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Autore: Emily Doe    27/02/2006    21 recensioni
"Si stagliano contro il sole ali annerite, si tendono verso il cielo in un infinito quanto mai appagato anelito, alla ricerca di quel soffio di vita che solo in pochi osano chiamare con il suo nome. Libertà."
Hai perso le persone a te più care nella battaglia contro il Male, ti è stato tolto tutto, non hai più quasi nulla per cui vivere se non un paio d'amici ed il grande desiderio di libertà. Vai avanti lottando, con un unico obiettivo: giustizia. Puoi e sai contare solo su te stessa, ma un giorno, tutto ad un tratto, la tua vita e le tue convinzioni vengono sconvolte. E potresti scoprire che gli Angeli non sono poi così angelici come credevi.
Incompiuta; sospesa a tempo indeterminato.
Genere: Azione, Dark, Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Draco Malfoy, Harry Potter, Hermione Granger | Coppie: Draco/Hermione
Note: AU | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Altro contesto
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Disclaimer: Come sempre, i personaggi qui citati appartengono di diritto alla mente geniale di J

Disclaimer: Come sempre, i personaggi qui citati appartengono di diritto alla mente geniale di J.K.Rowling ed alle rispettive case editrici. Con questa storia non violo alcun copyright, mi limito semplicemente a torturare un po' le creature di mamma Rowla. Non scrivo questa storia a scopo di lucro, ma per puro divertimento personale. (Ebbene sì. Sono tornata. Ricordate quando in un capitolo di "Could it be any harder?" vi parlai di alcuni progetti di long-fics su Draco/Hermione indipendenti da CIBAH? Siete davanti ad uno di quelli ^^). Devo dire che la pubblicazione di questa storia è il frutto di lunghe e tormentate riflessioni...da un'idea che mi era venuta in mente nella primavera-estate dell'anno scorso (2005, per intenderci) dopo aver riletto Il Calice di Fuoco (dove, appunto, nomina gli Indicibili)...è stata una lotta contro la parte di me che voleva celare l'esistenza di tale fanfic e quella che voleva finirla e pubblicarla...alla fine ha vinto la seconda parte, per cui...eccomi qui ^_^;;

La frase che vedete qui sotto (tradotta non da me) è di Kazuya Minekura (la mangaka del mio amato Saiyuki), presa da un suo manga chiamato "Stigma" (non a caso ho scelto una certa canzone per aprire la storia ^_- c'è un motivo...ehe)...e ha un collegamento con la storia che intendo scrivere.

Importante: dato che è ancora in fase di scrittura, non assicuro una pubblicazione regolare. Ce la metterò tutta, ma sono gli ultimi mesi di liceo classico (*_* manca pocooo!), per cui siate pazienti ^^

 

 

 

 

 

 

Come un piccolo uccello colpito a morte, che cade a terra anelando il cielo blu a cui fare ritorno,

nessun pentimento, nessuna espiazione. Facciamo un lungo sogno

che trasmette il calore del tuo corpo alla mia mano...

che aveva perfino dimenticato

come il sangue le scorresse dentro.

("Stigma", Kazuya Minekura)

 

 

 

 

 

 

Indicibili (Gli Angeli)

 

  1. "Unspeakable [Part One: From The Sky]"

 

 

I can feel the blood rushing through my veins

when I hear your voice, driving me insane

hour after hour, day after day

every lonely night that I sit and pray

("Stigmatized", The Calling)

 

 

La superficie della ringhiera cui si appoggiava risultava al tatto piacevolmente liscia e fresca, specie se ricoperta da gocce trasparenti - come in quell'occasione -, unico ricordo di un'ira che il cielo aveva deciso di scatenare su di loro fino a qualche ora prima. Era piovuto per una settimana intera, sette giorni di fila colmi di acqua e tuoni, di rombi lontani, di cupi tramestii nel cielo e non solo; sette giorni che non usciva all'aperto. Inspirò socchiudendo appena gli occhi, l'aria era ancora fortemente umida, ma risultava salubre e refrigerante, quasi rinvigorente per le sue membra. Le sue mani gridavano un urgente bisogno di qualcosa di freddo, dopo gli estenuanti sette giorni di ininterrotto - o quasi - allenamento, riaprendo gli occhi con lentezza si sfilò i sottili - ma efficacissimi negli scontri - guanti neri, con movimenti veloci e puliti, e poggiò entrambi i palmi sul ferro che le aveva offerto un momentaneo sostegno.

Sorrise udendo dei passi leggeri avvicinarsi alle sue spalle.

-"Neppure tu ci hai fatto l'abitudine, eh?"-

Non si girò, attese semplicemente che la persona in questione le fosse a fianco e si poggiasse di schiena a quella stessa ringhiera; solo allora voltò il capo di poco, osservando il suo profilo.

-"A dire il vero no."- ammise con un sorriso, eppure nella sua voce non vibrava alcuna nota di divertimento -"Questi nuovi allenamenti sono..."-

-"Strazianti?"-

-"Esattamente. Ma non dire a nessuno che te l'ho detto."-

Il ragazzo fece un mezzo giro su se stesso e si voltò a guardare lo stesso panorama che l'amica stava osservando pochi istanti prima; all'orizzonte nubi nere come la pece, simbolo di un mondo corrotto, la linea dell'orizzonte inframmezzata da sottili colonne di un fumo grigiastro che si innalzava, tremolante, verso il cielo, in un infinito ed ultimo tentativo di gloria, quando nella sua breve vita - l'incendio dell'ultima battaglia - aveva portato, come al solito, solo distruzione. Tanta, infinita distruzione. Il paesaggio brullo di quella che prima era una tranquilla prateria riscosse in lui quegli stessi sentimenti che lo animavano, che lo incitavano sempre, senza sosta, a proseguire in ciò che stava facendo, la steppa desolata non lasciava assolutamente nulla all'immaginazione, poiché nulla lì era possibile immaginare.

-"Prospettiva desolante, non credi?"- fece, lo sguardo perso chissà dove

Lei inarcò entrambe le sopracciglia, increspando le labbra in un ironico sorriso.

