Serie TV > Sherlock (BBC)
Ricorda la storia  |      
Autore: Melina     02/06/2011    3 recensioni
Non è che John Watson detestasse la vita tranquilla. Non detestava l'idea di non avere nulla da fare per tutto il giorno, non detestava l'ozio. John Watson detestava la concezione di vita tranquilla che aveva il suo coinquilino.
[Sherlock/John PRE-SLASH]
Genere: Comico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Untitled Document

Ciao a tutte! ^^ Per prima cosa mi scuso del fatto che questa non sia una traduzione (sono abituata a fare quelle ultimamente). Non mi scuso per nient'altro, anche se potrebbe esserci più di una ragione >.> La fanfiction non ha pretese, mi sono solo divertita a immaginare John alle prese con il carattere di Sherlock.

AVVERTENZE: Non ci sono avvertenze visto che è semplicemente una pre-slash moooolto soft, quello che mi andava di approfondire era tutt'altro, anche se per essere onesta non vedo alternative allo slash con questi due XD

DISCLAIMER: All rights reserved. Mi inchino al cospetto di Steven Moffat e Mark Gatiss. Ringrazio la BBC in blocco.

 

Not that John Watson
di Melina

 

Non è che John Watson detestasse la vita tranquilla. Non detestava l'idea di non avere nulla da fare per tutto il giorno, non detestava l'ozio. John Watson detestava la concezione di vita tranquilla che aveva il suo coinquilino.
Sembrava che per Sherlock Holmes il trascorrere un pomeriggio con nient'altro da fare che passare dalla poltrona al letto o dalla doccia al frigorifero fosse paragonabile a una visita dell'ufficio di igiene in un ristorante di terza categoria. Ma d'altra parte era impossibile che per lui l'eventualità di passare dalla doccia al frigorifero si realizzasse, visto che da quando lo conosceva, Sherlock Holmes non aveva mai mandato giù qualcosa di più solido di una tazza di tè, occasionalmente allungata con un po' di latte o al massimo una fetta di pane tostato, e questo quando avevano passato la giornata ad inseguire qualche sospetto e John si sarebbe potuto mangiare un elefante intero e tutto da solo.
Era arrivato a convincersi del fatto che Sherlock mangiasse di nascosto, che magari avesse occultato in camera sua un immenso frigorifero, o un distributore automatico di merendine, di quelli che funzionano con le monete da mezza sterlina. O che non fosse umano.
Non sarebbe certo stata la cosa più bizzarra direttamente riconducibile a Sherlock Holmes.
John aveva considerato seriamente la possibilità di buttare giù una lista delle bizzarrie di Sherlock, l'avrebbe intitolata “cose di Sherlock Holmes che necessitano disperatamente di trovare un senso”. Si era sentito fiero del titolo che aveva trovato a tal punto che era quasi dispiaciuto di non potersene vantare con anima viva senza che la vergogna che avrebbe provato immediatamente dopo lo avesse fatto somigliare a un nano da giardino.
Ripensandoci la lista rimaneva ancora un'ottima idea. Sarebbe stata bene di fianco alle parole: Blog del dottor John Watson.
Blog del dottor John Watson. Cose di Sherlock Holmes che necessitano disperatamente di trovare un senso.
Chi diceva che il suo blog dovesse riguardarlo direttamente? Chi diceva che avrebbe dovuto parlare della sua vita tranquilla? Dopo tutto la sua non era più una vita tranquilla.
Due persone nel giro di poche ore erano state così impertinenti da prendersi la libertà di fare osservazioni sulla sua gamba. Sul suo cellulare. Sulla sua psicoanalista. John non si sarebbe stupito a quel punto se Sherlock Holmes o Mycroft Holmes avessero avuto qualcosa da dire anche sul suo taglio di capelli o sul modo in cui abbinava la camicia con la giacca.
Aveva visto un cadavere vestito di rosa, tutto sommato. Lui era al mondo la persona più autorizzata a scrivere una lista delle bizzarrie dell'uomo più bizzarro che avesse mai incontrato, se non altro perché era l'unico a doverle subire durante tutto il corso della giornata.
Per prima cosa il violino. Non che gli desse fastidio. Non gliene dava, i violini non rientravano fra gli oggetti dei quali John avrebbe desiderato l'immediata cancellazione dalla faccia della terra; oggetti quali sottobicchieri o deodoranti per ambienti. Il violino in sé era piacevole e sapeva essere piacevole anche quando suonato da Sherlock, ma non aveva mai sentito né visto nessuno trattare un violino nel modo in cui lo trattava Sherlock. In modo bizzarro. Lo pizzicava, solleticava le corde e faceva stridere le sue dita su di esse. Lo trattava come un antistress e John supponeva che quella fosse anche la funzione che Sherlock gli attribuiva, per qualche strana ragione, e alla quale non era affatto interessato.
