07/06/2011
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Killed by one man's jealousy
«E poi il decimo mi ha urlato di scansarmi e c’è stata quell’esplosione! Capisci, mi ha salvato la vita… e dopo averlo fatto non mi ha ignorato o detto che ero un perdente inutile, ma mi ha chiesto COME STAVO! Non trovi che sia straordinario, Yamamoto?»
Sì, ma perché ne parli a un nostro appuntamento?
Yamamoto si morse la lingua per non rispondere a quel modo, ed esibì un sorrisetto spento a Gokudera. Certo, lui era sempre allegro, ed era anche particolarmente stupido, ma sorbirsi una tirata di mezz’ora di Hayato su quanto fosse figo Tsuna era troppo anche per lui. Così, evitò di parlare, limitandosi a camminare al fianco dell’altro in silenzio, fissando con desiderio la mano che Gokudera non gli avrebbe mai permesso di stringere.
Come se il fatto che il ristorante dove avrebbero dovuto mangiare era chiuso non bastasse a rovinare quell’appuntamento per festeggiare il Natale, Gokudera ne approfittò del silenzio per rimettersi a parlare di Tsuna.
«Il decimo sta diventando sempre più forte… sono molto fiero di lui! Se mi nominasse ora suo braccio destro sarebbe cento volte di più un onore della prima volta! Non che non lo abbia sempre considerato il boss e il compagno migliore che potesse capitarmi…»
«Scusa» lo fermò bruscamente Yamamoto, con un sorriso tirato. Quello era davvero troppo. «Dove vuoi cenare allora? È meglio che decidiamo».
«Non interrompermi mentre ti sto parlando!» lo rimbeccò Gokudera invece di rispondergli, voltandosi verso di lui con uno sbuffo.
«Già, scusami. Io però per oggi torno a casa» fece infine Yamamoto, dopo aver osservato per un attimo Gokudera mentre lo fissava con sguardo accusatore. Si chinò su di lui, baciandolo lievemente sulle labbra, prima di ritrarsi con un sorriso. «Buona serata».
«Ehi! Ti ho detto non in pubblico!» grugnì Gokudera, arrossito improvvisamente a quel gesto, senza considerare il fatto che intorno a loro ci fosse il deserto totale, dato che erano in un parchetto per bambini alle sette di sera.
«Scusami anche per quello» rispose Yamamoto, continuando a sorridere.
In quel momento, a Gokudera sembrò accendersi una lampadina, perché assunse un’aria perplessa. «Qualcosa non va?»
«Niente».
Gokudera gli afferrò una guancia, cominciando evidentemente ad irritarsi, tirandola con forza e ignorando le lacrime di dolore che erano salite agli occhi di Yamamoto. «Che c’è? Idiota, parla».
«Potresti… shmettela di parhare di Thusna?» gli domandò Yamamoto, con un gemito. Gokudera, dalla sorpresa, lo mollò, lasciandogli una guancia rossa. «È solo che mi sembra che tu sia uscito con me, non con lui. Sono felice di ascoltarti, ma non fai che parlare del “decimo”… e un po’ sono triste».
Gokudera, durante il discorso, era arrossito all’inverosimile. «M-ma che stupido sei, idiota» balbettò infine, impacciato, senza riuscire a guardarlo negli occhi. «A lui non mi pare di aver mai detto di amarlo. S-siete due cose diverse!».
«Ah sì?» domandò Yamamoto, perplesso.
«... sì».
Il viso del moro s’illuminò di colpo con il primo, vero sorriso della serata. «Ok».
E prese a stritolarlo, tra gli strilli di Gokudera.