-"Ti riferisci all'abitudine? O all'idea di trascorrere le successive tre settimane tentando di scagliare incantesimi di livello molto avanzato, con il semplice ausilio delle mani?"-

L'abitudine che li aveva resi assuefatti a quel paesaggio, l'abitudine che li aveva resi ironici, quasi mordaci, era la stessa abitudine che li aveva resi pronti a tutto.

-"Entrambe le cose."- ribatté il giovane inclinando il capo a destra, poi a sinistra in un gesto di spossatezza

La ragazza raccolse i guanti neri, parte dell'equipaggiamento, che aveva gettato in terra e lanciò una rapida occhiata alle proprie mani arrossate, scorticate, con addirittura qualche segno di ustione qua e là.

-"Io e le mie mani ci troviamo assolutamente d'accordo con te."- disse

Rimasero per un po' in silenzio, semplicemente lasciando vagare gli occhi su ciò che era l'ennesima dimostrazione, l'ennesima prova di quello che attorno a loro stava avvenendo; oramai lo stesso clima ne risentiva, continui sconvolgimenti atmosferici, sbalzi innaturali di pressione e di temperature si riversavano su un mondo in completa rovina, come ultima parola, come a voler sottolineare ed evidenziare la parola fine. Parola che non arrivava, non arrivava mai, grazie a loro. Erano solo loro a difendere quel poco che rimaneva, a difendere l'ipotesi di poter ricostruire un qualcosa, alla fine di tutto, erano semplicemente loro a combattere perché non si spegnesse l'ultimo alito di vita di quel mondo ormai deteriorato, annerito. In tutto quello, c'erano loro. C'erano ancora loro.

Il vento soffiava leggermente muovendo appena i loro capelli, non un raggio di sole illuminava l'ambiente circostante. Tutto era come avvolto in un'opaca, patinata pellicola che, a chi non vi fosse stato abituato - quindi non a loro - avrebbe dato un pesante senso di soffocamento. Da quando la guerra era entrata in quella che avevano definito la fase critica, ovvero da quando anche l'ultima scuola di magia del mondo era stata rasa al suolo e da quando i sommovimenti, le bombe, le antiche magie riscoperte solo con lo scopo di uccidere, avevano spezzato l'equilibrio naturale del pianeta stesso, non si era più visto il sole. Tutt'al più si era scorta una sfera decisamente molto meno luminosa di quello che veniva ricordato come la più grande stella del sistema solare, oltre la spessa coltre di nubi, fumi, vapori. Per chi, giovane come loro, aveva visto l'avvento di tutto questo negli anni dell'adolescenza, era difficile ritenere veri i ricordi di quel mondo che c'era prima; non avevano più visto un'alba, non più un tramonto, nessun cielo sereno, nessun fiume cristallino. Nessun sorriso. Solo tanto, tanto sangue in un deserto di fiamme.

La giovane aveva appena socchiuso le labbra per dire qualcosa quando una voce ben nota li fece riscuotere da quello stato d'animo pensieroso in cui si erano immersi - e che per la disciplina ferrea cui erano stati sottoposti ed abituati, avrebbero dovuto evitare caldamente. Pensare al passato, ricordare, sorridere con malinconia...queste cose non servivano a nulla. Era per così dire proibito pensare al loro passato se non per essere spronati a combattere nel presente; il loro passato rischiava di indebolirli, quella sottile tristezza velata di amara desolazione aveva portato molti sull'orlo della disperazione, li aveva spinti a pensare che non si potesse più fare nulla per migliorare quella realtà...e così molti avevano abbandonato la lotta. Ed erano morti: lottare senza più convinzione o, peggio, motivazione, equivale al suicidio. Un ricordo è sempre un'arma a doppio taglio: da una parte ti dona un sorriso, ti da quella sensazione di interno tepore che ti suona così familiare...dall'altra risveglierà in te la dura consapevolezza che quel tempo non tornerà. Non lo farà mai più. Ti ricorderà che il tempo non si è mai fermato per nessuno, non lo farà tantomeno per te, uno - semplice individuo - in mezzo a miliardi. Proprio per questo erano pochi ormai i soldati dell'Ordine della Fenice, esattamente per questo motivo: c'erano pochissime persone in grado di provare quei sentimenti contrastanti, di scontrarsi con essi, fino ad esserne irrimediabilmente feriti, erano pochissime le persone capaci di soffiare su tali ferite, di buttarvi sopra un disinfettante che brucia, fa male, ma che guarisce, erano pochissimi gli individui capaci di ignorare quel dolore, stringere i denti, rialzarsi, oltrepassare la sottile linea - che qualcuno definiva follia - che separava i due tipi di uomini e donne rimasti dopo tanti anni di guerre sanguinose: chi si arrende e chi va avanti.

Pensate che sia difficile? No. Non è difficile.

E' molto, molto peggio.

E' pressappoco impossibile.

Può sembrare facile a dirlo, ma trovarsi scaraventati in un mondo che non riconoscete e non accettate, macchiati di sangue, accerchiati da altro sangue, vedersi costretti ad uccidere per non essere uccisi, alla stregua di bestie guidate dall'istinto, a volte rende quasi impossibile ricordare che si sta lottando per degli ideali, ideali veri, ideali importanti. O ci si arrende - e si muore - o si continua a lottare solamente sottostando alla legge del più forte ed alla lunga, anche così, si muore. Prima psicologicamente, poi anche fisicamente.

Quei due ragazzi - quasi due ragazzini, erano due delle appena tremila persone - su miliardi - in grado di sostenere un ritmo, un peso di tale genere; coloro appunto che erano entrati a far parte dell'esercito. Lo sapevano, ne erano stati dolorosamente resi consci, per questo quando udirono la voce del tenente che li aveva addestrati fin dal loro primo giorno lì al quartier generale, quasi sobbalzarono - un soldato dell'Ordine rimaneva impassibile in qualsiasi istante, tentando perlomeno di non vedere quelle emozioni che ancora c'erano. Regola base, quella che veniva impartita a suon di ceffoni alle matricole. Proprio perché quelle emozioni non causassero la loro prematura dipartita in battaglia. Voltandosi si misero sull'attenti, piccati nell'essere stati sorpresi in quello stato d'animo - gli occhi velati di tristezza, le labbra incurvate in un dolceamaro sorriso, le mani morbidamente abbandonate su quella ringhiera e non più pronte e scattanti come quando erano vigili: tutti indizi inconfondibili. - da ciò che di più vicino ad un parente avevano.

