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Autore: Yoshiko    27/02/2006    6 recensioni
Tsubasa si appoggiò alla balaustra dello yacht e mentre la brezza marina gli scompigliava i capelli bagnati, chiuse gli occhi e lasciò che il profumo salmastro del mare lo avvolgesse insieme ai ricordi. Erano arrivati da due giorni a Palma, nell’isola di Maiorca, la più grande delle Baleari. Juan, figlio dell’allenatore del Barçelona, aveva avuto l’idea di invitare lui, Sanae, i bambini, Serrano e la fidanzata Isabella a trascorrere una settimana nella sua villa dell’isola.
Da quando erano attraccati nella baia avevano passato la maggior parte del tempo sulla barca. Solo lì potevano godersi pienamente la pace di questa vacanza non programmata, solo restando al largo potevano sfuggire alla curiosità dei turisti e agli scoop di cui i fotografi erano alla continua ricerca.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sanae Nakazawa/Patty Gatsby, Tsubasa Ozora/Holly
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Yoshiko's Fanfic Page - 28 luglio

28 luglio 2002

 

Poichè le è piaciuta tanto, ho pensato di dedicare questa minuscola ff a Yayoi, la mia adorata sis, nel giorno del compleanno del suo personaggio preferito. Un regalo un po' modesto ma donato con tutto il mio affetto.

La trama deriva da un sogno che ho fatto durante il mio letargo estivo. Non era mia intenzione riportarlo per iscritto ma alla fine ho deciso di tentare pensando che ne sarebbe venuto fuori qualcosa di originale. Ho scritto sul pc cercando di ricordare il più possibile il mio sogno, tutto in un pomeriggio e forse la storia che ne è uscita potrebbe sembrare frettolosa e frammentaria… non so…

Prima di lasciarvi alla lettura di questa piccola onepiece, vorrei aggiungere un paio di cose, delle annotazioni sui personaggi che ne fanno parte. Prima di tutto mi sembra doveroso avvertire (soprattutto coloro che hanno un'opinione non molto lusinghiera di tale personaggio) che i figli di Tsubasa e i loro nomi non sono una mia invenzione, ma esistono davvero. Serrano è uno dei suoi nuovi compagni del Barçelona, io credo il primo amico in assoluto che il nostro caro capitano si sia fatto lì (eccetto il bambino Pinto, il suo primo fan europeo). Il nome di questo nuovo personaggio è scritto in katakana (Serrano) nel manga originale. La migliore traduzione che sono riuscita a fare è questa e non sono nemmeno del tutto sicura che sia giusta. Isabella è la sua ragazza. Juan è un personaggio inventato da me.

Ultima annotazione: come potete vedere dalla data questa ff ha quasi quattro anni e anche se il mio stile attuale è un po' diverso, ho deciso di lasciarla tale e quale l'ho scritta. Le sono affezionata e mi dispiaceva modificarla.

 

Non mi resta altro che aggiungere… buona lettura!

 

  28 luglio 

 

Tsubasa si appoggiò alla balaustra dello yacht e mentre la brezza marina gli scompigliava i capelli bagnati, chiuse gli occhi e lasciò che il profumo salmastro del mare lo avvolgesse insieme ai ricordi. Erano arrivati da due giorni a Palma, nell’isola di Maiorca, la più grande delle Baleari. Juan, figlio dell’allenatore del Barçelona, aveva avuto l’idea di invitare lui, Sanae, i bambini, Serrano e la fidanzata Isabella a trascorrere una settimana nella sua villa dell’isola.

Da quando erano attraccati nella baia avevano passato la maggior parte del tempo sulla barca. Solo lì potevano godersi pienamente la pace di questa vacanza non programmata, solo restando al largo potevano sfuggire alla curiosità dei turisti e agli scoop di cui i fotografi erano alla continua ricerca.

Eppure Tsubasa non si sentiva tranquillo, non riusciva a lasciarsi andare alla calma: c’era qualcosa che turbava la sua pace.

