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Autore: KanraChan    03/06/2011    3 recensioni
Giotto non era mai stato un tipo molto curioso.
Nonostante spesso le menti dei giovani si ritrovassero a formulare le più strane fantasie, lui a differenza degli altri cercava sempre di tenere i piedi ben saldati al terreno; non che fosse privo di qualsiasi forma di immaginazione o creatività, ma aveva sempre preferito prendere le situazioni per quello che erano, senza mutarle per aggradare una verità fraudolenta.
Tuttavia anche Giotto era un ragazzo di quindici anni, e come tale sogni e aspirazioni fluivano in bilico fra la chiarezza e l'incertezza nei suoi pensieri; d'altronde come ogni essere umano.
Eppure, aveva sempre creduto che ognuno, a modo suo, fosse destinato a fare qualcosa in quella breve esistenza a loro concessa: bene o male che fosse era impossibile da evincere.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Daemon Spade, Giotto
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Giotto non era mai stato un tipo molto curioso.

Nonostante spesso le menti dei giovani si ritrovassero a formulare le più strane fantasie, lui a differenza degli altri cercava sempre di tenere i piedi ben saldati al terreno; non che fosse privo di qualsiasi forma di immaginazione o creatività, ma aveva sempre preferito prendere le situazioni per quello che erano, senza mutarle per aggradare una verità fraudolenta.
Tuttavia anche Giotto era un ragazzo di quindici anni, e come tale sogni e aspirazioni fluivano in bilico fra la chiarezza e l'incertezza nei suoi pensieri; d'altronde come ogni essere umano.
Eppure, aveva sempre creduto che ognuno, a modo suo, fosse destinato a fare qualcosa in quella breve esistenza a loro concessa: bene o male che fosse era impossibile da evincere.
- Ehi Giotto, ancora con la testa fra le nuvole? - Dopo una breve scrollata alla spalla destra ed un sussulto involontario il biondo riuscì a focalizzare appieno il viso leggermente esitante di G. che l'osservava quasi preoccupato.
Con un pigro movimento del capo gli sorrise: - Più o meno. Stavo solo pensando. - ammise senza troppi problemi, intuendo già l'occhiata grave che gli avrebbe sicuramente rivolto.
- In questi giorni sei parecchio strano: se non pensi sei distratto, se non sei distratto sicuramente stai fantasticando su chissà che cosa. - sospirò, stando bene attento a non farla sembrare un'accusa. - Non dirmi che stai ancora pensando a quella "Squadra di vigilanza" di cui mi hai parlato la volta scorsa. - chiese pazientemente.
Con la coda dell'occhio lo vide corrucciare in modo lieve la fronte, segno del suo disappunto. Non che fosse del tutto contrario a quell'idea poichè a quel tempo trovare un passatempo degno di tale nome risultava molto più complesso di quanto si sarebbe potuto aspettare, ma l'enfasi con cui la prima volta gli aveva rivelato la sua idea lo aveva lasciato fra l'interdetto e allo stesso tempo il divertito.
Giotto non era quel tipo di persona che viveva in mondi costruiti principalmente di desideri irrealizzabili o futili fantasie: tutto ciò su cui si basavano le sue convinzioni erano fondate con razionalità, forse a volte anche troppa. E gli risultava abbastanza incredulo venire a conoscenza di un pensiero del genere da parte sua; non era impossibile da realizzare ci tenne a precisare mentalmente, ma era quasi... insolito, ecco.
- Se devo essere sincero un po' sì. - confessò con un mezzo sorriso bonario, rispecchiandosi nell'ennesimo sospiro che G. gli rivolse prima di ricambiarlo serenamente. - Anche se da quanto vedo la mia idea non ti ha mai interessato particolarmente. - ammise.
- Non è questo. - si affrettò a smentire. - E' solo che, come posso dire, siamo solo in due. Che cosa potremo mai fare? Accompagnare una vecchietta dall'altro lato della strada? - ironizzò senza alcuna cattiveria, meritandosi comunque un'occhiata antistante da parte di Giotto.
Il biondo a braccia conserte increspò le labbra, sfidandolo con uno sguardo carico di soddisfazione: - E' per questo che dobbiamo andare in cerca di altri membri per formare una "Squadra" - rispose semplicemente.
G. lo studiò con attenzione: - Quindi stai dicendo che dobbiamo trovare altri ragazzi? - domandò quasi più a sè stesso. - Mh. Forse può funzionare, se la mettiamo in questo modo. - annuì con una mezza convinzione. Probabilmente se la situazione si poneva sotto quel punto di vista, sarebbe potuto uscire fuori qualcosa di più vivido e plausibile.
Giotto puntò lo sguardo al cielo, lasciando pendere le braccia lungo i fianchi: - Io dico che qualcuno si ricorderà di noi, prima o poi. - sorrise ampiamente. Non ricordava neppure il giorno in cui quell'idea si fece spazio nella sua mente senza una ragione o un perchè; forse per il desiderio di proteggere le persone accanto a lui, oppure a causa della sua indole benevola gli aveva suggerito oculatamente G. senza peli sulla lingua. Era un pensiero che aveva imparato a coltivare accuratamente, finendo quasi per studiarlo nei minimi dettagli: ne aveva valutato persino pro e contro per poi alla fine reputarli inutili poichè, qualunque fosse stato l'esito, lui ci avrebbe provato ugualmente.