-"Tenente Cooper."- salutarono i due, tallone contro tallone, postura rigida - ma pronti a scattare in qualsiasi istante - e braccia tese lungo i fianchi

Hayden Cooper era un uomo ben piantato nonostante i cinquant'anni appena passati, tutto merito dei continui allenamenti e della disciplina rigorosa. Aveva degli occhi azzurri che ad entrambi ricordavano da sempre una persona in particolare per la loro espressione. A dire il vero era un'espressione particolare, solitamente agguerrita, valorosa, mai fredda o distaccata, sempre passionale. Rare volte sapeva diventare calda, affezionata o addirittura protettiva, quasi...paterna, ma solo rare volte. Da quando loro erano entrati nell'esercito, era successo solo due volte. Ed in una delle due volte, uno dei due aveva sfiorato la morte...quello sguardo era stato accompagnato di fatti da una sana sgridata ed un allenamento triplo. Raramente, ma ne era capace. Un soldato è un soldato, dopotutto.

I sentimenti.

Bella battaglia - in molti casi persa fin dalla partenza.

Bisognava essere capaci di controllarli freddamente, di saperli calcolare, vincere, addirittura manipolare - come quando un forte dolore può essere usato come agguerrita incitazione alla lotta -, alla stregua di macchine.

Li osservò per un istante.

-"Colti sul fatto."- disse, la sua voce era bassa ed un po' roca -"Non mi avete neppure sentito arrivare. Rilassatevi pure."-

I due diminuirono la tensione dei tendini e dei muscoli, riprendendo una postura normale.

-"Ci dispiace, non succederà più."- disse la ragazza dai profondi occhi castani

Il tenente non rispose subito, si avvicinò ai due e si poggiò alla stessa ringhiera.

-"Non importa. Siete due dei miei migliori soldati e sapete come comportarvi, un momento di distrazione fa bene. Ma che sia, appunto, solo un momento."-

Sapevano benissimo quanto Cooper non condividesse del tutto la ferrea linea di condotta che i soldati dell'Ordine dovevano seguire, ma si rendeva conto della necessità della stessa.

-"Certamente."- rispose il ragazzo, obbediente

Ci furono un paio di minuti in cui Cooper lasciò scivolare il proprio sguardo sull'orizzonte e si soffermò su di un punto lontano da cui si alzava una delle più nere colonne di fumo.

-"Seguitemi."- disse poi facendo rapidamente dietro-front e ripercorrendo in direzione inversa il corridoio da cui era giunto

I ragazzi si scambiarono una rapida occhiata sorpresa: l'allenamento era appena terminato, avevano come sempre una pausa di due ore, dato che si trattava di un programma intensivo che li teneva occupati giorni su giorni, senza un solo attimo di tregua.

-"Mi scusi..."- osò il ragazzo -"...dove stiamo andando?"-

Cooper continuò a camminare con i due alle spalle, il rumore dei loro passi pressappoco impercettibile, felpati, morbidi, felini...tutte qualità vitali in battaglia.

-"Stanno arrivando, dobbiamo andare a riceverli."- fece in tutta risposta -"Potter, Granger, marsch."- aggiunse con un cenno del capo

-"Chi sta arrivando?"- domandò perplessa la giovane ragazza, le sopracciglia aggrottate, sottile linee le increspavano la fronte altrimenti liscia e levigata

Forse si trattava di sesto senso, forse semplicemente di quell'intuito così acuito dai cinque anni di permanenza nell'esercito, forse addirittura qualcos'altro, fatto sta che aveva una strana sensazione, qualcosa che lentamente stillava nel suo cuore un sentimento non meglio identificato.

Giunti in uno spiazzo scoperto, si fermarono solo davanti ad un immenso e spesso cancello protetto da parecchi degli incantesimi più potenti conosciuti nel mondo dei maghi. Cooper tirò fuori la bacchetta e la puntò contro la serratura bisbigliando qualche parola arcaica, dopodiché inserì la mano in una fessura stretta apertasi proprio in quel momento. I due ragazzi avvertirono un rapidissimo movimento e seppero che un sottile ago era calato sulla mano del tenente e ne aveva prelevato un campione di sangue per il riconoscimento del DNA e delle funzioni vitali, in modo da consentire l'accesso al locale successivo. Si udì allora un rumore metallico ed una miriade di ingranaggi sembrarono spostarsi, cigolando, all'interno del cancello; poco dopo un pannello scorse lasciandoli passare. Percorrevano l'anticamera dell'immenso cortile in cui facevano le esercitazioni generali, Cooper un paio di metri avanti a loro.

-"Hanno ritenuto utile inviarci dei rinforzi, dato che siamo rimasti in appena mille dei tremila che eravamo - sempre molto pochi! - contro le schiere del nemico. Come ben sapete Voldemort sembra aver acquisito un potere sempre maggiore, nonostante tutti i nostri sforzi ed i nostri sacrifici..."- la ragazza strinse i pugni, ma tacque -"...il suo potere sembra aver gettato la propria ombra scura su aree ancora più ampie, molti giovani si sono lasciati sedurre dalla facile via del Male."- si fermò al centro del cortile, lì dove stavano già altri due tenenti, ognuno accompagnato dai suoi due migliori soldati. Il che era strano perché solamente nel giorno di ricognizione o in previsione dell'arrivo di qualcuno di importante venivano convocati a testimonianza del fatto. Il tenente indicò un punto nero contro il cielo grigio, ancora molto lontano -"In poche parole, hanno deciso di inviare, con lo scopo di affiancarci nella lotta, una squadra esterna."- 

Silenzio.

Incredulo silenzio.

Non è possibile...