-Papà!- la voce di Daibu lo riscosse dai suoi pensieri –La mamma non è ancora tornata?-

-No, non ancora…- rispose cercando di nascondere l’ansia.

-Mi sono stancato di aspettare, ha detto che tornava subito e invece non è ancora arrivata.- il bambino si arrampicò sulla balaustra e scrutò l’orizzonte.

-Quante volte ti ho detto che non voglio che sali qui sopra? Lo sai che è pericoloso!- Tsubasa circondò la vita del figlio con un braccio ma lo lasciò dov’era.

-Lo so che non vuoi… e infatti non ci salgo se non ci sei tu!- sorrise il ragazzino.

Tsubasa non poté fare a meno di imitarlo, poi si volse a guardare la costa dell’isola alla ricerca della piccola imbarcazione che doveva riportare Sanae, Hayate e Juan allo yacht dove li stavano aspettando ormai da troppo tempo. Sbuffò senza accorgersene e Daibu si volse a guardarlo.

-Ti sei stancato anche tu di aspettare, vero? Perché non andiamo ugualmente a farci il bagno? Glielo dirà Serrano alla mamma di raggiungerci non appena tornerà.-

Restare lì in attesa significava ansia e fu per questo che Tsubasa decise di dare retta al figlio e di accontentarlo. Del resto gli aveva promesso dal giorno precedente che sarebbero andati insieme ad esplorare i fondali, peccato che con quell’“insieme” lui aveva inteso anche il resto della sua famiglia. Ma che fine avevano fatto Sanae e Hayate? Tirò giù il bambino dalla balaustra e, con un sorriso un po’ forzato, replicò.

-Vai a dire a Serrano di avvertire la mamma quando torna. Poi prendi la tua maschera e le tue pinne.-

-Uaaaaaaaaaaa, che bello!- esclamò il ragazzino allargando le braccia e facendo un giro su se stesso –Finalmente si vaaaaaaaaaa…- sparì sotto coperta mentre il suo papà scuoteva le spalle e andava alla ricerca del proprio equipaggiamento.

 

SPLASH!

 

Si gettò nella fredda acqua del Mediterraneo. Le bollicine gli solleticarono il corpo inondandolo di una piacevole e rilassante sensazione. Non fece in tempo a riemergere che vide il figlio affondare al suo fianco tra mille bolle di schiuma. Si volse verso di lui e, restando sott’acqua, lo vide annaspare per tentare di rimettersi in posizione eretta. Poi il ragazzino si accorse del suo sguardo e gli sorrise mentre tante bolle d’aria uscivano dalla sua piccola bocca. Insieme riemersero scuotendo la testa e tirando la maschera sopra i capelli.

-Non hai visto il mio tuffo!- si lamentò Daibu sporgendo il labbro inferiore in un’espressione imbronciata.

-Non me ne hai dato il tempo.-

-Com’è l’acqua?- chiese Serrano affacciandosi dalla balaustra della barca. Aveva l’espressione ancora un po’ intontita dal sonno e indossava solo i pantaloncini che usava per la notte. La sua bionda ragazza apparve accanto a lui.

-Uhm… come al solito.- rispose Tsubasa allontanandosi poi con un paio di bracciate.

-Ricordati di avvertire la mamma appena torna, eh?- gridò Daibu rivolto ai due che sembravano aver già perso interesse per il mare. Serrano lo liquidò alzando la mano, poi la posò sulle spalle della fidanzata e con lei tornò all’interno dello yacht.

Tsubasa prese a nuotare in direzione della scogliera ricominciando inconsciamente a chiedersi per quale motivo Sanae tardasse tanto… che fosse successo qualcosa?

Dietro di lui Daibu lo seguiva con il viso immerso nell’acqua per poter osservare il fondale. Lo sentì aggrapparsi con forza al costume, con il rischio di toglierglielo e si volse subito preoccupato ma il ragazzino gli fece il gesto di guardare dentro l’acqua. Immediatamente Tsubasa si infilò la maschera e si immerse.