- Chissà. - G. roteò gli occhi lepidamente: - Comunque adesso è meglio andare caro il mio Boss, si sta facendo tardi. - lo incitò scherzosamente alzandosi e scrollandosi i granelli di sabbia finiti nelle scarpe.
Giotto dopo un leggero sospiro fece lo stesso, lanciando infine un ultimo breve sguardo al mare lievemente increspato; spesso si ritrovavano entrambi in quel posto, aveva sempre amato quel luogo silenzioso e pacifico, dal giorno in cui lo scoprirono la baia divenne il loro posto preferito: gli regalava il tempo necessario per riflettere e rinfrescarsi le idee. Dopo aver calzato nuovamente le scarpe imboccarono la stradina principale che riconduceva in paese con passo non molto veloce, godendosi ancora per l'ultima volta la brezza marina rinfrescante.
- Sai una cosa, G.? - lo interpellò improvvisamente Giotto: - Io sono sicuro che ci riusciremo, se davvero lo desideriamo non rimarrà soltanto una semplice fantasia di cui quando saremo grandi, ripensandoci, ci rideremo su reputandola soltanto una sciocchezza. - affermò con risolutezza, scambiando un lungo sguardo d'intesa con il rosso che, gentilmente, lo sorprese con un leggero sorriso.
- Prima però dobbiamo cercare qualcuno che assecondi la tua "folle idea". - scherzò con una velata ironia che scatenò una piccola risata da parte di Giotto. - Poi il resto verrà da sè. -
Trascorso un'abbondante quarto d'ora fra piani e scherzi vari, finalmente riuscirono a raggiungere il piccolo paese che abitavano ormai da una quindicina di anni e più: non era né molto modesto né esageratamente grande, si conviveva piuttosto bene nel centro dove molto spesso si organizzavano feste, oppure i ragazzi si riunivano per acclamare musicisti e professionisti vari di passaggio che di tanto in tanto mostravano le proprie doti al pubblico.
Ma ciò che Giotto non era mai riuscito a comprendere era qualcosa, o meglio, qualcuno. Prima che si percorresse l'entrata del paese, era presente una fontana non molto grande, non che fosse un luogo abbastanza frequentato, ma di tanto in tanto c'era chi si fermava a riposare o a godersi il panorama; ma ciò che da sempre riuscì a catturare l'attenzione del biondo fu un ragazzo. Età approssimativa sconosciuta, forse più grande; non lo aveva mai visto girare da quelle parti, ricordava soltanto che ogni volta al ritorno dalla baia lui era lì, seduto sul bordo della costruzione con un mazzo di carte che disponeva periodicamente sulla pietra fredda.
Giotto lo aveva sempre osservato con una certa curiosità, il che non si addiceva molto alla sua persona, ma quella capigliatura, le iridi dello stesso colore del mare lo... attiravano, tutto qui.
- Ehi G. - con una piccola gomitata fece ricadere l'attenzione su di lui: - Chi è quel ragazzo? - domandò incerto, quasi temesse una risposta.
- Chi? Quello? - il rosso posò lo sguardo qualche metro più avanti, riscontrando la figura che Giotto gli aveva citato poco prima. - Ah. Lui? - rispose senza una particolare tonalità sorpresa quando lo riconobbe. - Non conosco molto, ma da quel che ho sentito è qualcuno a cui è meglio stare alla larga. - precisò, arricciando appena il naso.
Giotto inarcò un sopracciglio, un po' perplesso: - E perchè? -
G. si grattò confusamente la nuca: - Beh, è... strano. - opinò. - Chi mai trascorrerebbe intere giornate a giocare a carte? Per di più in un posto isolato del genere? - puntualizzò, come se la situazione dovesse assumere una piega negativa.
- Da quando inizi ad avere pregiudizi sulla gente? - il biondo lo profilò dubbioso, oscillando le sue attenzioni dal compagno fino al ragazzo poco più distante; sembrava non essersi accorto della loro presenza.
G. scrollò il capo: - Non è questo il motivo. - specificò. - Sin dalla prima volta che l'ho visto, l'impressione non è stata delle migliori: ha sempre quello sguardo inespressivo e duro, le sopracciglia aggrottate... insomma, non è il tipo che ti accoglierebbe a braccia aperte. - riepilogò, seguendo con lo sguardo la traiettoria delle iridi di Giotto che davano l'impressione di studiarlo con insistenza.
Il primo pensiero che balenò nella mente del rosso non gli piacque per niente: Giotto poteva anche essere un ragazzo meticoloso e responsabile, ma in fatto di amici aveva dei gusti strani; il tutto era palesato dall'interesse che mostrava nei confronti di quel giovane. Il carattere sporadico del biondo lo aveva sempre lasciato un po' interdetto dalla prima volta che si erano conosciuti, a partire dalle sue scelte estrose.
