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Autore: Jacqueline    28/02/2006    1 recensioni
Le luci delle strade inglobano le pelli spettrali di coloro che guardano.
La penombra della stanza rinchiude i più semplici desideri.
Luce ed ombra non possono fondersi,se non per uccidersi...
Genere: Dark | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il cielo era limpido, sgombro da nuvole. Non si riusciva a scorgere neanche il sole. Nulla. Solo un azzurro infinito, privo di dubbi. Di domande e di risposte.

Portava solo un pacato senso di serenità..qualcosa di impalpabile.

Un flebile raggio di luce le sfiorava il volto,riscaldandolo. Vedeva una figura in lontananza. Che si avvicinava. Compiva passi lenti e cadenzati, come non avesse fretta di raggiungerla.

Una lieve brezza le scompigliò i capelli, facendoli ricadere sugli occhi. In un gesto veloce li scostò con la mano destra, le iridi grigie che fissarono un volto in ombra,incorniciato da lunghi capelli che erano mossi appena dal vento. Avvertì un sorriso affiorarle alle labbra.

Con la coda dell’occhio scorse il sole in alto sopra di loro. La figura davanti a lei sollevò lo sguardo,o il capo in ombra,ad osservarlo. Lei credette di vedere quello che sembrò un sorriso sulla labbra quasi nascoste dalla penombra. Poi la luce lo avolse trasformandolo in una pira incandescente che le ferì gli occhi. Quando scostò le mani dal volto,di fronte a lei non rimaneva che un mucchietto di cenere,che venne spazzato dal vento caldo sulla terra nuda.

Leonora si sollevò a sedere di scatto sul letto inondato dal sole. Aveva la fronte e le mani sudate, la gola secca. Guardò fuori dalla finestra, l’astro che brillava illuminandole gli occhi colmi di spavento.

Si alzò con scatto frenetico per chiudere le imposte della finestra,lasciando che la stanza piombasse nell’ombra. Lentamente si lasciò scivolare sul pavimento di mattonelle con il respiro corto, mentre cercava di reprimere i brividi che le scuotevano le spalle.

“Bambola.” Il tono sprezzante era basso,quasi fosse il preludio d’una minaccia. “Bambola.”

Adrien fissò con indifferenza in ragazzo, il vampiro, che camminava nervosamente per la stanza, i piedi scalzi che toccavano la moquette nera senza produrre alcun rumore.

“Sì,bambola..Mia.”

“Una… bambola!?”

Si fermò,fissandolo quasi con ira. “Come puoi definirla una bambola?! Un essere di carne e sangue... un’umana! Così differente da ciò che sei, così uguale a ciò che eri. Credi di poter legarla con dei fili invisibile, cosi che da manovrarla e giocarci? Per quanto tempo ancora la terrai legata a te,lasciandola morire dietro ai tuoi gesti troppo veloci,al colore dei tuoi occhi così profondi? Per quanto le lascerai trascurare la propria vita per seguire te, un vampiro?

La stai distruggendo. Sei un’ossessione, lo sai. E sai anche cosa comporta il tuo starle vicino. Ma se un giorno la attaccassi ? Non solo per metterle paura, per prenderti gioco di lei. Se un giorno la sete dovesse divenire incontrollabile ? Cosa faresti ? Non puoi possederla.

Non è una bambola.”

Kurtz strinse le labbra in una linea sottile, come attendendo una risposta. Il vampiro lo guardò scuotendo appena la testa,come se non stesse capendo.

“E’ una bambola. Che non posso stringere, perché troppo fragile. Posso solo fare in modo che si allontani da me. Ma per riuscirci dovrei romperla. Credi sia facile?” mormorò, quasi l’altro fosse un bambino a cui spiegare una cosa fin troppo ovvia. Lo sguardo si posò sulle luci oltre la figura del giovane,mentre si alzava andando alla finestra e poggiandovi le mani gelide.

“Credi che per me sia così facile?” disse a bassa voce,chiudendo gli occhi contro il vetro che rifletteva le iridi quasi accusatorie di colui che gli stava alle spalle.