Silenzio… un silenzio inondato dal muto linguaggio dei pesci… cullati dalle onde i due rimasero a guardare a bocca aperta lo spettacolo sottomarino che si schiudeva ai loro occhi. Mille pesci di tutti i colori guizzavano intorno a loro, a branchi o solitari, dai riflessi d’argento, gialli, rossi, blu, neri e multicolori. Le piante acquatiche ondeggiavano mosse dalla corrente solleticando i corpi dei granchi che avanzavano con la loro tipica andatura laterale leggeri come piume. Coralli rosa e rossi, bianchi e color pesca arricchivano il fondale, di una candida sabbia bianca, con macchie di colore. Conchiglie di tutte le varietà incrostavano le pareti degli scogli, gli scuri ricci di mare lasciavano ondeggiare i loro aculei al ritmo della corrente e si muovevano aggrappandosi alle rocce con i loro lunghi filamenti a ventosa. Anemoni di mare di un brillante rosso sembravano delle piccole ciliegie marine, e Daibu, affascinato, le avrebbe addirittura toccate se Tsubasa non gli avesse afferrato il polso e lo avesse fermato. Il ragazzino lo guardò stupito mentre il suo papà scuoteva inesorabilmente la testa. Riemersero per prendere aria.

-Perché?- domandò il piccolo senza capire.

-Hanno delle sostanze urticanti…- si limitò a spiegare lui.

-Che vuol dire?-

-Che se li toccassi la tua pelle si riempirebbe di bolle.- spiegando Tsubasa si tirò su la maschera in cui era entrata un po’ d’acqua. Mentre la svuotava tornò a guardarsi intorno. Di Sanae e Hayate ancora nessuna traccia.

-Peccato, sono così belli che viene voglia di toccarli…- commentò il bambino veramente dispiaciuto. Tornò ad immergersi senza aspettare il papà.

Tsubasa questa volta non lo seguì, lasciò che il figlio facesse le sue grandi scoperte da solo. Non era dell’umore adatto e sarebbe riuscito soltanto a rovinare quel momento. Rimase a galleggiare pigramente accanto a lui, tenendolo sempre d’occhio e seguendolo con qualche bracciata quando si allontanava. Ogni tanto il suo sguardo tornava allo yacht, poco distante, e alla costa. Niente da fare, nessuna barchetta in vista. Ma se nemmeno per l’ora di pranzo fossero tornati avrebbe lasciato Daibu con Serrano e sarebbe andato a cercarli. Che diavolo… possibile che per comprare un po’ di frutta al mercato e per passare alla villa a prendere alcune stoviglie di cui avevano bisogno in serata per fare un barbecue sulla spiaggia, ci volesse tutto quel tempo? Non voleva ammetterlo con se stesso ma in realtà… era geloso del tempo che Juan riusciva a trascorrere in un modo o nell’altro con Sanae. Non poteva credere che lo facesse apposta, non voleva crederlo eppure... quel bel tipo riusciva sempre a lasciargli i bambini e a starsene accanto a sua moglie sottraendo dei momenti preziosi che appartenevano di diritto a lui e ai figli.

-Papààààààà!!!-

Quel richiamo gli fece gelare il sangue nelle vene. Si volse subito verso il figlio pensando che gli fosse successo qualcosa e invece lo vide aggrappato ad una roccia che ridendo agitava una mano verso di lui per attirare la sua attenzione.

-Vieni a vedere cosa ho trovato!!-

Con due bracciate lo raggiunse.

Il bambino porse verso di lui una delle sue piccole mani chiusa a pugno.

-Indovina!-

-Ehm… una conchiglia?-

-No.-

-Un pesce?-

-No.-

-E cosa allora?-

-Non lo so…-

-Dimmi un po' piccola peste, come faccio ad indovinare cos’hai in mano se non lo sai neanche tu?-

-Non lo so…- l’attenzione del bambino venne attirata in un attimo da tutta un’altra parte –Cos’è quello? Cos’è quello?- gridò eccitato. Era così felice di vedere tante cose nuove che la sua allegria era contagiosa.