- Provare per credere, no? - riprese poi con un sorriso abbozzato, lasciando G. fra l'attesa costernazione di una risposta del genere e l'inopportuna curiosità di Giotto che si dimostrava in tutto il suo splendore nei momenti meno adeguati.
- Hm. Non capisco, cosa vorresti fare? - domandò, rivolgendogli uno sguardo serio.
- Andiamo. - Giotto si incamminò senza dire altro verso la fontana, seguito silenziosamente da G. che, come si sarebbe aspettato, non aveva neanche provato a persuaderlo dal commettere un tale atto; in fondo si conoscevano da anni, e sapeva quando arrendersi dinnanzi all'evidente caparbietà del compagno.
Lentamente vide il compagno avvicinarsi al bordo della fontana mentre sul suo viso si dipingeva il tipico sorriso bonario con cui Giotto cercava di avvicinare le persone a sè: solitamente riusciva sempre nel suo intento; e c'era anche da aggiungere il rispetto che ogni coabitante del paese gli serbava attentamente. Giotto non era una di quelle persone che cercava di attirare l'attenzione, probabilmente erano i suoi modi gentili, l'aspetto fiorente che non tradiva nessuna aspettativa a renderlo così richiesto. Eppure, con quel ragazzo, le migliori doti e qualità di approccio del biondo non diedero i loro frutti.
Quando gli fu abbastanza vicino, Giotto restò a guardarlo per un po', più incuriosito e quasi affascinato dalla maestria con cui riusciva ad armeggiare quel mazzo di carte che scivolava abilmente da una mano all'altra.
- Wow. - esordì affascinato: - Sei bravo. - si congratulò infine con espressione imperturbabile, catturando, dopo vari tentenni, l'attenzione completa del ragazzo che, a sua differenza, gli rivolse un'occhiata di sbieco, quasi non gradisse la sua effettiva presenza.
- Se hai tempo da perdere, non farlo qui. - gli rispose con un ringhio sommesso: - Alza i tacchi e sparisci. - berciò con poca grazia, ritornando a disporre le carte sulla pietra gelida della fontana incurante della reazione di entrambi.
G. lo fulminò indirettamente con un'occhiata; se lo aveva avvertito di stargli alla larga, forse un valido motivo doveva esserci: ciò comunque non lo arginava dal rivolgersi con modi sfacciati e boriosi verso chiunque tentasse di affiancarlo.
Giotto inarcò appena le sopracciglia: - Potresti insegnarmi a giocare. - azzardò, lasciando il rosso nuovamente interdetto a tale risposta.
Un sorriso cinico si mostrò con fare altezzoso: - Cosa non ti è chiaro dell'espressione "Alza i tacchi e sparisci"? -  sbottò, indirizzandogli uno sguardo poco promettente. - Preferirei morire annegato in questa fontana piuttosto che insegnare qualcosa ad uno come te. -
Se il quel momento Giotto non l'avesse ammonito con una semplice scrollata di spalle, G. lo avrebbe aiutato volentieri e con gli interessi. Tipi del genere andavano soltanto tenuti alla larga e lui di certo non era degno di ricevere un trattamento del genere da parte di qualcuno come il biondo.
- Giotto, non perdiamo altro tempo. Abbiamo altro a cui pensare piuttosto che dare conto a... lui. - il disprezzo con cui sottolineò l'ultima parola non fece ravvedere il compagno dal rimproverarlo con l'ennesimo sguardo che, tuttavia, da biasimare non aveva proprio niente.
Il ragazzo, questa volta, fece passare le sue attenzioni su G.: - E' meglio se dai retta al tuo cane. Non farti più vedere. - lo canzonò con l'ennesimo sorriso arrogante.
La reazione che ebbe G. stonò particolarmente con il sospiro che Giotto lasciò liberare stancamente dalle sue labbra. Sotto alcuni punti di vista erano completamente differenti; tuttavia, trattenne l'impulso di lasciarlo a terra agonizzante scaricando l'irritazione serrando i pugni lungo i fianchi.
Con un ultimo cenno del capo il rosso gli fece segno di seguirlo, incamminandosi per primo verso la stradina ciottolata: - Guarda che ci conto. - gli sorrise quietamente Giotto prima di velocizzare il passo e raggiungere G. che, con lo sguardo corrucciato, fissava un punto casuale di fronte a sè. Non si sarebbe di certo aspettato una risposta; ma nonostante tutto quel ragazzo lo incuriosiva, e allo stesso modo lo lasciava con una sorta di amaro in bocca che forse neppure lui era in grado di spiegarsi.
- Tch. Ma l'hai visto? - borbottò G. piccato, infilandosi le mani in tasca: - Chi si crede di essere? La prossima volta non ci sarai tu ad impedirmi di pestarlo. - si lasciò scivolare con una cattiveria incentivata sull'oltraggio subito. Anche lui aveva una dignità, e di certo non sarebbe stato un tipo qualunque a sbeffeggiarla come carta straccia.
Giotto roteò gli occhi, soppressando ad ogni modo quel mezzo sorriso divertito che comunque fu possibile udire: - In fondo, non saresti male come cane da guardia G. - scherzò volutamente, guadagnandosi un'occhiata fra l'indignato e la riflettuta equanimità di quelle parole.
Alla fine si ritrovarono entrambi a riderci su, imboccando senza ulteriori pensieri la stradina che conduceva verso le loro case.