-"Cosa?!"- fece sgomento Harry, sgranando gli occhi verdi

-"Una squadra esterna, Potter."- ribadì il tenente, lanciando uno sguardo torvo nella direzione che aveva poc'anzi indicato e poi facendo un cenno di saluto agli altri due tenenti

-"No, fatemi capire...adesso, dopo anni che lottiamo soli, che non abbiamo uno straccio di aiuto da nessuno?"- la ragazza entrò nel discorso con tono rabbioso, un retrogusto di cupa aggressività permeava le parole che sembravano comunque uscire con fatica dalle sue labbra serrate, tirate -"Cosa facevano quando eravamo solo dei ragazzini, bambini addirittura, presi e sbattuti in una guerra di cui non potevamo neppure immaginare le proporzioni? Cosa facevano quando venivamo addestrati ad uccidere, cosa facevano quando i nostri venivano ammazzati, schiacciati come mosche?! Cosa diamine faceva il Ministero l'anno scorso, quando in quell'ultimo attacco perdevano la vita quasi duemila dei nostri soldati...quando..."-

Harry le sfiorò una mano mentre camminavano, in un gesto gentile e quasi impercettibile. Lei non osò proseguire.

Non riusciva a crederci.

Era raro che giungesse a parlare di quello, e quando accadeva stava ancora peggio. Cercava sempre di evitare il nocciolo della questione, a fatica aveva accettato l'idea stessa che erano stati costretti ad ingoiare, e se ne parlava, voleva dire che era davvero, davvero furiosa. O sconvolta.

-"Credimi, Granger, l'idea non entusiasma neppure me."- rispose Cooper dopo una breve pausa, forse di rispetto nei confronti del ricordo degli altri -"Ma non abbiamo altra scelta, dobbiamo ammetterlo. Per quanto fastidio mi dia l'idea che degli estranei decidano di interessarsi all'intera faccenda dopo anni di voluta apatia, sono costretto a riconoscere che non ce la possiamo fare, non da soli."-

-"Il mio non è fastidio, è schifo."- fece lei, lapidaria mentre un cupo rumore lontano chissà quante miglia indicava che il mondo stava cominciando ad agitarsi, che il cielo avrebbe pianto nuovamente quella marea di lacrime sanguigne.

Cooper si fermò e si voltò ad osservarla in faccia, sul suo viso le cicatrici di tante battaglie, di tante sconfitte e di tanti dolori incancellabili. Un rude sorriso gli increspò le labbra solitamente severe, sembrò quasi che vi aleggiasse il ricordo dell'amarezza provata.

-"Non credere che non capisca, Granger. E la cosa che più mi fa schifo è il dover accettare tutto questo passivamente."- i suoi occhi corsero rapidi su quello stesso orizzonte oltre il quale aveva visto sparire la sua famiglia, annientata dai nemici -"Non accettare in segno di rispetto per chi ha perso la vita non sarebbe un atto di grande eroismo, sarebbe un gesto orrendamente egoista."-

I due tacevano, capivano alla perfezione ciò di cui stava parlando. Il tenente aprì con la stessa procedura di poco prima una porta di minor imponenza ma non efficacia.

-"Non posso buttare al vento altre vite."- proseguì Cooper, riprendendo a camminare. Percorrevano ormai il lungo corridoio che li avrebbe portati al cortile principale, dove, appunto, avrebbero ricevuto quelli che qualcuno osava ancora definire 'gli aiuti', gli altri tenenti li seguivano poco lontani, parlottando. -"Appoggio quindi quasi in tutto la decisione del comandante: continuare a combattere la nostra guerra in queste condizioni sarebbe un suicidio per tutti e finché è vero che campo farò di tutto per poter impedire che chi si trova sotto il mio diretto controllo subisca una sorte analoga ai soldati del passato."- Hermione guardava in terra, ma le mani erano strette a pugno con una violenza tale che le nocche erano totalmente sbiancate e Harry sapeva bene che la sua rabbia non si sarebbe esaurita. Mai. Perché era la stessa rabbia che incendiava anche il suo petto.

-"Andiamo, cosa potranno offrirci?! Bellimbusti riempiti di teoria, ma inutili, se non di intralcio, sul campo di battaglia?"- ringhiò sommessamente, rubando di bocca le parole a Hermione -"E' questo che il Ministero definisce un aiuto? E' questo il sostegno che il grandioso Ministero della Magia ci invia?"-

Il tenente seguitò a camminare, senza più voltarsi; i loro passi echeggiavano sordi sul pavimento lastricato.

-"Non ve l'ho detto?"- la sua voce era ancora più dura -"Non si tratta di una fazione sotto il diretto controllo del Ministero...o meglio, non più."-

Hermione e Harry si fissarono negli occhi, stupiti che in tanta rabbia potessero ancora provare sorpresa.

-"Non si tratta di membri dell'esercito e non si tratta di fazioni del Ministero...ma allora cosa diamine sono questi tizi?"-

Se la rabbia che avevano sentito covare dentro il loro cuore fino ad allora aveva incendiato i loro animi al punto da far loro credere di essere quasi in grado di incenerire un nemico con un solo sguardo, in quel preciso istante tutto sembrò cancellato di colpo.

-"Indicibili."-

Cooper seguitò a camminare pur sapendo quale fosse stata la reazione dei due. Harry sgranò gli occhi letteralmente esterrefatto, il cuore si agitava rabbioso nel petto, il sangue gli martellava impietoso nelle tempie; non si voltò a guardare Hermione, poco dietro di lui: poteva immaginare perfettamente il suo viso, così come poteva sentire le sue emozioni. Rabbia, una rabbia fuori controllo, così grande, così forte da lasciare storditi, così intensa e così violenta da non poter trovare nessuno sfogo, una rabbia immensa ed eterna da rinchiudere nel profondo del proprio animo, ormai lacerato. Quella stessa rabbia che si leggeva nei loro occhi di ventiduenni, privi di qualsiasi altra luce, quella rabbia che con la sua irruente prepotenza aveva messo sottosopra e sconvolto ogni minima parte di loro, ogni più insignificante emozione, lasciandoli così pieni di ira che ormai la stessa causa che li aveva spinti alla lotta sembrava scivolare inesorabile tra le loro dita, come sottili, dorati granelli di sabbia che, per quanto tu possa stringere la presa, sempre riusciranno a sfuggirti. Lasciandoli, ironia della sorte e dell'animo umano, così furiosi da sentirsi come oggetti che nulla possono e che nulla ormai sembrano contenere.

Se non dolore.