-Una medusa.- rispose il papà tirandosi prontamente indietro quando l’animale passò a poca distanza dalla sua schiena.

-Me la prendi?-

-No… è urticante pure quella… ma insomma, mi fai vedere cos’hai in mano o no?- domandò Tsubasa cominciando suo malgrado a spazientirsi.

-Ecco…- le piccole dita si dischiusero e agli occhi dei due apparve una perla bianca, dalla superficie cangiante alla luce del sole.

-E dove l’hai trovata questa?- domandò Tsubasa meravigliato.

-Era in una conchiglia… bello eh? Pensavo di regalarlo alla mamma…-

Il papà scrutò negli occhi del figlio, poi un sorriso gli illuminò il volto.

-Un’ottima idea.-

 

 

 

 

-Oh, eccovi qui!- li accolse Sanae con un sorriso quando i due, dopo essersi arrampicati sulla scaletta di corda, comparvero sul ponte gocciolanti. Prima che quelli potessero rispondere la ragazza porse loro due asciugamani e continuò –Il pranzo è quasi pronto, andate a lavarvi le mani.-

-Papààà, cattivo!- non appena li vide Hayate scoppiò in lacrime –Dovevamo andare tutti insieme alla scogliera e invece non mi hai aspettato!!-

Posatosi sulle spalle il telo di spugna Tsubasa si avvicinò al suo primogenito e si piegò alla sua altezza per poterlo guardare negli occhi.

-No, non piangere…- cercò di calmarlo –Siamo andati a dare solo un’occhiata, la parte più bella non l’abbiamo vista…- lo prese in braccio e lo portò verso la balaustra –Guarda.- continuò mostrandogli gli scogli –Siamo andati solo qui davanti, vedi?-

Nonostante le sue parole il bambino non smetteva di piangere. Daibu li raggiunse e si arrampicò come suo solito sulla balaustra.

-Scendi subito da lì!- la voce dura di Sanae si perse nel vento. Il ragazzino non si mosse ma si sporse verso il fratello più grande.

-È vero, siamo rimasti qui vicino perché la parte più bella la volevamo vedere con te e con la mamma.- il bambino si frugò nella tasca del costume e ne tirò fuori la perla mentre Hayate si asciugava le lacrime per poter guardare meglio l’oggetto che il fratello gli mostrava –È una perla… l’ha detto il papà. Volevo regalarla alla mamma… è un regalo molto prezioso… le diremo che l’abbiamo trovato insieme, va bene?-

A quelle parole Hayate smise definitivamente di piangere e Tsubasa lo rimise a terra passandogli con tenerezza una mano sulla testa e scompigliandogli i capelli.

-Daibu, Tsubasa… andate a lavarvi le mani…- li richiamò Sanae.

I tre scesero insieme sottocoperta. Passando accanto alla moglie Tsubasa non potè fare a meno di fissarla negli occhi con aria stralunata.

-Tutto ok?- le chiese Juan quando ormai il giocatore era rientrato con i figli, accorgendosi che Sanae era rimasta immobile ad osservare il vano della porta.

-Sì.- la giovane distolse gli occhi da lui e tornò ad apparecchiare aiutata da Isabella.

 

 

 

 

-Tsubasa…- Sanae si infilò sotto il suo braccio e si strinse a lui –Dimmi, c’è qualcosa che non va?-

Il ragazzo tacque e restò a guardare il mare.

La giovane sospirò, poi si volse a guardarlo.

-È successo qualcosa mentre non c’ero?-

-È successo qualcosa perché non c’eri.- rispose lui leggermente seccato –Dove sono i bambini?-

-In cabina, stanno dormendo… non capisco, cosa vuoi dire?-

Tsubasa abbassò gli occhi in quelli di lei e la fissò. Che idiota che era stato a pensare quelle cose, era evidente che si era soltanto costruito castelli in aria. Più fissava l’espressione adorante con cui lei lo guardava e più era convinto che le sue fossero soltanto fantasie.