Se non era per il suo rumore trionfante, Sherlock era capace di essere fastidioso anche quando taceva. Il suo silenzio era persino più irritante del suo baccano o del suo pizzicare di violino. Era qualcosa di innaturale e angoscioso. Quando Sherlock Holmes taceva normalmente significava che si trovavano in pericolo o che era troppo tempo dacché non vi si fossero trovati. Entrambe le possibilità stravolgevano la vita a John, l'avevano già stravolta in effetti, e avevano trasformato il suo mondo da un piatto susseguirsi di giorni da passare in compagnia del suo bastone da passeggio e delle pillole antidepressive a un avvicendarsi di guai, indagini e soluzioni schiaccianti. Non sempre nell'ordine.
C'erano volte in cui John si era arrischiato a interrompere un flusso deduttivo di Sherlock, volte in cui aveva chiesto spiegazioni o aveva protestato. Volte in cui una sua parola aveva innescato una cascata di mille altre da parte di Sherlock e volte in cui gli aveva illuminato la via. Ma John Watson non aveva mai interrotto uno dei silenzi di Sherlock Holmes.
Anche adesso lui era in silenzio, John guardava le sue mani appoggiate sul tappeto sbiadito e il resto del suo corpo filare diritto, anche se nel verso contrario al normale. I ricci neri di Sherlock toccavano terra e somigliavano sempre di più a dei grovigli scuri e informi.
Teneva gli occhi chiusi, serrati in una specie di capriccio, come se avessero avuto voglia di spalancarsi ma che la volontà del loro proprietario facesse di tutto per mantenerli chiusi e concentrati.
Sherlock Holmes taceva e John Watson pensava che nella vita c'era una prima volta per tutto.
«Non è pericoloso?» disse, e subito trovò la sua affermazione ridicola.
Si stupì un poco quando Sherlock gli rispose.
«Fa scendere la pressione» affermò asciutto.
«Sì, anche un bicchiere di vino fa scendere la pressione... con cui almeno non rischi la paralisi» replicò lui prontamente. Suonava irritato anche se in effetti era divertito. Sherlock sogghignò ad occhi chiusi.
«Mi stai proponendo un brindisi, dottore?»
«Non hai un caso su cui indagare, non ne hai chiuso uno dall'affare di Jennifer Wilson. Non vedo perché dovremmo festeggiare»
«Correzione. Non abbiamo un caso su cui indagare».
La naturalezza con cui Sherlock era capace di pronunciare una frase che avrebbe ribaltato del tutto la vita tranquilla non più tranquilla ma che una volta era stata tranquilla di John non era solo insolente, ma era offensivo. Se solo John Watson fosse stato tipo da offendersi. E se lo fosse stato a quest'ora non si sarebbe certo trovato seduto in una poltrona dal colore non ben definito con la schiena appoggiata a un grazioso cuscino dalla fantasia patriottica ad ascoltare le parole di un tizio tutto matto, perché Sherlock Holmes lo aveva trattato come un idiota e lo aveva anche chiamato tale senza fare troppi complimenti. Gli aveva illustrato le sue deduzioni ad una velocità vertiginosa e lo aveva guardato come se si fosse vomitato addosso quando John non aveva trovato un commento sagace da spiattellargli in faccia per farlo tacere. Ci aveva semplicemente rinunciato la prima volta che si era trovato nel bel mezzo della corrente di uno dei ragionamenti di Sherlock Holmes, un po' come adesso. Solo che adesso Sherlock era a testa in giù e gli stava dicendo che il prossimo caso assurdamente fuori dall'ordinario e indecentemente complesso sarebbe stato il loro caso: di Sherlock Holmes e John Watson e non il suo caso: di Sherlock Holmes e basta.
«Non ti seguo» decise di dire, dopo tutto era quello che Sherlock si aspettava e lui non voleva deluderlo. Non quando si trovava a testa in giù.
«Lo so» la rapidità con cui pronunciò la sua ennesima insolenza sottolineò l'ovvietà che questa doveva possedere per Sherlock. Era scortese, pensò John.
«Questo è scortese» sospirò senza troppa convinzione.
«Lo so».
John sospirò di nuovo.
«E io adesso cosa dovrei essere? Una specie di assistente, una spalla, qualcuno con cui far risaltare la tua intelligenza superiore, cosa?»
Sherlock sogghignò di nuovo e John combatté l'istinto di strattonare il tappeto sotto alle sue mani fino a provocare una sua caduta nonché la frattura di un paio di articolazioni. Accantonò l'idea solo per pigrizia.