Un dolore che si pensava di aver superato, con tanta fatica, un dolore che sembrava esser ormai diventato statico - eterna componente fissa della loro predisposizione d'animo.

Il dolore bruciante di una bevanda fortemente alcolica che ti incendia dentro, brucia i sensi ed i pensieri, ma che attutisce allo stesso tempo quelle stesse fiamme, avvolgendole in un'ovattata consapevolezza che ormai è e non potrà cambiare, né aumentare. Così come diminuire.

Un dolore che si credeva aver cicatrizzato.

E poi - come una ferita riaperta e sanguinante, carne viva per cui ogni minimo soffio è devastante - amplificato mille e mille volte, così tanto da togliere il respiro.

Una luce squarciò il cielo plumbeo, illuminò per un istante quelle tre persone, lasciò che le loro ombre si stagliassero per un attimo appena sulla parete immacolata, lunghe e grandi; lo schianto del tuono riempì l'aria.

Hermione Granger chiuse gli occhi con violenza, voltando il viso da una parte, ma solo per un secondo. Raddrizzò le spalle; respirava lentamente.

Harry Potter e Hermione Granger ripresero a camminare, seguendo il tenente, ed i loro passi si spensero poco a poco.

Le cicatrici, no.

 

*** *** ***

 

Poteva non sembrare, ma a tutti gli effetti era orribilmente difficile mantenere un apparente sangue freddo e rispettare tutte le postille del codice il cui apprendimento era alla base di ognuno di loro, in quell'esercito. I giovani se ne stavano in silenzio, i tenenti si scambiavano appena qualche parola che fuggiva via, disperdendosi nel vento e nel rombo del tuono, come un semplice soffio che mai altro scopo ha avuto se non quello di rappresentare la fugace consapevolezza che tutto quello stava realmente accadendo. La sorpresa li aveva lasciati intorpiditi, quasi instupiditi, e quelle parole, quei frammenti di frase poco chiari, ma abbastanza perché vibrassero la loro cruda verità nelle loro menti, erano come un bel sorso di qualche bevanda babbana altamente alcolica - di quelle che, tanto tempo prima, durante una vacanza avevano assaggiato - che con la sua componente forte, calda, in un certo senso ustionante, riporta immediatamente - anche se per poco - alla realtà. E troppe, di quelle parole, li avrebbero ubriacati di domande, di dubbi, di richieste. Richieste, dubbi, domande mai solute, senza alcuna soluzione che i loro cuori potessero accettare. Era proprio per questo che i tenenti evitavano di discutere chiaramente: meglio una terapia d'urto. Si sperava che davanti alla realtà, così com'era, avrebbero rinunciato ad una comprensione totale. Eppure Cooper sapeva, sentiva che ad alcuni questo non sarebbe affatto bastato; Cooper non aveva bisogno di alcuna intuizione o dimostrazione per sapere che specialmente quei due, Potter e Granger, non si sarebbero accontentati di quella che sapevano essere una mezza verità. Quei due...così giovani e già terribilmente combattivi, nei loro occhi la luce di chi combatte per qualcosa in cui crede. Quei due.

Cos'ha fatto il Ministero fino ad ora? Cosa faceva il Ministero quando i nostri venivano ammazzati e schiacciati come mosche?!

...Cosa?!...

Non è possibile.

Lapidario e tagliente: Indicibili.

Il tenente Cooper lanciò un'occhiata sfuggente ai suoi due giovanissimi soldati e si sarebbe complimentato con loro più tardi per il sangue freddo che sapevano dimostrare se la sua attenzione non fosse stata catturata dalla ragazza. Hermione. Hermione Granger.

Hermione, Hermione, Hermione...gli ricordava con aspra dolcezza, o dolce asprezza - comunque un sentimento che di un'ambivalenza contrastante fa la sua natura primaria - quella figlia che aveva perduto ormai tanto tempo prima - non così tanto, ma sembrava passata un'eternità. Strano a dirlo. I suoi occhi castani dal taglio intelligente, vivace ma vagamente dolce, il viso regolare e la carnagione pallida. Per Hermione, aveva una specie di 'debole': Hermione era quel soldato - che ogni tenente ha, nel proprio cuore - di cui molto male avrebbe sopportato la scomparsa - probabilmente mai l'avrebbe veramente superata. Era arrivata da loro che era ancora una mocciosa, diciott'anni di occhi spauriti, pallide speranze, mani tremanti che nei libri non trovano più alcuna certezza, e lui personalmente l'aveva addestrata. Cooper considerava Hermione quasi come una figlia, eppure non era mai capitato che l'avesse favorita in alcuna cosa. Anzi: era stata sottoposta ad allenamenti intensivi e molto più duri, severi, degli altri, perché era una delle rare ragazze - purtroppo le ragazze non duravano molto lì. 'Durare' era il termine esatto, per quanto nauseante. -...perché era uno dei soldati dalle migliori potenzialità che avessero.

Con quella ragazzina aveva un legame speciale, che in pochi tuttavia riuscivano a percepire. Di quella ragazzina, quindi, orgogliosa come la sua bambina, fiera come lei...ma fragile, in fondo, anche più degli altri esseri umani, nulla ormai più gli sfuggiva.

E quello che attirò la sua attenzione, furono i suoi occhi. I suoi occhi castani, solitamente caldi e pieni di emozione, erano nulli. Nè rabbia, nè incertezza.

Semplicemente il nulla.

Vide la sua mano sinistra, stretta a pugno lungo il fianco dalla curva delicata, tremare quasi impercettibilmente. Lo vide anche Harry, che le si fece leggermente più vicino, senza dire una parola. La mano smise di tremare.

Un rumore nuovo, come di vento potente, li distrasse e fece sì che rialzassero tutti, tranne Hermione, lo sguardo verso quello che, poco prima, era ancora un puntino lontano.

I tenenti stessi fecero del loro meglio per mantenersi impassibili anche nelle loro espressioni fisiche - un passo indietro, una mano che si sposta, un breve tremolio del labbro inferiore avrebbe rivelato tutto - per mascherare la sorpresa davanti a tutto quello.

Hermione allora sollevò il mento, inclinò il capo all'indietro.