-Niente… non far caso a quello che ho detto. Il caldo deve avermi dato alla testa.- finalmente sorrise, abbassò il viso verso quello di lei e la baciò.

-Cominciamo ad avvicinarci alla costa?- domandò Juan sbucando dalla cabina di comando e costringendoli a staccarsi.

Tsubasa fremette. Preciso. Era riuscito a spuntare proprio al momento opportuno… che l’avesse fatto apposta? No, no, se ricominciava a fare così si sarebbe rovinato tutta la vacanza. Guardò l’uomo con una punta di irritazione.

-Scusate se vi ho interrotto, davvero non era mia intenzione…- eppure la sua voce suonava così falsa alle orecchie del calciatore che non poté fare a meno di lanciargli un’occhiataccia -Volevo avvertirvi che ho intenzione di avvicinarmi alla costa… meglio farlo adesso… poi anche le altre imbarcazioni cominceranno a rientrare per la notte e rischiamo di non trovare più libero il posto che abbiamo scelto per il barbecue.-

-Certo certo.- assentì subito Sanae sorridendogli: un sorriso che, secondo Tsubasa, si sarebbe potuta benissimo risparmiare.

Juan rientrò e mise in moto lo yacht che cominciò a scivolare mollemente sull’acqua tranquilla. Isabella, sdraiata in un angolo a prendere il sole si tirò su appoggiandosi su un gomito.

-Dove andiamo?- chiese.

Evidentemente la ragazza si era addormentata e non aveva sentito nulla della conversazione appena svoltasi. Sanae si sciolse dall’abbraccio del marito e la raggiunse.

Tsubasa la vide sdraiarsi accanto alla bionda e chiudere gli occhi per godere del sole pomeridiano. Quel disgraziato di Serrano che fine aveva fatto? Possibile che stesse ancora in cabina a dormire? Ma non faceva altro?

I suoi occhi tornarono a posarsi sulle due donne sdraiate. Sanae indossava un bikini azzurro, che avevano comprato insieme in una boutique di Barcellona non appena avevano saputo dell’invito. La sua pelle aveva già cominciato ad abbronzarsi ed ora goccioline di sudore imperlavano il suo corpo. Il suo petto si alzava e si abbassava tranquillo al ritmo del respiro mentre i capelli neri, che aveva deciso di farsi crescere, ondeggiavano sul suo viso e sulle sue spalle disordinatamente, mossi dal vento. Il suo corpo era rimasto flessuoso come quello di un giunco.

Juan virò impercettibilmente e la barca cominciò a dirigersi verso gli scogli.

Non era certo l’unico a pensare che sua moglie fosse bella, pensò con rammarico, aveva notato come Juan aveva guardato le due ragazze quando si erano tolte gli abiti per tuffarsi nell’acqua cristallina. Che fosse il suo sangue latino a non permettergli di fare a meno di lanciare alle due certe occhiate insistenti che un ragazzo giapponese non avrebbe nemmeno osato?

Ci risiamo! Aveva cominciato di nuovo ad esagerare… però come fare a non ripensare a quando, dopo il primo bagno che avevano fatto lanciandosi dalla barca, Juan aveva aiutato Sanae a salire sulla scaletta di corda mettendole un braccio intorno alla vita? Come dimenticare che poi lei, messo un piede sul ponte, era scivolata sull’acqua salmastra che inondava il pavimento di toghe ed era finita praticamente tra le sue braccia? Sì, era stato un incidente ma…

E quando a cena lui aveva inavvertitamente rovesciato il bicchiere di champagne sulla tavola e la bevanda era finita sulla gonna di Sanae? Per pulirsi lei l’aveva tirata più su e gli occhi di Juan si erano incollati sulle sue gambe finché non si era accorto dello sguardo contrariato con cui Tsubasa lo aveva guardato.

