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Autore: skiblue    26/02/2006    9 recensioni
Questa è la storia di Lily Evans, vista dai suoi occhi, i passi di un'adolescente nel mondo che l'ha cambiata. Lily è al sesto anno, è una bravissima strega, ha una migliore amica, una gatta e tante cose di cui essere fiera. Ma altrattante per cui non esserlo. Prima tra queste la sorella Petunia, staccatasi dalla ragazza per colpa di quella lettera. E' da lì che parte la storia di Lily, ma avrà bisogno di una persona per superare quello che la sorella le ha inflitto. Avrà bisogno della persona che crede di odiare più di qualsiasi Serpeverde. E allora tra lezioni, amicizie, casini vari Lily incomincerà a muovere il primi passi verso quello che sarà il suo fututo.
Genere: Romantico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: I, Malandrini, Serpeverde | Coppie: James/Lily
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Steps

 

Prologo

 

 

Era una fresca mattina estiva la mattina in cui la mia vita sicura tra le mura di casa, venne minata nel profondo, era una bella mattina estiva, quella che odiai per molti anni.

Era tanto tempo fa. Avevo appena undici anni.

Avevo tutto quello che desideravo, i miei genitori mi amavano, mia sorella mi voleva bene ed io volevo bene a loro. Eravamo felici, e lo fummo ancora io e loro, ma non mia sorella, non dopo quella dannatissima mattina di fine giugno, perché quella mattina entrai in un mondo che non mi apparteneva, un mondo di cui non conoscevo nulla, un mondo che credevo inesistente.

Mi ero svegliata tardi, avevo una febbriciattola in quei giorni, mi era venuta a maggio e non intendeva andarsene, avevo sempre il naso rosso e i capelli crespi quando avevo la febbre e non mi sentivo bene, mia madre mi rassicurava dicendo che doveva essere un’allergia, mia sorella mi assicurava che sarebbe passata presto, mio padre rideva quando mi vedeva andare in giro come uno zombie, ma mi faceva piacere essere a casa, seppur malaticcia, con la mia bella, unita famiglia.

Unità traballante purtroppo, minata da uno scherzo del destino.

Come dicevo mi ero svegliata tardi e avevo qualche riga di febbre, scesi in cucina assonnata, Petunia ridacchiava al telefono con una sua amica, Emily Wilson, ma appena mi vide mi indicò il bricco del latte sul tavolo e mi sorrise, io mi sedetti a tavola ascoltando mia sorella con attenzione, parlavano di un ragazzo, il ragazzo di Emily a quanto capii, erano entrambe emozionate e quando mia sorella riattaccò le feci mille domande, alle quali lei rise cristallina, rispondendomi con un secco, ma cordiale, “Non capiresti”, poi si sedette di fronte a me ed iniziammo a parlare, ridevamo insieme, quando la mamma entrò, fu felice di vederci, come sempre, insieme.

Aveva sempre creduto difficile pensare che due sorelle così diverse potessero essere così unite, e come dargli tolto?

Io ero diversa da Petunia come lo erano il sole e la luna, di questi ho sempre creduto essere io la luna, forse a causa della mia pallida carnagione, dei miei occhi verde smeraldo e delle lentiggini che come stelle brillavano sulla mia pelle chiara. Petunia, invece, era il sole, era scura di carnagione, abbronzata, aveva gli occhi scuri e una risata contagiosa, che purtroppo sparì dopo quel giorno, o almeno sparì nei miei confronti, non era una gran bellezza mia sorella, aveva un collo un po’ troppo lungo e un mento cavallino, ma sapeva farsi apprezzare, era impertinente e diceva le cose in faccia, simpatica e amabile, io ero diversa, più chiusa ed introversa, mi piaceva stare da sola, mi piaceva leggere e girovagare con la mente, mi piaceva però quando lei mi portava fuori a parlare, io sapevo tutto di lei.

Ma lei non sapeva tutto di me.

Io ero il giglio della famiglia, delicata e pallida, chiusa ed insicura, pura come quel fiore da cui avevo ereditato il nome, che mi si addiceva meravigliosamente.

Lei era l’altra, la prima, quella che portava sulle spalle molte, troppe, responsabilità, quella sempre pronta ad aiutare, e lo rimase, ma non con me, non dopo quella mattina.

Durante il pranzo a casa Evans non si parlava poi molto, si parlava di più durante la cena, perché mio padre tornava al lavoro alle tredici e mezza in punto, Petunia andava ad un corso estivo di spagnolo ed io e la mamma solitamente amavamo chiacchierare nell’immediato pomeriggio.

