandese!”.
John le raccontò di come l’aveva trovata, sotto lo sguardo curioso di lei. “Ah! Ora ricordo!! Quello lì si era permesso di insultare la mia gente!! Grazie... John? Il mio nome è Stella. Stella O’ Bryan, e vengo da Belfast!” Disse orgogliosa, sfoggiando un grandissimo sorriso.
“Mi dispiace per... La situazione.” Disse John dispiaciuto. Stella arricciò le labbra. “Anche a me.”
“Cosa ci fai qui a New York?”
“Mi ci ha portato mia madre." Disse sconsolata.
“Perché  una madre dovrebbe portare sua figlia in un posto così lontano?”
“Tu non hai mai vissuto in Irlanda, non sai cosa vuol dire.”
In quel momento Yoko entrò nella camera, porgendo a Stella una tazza di thè. Sorseggiandolo, iniziò a raccontare
“All’inizio è brutto, nel senso che ti svegli una mattina e ti trovi sotto casa la polizia inglese che picchia qualche ragazzo colpevole solo di essere Irlandese. Esci in giardino e trovi una distesa di sangue e vetri rotti, uno spettacolo orribile. I primi giorni l’importante è salvarsi la vita, chiudersi da qualche parte e cercare di sfuggire agli inglesi. Poi inizi a renderti conto della situazione e la vivi veramente, inizi a batterti per la tua patria, perché è lei che ti ha cresciuto, e ora che ha bisogno di aiuto nessuno si tirerà indietro!” Disse.
John e Yoko rimasero stregati dalla fierezza con cui pronunciò le ultime parole. Gli occhi le brillavano di una luce particolare, intensa. John era arrabbiato per  tutto quello che stava capitando a quella gente, che troppe ne aveva passate. In un attimo era come se fosse diventato Irlandese, e voleva conoscere ogni cosa, forse per provare a capire ciò che provavano.
“Raccontami ogni cosa, Stella.” Disse con il tono curioso di un bimbo, mentre lei aveva già uno sguardo adulto, nonostante la sua giovanissima età. Lei però, prima di iniziare a raccontare la sua triste storia, gli chiese se era possibile uscire, magari farsi una passeggiata, perché  gli spazi chiusi non riusciva a sopportarli.
Uscirono e arrivarono fino a Central Park. Si sedettero in una panchina, e Stella rimirò il cielo cinereo Newyorkese. “Sai John, a volte penso che mi sarebbe piaciuto nascere Inglese.”
“Come sarebbe a dire?”
“Se tu fossi Irlandese mi capiresti. La nostra è una storia molto travagliata, non è facile essere considerati un ... Diverso. Ecco.”  “Non ti capisco.” “Ora ti spiego:  la nostra storia è segnata da oltre mille anni di tortura e di fame che hanno portato la gente a fuggire, lasciando la propria casa, talvolta anche la propria famiglia...”
Si fermò a pensare. Anche lei era in un paese che non era il suo. Aprì la bocca per aggiungere qualcosa, ma John fu più veloce e la anticipò “Come si può andare via da un paese così pieno di meraviglie?”
“Quando hai fame e la gente con cui hai passato l’infanzia e i giorni più belli della tua vita ti muore tra le braccia, a volte scappare è l’unica soluzione.”
“Vi hanno distrutto...” Commentò John, più a sé stesso
“Non hanno distrutto noi. Hanno distrutto la nostra terra, la nostra casa! La nostra Irlanda è stata stuprata da quei briganti Inglesi!! Goddamn!*” gli scappò quest’ultima parola in Irlandese stretto, anche se il significato non sfuggì a John, che si trovò ancora una volta consenziente con le parole risentite di Stella, nonostante lui fosse Inglese.