Per non parlare poi di quando li aveva trovati fuori, in coperta, ad osservare le stelle. Mentre lui andava a mettere a letto i bambini, Sanae era uscita perché aveva mal di testa e Juan, che doveva essere sottocoperta collegato ad internet, invece era con lei: Sanae sdraiata sul tettuccio della cabine e l’uomo seduto al suo fianco. La ragazza non si era nemmeno accorta dell’arrivo del marito, alle sue spalle, e aveva continuato a parlare di quanto era bello quel luogo e di quanto ringraziava Juan per averli portati lì. L'altro invece lo aveva subito notato, lo aveva chiamato e gli aveva lasciato il posto tornandosene dentro.

E tutto quello solo il primo giorno. Sapeva benissimo che in fondo tutte quelle non erano state che delle coincidenze, e quindi non sufficienti ad avere dei sospetti su di lui e tanto meno su di lei che sembrava comportarsi normalmente. "Ma certo scemo che sono… Sanae non mi tradirebbe mai!" Si ritrovò a pensare, totalmente convinto "E soprattutto mai con uno come lui!"

Si girò verso la cabina per osservare l’uomo che li aveva ospitati in quel tanto di barca. Fisico robusto e ben proporzionato, occhi scuri e profondi, capelli neri lunghi e appena arricciati sul collo. Carnagione scura, che poco aveva a che fare con l’abbronzatura, sorriso cordiale e carattere aperto, voce profonda con la quale spesso canticchiava canzoncine locali e un po’ spinte che facevano sorridere le ragazze che a volte si ritrovavano ad ascoltarlo completamente affascinate. Era un tipo allegro, aperto, solare... e indubbiamente ci sapeva fare, con tutti… Quello era Juan

Probabilmente una buona metà della popolazione femminile del mondo poteva restare conquistata da un tipo simile ma sicuramente non Sanae… a Sanae non piacevano quel genere di persone. Eh, ma come poteva essere sicuro di questo?

Accortosi di essere osservato Juan si volse verso Tsubasa e gli sorrise. Il ragazzo non potè fare a meno di ricambiare ma poi decise di guardare il mare, senza dubbio un più bello spettacolo e senz'altro molto più rilassante. 

Basta! Non era possibile continuare ad andare avanti in quel modo, non ce la faceva più. Se avesse continuato in quel modo quella breve vacanza sarebbe diventata una vera tortura.

Scese in cabina alla ricerca di qualcosa che potesse aiutarlo a sfogarsi. Tornò verso la scaletta di corda, si sfilò la maglia, la lasciò cadere a terra e si tuffò in acqua.

-Tsubasa?!- esclamò Juan a voce così alta che anche le due giovani aprirono gli occhi e si guardarono intorno.

Sanae si mise in piedi collegando il nome del marito al rumore dell'acqua che si sollevava per il tuffo. Corse verso la balaustra e si affacciò chiamandolo.

-Tsubasa! Dove vai?- gridò. Quello si limitò ad agitare un braccio nella sua direzione e si allontanò spingendo il pallone davanti a sé.

-Cos’è successo?- chiese Isabella raggiungendola.

-Niente.- Sanae alzò le spalle e la ragazza tornò al suo posto.

Ma cosa aveva Tsubasa? Era da almeno un giorno che si comportava stranamente… e se poi qualcosa lo turbava, perché non gliene parlava? Forse pensava che lei non si fosse accorta di nulla? A volte si comportava davvero come un idiota.

 

 

 

 

-Papà, dove sei stato?- domandò Hayate correndogli incontro.

-A fare due tiri.- Tsubasa gli lasciò il pallone ed andò a sedersi sulla sabbia, vicino a Daibu tutto intento a costruire il suo primo castello di sabbia.

-Dov’è la mamma?- chiese guardandosi intorno e non vedendola.

-È con Juan sulla barca, stanno finendo di preparare la cena.-

Di nuovo! Di nuovo insieme, e questa volta da soli! Accidenti!

Si mise in piedi e si diresse verso l’acqua.