Fu durante uno di quei pranzi taciturni e quasi impersonali che un crepitio al vetro ci fece girare.

Un gufo bruno picchiettava allegramente sulla finestra, mia madre trasalì, mio padre abbassò la forchetta, Petunia osservò il gufo spaventata ed io lo osservai ammirandone le varie sfumature, era un bellissimo esemplare, mi piacevano i volatili, avevo sempre preso dei bei voti in scienze, mi piaceva osservare la natura, faceva parte di me, potevo stare ore ad osservare i fenomeni atmosferici, ore a guardare il sole o la pioggia, ore a osservare un passerotto costruirsi un nido.

Mia madre aprì la finestra.

Il gufo volò in casa e fece cadere una lettera di pergamena, era molto bella, mi ritrovai a pensare, era magica.

La osservammo stralunati, poi con fare tremante mio padre la girò.

 

Alla Signorina Evans, Lily

 

Mio padre alzò lo sguardo su di me, ma quando non vide una risposta, ma solo strano nervosismo ritornò ad ispezionare la lettera, recava una scritta Scuola di magia e stregoneria di Hogwarts.

-Cos’è Hogwarts mamma?- chiesi, ma mia madre scosse la testa e tutti tornammo a ad osservare quella lettera, Petunia fu la prima a riprendersi.

-Lil, forse e dico forse la dovresti aprire, al massimo è uno scherzo di pessimo gusto- disse guardandomi negli occhi come solo lei sapeva fare ed io, senza nemmeno accorgermene la aprii.

 

Alla cortese attenzione di Lily Evans,

siamo lieti di informarla che lei è stata ammessa alla scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, con la presente teniamo ad informarla che l’espresso che la condurrà alla scuola partirà il primo settembre alle undici in punto, al binario 9 e ¾ King Cross.

Troverà allegato l’elenco del materiale per il primo anno che potrà reperire a Diagon Alley, troverà anche le indicazione per arrivarvi.

Cordialmente

Minerva McGranitt

Vicepreside di Hogwarts

 

-A quanto pare abbiamo… una strega in famiglia- disse Petunia, e da quel momento non mi parlò più.

 

***

 

In realtà non è che non mi rivolse più la parola, semplicemente si staccò tanto durante quell’estate che non me ne accorsi subito.

All’inizio mi parlava ancora, sembrava che la cosa non l’avesse scalfita, ma in realtà un sentimento si nascondeva dietro quella calma che non l’era propria, era tremendamente gelosa. Ed io non la capivo, avevo undici anni, come potevo comprendere cosa mia sorella tentava di nascondere?

Mi trattava con distacco e prese ad uscire sempre più spesso, mi sentii ancora più sola, era strano non poter chiacchierare come al solito, era triste non poterlo fare, mi sentivo strana a non potermi confidare più con la mia migliore amica.

Poi partimmo ed andammo in Costa Azzurra, e fu li che mi accorsi che mia sorella non era più tale.

Lo capii da una sera, l’ultima che trascorsi al mare, l’ultima in cui mi illusi di possedere ancora una sorella che mi amasse sul serio.

In quei due mesi Petunia aveva iniziato a truccarsi.

Non credo perché desiderasse essere più bella, credo che lo facesse perché non poteva sopportare che io avessi tutta l’attenzione dei miei genitori. Era più bella quando si truccava, riusciva a far passare in secondo piano il collo e il mento cavallino, era abile con la matita e con il fard, le sue amiche si facevano truccare da lei, e lei le accontentava, ma non fu questo a farmi capire che non mi voleva più bene.

Quella sera le feci i complimenti per come si era vestita.

Portava uno scamiciato azzurro, gliel’aveva regalato la mamma e Petunia non l’aveva mai indossato, diceva che la faceva sembrare troppo matura, ma quella sera lo mise. Era il compleanno della mamma.

-Petunia, sei molto carina con questo vestito- gli disse sorridendole, lei mi guardò con uno sguardo carico d’amarezza, mi fece rabbrividire.

-Forse, finalmente, mamma mi presterà un po’ d’attenzione- disse in un sussurro, io la guardai sorpresa, in quei mesi la mamma mi aveva dato molte attenzioni, eravamo andate a Diagon Alley per informarci su Hogwarts e nella libreria della stretta viuzza avevamo comprato un grosso tomo: “Storia di Hogwarts”, avevamo preso il necessario per la scuola ed un bellissimo gatto nero, con occhi viola, che guardavano con curiosità il mondo, Atargatis, l’avevo chiamata.