"L'hai visto piangere, non è così?"

"Sì."
"E cos'hai fatto?"
"Nulla."





Giotto oltre ad essere una persona responsabile, cauta e tranquilla, era riconosciuto anche per le sue eccezionali doti di pervicacia: insomma, era uno di quei ragazzi che non si arrendeva facilmente dinnanzi all'evidenza; piuttosto cercava di mutarla, ma non grazie alla fantasia, ci provava con tutto sè stesso, e se infine falliva, i suoi sforzi comunque non sarebbero risultati vani, in fondo restava ancora il piacere di averci provato.

Per questa ragione spesso G. finiva con il definirlo testardo: e spesso grazie a questa caparbietà che la sua coscienziosità si tramutava spesso in atti azzardati che di giudizio non avevano proprio niente.
Che fosse infine l'innata curiosità sviluppata verso l'estraneo o qualcosa che neppure lui seppe definire ma, il giorno dopo, si ritrovò nuovamente dinnanzi la fontana ad osservare con la coda dell'occhio lo stesso identico ragazzo che, ancora una volta, disponeva quel mazzo di carte sul bordo della struttura.
Non negava comunque il fascino che palesava, anzi, sotto quel punto di vista l'avrebbe definito anche bello, seppur i modi sgarbati ed i passatempi strani che si ritrovava ad avere.
Raramente Giotto esprimeva e manifestava interesse con evidenza: solitamente si asteneva dal commentare, ma non per questioni di carattere, solo perchè lo riteneva ingiusto nei confronti della persona interpellata. In fondo chi era lui per giudicare?
Riguardo tale motivo si trattenne dal proferire parole in proposito del ragazzo, specialmente di fronte G. che sembrava non averlo particolarmente in simpatia; e fu anche per questo che quel giorno decise di non portarlo con sè, liquidandolo mestamente con un sorriso gentile ma senza nascondergli la verità. Non era mai stato bravo a mentire e G. non sopportava bugie e tradimenti, ragion per cui la stessa mattinata lo aveva stimato con occhio critico, ovviamente per niente d'accordo con la sua decisione; ma alla fin fine con un sospiro gli aveva raccomandato di stare attento e di rapportargli a una volta tornato a casa vita, morte e miracolo di quel giorno.
Si concesse un sorriso divertito ripensando al comportamento di G., puntualmente finiva per assecondare ogni sua idea, come quella della "Squadra di Vigilanza" da lui accuratamente ponderata.
Giotto, con le labbra leggermente incurvate, si apprestò a raggiungere finalmente il ragazzo: - Mi insegni a giocare? - d'improvviso, senza come e perchè, ed evitando inutili convenevoli che sarebbero serviti a ben poco, decise di andare subito al sodo, rispecchiandosi ancora una volta nell'azzurro dei suoi occhi.
- Oh, no. Ancora tu? - denigrò aggrottando la fronte: - Non ti avevo detto di sparire? - lo apostrofò con la sua caratteriale aggressività.
Giotto storse appena un angolo della bocca, quasi ironico: - Che fai, adesso minaccerai di suicidarti nella fontana pur di non vedermi? - chiese senza scrupoli.
Il ragazzo si morse con forza il labbro, incenerendolo con un'occhiata truce. - Si può sapere cosa diavolo vuoi da me? - ringhiò stringendo i pugni e senza smettere di fissarlo con intenti fuorchè bonari.
- Voglio che mi insegni a giocare a carte. - puntò nuovamente sull'argomento principale, scatenando una risata sarcastica da parte del coetaneo.
- Chi ti dice che lo farò? - poi parve rifletterci su con l'identico sorriso cinico: - O se il tuo cane da guardia me lo permetterà? - rispose con falsa voce dispiaciuta, prima di far riacquistare la primaria impassibilità al suo viso.
Giotto scrollò il capo, sedendosi anch'esso sul bordo della struttura: - Oggi l'ho lasciato a casa, ma non preoccuparti, non è cattivo. E' soltanto diffidente con gli estranei. Come si vuol dire can che abbaia non morde, e lui è più o meno tutto fumo e niente arrosto. - fece finta di pensarci con aria apparentemente interessata, prima di sorridergli.
Lo vide digrignare i denti con percepibile irritazione, non accogliendo la sua ironia: - Sei più fastidioso e seccante di chiunque altro abbia mai incontrato. - berciò, raggiungendo la soglia della sua massima indisponenza.
- Mi fa piacere saperlo. - si mobilitò a concludere: - Allora, mi insegni a giocare? - con la stessa pertinenza precedente si limitò ad osservarlo con sguardo placido, senza trasmettergli alcuna emozione superficiale.
Il ragazzo serrò le labbra, stringendo fra le dita i pantaloni di stoffa morbida e senza emettere alcun suono particolare: - Solo se dopo sparirai dalla mia vista per il resto della tua vita. - sbuffò in malo modo, raccogliendo le carte e cominciando a mischiarle attentamente.