-Dove vai?- gli chiese Isabella che aveva steso a terra degli stuoini mentre Serrano si aggirava sulla spiaggia alla ricerca di grosse pietre per appoggiarvi la graticola.

-Torno subito!-

Era ora di finirla. Anche Sanae doveva piantarla. Ma come… aveva lasciato i bambini da soli? Si tuffò e cominciò a nuotare con potenti bracciate verso lo yacht che dondolava tranquillo nelle placide acque della piccola baia.

-Ma cosa gli è preso?- chiese Serrano che era rimasto imbambolato a guardarlo.

-E chi lo sa?-

-Forse è andato a riprendere la mamma!- esclamò Hayate tutto contento.

In un attimo arrivò alla scaletta di corda, si aggrappò e si tirò su. Saltò sul ponte e con due falcate imboccò le scale che portavano sotto coperta.

Risate… la risata cristallina di Sanae, quella più profonda di Juan

Si bloccò, quelle due voci lo gelarono.

-Ma cosa stai dicendo?- sbottò lei lasciandosi di nuovo andare ad una risata.

L’acqua che gocciolava dal suo corpo veniva assorbita dalla moquette. Non aveva fatto alcun rumore e nessuno si era accorto della sua presenza.

-È la verità, te lo giuro…- continuò ad insistere lui.

Poi, ad un certo punto ci fu silenzio, si sentì il rumore di uno schiaffo e la voce della ragazza che si alzava dura e stridula.

-Come ti sei permesso?-

-Scusami, è stato più forte di me…- replicò l’uomo con voce roca.

Tsubasa fece qualche passo e rimase piantato sulla soglia della cucina. I due erano dietro la tenda che divideva la zona dei fornelli dal tinello e non potevano vederlo. Le loro ombre si stagliavano contro il tessuto bianco, permettendo a Tsubasa di osservare tutti i loro movimenti.

-Cosa credevi di fare?- insistette la ragazza battagliera. Sembrava essere tornata la vecchia Sanae, quella che alle elementari aveva avuto il coraggio di affrontare persino Hyuga.

-Io… credevo che…-

-Credevi male!- non gli permise nemmeno di continuare. La Sanae fiera e combattiva di sempre.

-Ma…-

-Forse ti sei fatto qualche idea strana su di me… anzi, sicuramente te la sei fatta! Ma sappi che hai sbagliato, io non sono quel tipo di persona. Io ho un marito che amo profondamente, due figli che sono tutta la mia vita, una vita che mi soddisfa… non ho certo bisogno delle tue attenzioni, anzi!-

-Scusami…-

La tirata di Sanae sembrava essere finita.

-Mi dispiace…- insistette l’uomo.

-Ok, ok…- lo liquidò lei. Calata la tensione Juan rise di nuovo.

Tsubasa indietreggiò, uscì dalla cucina con passo felpato, risalì la scala e uscì in coperta. Si tuffò nell’acqua e tornò sulla spiaggia. Quello che aveva sentito lo aveva irritato, anzi, adirato, lo aveva reso a dir poco furioso, ma nello stesso tempo tranquillizzato. Allora le sue non erano state soltanto paranoie, era vero che quel disgraziato provava interesse per sua moglie. Ma la questione ormai era già chiusa: lei lo aveva rimesso in riga senza troppi complimenti… chissà, forse se fosse intervenuto la cosa si sarebbe complicata. Meglio così.

-Papà, guarda che bello!-

Il sole stava tramontando e la torre di sabbia un po’ tozza e pendula che Daibu aveva costruito si stava tingendo di un rosso mattone.

-Tsubasa, accendi il fuoco?- domandò Isabella tirandogli una scatola di fiammiferi.

Accidenti, non aveva fatto nemmeno in tempo a uscire dall’acqua che già l’avevano arruolato assegnandogli il compito che odiava di più. Prese la scatoletta al volo e si avvicinò al braciere.

-Ecco la mamma!- esclamò Hayate indicando la barchetta che si staccava dallo yacht e si avvicinava a riva.