“John credimi, il nostro è un paese di brava gente, non come ve la raccontano, come se fossimo degli ubriaconi visionari, che passano il tempo a cercare folletti! Raccontano ovunque una realtà distorta della nostra gente... Non è giusto!”  John, intenerito, la strinse tra le braccia. “No, non è così. A Liverpool ci hanno raccontato...” “No, non ci credo. Non è possibile. Per voi siamo quelli che hanno sempre bisogno di compassione! Vi facciamo pena!” Si slacciò dalla stretta di John e si incamminò a passo spedito per l’uscita del parco. Nel camminare però, udì un gruppo di ragazzi che parodizzavano la situazione della sua Irlanda “Ahahah! Guarda sono contento se li  sterminano tutti gli Inglesi, portano solo guai quelli!”
Stella li guardò con odio e, sotto lo sguardo attonito e preoccupato di John, si diresse a passo spedito contro quei ragazzi.
“Beh? Che altro volete dire sull’IRA? Sono qui, ditemi, che cazzo vi hanno fatto? Hanno ucciso come avete fatto voi con i miei amici?”
“Ah guarda tu!” le risposero divertiti “Una bella Irlandesina offesa... Vieni qua cara” Stella si avvicinò a passo spedito verso di loro, quando due braccia forti la bloccarono “Dove credi di stare? Questi non ci pensano due volte a picchiarti!” La ragazza singhiozzò, sussurrando “Che ci stanno a fare gli inglesi qui? Riempiono di stronzate la testa dei loro ragazzi, facendogli dire peste e corna dei nostri dell’IRA! Bisogna fermarli, loro e gli Inglesi!”
“Calmati Stella. Andiamo a casa, basta che non urli.”  Lo guardò con tristezza, spalancando i suoi grandi occhi verdi “Grazie mille. Mi dispiace metterti a disagio.” Si strinse nelle spalle e si incamminò verso casa di John.
Stella rimase tutto il giorno in silenzio, strimpellando una chitarra di John, producendo un suono lento e malinconico. Yoko rimase con lei mentre John era nello studio di registrazione, e la osservava suonare una vecchia melodia con lo sguardo fisso nel vuoto, vedeva in lei un qualcosa che aveva notato spesso in John, quelle volte che pensava a quello che era diventato e quando si faceva prendere dai rimorsi. John tornò tardi e portò con se il giornale, porgendolo a Yoko con sguardo afflitto. “Niente di nuovo” “Ancora morti, morti e ancora morti. Hanno oltrepassato il limite!” Stella si gettò sul giornale mangiandoselo con gli occhi, ma purtroppo non diceva nulla oltre le solite frasi ‘Ancora disordini in Irlanda’, tsè, magari fossero solo “disordini”... Era molto peggio.
A cena, sentirono il telegiornale e d’improvviso passò una notizia che fece ghiacciare il cuore di Stella:
“A Galway oggi c’è stata l’ennesima sparatoria, i morti sono 24, tra questi ricordiamo anche il generale...”
-L’ennesimo genocidio, quando la smetteranno?- pensò John deluso, infilandosi una forchettata di insalata in bocca.
“Oggi due giovani ragazzi sono stati colpiti da un’ufficiale inglese, sono l’esponente dell’IRA Bobby Sands e un giovanissimo ragazzo, Eddie O’ Brian, colpito da due proiettili in fronte e morto per dissanguamento”