Giotto sorrise soddisfatto: - Va bene. - gli promise con tranquillità, lasciandosi ancora una volta catturare dalla maestria con cui destreggiava e mescolava il mazzo da gioco.
Non che fosse realmente interessato ad imparare ciò, lo aveva soltanto reputato l'unico modo per avvicinarsi a lui date le conoscenze riguardo il carattere scontroso e poco propenso all'amicizia. Al resto ci avrebbe pensato più tardi.
Dopo qualche minuto di quieto silenzio, notò che aveva diviso le carte in altri due piccoli mazzetti: - Cosa vuoi sapere? Ci sono un'infinità di cose che puoi fare con queste. - precisò senza donare un determinato tono alla sua voce.
Giotto si strinse nelle spalle: - L'esperto sei tu. Lascio la decisione a te. - conferì deciso, poggiando una mano sulla pietra della fontana per equilibrare il peso.
Non ricevette un'effettiva risposta, lo osservò prendere soltanto le prime due carte e posizionarle di fronte a lui.
- Hai mai pensato al tuo futuro? - chiese questa volta più controllato, studiando le successive carte e guardandole con aria che in quel momento Giotto avrebbe definito fra il serio e l'ironico.
- Non proprio. - ammise: - Non ci è dato sapere cosa faremo. Il futuro è soggetto alle nostre decisioni e comportamenti. - propose con incertezza, continuando a guardare la serie di carte che disponeva un po' ovunque. Non fu mai in grado di capire con quale criterio le posizionasse, e neanche dove volesse arrivare con quella domanda.
Lo vide soltanto sorridere sarcastico: - Immaginavo. -
Giotto inarcò un sopracciglio. - Vuoi per caso predirmi il futuro? - chiese, senza mostrare apparente curiosità o interesse.
Ora che ci rifletteva con più attenzione, non ci aveva mai pensato direttamente al suo futuro poichè G. gli aveva sempre rimembrato che era inutile pianificare l'avvenire perfetto, niente era prestabilito e con il tempo tutto sarebbe cambiato, finendo infine per lasciare solamente l'insoddisfazione di un desiderio non realizzato. Se qualcosa doveva accadere, a loro non restava altro che accettarla così com'era.
Il ragazzo inclinò il capo: - No. Quel che accadrà sarà solo frutto delle nostre azioni. - constatò: - Le passate come le future. -
In quel momento non seppe se restare lì a fissarlo in totale silenzio, oppure rispondergli. Infine optò nuovamente per la seconda. - Quindi, dalle tue parole stai affermando implicitamente che il nostro incontro non è stato solo una coincidenza? - Neppure lui credeva fermamente a quelle parole, non era abituato a vederla sotto quel punto di vista.
- Non esistono coincidenze a questo mondo. - replicò incolore: - ...Esiste solo l'inevitabile. - asserì, bloccandosi dopo aver distribuito altre carte, che avevano già una buona parte della piattaforma gelida della fontana.
- L'inevitabile? - Giotto non sembrava sorpreso a quelle risposte. Condividevano un pensiero piuttosto simile a riguardo, ma nella sua costruzione c'era qualcosa di diverso che probabilmente solo lui era riuscito a cogliere.
Il ragazzo lo studiò con le sue iridi color del mare: - I nostri gesti costruiscono il futuro, i pensieri lo modellano, a noi non resta altro che accettarlo. - si espresse atono, rigirandosi fra le mani una carta che raffigurava un Jolly. - Qualunque esso sia, ovunque ci porti, noi non possiamo farci niente. - le sue attenzioni mulinarono ancora una volta sul biondo.
- Ma si è sempre in tempo per cambiarlo. - Giotto lo aveva compreso, in un certo senso lo aveva appreso molto prima di quanto se ne fosse accorto lui stesso: in quelle parole vi era una sorta di rassegnazione. Qualcosa che aveva riconosciuto come un "Mi dispiace per quello che sono. Ma non posso farci niente." e lo inquietava in un certo senso. Come se lui si fosse arreso dinnanzi ad un destino che non si attendeva, come se lui già sapesse quale fosse.
Lo sguardo di disappunto che gli rivolse fu tangibile: - Come puoi combattere un futuro già formato? E' come distruggere sè stessi. Non si ha il tempo per ricominciare, e non ti resta altro che continuare a seguire quella strada. - ne convenne con mordacia. - Che ti porti sulla buona o sulla cattiva strada non puoi saperlo. Lo accetti e ci convivi. Non puoi fare altro. - replicò increspando le labbra.
Eppure Giotto non la pensava così. Per lui il destino poteva mutare sino all'ultimo. E forse era quella accettazione che non riuscivano a condividere.
Non sempre la vita va come la si immagina. Lui ha fatto la sua scelta. E tu la tua.