Il fuoco, le fiamme...quel calore soffocante, quel dolore insopportabile...ma la consapevolezza che ci sei...che tu...tu ci sei ancora...

Con occhi fieri e fermi.

Le grida, le urla atroci di dolore di chi veniva torturato e di chi piangeva quelli che, ormai, la tortura l'avevano superata andandosene. La terribile sensazione di ogni fibra che si incendia di dolore e di disperazione...l'opprimente peso che grava sul cuore, sull'animo...che piega fisicamente le gambe...che fa crollare, rovinare senza pietà alcuna...in terra. In una terra zuppa, pregna di sangue.

Con quegli occhi, lo vide.

L'odore del sangue e della morte che ti invade con prepotenza i sensi, ti violenta l'anima.

Un nome gridato al vento...il non voler accettare che quello stesso vento lo ruberà per sempre, che il suo sibilo dolce e violento nello stesso tempo sarà ormai l'unica risposta a quel nome, da quel momento in poi. Per sempre.

Quel nome gridato dieci, cento, mille volte...con la voce roca, la gola che arde, il cuore che brucia e sanguina sangue che ormai non ha più...gridato mille, cento, dieci volte ancora...il nulla attorno, la disperata ricerca di una risposta che, lo sai, non arriverà.

Solo un amico al tuo fianco, un amico che prova le tue identiche sensazioni.

Ancora quel nome, ancora quel grido che non è più un grido di ricerca ma di dolore, l'epsressione di un male straziante e lancinante che non sai accettare ma che devi esternare in qualche modo...perché se lo terrai dentro di te, lo senti con ogni tua cellula, ti porterà alla follia.

Sangue, sangue. E ancora, sangue.

Sangue dappertutto, ovunque, anche negli occhi, nella bocca...il suo sapore di ferro, la sua consistenza vischiosa...

E per l'ultima volta, quel nome.

Ultima speranza, nonostante tu sappia che lei, la speranza, è già morta.

Quel nome. Vibra nell'aria con tante note di emozione in una volta sola, ma con una che spicca sopra le altre. La distruzione.

Quel nome si esaurì, tutto sembrò accadere in un'eternità. Lentamente svanì lasciando solo un pallido ricordo.

E lo vedi.

Lo vide.

La distruzione.

E lo vedi, adesso.

Dal cielo, quel veliero nero come la notte più profonda, immenso, dall'abissale inclito terrore.

E lo vedi ancora adesso, violento scarto dal passato al presente, da un passato che è e sarà per sempre il tuo eterno presente.

Nella sua mente ancora quelle immagini, più vivide che mai, ancora dolorosamente attuali.

Solo una goccia di sangue in quel mare scarlatto.

Il vento si espresse con un'ultima sferzata mentre il veliero scuro toccava terra, senza più il minimo rumore.

Improvvisamente esplode il silenzio, un silenzio che ti spacca i timpani.

E lo sai che è solo una goccia di sangue in quel mare scarlatto. Che non c'è più nulla, nè da fare, nè da sentire.

Ma non te lo puoi impedire.

In quel silenzio assordante, la tua anima te lo comanda e lo grida con tutta la sua disperazione, con tutto il suo essere.

...Che quella è solo una goccia di sangue in quel mare scarlatto. L'ennesima goccia di sangue in quel mare scarlatto.

Ma che è la tua goccia di sangue.

La tua ultima goccia di sangue.

E lo vedi. E lo senti.

Lì, ma non c'è più.

La Goccia di Sangue, l'ultima che hai intenzione di versare, l'ultima che verserai.

Lo vedi, è ancora lì. Tendi una mano per toccarlo, afferri la sua.

Ma non riesci a prenderlo, la sua mano scivola priva di vita. Non c'è più.

Aveva giurato di non provare più alcun sentimento, e non ci era riuscita. Provava ancora odio, odio, odio e tanto odio. Rancore. Stupore. Ma una cosa che aveva promesso quello stesso giorno e che avrebbe portato a termine, poteva ancora farla.

Vendetta.

E libertà.

Non c'è più.

Ormai libero di una libertà che non era quella che desiderava.

La tua Goccia di Sangue che non si asciugherà mai.

Che per sempre resterà vivida e scarlatta sulla tua pelle candida.

E Libertà.

Come testimone, firma di un giuramento. Quello che porterai a termine.

Hermione deglutì lentamente e tenne le spalle dritte ed il mento alto mentre il portello del veliero si alzava.

Il tuo Giuramento.

 

*** *** ***

 

Un uomo alto, longilineo, dai lineamenti decisamente delicati nonostante l'immensa cicatrice che gli attraversava il viso come un lampo nel cielo primaverile, alzò gli occhi sui presenti e discese lentamente, con passo deciso ma elegante, gli scalini, giù, fino a terra. Il suo abbigliamento era più che singolare: tipico abito da mago. Da mago civile, per intenderci. Erano ormai anni che non se ne vedevano più in giro, per due motivazioni principali: chi lottava aveva adottato gli abbigliamenti di guerra sperimentati dai Babbani, che, per quanto poco esperti di magia, avevano saputo inventare materiali ed armi che con l'ausilio di qualche incantesimo potevano diventare di grande aiuto in battaglia; i civili invece non uscivano più di casa. Perché uscire, come in una semplice e lineare equazione matematica, si traduceva in: morte. Morte sicura. Non passava giorno senza che una pattuglia di ronda - ovviamente di Voldemort - percorresse le vie della città, seminando ovunque buio, panico e distruzione. L'esercito si era ormai arroccato sulle montagne, in una posizione puramente difensiva.

Inutile.

Il Ministero sembrava ignorare volutamente alcuni dei più eclatanti omicidi avvenuti negli ultimi anni e dopotutto girava voce che al suo interno, le più alte sfere fossero state stranamente - miracolosamente? - salvate da qualsiasi attacco o attentato da parte dei Mangiamorte.

Corrotto.