Klink.

Il rumore metallico della forchetta precedette una lunga serie di singhiozzi.
“Lo conosci?” La voce preoccupata di Yoko si insinuò nella mente della ragazza, risuonando a volume sempre più alto.
“è mio fratello... Lui... Era l'unico che mi era rimasto!”
“Rilassati piccola. Vai a dormire...” le aveva proposto John, vedendo che le lacrime stavano scivolando copiose dalle sue guance.
Stella si diresse verso la sua camera e si affacciò alla finestra. La dolce luce della Luna risplendeva beffarda, quasi a prendersi gioco di lei.
E lei, sentitasi ancora una volta delusa dalla vita, pronunciò macabre parole, come una promessa: “Io non sopporto questa violenza gratuita, mi batterò fino alla morte!” John aveva udito quelle parole da lontano e ne era rimasto impietrito.
Guardava la sua figura piccolina dirigersi verso il letto e caderci mollemente, biasciando “Irlanda mia bella, forse un giorno tornerò da te”.
Il giorno seguente John la trovò  china su un giornale, che scuoteva la testa inorridita. Teneva la fronte contratta, un misto di odio e disperazione nel vedere i corpi di suoi conoscenti stesi a terra in un bagno di sangue. Alzò lo sguardo, John la stava fissando. “Torno in Irlanda.” I suoi occhi, prima così pieni di vita, erano diventati due blocchi di ghiaccio.
“è pericoloso.”
“John, è la mia terra. È la mia casa, e io devo combattere per lei, per un futuro meno buio”
John scosse la testa. Non era convinto, ma se quello era il suo sogno... Non poteva fermarla.
Nei giorni successivi l’accompagnò fino a Londra, chiedendole ogni volta se era davvero convinta. Ogni volta, con ferma convinzione Stella gli diceva si. Era davvero legata alla sua terra e questo per John era una cosa davvero meritevole.
Vedeva una grande forza in lei, e poi era così giovane., non le aveva mai chiesto quanti anni aveva... Sicuramente non più di venti.
Arrivati alla frontiera Stella lo guardò commossa “Grazie mille John. Grazie di tutto, non sarei a questo punto senza di te. Tieni questo e prega San Patrizio affinché ci aiuti a liberare il nostro paese.”
Detto questo si sganciò il trifoglio che aveva al collo e lo porse a John.
“Figurati. Grazie mille, ma credo che serva di più a te... Non credi? Anche per pregare... Non lo faccio spesso...”
Stella rise di gusto.
“John! Io sono nata il 17 marzo... Sai? È una data bellissima per nascere... Ho lui con me” Indicò il cielo
“Credo che abbia il posticino già pronto per me... Prego ogni giorno, dovresti farlo anche tu” Mostrò un’immagine di San Patrizio.
“La porto con me da quando ho sette anni. Mi ha aiutato molto. Tieni il mio regalo per sempre, va bene?” John lo mise in tasca.
“Sei una ragazza fantastica. Mai visto qualcuno come te... Vai e fatti onore! Solo una cosa... Tornerai?”
Stella rise ancora. Era dolcissima quando rideva, illuminava tutto ciò che la circondava.
“Eheh, forse. Il mio cuore appartiene all’Irlanda, ma nulla mi vieta di rincontrare l’unico inglese che non vorrei picchiare a sangue! Tornerò quando tutto sarà finito... Insieme a Neal”
Gli fece l’occhiolino.
“Buona fortuna, allora" disse John.
Si abbracciarono. Lui la strinse forte, con un dolore nel cuore. Sentiva, come un sospetto, che non l'avrebbe più rivista.
Respirò il dolce profumo dei suoi capelli e la lasciò andare. Stella partì, questa volta per sempre. Mosse la mano in segno di saluto e poi scomparve nella nebbia. John tornò a casa, a capo chino.
Passò il tempo a guardare i telegiornali e leggere le notizie sull’Irlanda.
Era preoccupato, quel senso di angoscia si andava a intensificare sempre di più. 
Una sera si misero a guardare come ogni sera il telegiornale.
Prima che iniziasse Yoko gli sussurrò “John. Ho un brutto presentimento.”
Guardarono afflitti il telegiornale, sentendo giovanissimi ragazzi urlare per i propri diritti. Ragazzi che apostrofavano gli aggressori con “Assassini”, "Maiali" e simili. Vedevano la tenacia di questi giovani ragazzi, privati della loro vita, che combattevano anche se erano feriti, talvolta anche gravemente.
John si voltò e le disse “Ti manca il Giappone?”
“Un po’. Ma non ci tornerei, sto bene qui, con te. Magari per una vacanza... Non so.”
“A me non manca l’Inghilterra.”
Tornarono ad ascoltare, chiusi nelle loro considerazioni. L’elenco delle vittime era sempre più lungo. Seguì un momento di pausa, poi la fredda giornalista annunciò
 
“Sempre di più sono i ragazzi che prendono parte alle rivolte, hanno perso la vita da poco un ragazzo di 20 anni e una ragazzina di appena 15 anni, colpita da un proiettile nel cuore. Fin ora le vittime avevano avuto dai 20 anni in su, ma il caso di questa giovane, Stella O’ Brian, sconvolge tutto il paese. Era nata il 17 marzo del 1957 a Belfast. Il primo ragazzo non è ancora stato identificato, il volto è sfigurato dai proiettili. Verranno sepolti nel cimitero nella montagna di Blarney, con funerale cristiano. È tutto per ora, buonanotte.”
 