"Ti sei mai chiesto il perchè?"
"Non mi importa."
"Ha fatto male. Molto più di quanto tu possa immaginare."






Giotto nelle sue convinzioni ci aveva sempre creduto fermamente: secondo il suo pensiero con la calma e la risolutezza si poteva ottenere quasi tutto, anche cose che un tempo altri avrebbero potuto definire "sciocche".

Nonostante fossero trascorsi anni, le sue idee erano mutate ben poco, forse l'ostinazione aveva fatto il suo corso scemando leggermente; ma i suoi gusti strani avevano finito per non abbandonarlo mai. Non riusciva a ricordare un giorno in cui G. non gli avesse implicitamente rinfacciato la sua "amicizia" con Daemon Spade. Come le sue convinzioni non erano cambiate, tantomeno quelle del suo Guardiano della Tempesta si erano alterate.
Ma a Giotto in un certo senso andava bene così; con il tempo aveva imparato ad essere soddisfatto delle sue scelte, qualunque esse fossero: e fu grazie alla sua determinazione che in quel futuro riuscì a formare la sua "Squadra di Vigilanza"; solo che adesso rassomigliava più ad una grande famiglia.
- Ehi Giotto, ancora con la testa fra le nuvole? - dopo una leggera scrollata di spalle, avvertì il suo amico d'infanzia affiancarlo con la tipica espressione divertita che gli rivolgeva in più occasioni.
L'altro scosse il capo: - Non proprio. Pensavo. - ammise senza i dovuti particolari, provocando l'ennesima risata sciolta da parte di G.
Il Guardiano incrociò le braccia sopra la balconata, osservando con apparente interesse il manto di alberi che si stagliava sotto i loro occhi: - ...Questo mi ricorda un Déjà-vu, felice e non. -  si passò una mano fra i capelli, badando poco all'occhiata di rimprovero che Giotto gli rivolse.
- Arriverà il giorno in cui la smetterai? - sospirò con una nota divertita; in fondo G. era così, perennemente preoccupato per la sua salute, e sempre lo sarebbe stato.
- Forse. Devo prima sbollire ancora. - borbottò arricciando il naso: - Ciò comunque non elargisce i tuoi gusti strani: fra un sociopatico e un pazzo davvero non saprei chi scegliere. Anzi, forse Alaude è meglio. Almeno lui non sproloquia sciocchezze e non si veste in quel modo terrificante. - rammentò ancora una volta la sua idea riguardo Daemon.
Giotto alzò gli occhi al cielo. Non ricordava neppure come lo aveva convinto ad entrare in quella "Famiglia", a lui andava bene così, tanto Alaude quanto Daemon Spade. Entrambi nei loro caratteri erano particolari.
- Mi chiedo dove sia nata la tua secolare avversione nei confronti di Daemon. - parlò a voce bassa, godendosi la vista e la brezza tiepida che scuoteva tranquillamente il suo mantello.
- Non so te ma qualcuno che minaccia di annegarsi nella fontana pur di non stare in compagnia non credo sia normale. Contando anche il suo orrendo carattere altezzoso che ha sviluppato con gli anni. - enfatizzò dondolando il capo, come se stesse parlando di un essere non propriamente identificato.
La prima volta che G. venne a conoscenza dell'idea di Giotto nell'erogare anche Daemon nella loro "Squadra di Vigilanza", si racchiuse in un tale silenzio tanto da fargli credere che fosse primariamente d'accordo: fu ciò che venne dopo a contrastare evidentemente con i suoi pensieri. Arrivò a pensare anche che fosse impazzito nel voler accogliere un idiota che alla prima occasione avrebbe voltato le spalle a tutti.
Ma lui si era limitato a guardarlo e a sorridergli, ricordandogli sempre che alla fin fine ne sarebbe valsa la pena. Eppure G. non era mai arrivato a pensarla così.
- Staremo a vedere. - lo stesso medesimo sospiro modellò le labbra di Giotto. Infine, dopo un saluto ed un altro sorriso rincuorante lasciò che la sua figura si eclissasse dalla visione del Guardiano della Tempesta, voltando verso il lungo corridoio che conduceva alla sala Riunioni.
Con l'abituale passo felpato che aveva acquisito con gli anni procedette lungo l'antro illuminato dal sole pomeridiano, quel posto di certo con peccava di tranquillità e Lampo durante quelle ore aveva imparato a ravvedersi dal lamentarsi.