-Che dici Petunia? La mamma ti dedica molte attenzioni- le disse, ma la mia voce risultava poco convincente, lei mi guardò con uno sguardo triste, ed allo stesso tempo carico d’invidia e d’odio, odio che non avevo mai visto nei suoi occhi scuri sempre allegri e sorridenti.

-Ma certo, la cara streghetta non capisce, vero?- disse con il solo scopo di ferirmi, ed io mi ritrassi offesa, le lacrime che traballavano nei miei occhi verdi, la guardai avvilita, non capivo cosa stava dicendo, non capivo il dolore che si recava dietro quelle parole.

-No… Petunia, perché mi tratti così?- le chiesi con voce sommessa, la mia voce traballante cadde nel vuoto. La spiaggia era buia, qualche luce veniva dalla casa appena davanti alla spiaggetta, a nasconderla. Petunia era uscita, non voleva farsi sentire da mamma e papà, mentre mi riversava addosso i suoi sentimenti. Non voleva che la credessero invidiosa, non voleva che le dicessero: ‘ Lily starà via, è normale che le dedichiamo più attenzioni ‘, non voleva sentirsi dire che la sorella era speciale.

-Perché ti tratto così?- la voce scura di Petunia esplose in una risata cattiva, resa ancor più tetra dal contesto da cui era scaturita –Perché? Perché tu sei diversa, sei anormale. Sei… sei pazza! E i miei genitori non sene accorgono nemmeno, ti credono brava solo perché sei un’insulsa streghetta, solo perché tu sei paranormale, tu non dovresti esistere Lily Evans, come la magia! Sei uno scherzo del destino, e non capisco come i miei genitori ti possano ancora volere nella nostra casa dopo che anno scoperto cosa sei, Lily Evans- quelle parole sgorgarono come un fiume in piena, due mesi di agonia, due mesi in cui i suoi sentimenti si erano tramutati in odio, i due mesi in cui, capii, avevo perso forse per sempre la mia adorata sorella, e quelle parole mi cambiarono forse di più di quella lettera.

Due righe di lacrime erano comparse misteriosamente sul mio viso, due righe che aumentavano, singhiozzai.

-Ma… ma Petunia, tu… tu sei la mia sorellona- balbettai guardandola negli occhi, lei mi rise in faccia.

-Un tempo, Lily, un tempo…. Ma non chiedermi di esserlo ancora- disse e poi, oltrepassandomi con il suo bel vestito celeste si allontanò come se nulla fosse successo. Lasciandomi lì, sola a piangere per la perdita più importante della mia vita.  

Faceva freddo sulla spiaggia, il mare era agitato, come il mio animo, rumoreggiava come un tuono, e alcune gocce arrivavano fino a miei piedi, mi asciugai le lacrime tristi e sorrisi, forzatamente. Un sorriso falso quanto tirato, un sorriso che malcelata tristezza e dolore.

Un miagolio mi fece girare, Atargatis, mi si accoccolò in grembo e si mise a fare le fusa. Non si staccò quando la strinsi a me ed iniziai a piangere con foga, urlando il dolore che avevo in me, non si ritrasse quando con le miei lacrimale bagnai il bel pelo nero come la notte, e non si stancò di ascoltare le miei lacrime e i miei singhiozzi causati dal vuoto che troneggiava dentro di me.

Le sue fusa mi calmarono, e con calma prese a leccarmi il volto, come per consolarmi, era una gatta intelligente, molto, troppo. La apprezzavo, era un animale orgoglioso e fiero, e non sopportava Petunia, credo soprattutto perché mia sorella non sopportava lei.

 

***

 

Era giunta la mattina della partenza, ero triste mentre mettevo le ultime cose dentro il grosso baule di legno di quercia che recava in grandi lettere d’argento la scritta: Lily Evans.

Era vestita semplicemente, portavo un pullover leggero color smeraldo che si addiceva ai miei occhi e dei jeans usurati dall’uso, i miei capelli erano legati in una cosa morbida e quella mattina sembravo veramente un giglio.

Atargatis dormiva vicino alla finestra si stava prendendo gli ultimi raggi di sole londinesi di lì a qualche tempo.

-Chissà se Petunia mi rivolgerà la parola, almeno oggi, non chiedo poi tanto- dissi asciugandomi una lacrima che mi scendeva lungo la gota, ero sempre stata un tiretto emotivo, che scoppiava a piangere per ogni minima sciocchezza, era anche quello che mi aveva guadagnato il soprannome Giglio di Cristallo, ma in realtà, in fondo, ma veramente in fondo, ero un tipetto tutto pepe.