Ma Sherlock fece dondolare le gambe nell'aria due o tre volte, poi le piegò con un'eleganza inverosimile e appoggiò i piedi di nuovo sul tappeto mentre distendeva il suo lungo busto esile riprendendo una posizione umanamente accettabile.
«Non ti va?» soffiò, i suoi occhi ancora fissi sul tappeto e le sue mani odiosamente agili occupate ad allacciare il bottone di un polsino della sua camicia viola prugna sfuggito alla sua minuziosa toilette.
Certo che gli andava. Gli andava decisamente. Gli andava a un livello tanto imbarazzante che John non si sarebbe mai sognato di ammettere.
«Non mi hai chiesto se mi andava prima di farmi correre per tutta Charing Cross per inseguire un maledetto taxi» forse aveva esagerato.
«Non ti ho chiesto neanche di sparare attraverso quella finestra e di salvarmi la vita, John». Adesso era Sherlock ad esagerare.
«Tu non hai...» sbuffò stizzito prima di terminare la frase «stiamo litigando?» chiese perplesso «questo è un litigio su un accordo lavorativo che non abbiamo mai avuto?»
«Ne ha tutta l'aria» rispose Sherlock con noncuranza e abbassando gli occhi.
John strizzò la fronte mentre i suoi occhi diventavano fessure, poi si lasciò sfuggire un sospiro. Non era un uomo a cui piaceva litigare, non lo faceva se poteva evitarlo. Sceglieva sempre con cura le vie meno violente, le soluzioni meno drastiche. Sherlock Holmes naturalmente gli faceva venire voglia di gettare all'aria la sua reputazione da uomo civile e di regredire a uno stato primordiale fatto di sfuriate e mugugni.
«No, John. Mi hai frainteso» disse Sherlock. Come riuscisse a intervenire sempre con la giusta battuta era qualcosa che John aveva deciso di attribuire al caso per quieto vivere.
«Volevo dire che ha tutta l'aria di essere un accordo lavorativo». Era serio, era maledettamente serio.
«Vuoi scommettere?» fu l'unica cosa che John riuscì a dire per nascondere quanto realmente l'affermazione di Sherlock l'avesse colpito.
«Non ti conviene» fece lui, e poi assunse quel particolare assetto del viso che esprimeva antipatia a prima vista anche se la presunzione tipica di Sherlock Holmes non fosse stata già messa in evidenza da quello che aveva detto. «So che la password del tuo portatile è formata da sette lettere e due cifre. Credi davvero che non sappia che la tua espressione contrariata al momento sta a significare che te ne andrai di sopra in camera tua, penserai a quello che ho detto e poi accetterai?».
John rise suo malgrado. Lo irritava che Sherlock parlasse chiaro e tondo, senza apparente imbarazzo, dicendo quello che lui, John, aveva pensato l'istante stesso in cui Sherlock lo aveva portato sulla sua prima scena del crimine. Che gli dicesse che erano soci senza averglielo mai chiesto, solo comunicandoglielo come si comunica l'orario di una riunione o di una visita.
«Ma, ascolti mai quello che dici, Sherlock?». Domanda retorica, pensò.
«Non che ce ne sia bisogno...» mugugnò Sherlock e sembrava che il fatto che John stesse o non stesse ascoltando per lui non facesse la minima differenza.
«Di cosa? Di ascoltare?» replicò lui impaziente, odiava quando Sherlock iniziava un discorso con lui e finiva col perdersi in un altro con se stesso. Ma alla sua domanda alzò subito gli occhi e li puntò in quelli di John, che sentì l'immediato bisogno di sedersi.
«Di accettare» scandì con fermezza. «Oh aspetta un attimo! Vuoi che te lo chieda?» aggiunse immediatamente, i lampi di genio nel bel mezzo di normali conversazioni non gli si addicevano affatto, pensò John, e non era la prima volta.
«Buonanotte, Sherlock» tagliò corto, mentre il bisogno di una sedia si era già trasformato nel bisogno non solo di un letto, ma di averlo il più lontano possibile da quell'uomo.
Non aspettò una risposta, non aspettò che la sua già scarsa capacità di trattenere sorrisi o risate si esaurisse del tutto, non aspettò che Sherlock trovasse un modo più efficace per convincerlo a restare in quel soggiorno, nella stessa stanza con lui.
John Watson girò sui tacchi, camminò spedito fino alla scala senza fermarsi e la salì. Sherlock Holmes non lo seguì e la sua voce non lo raggiunse né in corridoio né nella camera da letto. Quando si chiuse la porta alle spalle andò a sedersi alla scrivania e accese il computer. Sulle labbra aveva il sorriso che aveva appena fatto in tempo a sopprimere davanti a Sherlock, negli occhi si rifletteva la luce azzurra del monitor. Cliccò e cambiò la password d'accesso.

 

fine

   
 
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Sherlock (BBC) / Vai alla pagina dell'autore: Melina