Era per quello che la fazione degli Indicibili aveva preso le distanze dall'ormai inutile organo che per tanto tempo aveva voluto far finta di non vedere come Lord Voldemort stesse progressivamente conquistando il potere. Nello stesso anno in cui le truppe del Male avevano definitivamente preso possesso delle città e dei centri abitati - per utilizzare vigliaccamente come ostaggi la povera gente innocente -, si diceva che gli Indicibili fossero come svaniti nel nulla, ma che fossero stati visti comparire in più di una situazione critica. Già per il loro nome, si trattava di combattenti di cui nulla sapeva la minima cosa; per loro il segreto era la regola base, a meno che non avessero deciso di collaborare con qualcuno - cosa che non era mai accaduta -, chiusi in sè stessi proseguivano in una lotta che appariva ormai disperata, con mezzi sconosciuti. Si diceva che scagliassero incantesimi così potenti da ridurre in cenere qualsiasi avversario, si diceva che fossero in grado di curare qualsiasi ferita...e nessuno riusciva a spiegarsi come mai non volessero condividere questi loro vantaggi con gente che combatteva per lo stesso scopo.

La realtà era ben diversa. Chi aveva visto gli Indicibili in azione - o se ne era reso conto più tardi, dato che il segreto sembrava permeare persino il modo in cui combattevano -, ovvero due o tre individui ormai sull'orlo della pazzia, aveva descritto la scena come l'inferno.

Nessuno sapeva più a chi credere.

Hermione, Harry, il tenente Cooper e gli altri membri dell'Ordine sapevano solo che quando loro si erano trovati in una situazione critica, gli Indicibili non erano intervenuti.

Ciò aveva scatenato l'odio profondo della prima fazione nei confronti della seconda, tanto più che la battaglia che veniva ricordata come 'Il Tradimento degli Indicibili' aveva causato il più alto numero di morti delle loro schiere che si fosse registrato dall'inizio delle ostilità.

Proprio per quello tutti erano rimasti sgomenti di fronte alla notizia dell'arrivo di una squadra esterna, niente di meno composta da Indicibili.

Ma lo sgomento aveva presto lasciato il posto alla rabbia.

Nessuno aveva mai fatto nulla per loro, dopotutto.

Li avevano lasciati in balia di una sorte che tutti temevano di pronunciare, li avevano lasciati a leccarsi le ferite nel loro stesso sangue, li avevano lasciati a lottare disperatamente, uccidendo come bestie senza una via di fuga, con una ferocia ed una rabbia cieca dettate dall'immenso dolore che tutti loro si portavano, o meglio, si trascinavano pesantemente dentro.

Quale altro sentimento era loro concesso in una situazione del genere?...

L'uomo si avvicinò silenziosamente ai tenenti facendo un breve cenno del capo in segno di saluto; era notevole come ogni suo più minuto movimento fosse controllato e governato da una destrezza, una precisione incredibile.

-"Salve, generale Smith."- fece il tenente Cooper con voce cupa, celando tuttavia bene sotto un'affettata cordialità i suoi veri pensieri -"Benvenuti nel quartier generale dell'Ordine della Fenice. Il generale Wesson attendeva il vostro arrivo, se mi permettete di prendere nota di quanto uomini portate con voi potremo poi andare dal generale in persona. I vostri subordinati saranno condotti  e scortati dai miei due colleghi e dai nostri migliori soldati presso quella che sarà da adesso la loro collocazione fissa."- cogliendo appena un movimento quasi impercettibile del sopracciglio sinistro dell'uomo che fino ad allora aveva taciuto, aggiunse rapidamente -"non temete, sembreranno pochi e specialmente molto giovani, ma sono tra le persone più in gamba che io abbia mai conosciuto."-

L'uomo abbozzò un ulteriore cenno del capo e per la prima volta parlò.

-"Non lo metto in dubbio, tenente Cooper. E' che dubito che i miei soldati abbiano bisogno di protezione."- quella voce profonda, quasi musicale, contrastava un po' con le parole fredde, dure, decisamente franche ma non permeate da un senso di superiorità o cos'altro, sembrava che stesse semplicemente dicendo le cose così come stavano. E così era. -"Mi permetta di presentarvi l'ultimo distaccamento dell'esercito degli Invisibili."-

Il tenente Cooper rimase impassibile, i soldati si scambiarono qualche cenno sorpreso o qualche sguardo apparentemente furioso, gli altri due tenenti provveddero a tacitare ogni loro reazione con un semplice sguardo.

Hermione stringeva convulsamente le mani a pugno, ma teneva ostinatamente lo sguardo alto, in un atteggiamento fiero ed orgoglioso che qualcuno, in altri tempi, in altri luoghi, avrebbe definito 'inconfondibilmente Grifondoro'. Harry le stava accanto, in silenzio, come sempre. Tra i due non c'era bisogno neppure di uno sguardo, per capirsi. Parole, gesti, occhiate...tutto superfluo. Quello che veramente li rendeva uniti era il profondo affetto che li legava. E l'affetto vero non aveva bisogno di orpelli vari per sussistere.

-"Come saprete anche noi ci siamo trovati in difficoltà, ultimamente. Quelli che vi porto, sono gli ultimi venti ragazzi rimasti a combattere."-

-"Venti?"- sussurrò incredulo un soldato dai capelli di un colore amorfo e lo sguardo pungente

Il suo tenente si voltò a fulminarlo con un'occhiata. Gli sarebbe toccato poi un allenamento doppio, pensarono Harry e Hermione.

Il generale Smith si esibì in quello che doveva essere un sorriso, ma che rendeva stranamente inquietante il bel viso segnato dalla profonda cicatrice.

-"Sì, solo venti, come sicuramente il vostro giovane soldato sta pensando - e come mi pare voglia far capire. Le motivazioni di tale scelta ve le spiegherà più tardi il vostro generale, dopo che ci avrò parlato...nel frattempo vi basti sapere che questi non sono venti semplici ragazzi. Non sono venti semplici soldati. Una volta in battaglia sono inarrestabili e, credetemi, valgono più di mille uomini armati dell'esercito regolare."- una luce divertita e dura sembrò veleggiare per qualche istante nei suoi occhi neri come la pece -"Sono Angeli."-

L'ultima parola da lui pronunciata li lasciò quasi con il fiato sospeso.

Angeli.

Era strano sentir parlare di creature angeliche, celestiali in quel periodo, dopo tutto quello che stava succedendo e che era successo. Suonava come una strana caramella assaporata dopo un'amara medicina: il dolce non toglie tutta l'amarezza e risulta stranamente nuovo, diverso ad un palato abituato da così tanto tempo ad una realtà ben differente.