Atargatis si stiracchiò e mi venne accanto leccandomi la guancia, le accarezzai il dorso di velluto nero e lei miagolò deliziata.

-Già, non mi rivolgerà la parola- dissi semplicemente, cercando di prepararmi al saluto con mia sorella.

Successe poco dopo, stavamo uscendo, io, mia madre e mio padre per andare in stazione, quando mia madre si accorse che Petunia non mi aveva salutato.

-Petunia- gridò indispettita.

La testa bruna di mia sorella si presentò poco più tardi, mi guardò con ira, ma subito distolse lo sguardo per puntarlo su mia madre, la parte del mio cuore che si sentiva legata a lei sussultò, causandomi il desiderio di scoppiare in lacrime.

-Saluta tua sorella, cara- le disse mia madre, Petunia mi osservò con disprezzo, mia sfiorò la guancia con un bacio freddo ed impersonale, come se stessa baciando un perfetto sconosciuto, come se io non fossi sua sorella ma un collega di suo padre, cercai di non piangere, mi morsi il labbro inferiore con forza, quando la mia sorellina si staccò mi guardò con astio immensurabile e tornò in camera sua, fu con questo ultimo saluto che salii sulla macchina diretta alla scuola migliore del mondo.

La stazione era gremita di gente, ci dirigemmo verso il binario nove, ed in mezzo, osservando con attenzione si vedevano persone che attraversavano un muro, giusto in quel momento una signora che teneva all’orecchio un ragazzino ci incrociò e ci sorrise affabile.

-Nuovi dell’ambiente eh?- disse con gentilezza, mi sembrò subito cordiale e dolce, il ragazzino che teneva all’orecchio scalpitava e si dimenava, lasciando di stucco i miei genitori

-Oh, che stupida non mi sono nemmeno presentata!- disse battendosi una mano, perfettamente curata, sulla fronte chiara –Mi chiamo Helen Potter e lui è mio figlio. Un teppistello- disse sorridendo affabile ed indicando il ragazzino –Ma si sa è l’età, undici anni, frequenterà il primo anno- ci informò

Mia madre rispose al sorriso. Eravamo in anticipo di un’ora e la signora ci chiese se volevamo prendere un caffè con lei, mio padre declinò l’offerta dicendo che doveva andare a lavorare, mia madre invece fu lieta di accettare l’invito.

-Anche Lily è al primo anno- disse appena ci fummo seduti –E’ la prima strega della famiglia, un grosso onore secondo me- disse mia mare con orgoglio, la signora Potter le sorrise allegramente.

-Io invece sapevo che sarei venuto ad Hogwarts- disse il ragazzino, lo osservai per la prima volta, aveva i capelli scuri, spettinati, gli occhi nocciola erano spavaldi e sicuri, e dentro di essi vi scorsi un lampo birichino, vivace e scaltro, era alto per la sua età e piuttosto magrolino.

-Mi chiamo James Potter- mi disse io lo guardai incredula, era uno dei pochi che mi avesse subito rivolto la parola, di solito nessuno mi rivolgeva la parola subito, rimanevano stupiti dalla mia tranquillità e timidezza, ma non James Potter, lui si dimostrò un ragazzo pieno di sorprese.

-E tu?- mi chiese dopo un attimo, io lo guardai, non avevo conosciuto nessuno così schietto, nessuno tranne Petunia, e forse fu proprio questa seppur quasi invisibile somiglianza a farmi risultare da subito, non troppo simpatico, James.

-Mi chiamo Lily Evans- risposi educatamente, lui mi osservò e quasi scoppiò a ridere della mia timidezza, io lo guardai stizzita e porsi lo sguardo sulle due donne che ormai chiacchieravano come se si conoscessero da sempre.

-Conosco moltissimo Babbani, e molti figli di Babbani sono ottimi maghi, non si deve preoccupare affatto, sono sicura che ad Hogwarts la sua Lily si troverà benissimo, personalmente non vedo l’ora che James parta, non che non gli voglia bene, ma a volte è un po’ birichino, una vera peste in realtà!- diceva la signora Potter, mia madre osservò il ragazzino e gli accarezzò il capo scompigliandogli i capelli, il ragazzo sorrise, dovevano davvero piacergli i capelli scarmigliati, mi dissi.