Evitando altri sprechi di tempo, con una mano si apprestò ad aprire la porta della sala, senza meravigliarsi quando riscontrò la figura familiare di Daemon accomodato placido a capotavola, con l'immancabile mazzo di carte disposto sul legno curato.
In un certo senso aveva cominciato ad apprendere già un po' di tempo fa le fissazioni o abitudini quotidiane di Daemon, come appunto le carte da cui non si separava mai sin da quando lo conobbe presso quella fontana.
Lo aveva sempre considerato un soggetto a sè, differente dalle persone che lo circondavano: iniziando dai suoi comportamenti quasi sempre schivi nei confronti di chiunque, spesso anche con lui assumeva questo determinato atteggiamento.
- Immaginavo fossi qui. - lo sorprese con calme parole Giotto, sorridendogli di rimando.
Daemon alzò appena il capo, inarcando un sopracciglio: - Primo. Quale onore mi concede la vostra presenza? - chiese, alzando il mento e poggiandolo sul palmo aperto della mano.
Il sorriso di Giotto venne smorzato da quel rispetto ironico che aveva imparato a lasciarsi scivolare addosso: - Assolutamente nulla. Sono venuto a dare un'occhiata in giro. - confessò con una banale alzata di spalle, avvicinandosi ad una delle sedie libere e disponibili accanto a Daemon.
- Preoccupato? - domandò, scoprendo successivamente un re di picche.
- Parli sempre come se io non facessi altro. - mormorò incrociando pigramente le braccia al petto.
Daemon scrollò sarcasticamente il capo: - Beh, non riesco ancora a comprendere la sua paternale costernazione nei confronti dei suoi Guardiani. - spiegò con semplicità.
Giotto sospirò: - Non riesci ad accogliere i miei ideali? -
- Hm. Sì, vediamola in questo modo. -
Ci fu un lungo silenzio contrapposto da ambo le parti in cui Giotto restò ad osservarlo tacitamente mentre giocherellava abilmente con le carte: il che gli fece rimembrare la prima volta che lo incontrò. Le stesse parole, espressioni che si alternavano come una disposizione di maschere.
Daemon era un'abile illusionista; e a volte aveva creduto anche che la sua stessa presenza in quella magione fosse una vaga illusione destinata a perire prima o poi.
- Dalla prima volta che hai letto quelle carte, sapevi che sarebbe finita in questo modo. Non è vero? - con le palpebre socchiuse chinò appena il capo, evitando di scorgere l'effettiva reazione di Daemon.
- Chissà. - lo udì rispondere, probabilmente con un sorriso. - Come le ho già detto, non esistono coincidenze. Solo l'inevitabile. - terminò con chiara serietà, riprendendo a mescolare i mazzi.
- Questo era inevitabile? - chiese.
Daemon si bloccò per un attimo, guardandolo intensamente: - I gesti riflettono le nostre decisioni, i pensieri le moltiplicano, e mentre avverti la tua vita trascorrere avanti che si diventa più fragili. - rispose. - Per questo motivo, Primo, non si ha tempo di proteggere gli altri. Si deve pensare solo a sè stessi e a diventare più forti. -
Giotto si morse un labbro: - Hai ancora l'abitudine di non rispondere chiaramente alle domande che ti vengono porte, a quanto vedo. - constatò effettivo, rispecchiandosi in una valida occhiata.
Daemon rise compiaciuto: - Per quanto si possa sforzare, lei non può cambiare le persone. Buone o cattive che siano, la loro strada è già segnata. Cosa si può fare se non accettarlo il proprio destino? -
- Si è sempre in tempo per cambiare, se lo si desidera. - confermò deciso Giotto.
- Lei pretende che tutto debba seguire un unico filo? Che tutti le giurino eterna fedeltà nonostante siano altri i loro ideali? Non può contrastare il destino. Deve soltanto accettarlo. -
Mi dispiace per quello che sono. Ma non posso farci niente.
E forse questo faceva davvero male a Giotto. L'idea che Daemon si fosse prefissato un futuro che forse neppure lui avrebbe desiderato, in fondo.
Probabilmente quel giorno, vicino la fontana, aveva già avuto chiaro lo svolgersi dei fatti. Adesso li stava solo modellando a suo piacimento.