Hermione represse a stento un tremito della mano sinistra. Mento alto, spalle dritte, portamento fiero, deciso.

Degno di un vero soldato dell'Ordine della Fenice.

Dal portellone abbassato del nero veliero, silenziosamente, come fossero state anime in transito, in attesa di portarsi silenziosamente da qualche altra parte, scesero venti ragazzi avvolti in lunghi mantelli neri che rasentavano il terreno, con i capi coperti da larghi cappucci che gettavano ombra sui loro volti. In un silenzio quasi spettrale, decisamente surreale, si allinearono in quattro file da cinque persone ciascuna ed attesero.

Il generale Smith aveva nuovamente assunto la sua espressione impenetrabile, si voltò verso i venti giovani - perché tali si presumeva fossero dalle loro stature, visto che di loro nessuna parte del corpo era visibile -.

-"Saluto."-

Con una sincronia perfetta, senza alcuna sbavatura o minimo margine di errore, i venti individui vestiti di nero si chinarono poggiando a terra un ginocchio, e ponendo il braccio piegato a circa novanta gradi su quello che non aveva sfiorato il terreno.

Il loro silenzio, il loro aspetto, la loro perfezione incutevano un sentimento opprimente nel cuore dei giovani.

-"Siamo addestrati nelle più dure delle condizioni, quindi non fatevi problemi. Abbiamo bisogno solamente di un po' di cibo e acqua. E di sapere quando scenderemo in campo."-

Cooper assentì brevemente col capo e fece cenno al generale di seguirlo.

-"Rilassatevi, soldati."- disse uno dei due tenenti rimasti -"Per quanto forti possiate essere, preferiamo essere prudenti."- fece un cenno ai suoi soldati, seguito a ruota dal collega, poi indicò a Hermione e Harry la posizione che dovevano prendere.

I due tenenti alla testa, due soldati a fianco della schiera dei venti neri individui, due soldati al fianco opposto, uno dietro l'altro ed infine altri due soldati in coda.

I venti ragazzi si alzarono tutti assieme, con gli orli dei mantelli bui che ondeggiavano appena.

Fu allora che gli altri capirono il sentimento che appariva come un'opprimente ansia: un semplice movimento come quello aveva emanato da ogni singolo nuovo arrivato un'aura decisamente potente, fuori dal normale se si considerava il fatto che non stessero combattendo. Ora che erano così vicini, potevano sentirla dentro le ossa, dentro lo stomaco, come una lieve e sorda vertigine che si agita lontana.

Nella sua posizione di scorta, Hermione cominciò a camminare appena un poco rigidamente, riprendendosi subito dopo, quando i tenenti si mossero e con loro tutti gli Angeli. Ancora sorpresa dalla forza che quei ragazzi sembravano possedere, avvertì di sfuggita una sensazione particolare...simile a quella di quando, durante un'operazione militare, rimani nascosto a lungo e ti sembra che ogni fruscio sia un nemico, ti sembra che ogni secondo sia un'eternità, tenti di rimanere invisibile non sapendo se si riuscirai. Se si fosse trovata, appunto, in missione, avrebbe capito da quella sensazione - che le donava il suo quasi infallibile sesto senso - di essere stata scoperta.

Si voltò di poco verso destra, istintivamente.

I venti ragazzi camminavano, o meglio, sembravano volare, dato che non producevano rumore alcuno, accanto a loro, senza fare nient'altro. Non un sussurro, non un movimento differente, non un tentativo di sbirciare ciò che li circondava, al di là di quel pesante cappuccio nero che celava a tutti il loro viso.

Eppure le era parso che proprio il ragazzo più vicino, che la superava in statura di una ventina buona di centimetri, fosse stato volto quasi impercettibilmente verso di lei.

Con l'inquietudine e la rabbia nel cuore, con i ricordi che si agitavano dolorosamente nella mente, nell'anima, bruciandole il petto, rimase impassibile fino a che non giunsero in quella che era la mensa, dove gran parte dei loro compagni sedeva agitata, ansiosa, in attesa più dei nuovi arrivi che del pasto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

---

 

Allora? Che ne pensate? *Vocina di Emy giunge da un cassone di ferro in cui si è nascosta* Ah, nella seconda parte del capitolo, quando gli Indicibili arrivano, nei pensieri (meglio dire 'ricordi') di Hermione c'è un violento stacco: si passa apparentemente senza alcuna logica dal passato remoto al presente. Sottolineo: è voluto. (Vada in malora la consecutio temporum! E' uscito greco! Bwahahaha...olèèè! *Emy si lancia in una ola solitaria*) E leggendo bene tra le righe, si dovrebbe capire il perché. [Poi...nella canzone che ho scelto, la frase "when I hear your voice, driving me insane" è riferita a quello stesso ricordo di Hermione, se non si fosse capito ><'']

Approfitto di questo spazietto per ringraziare ancora tutti coloro che hanno letto e commentato "Could it be any harder?": per me è stata molto importante anche perché è stato scrivendo quella storia che mi sono lanciata nel mondo del Leather & Library (in parole povere Draco/Hermione)...ed anche i vostri commenti sono stati davvero, davvero importanti. Quindi grazie, grazie ancora ^^

Beh...non c'è altro da dire...se non che inaugurare una nuova fanfiction con un commentino sarebbe proprio carino da parte vostra ^_- un bacio,

Emily

PS: Generale "Smith" e comandante "Wesson"...ai fan di Saiyuki (se ce ne sono) ciò dovrebbe ricordare qualcosa ^^ ihih

PPS: Giuro che il nuovo capitolo di CIBAH sta arrivando! Perdonatemi!

PPPS (L'utlimo!): Non avendo HP4 in inglese non so quale sia l'esatta traduzione di "Indicibili", quella usata da mamma Rowla, per intenderci...ero indecisa tra 'unspeakable' e 'unmentionable', il secondo mi suonava meglio, però significa 'innominabili' e non 'indicibili'...allora ho lasciato 'unspeakable', anche se sono perplessa...qualche aiuto? ^^;;

 

   
 
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