-Ma che dice? Mi sembra così calmo- rispose mia madre, la signora Potter sbuffò esasperata.

-Appunto, sembra…- e sottolineò delicatamente la parola, James abbassò lo sguardo colpevole, ma non arrossì –Vede? E’ un perfetto casinista!- disse severamente, ma subito sorrise, si vedeva che amava il figlio in modo immenso –Ma non ci si può far niente…- disse infine.

-Ma guarda che ore sono, dobbiamo proprio andare, per di qua- disse d’un tratto la signora Potter.

Passammo tra folte file di Babbani urlanti, che scleravano per le cose più banali, superammo il controllo merci e giungemmo al binario nove, la signora ci fece strada.

-Dovete oltrepassare il binario, così- fece un cenno e James si buttò contro la parete, chiusi gli occhi e aspettai il botto, ma non venne, James aveva oltrepassato il muro.

Osservai il muro per qualche secondo, attonita.

-Vai tu Lily, io passerò con tua madre- mi bisbigliò la signora Potter all’orecchio, io sorrisi, nervosa come mio solito e impugnato saldo il carrello che conteneva i miei effetti personali, accarezzato il morbido pelo di Atargatis mi lanciai contro la parete di marmo bianco. Chiusi gli occhi, avevo paura di essere respinta, paura che tutto fosse uno scherzo, tremavo da capo a piedi, ma mi feci coraggio se quel ragazzino era passato potevo farlo anch’io. Dovevo farlo anch’io.

Mi preparai la contatto, ogni fibra del mio corpo era tesa, ma all’improvviso con una dolce sensazione di vuoto allo stomaco mi senti trasportata all’interno del muro. Strinsi con foga i manici del carrello, sentii a malapena il miagolio di Atargatis. Fu un tocco alla spalla farmi spalancare gli occhi, un tocco leggero.

-Ehi, ora li puoi anche aprire gli occhi- mi disse una voce acuta, con cautela li aprii prima uno poi l’altro, e incontri gli occhi di James vicino ai miei, sorridevano, allegri.

-Brava, non fare la fifona, era solo un muro- mi disse, lo guardai mettendo il broncio, era davvero insopportabile a volte, si dava troppe arie. E, anche se spesso la prima impressione si rivela errata, quella era giustissima.

-Non sono una fifona, solo che non sono abituata a queste… cose- conclusi, lui mi guardò sempre con quel suo cipiglio orgoglioso, poi si voltò e salì sul treno.

-Tra poco arriva mia madre, dille che sono sul treno, non ho molta voglia di farmi stritolare in pubblico- disse a mo’ di saluto.

Io lo guardai sparire dietro il corridoio del treno, James Potter mi risultò antipatico e pieno do sé, come se potesse fare a meno degli altri, e li trattasse come se fossero tutti sotto di lui.

E non mi sbagliavo neanche tanto.

***

 

Il viaggio fu piacevole, incontrai una ragazza che come me era di origine babbana, Alicya House. Era diversa da me, ma per alcuni versi simile, non era introversa, ma neanche un pagliaccio come quel Potter, era una ragazza aperta e sincera, lo capii subito.

Alicya era bionda, aveva la carnagione olivastra e gli occhi verdi, ma più chiari dei miei, bordati, intorno alla pupilla di una striscia di bronzo.

Fu lei la mia prima vera amica che ebbi ad Hogwarts, l’unica che mi capisse veramente.

Ma non fu quel giorno che lei diventò la mia migliore amica, fu dopo, più tardi, quel giorno eravamo unite dal sentimento di inquietudine che portavamo con noi.

Sentimento che andò aumentando quando una professoressa, alla fine di un inquietante giro in barca, ci disse di prepararci ad essere smistati dal Cappello Parlante.

Tutti chiacchieravano eccitati, parlando della casa in cui volevano andare a tutti i costi, un James Potter particolarmente allegro declamava le virtù dei Grifondoro a voce alta, ascoltato da un tipetto bassino e grassoccio li accanto, da un ragazzo dall’aria malaticcia e da un altro serio e distaccato, mi stupii vedendo che Potter sembrava già a perfetto agio con quei tre, come se li conoscesse da tempo.

-Beh secondo me anche Corvonero non è poi tanto male- disse quello dall’aria malaticcia, James gli sorrise di rimando, ma non accennò a smettere di parlare dei Grifondoro.

-Certo, sicuramente meglio dei Tassorosso, ma io credo che andrò proprio lì- squittì il ragazzino basso, Potter gli tirò un pugno amichevole e il ragazzo sorrise, fu a quel punto che anche il ragazzo distaccato parlò.