Tutti i loro sospetti si erano avverati. John e Yoko si stringevano la mano, mentre dentro di loro scorrevano le terribili immagini della figura minuta di Stella che provava a difendersi.
Lei sapeva che non sarebbe sopravvissuta, lo aveva letto nei suoi occhi quando si erano salutati. Eppure ci era andata lo stesso, aveva sfidato la sorte, tutto per amore del suo paese, della sua amata Irlanda. L’aveva difesa fino alla morte.
La stessa notte John non riuscì a dormire. Gli vorticavano in mente le parole di Stella.
Gli aveva insegnato una cosa importante in quel poco tempo che era stata a New York: l’amore per la propria terra è più forte di qualunque cosa, non importa la lontananza, appena lei è in pericolo bisogna scattare ad aiutarla. La notte passò velocemente e John decise di voler dare un contributo per l’Irlanda e in ricordo di Stella. Si sedette con la chitarra in mano e appuntò le parole di Stella, una frase in particolare: “Se avessi vissuto con la nostra sfortuna, vorresti solo essere morto”. La melodia venne da sé, una ballata semi-tradizionale, un po’ alla Bob Dylan. Cantò anche Yoko, aggiungendo strofe di sua invenzione, mentre John cercò di riprendere dei pensieri che Stella gli aveva rivelato. Piansero insieme, come due bambini, al ricordo di quella irlandesina coraggiosa.
Cinque, o forse sei giorni dopo, la canzone uscì nell’album Some Times In New York City, un album di “denuncia”.
La canzone salì subito in vetta alle classifiche, insieme a una visionaria “Bloody Sunday”. Molti altri artisti si erano mobilitati contro la guerra in Irlanda, scrivendo delle canzoni piene di risentimento. Anche Paul ne scrisse una, e John ne riconobbe la bellezza, nonostante avevano litigato.
Passarono i giorni, e improvvisamente a casa Lennon suonò il citofono.
“I soliti fan” -era questo il loro pensiero- John rispose al citofono, seppur controvoglia.
“Casa Lennon, chi è?” “Mi chiamo Neal, siete voi John e Yoko?” l’accento marcato lo portò a una connessione di idee e lo fece salire. Aprì la porta, trovandosi un ragazzo alto con dei lunghi capelli castani fino alle spalle e due grandi occhi neri cerchiati di rosso. John lo inquadrò con un solo pensiero: “Accento del Nord.”
Il ragazzo prese parola. “Il mio nome è Neal White, e beh sono qui perché... Beh, mi è arrivata una lettera”
Teneva lo sguardo basso, fissandosi i piedi e balbettando. John lo fece sedere sul grande divano della casa, incitandolo a continuare.
“Eh... Ecco, questa lettera. Me l’ha mandata Stella prima di beh... Eccola qui.”
John ci aveva visto giusto. Quel ragazzo impacciato era l’amico di Stella. Prese la lettera, macchiata di terra e con l’inchiostro un po’ sciolto e iniziò a leggerla.
 
”Caro Neal,
Ti scrivo da qui, dal cimitero di Galway, vicino alla nuova casa di Eddie. Qui è l’unico posto dove quei bastardi non possono arrivare, ma devo stare comunque attenta, potrebbero arrivare e sparare a freddo. Mi sono presa un giorno di pausa per scriverti questa lettera. Qui il clima è terribile, c’è sangue e fumo ovunque, il bel tempo che c’era sembra essere un antico ricordo. Mi sento un po’ in colpa perché ho lasciato Barry, Eilis e Sean da soli a combattere, ma purtroppo non potevo stare lì, perché mi hanno colpito al braccio con un qualcosa di appuntito e non sarei riuscita a difendermi, quindi fino a quando non si sistema mi nascondo qui.
Oh Neal, mi manchi così tanto, ti prometto che appena sarà tutto finito vengo lì in Scozia e ti riporto qui a festeggiare con noi. Ripuliremo le tracce di quei bastardi, io e te! Come vorrei che anche tu fossi qui ad aiutarmi... Serve l’aiuto di tutti!
È appena scoppiata una bomba qui vicino. È la terza in due giorni, la terza! Ho paura Neal, ho tanta paura.
...Senti, se per qualunque cosa non dovessi farcela (ma io ce la farò, ho S. Patrizio dalla mia parte!) Ti vorrei dire solo due parole.
Sarai l’unico che mi mancherà tantissimo, non ti dimenticherò mai. Vorrei che incontrassi anche John e Yoko, si, proprio loro! Mi hanno aiutato a tornare qui, non è fantastico? Se non ci fossero stati loro...
Ma penso che ci andremo insieme, dopotutto gliel’ho promesso! Magari possono venire anche qui... Dopo che si è sistemata la situazione, certo.
Eheh, ti ci vedo, davanti a questa lettera, bianco come un lenzuolo a scuotere la testa, davanti al tuo “fine” bicchiere di thè... Ah no, si dice TAZZA!  Beh, a me il thè mi sa troppo di “Regina”, quindi meglio di no.
Ora devo andare, sta calando il tramonto, l’unica cosa bella che è rimasta in questo periodo. Vado a godermelo, e soprattutto a pensarti!
Baci,
Stella.”
 