Tsubasa rimase a fissare la moglie che scendeva agilmente in acqua, portando piatti e bicchieri di carta. La sua espressione sorridente non lasciava intravedere nulla di quello che era successo. Sicuramente se non avesse sentito la conversazione non lo avrebbe nemmeno mai saputo.

 

 

 

 

I bambini si erano addormentati sullo stuoino. Sanae si chinò su di loro e li ricoprì con un asciugamano perché non prendessero freddo. Poi, col suo passo leggero andò a raggiungere il marito che si era arrampicato sugli scogli e che fissava assorto il cielo stellato.

Si sedette al suo fianco e restò in silenzio per paura di disturbarlo.

-Bello, eh?- parlò lui.

-Sì, un cielo magnifico…- rispose la ragazza accostandosi e rabbrividendo per la brezza notturna. Lui la prese tra le braccia e le fece posto tra le sue gambe.

-C’è qualcosa che non va?- si decise infine a chiedere lei.

-No, nulla.-

-Mi dispiace sai…- cominciò la giovane con un tono realmente addolorato.

-Dispiacerti per cosa?- non capiva.

-Per oggi…- che si riferisse a quello che era successo in cucina? –Mi dispiace averci messo tanto tempo a tornare… cercavo qualcosa…-

Il ragazzo si tirò in avanti per guardarla negli occhi.

-Non capisco…-

-Hayate ci teneva tanto a venire con voi sugli scogli…-

-Ed io ci tenevo tanto che venissi anche tu.-

Tsubasa si frugò nella tasca dei pantaloncini e ne tirò fuori qualcosa che Sanae non vide.

-C’è una cosa che devo darti, qualcosa per ringraziarti…-

Questa volta fu Sanae a non capire.

-Ringraziarmi?-

Mentre le passava una mano davanti al viso lui continuò a parlare.

-Sì, ringraziarti…- in un attimo Sanae si ritrovò al collo una piccola catenina d’argento, da cui pendeva una perla resa ancor più bianca dal chiarore della luna.

-Ma… cos’è?- domandò prendendola tra due dita e guardandola meravigliata.

-L’ha trovata oggi Daibu dentro un’ostrica. È un regalo per te, da parte mia e dei bambini. Per ringraziarti…- di nuovo quella parola… ma a cosa si stava riferendo?

-Ringraziarmi?-

-Sì, ringraziarti di non esserti stancata di aspettarmi per tutto quel tempo, di avermi sposato e di aver messo al mondo due figli bellissimi…-

-Tsubasa…- gli occhi di lei si fecero lucidi. Sorridendo replicò –Sei cattivo…-

-Cattivo?- chiese quello che non si aspettava di essere definito in quel modo dopo tutte le belle parole che le aveva rivolto –E perché?-

-Perché così mi fai sentire ancora più in colpa…-

-In colpa per cosa?-

-Perché questa mattina ho girato per tutta la città e non sono riuscita a trovare un regalo degno di te.- rispose mestamente.

-Regalo?-

-Ti sei scordato che oggi è il tuo compleanno?- questa volta Sanae si portò una mano davanti alla bocca e soffocò una risata.

-Compleanno… eh eh… no che non me lo sono scordato… eh eh…- imbarazzato il ragazzo si passò una mano tra i capelli. Sì che lo aveva dimenticato… con tutto quello a cui aveva dovuto pensare…

-Insomma….- proseguì la ragazza mentre il suo sguardo tornava triste –Non ho trovato nulla… mi dispiace tanto… ci tenevo tanto a farti un bel regalo.-

-Ma figurati, cosa vuoi che me ne importi del regalo? Quello che conta è che ci sia tu al mio fianco. Tu sei il mio più bel regalo… e con Daibu e Hayate posso soltanto ritenermi soddisfatto di quello che ho.-

Le prese il viso tra le mani e la baciò mentre una stella cadente solcava il cielo con la sua scia.

 

  Fine 

   
 
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