-Si Peter, ma sempre meglio che Serpeverde- James annuì, una ragazzo dietro di loro li guardò con disprezzo, ma non disse niente, era molto carina, aveva i capelli neri e degl’occhi blu pervinca che facevano impallidire, la pelle era molto chiara, quasi eterea, non certo come lei, mi ritrovo spesso a pensare adesso, quanto odiai Bellatrix Black, ma allora non sapevo neanche chi fosse.

Affianco a lei vi era un’altra ragazzina, era bionda e aveva grossi occhini azzurri, sembrava una bambola di porcellana francese, fragile ed indifesa.

-Tu in che casa vorresti andare?- mi domandò Alicya io alzai le spalle, non ne avevo idea.

-E’ uguale, spero solo non Serpeverde- dissi, lei mi sorrise ed annuì

-Comunque spero Grifondoro- sussurrò

La Sala Grande era gremita, ragazzi e ragazze sorridevano e chiacchieravano, allegri, erano perfettamente normali, ne pazzi ne spostati si aggiravano tra quelle mura, mi disse ricordando le dure parole rivolte da mia sorella, mi asciugai gli occhi sebbene non fossero ancora stati bagnati da lacrime, non quella sera.

Il Cappello era su uno sgabello e la McGranitt vi era davanti con una lunga, lunghissima pergamena. Mi sentii male al solo pensiero di rimanere sola su quello sgabello e se il capello mi avesse fatta tornare a casa? E se non fossi stata una strega?

-Che inizi lo Smistamento- disse la voce calma della professoressa, il brusio cessò quasi immediatamente e l’attenzione dell’intera sala si volse verso lo sgabello sgangherato.

-Black, Bellatrix- disse la professoressa, la ragazzina salì i gradini con tranquillità e si sedette dopo qualche istante la ragazza sorrise e il capello urlò: -SERPEVERDE- ella corse lungo il tavolo e raggiunse la tavola verde argento che applaudiva.

-Black, Narcissa- la ragazza che mi era parsa una bambola salì con grazia gli scalini e si pose il cappello sul capo, esso vi mise di più ma alla fine anche la ragazza andò nella casa verde argento.

-Black, Sirius- irrimediabilmente mi ritrovai a pensare che anche lui sarebbe andato in quella casa, ma invece no, con sorpresa sentii il cappello, assegnarlo alla casa rosso oro, non senza un disappunto generale, il ragazzo sorrise fuggevole  e si diresse verso il grande tavolo oro.

Lo smistamento continuò per un po’ assegnando i ragazzi nelle varie casate, due ragazzine brune andarono entrambe a Corvonero, un bambinetto basso venne assegnato a Tassorosso, e una ragazza alta a Grifondoro, poi toccò a me.

-Evans, Lily- Alicya mi sorrise allegramente, poi incrocia lo sguardo di James che sorrideva, andai con passo sicuro, per quanto in realtà fossi impaurita, il cappello mi venne posato sul capo.

“Uh difficile… difficile ragazza mia, molto complicato, dove ti metto? Intelligenza, molte intelligenza, ma… vedo paura, insicurezza, desiderio di piacere agl’altri, ma un grande senso di giustizia, coraggio quando si tratta di difendere i propri ideali e lealtà. Un bel miscugli non c’è che dire… ma…”

Ero tesa, credevo che mi avesse davvero rispedita a casa, ma forse mi dissi, così Petunia non mi avrebbe più disprezzata tanto, forse mi avrebbe riaccolta. Desiderai non essere li.

“Ho capito, si”

-GRIFONDORO- mi tolsi il cappello e guardai i tavoli, il tavolo rosso e oro impazziva e mi lanciai di corsa vero si esso, ora, per la prima volta da quando avevo ricevuto la lettera, ero a casa mia.

Più tardi mi chiesi se la decisione del cappello fosse stata esatta, ma il capello non sbaglia mai e l’avrei scoperto, prima o poi.

 

 

Ecco il primo capitolo è finito, mamma che lungo.

Non credevo venisse così lungo, ma era l’introduzione, indispensabile per il personaggio dal prossimo capitolo dovrebbe essere già al sesto anno.

Non credo vi saranno capitoli così lunghi, ma mai dire mai.

Per adesso vi prego solo di recensire.

Anche solo per dire fa veramente schifo.

E’ la mia prima fic a capitoli.

Va beh adesso vado al prossimo chap allora.

Ski
  
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