John era stupito. Non immaginava che una ragazza così forte come Stella avesse... Paura. Anche se il tono della lettera era quantomeno  allegro, tra le righe si celava un’angoscia terribile, devastante.
Reclinò il capo. Aveva ragione. Quel terribile sospetto che aveva avuto si era avverato. Le nuvole erano tornate, stavolta per sempre. Neal riprese parola, soffocando una lacrima.
“Io... Volevo ringraziarvi per quello che avete fatto... Dico, aiutare Stella e... Le canzoni... Io... Grazie.”
“Stella aveva molto coraggio, ma soprattutto aveva sentimenti nobili dentro di sé. Non ti abbattere, lascia che il suo spirito ti guidi sempre, prendi un po’ del suo coraggio, e sarà meno... Doloroso. Tranquillo, lei sarà sempre con te, anche adesso se ci pensi, guarda bene, non la vedi? È proprio lì, seduta accanto a te” disse John sorridendo fissando il vuoto.
E dall’altra parte, proprio di fronte a lui, una figura minuta, dai lunghi capelli rossi sorrideva di rimando.
“Sgamata” sussurrò piano, prima di abbracciare Neal e sparire.
Era stata un’allucinazione? Probabile, ma John era fermamente convinta che Stella stava lì, ad osservarli beffarda, aspettando pazientemente il loro arrivo. Perché prima o poi lei sapeva che si sarebbero trovati tutti lì, dove si trovava lei.
Neal singhiozzò. “Speriamo... Io ho bisogno di lei, del suo coraggio... Grazie mille per tutto, ora... Credo di dover andare. Arrivederci o addio.” Si alzò compostamente e si avviò verso la porta chiudendola silenziosamente. John la osservò, per poi sedersi con la chitarra in mano. Chiuse gli occhi, e si vide una figura a gambe incrociate accanto a lui. “Hai fatto davvero un gran bel lavoro, John. Grazie mille. Anche con Neal, sai, certe volte si abbatte, diventa depresso per ogni cosa. Penso che avrà bisogno di molta forza, ma sai... Non posso andare in giro a presentarmi a chiunque...” “Immagino. Sai che spavento faresti prendere alla gente? Devi essere un po’ più cauta, oppure gli appari in sonno, che dici?” “Ma tu non ti sei spaventato! Però in effetti Neal... Oh uffa! Perché così presto, John? Che cosa abbiamo fatto di male? Nemmeno adesso posso spiegarmi il perché. Ora dovrei andare... Ci rivediamo? Insomma, tra un bel po’... Allora a più tardi possibile John...”
“Fa buon viaggio Stella, il tuo ultimo grande viaggio...” sospirò John.
Stella sparì ancora una volta, per affrontare il più lungo dei viaggi, lasciando John con un sorriso rilassato in volto.
Stella era volata via, in cerca di una nuvola dopo poter riposare e osservare quello che aveva amato in vita.
 
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“Eddie!!” Un urlo sconvolse l’aria calma del Luogo.
“Macche... Stella?” La voce, o l’anima, risuonò.
“Già... Chi muore si rivede eh?”
Nessuno dei due parlò. Si strinsero in un abbraccio incorporeo, e rimasero così.
Eddie parlò, l’ultima sillaba per concludere quel momento.
“I miei complimenti per il coraggio, Stellina.”






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Questa storia è molto travagliata.
Due mesi fa l'idea, finita di scrivere un mesetto fa, copiata su word subito dopo e... Postata in tempi indegni.
Ho fatto disperare Moju e MidnightSun_ due mie amiche che hanno seguito le peripezie di questa povera fic... E non mi hanno ucciso per la lentezza :3 (Tra parentesi: Sono due autrici bravissime, quindi che aspettate a visitarle?)
Quindi, qui sotto vi lascio un'illustrazione di Stella, eseguita da Mid, che con pazienza l'ha resa al meglio **
Adesso, tante grazie se siete arrivati fino a qui [senza vomitare], ma un commentino minuscolo me lo lasciate? Grazie infinite ^^

Stella O'Brian ->
http://oi55.tinypic.com/2z6avyu.jpg

Bacioni a tutti!
   
 
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