Il Guardiano della Tempesta lo aveva guardato, gli aveva sorriso ed infine rassicurato con i suoi modi amichevoli che riservava appieno solo a lui.

Eppure Giotto lo sapeva, quante volte non aveva guardato in faccia alla realtà? Si era rifiutato persino di dare atto alle parole di G.
E faceva male: mentre gli altri si disperavano per trovare una soluzione e lui si limitava a sorridergli ricordandogli che sarebbe andato tutto per il meglio.
Giotto non avrebbe potuto cambiare l'inevitabile. Gli restava soltanto da accettarlo seppure con la stessa violenza di una pugnalata in pieno petto. Perchè continuava a fare male come una ferita aperta.
Vedere quella stanza in cui non c'era, ad ogni modo, doleva nella sua effimera illusione.
Giotto non poteva cambiare il destino. Si accetta e si convive. Non si può fare altro.
- Sapevi anche questo, non è così...? -




"Credimi. Sapere che alla fine di questa vita non ci sarà più un posto per me, fa molto più male.

Un'esistenza nel nulla, questa è la mia punizione. Io non voglio essere perdonato.
Non voglio sapere neanche cosa farà.
Mi è sempre bastato guardarlo per capire che ai demoni non è permesso piangere o essere deboli.
E questo sai cosa significa?
Se non fossero così duri, a loro non resterebbe altro che la disperazione."
"Eppure tu sapevi che lui ti avrebbe perdonato..."














Non lo credevo possibile, ma alla fine l'ho scritta.
E' stato un parto piacevole e non, cioè, insomma descrivere la Prima Generazione è estremamente complesso, e più o meno uno non riesce mai a basarsi sulle poche conoscenze che ha.
Ragion per cui con molta probabilità ho creato un papocchio D: Ma non odiatemi, è la prima volta che tratto su di loro.
Preciso che questa storia è dedicata a Raindrops che mi ha ispirata inizialmente con le 6927, ed infine anche alle Daemon x Giotto. <3
Non mi perdo in descrizioni sul papiro, spero solo che il significato intrinseco (?) della storia sia uscito fuori. Soprattutto spero di averli caratterizzati decentemente.

Comunque ci tengo a dire che le frasi di inizio\metà\fine capitolo sono questa volta di mia invenzione. Non riguarda direttamente la storia ma in un certo senso è come se lo fosse. *la fucilano*
Detto questo, posso evaporare e santificare chiunque abbia letto. <3




Golden Brown
















 
   
 
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