“Vola…” un sussurro,appena udibile vicino al suo orecchio. Sobbalzò,voltandosi di scatto verso colui che le era arrivato accanto senza fare rumore.

“Vola,Bambola,vola..” Adrien sorrise appena,un sorriso ingenuo,falsamente cortese. “Non tornare più.”

La ragazza gli diede le spalle, infastidita, osservando lo sfrecciare delle macchine lungo la strada.

“Sì. Potrei andare via.” Mormorò,sporgendosi appena dalla ringhiera di ferro “Volare… Non ho ali,a sostenermi. Né volontà. “

Lo sentì ridere. Ridere di lei. Del suo essere troppo umana. Ma come avrebbe potuto fare altrimenti ?

Si incamminò verso la porta che dalla terrazza conduceva alle scale. Non lo guardò neppure mentre gli passava di fianco, un’orda di sentimenti poco chiari che si combattevano ferocemente nel cuore. Quasi fossero state bestie feroci.

Aprì la porta, richiudendola dietro di se e scendendo i gradini ad uno ad uno, fino a che si ritrovò nel proprio appartamento, dove accese la luce, andando a sedersi sul davanzale della finestra.

Guardando fuori cercò di ordinare i pensieri e le emozioni. Contro il cielo scuro, si distinguevano le costellazioni. Rimase a guardarle, come aspettandosi un consiglio.

“Bambola, non mi vedrai per un po’.” La voce pareva quasi stanca. Come se su di essa pesasse un grande macigno,il cui peso era insostenibile.

Non si girò a guardare Adrien, ignorandolo volutamente.

“Parto, vado a New York con Kurtz. Stanotte.” Parole. Erano solo parole. Non erano vere.

“Per quanto?”la sua voce era così fredda. Terribilmente fredda e distaccata. Eppure erano così tante le domande che improvvisamente le bussavano alle labbra serrate con forza. A cosa sarebbe servito ?

“Non so. Il pipistrello vola…. ma non sa quando o dove andrà a riposare.”

Avvertì solo un fruscio lieve, poi il nulla. La sua partenza... per un istante trattenne il fiato. Vide solo una figura che veloce passava fra la folla sottostante la propria finestra, senza mai voltarsi, senza mai fermarsi a guardare verso di lei. Ma... cosa pretendeva ? Nulla avrebbe potuto essere… fra loro.

E nulla sia.

Mentre chiudeva gli occhi, posando il mento sul palmo aperto della mano, lasciò che la musica filtrante appena dallo stereo acceso le invadesse la mente, senza che nessun pensiero trapelasse a far luce nella più completa oscurità che le sembrava annebbiare la vista. Si alzò dopo poco prendendo la custodia del CD che giaceva aperta accanto ad una delle casse.

A mezza voce lesse il titolo.

° La musique des vampires,Claire de la Lune °

Come qualche notte addietro, ascoltò in silenzio il sassofono spandere la propria melodia per la stanza, mentre calava la notte, dipingendo ombre sui muri e sulla sua figura.

Giorni. Mattine. Albe. Era questa, la vita ? Un caffè veloce, mentre ascoltava un CD, sempre lo stesso. Usciva, chiudendo meccanicamente la porta d’ingresso, poi giù in strada, fra le macchine, camminando fino alla metropolitana. La gente. Tanta gente. Cui passava in mezzo, come se non li vedesse. Dieci minuti a guardare i grattacieli fuori dai finestrini graffiati, poggiata contro una parete del vagone che correva a media andatura, contando ogni fermata senza pensarci su. Saliva nuovamente le scale, in fretta, come ansiosa d’assaporare l’aria di quella città così caotica,così piena di vita, vibrante. Alzò il viso a fissare i grattacieli ,fino a quando quasi le vennero le vertigini. Chiuse gli occhi,prendendo un profondo respiro,mentre si avviava verso il suo ufficio all’angolo della 42esima Street, New York City.

Si volse di scatto, osservando le sagome degli alberi che svettavano verso l’alto, nascondendo la pallida luna che faceva capolino fra le nuvole.

Un vento gelido le sfiorò per un istante il viso prima che riprendesse a camminare, il capo chino e le mani affondate nelle tasche. Ancora una volta,si chiese perché.

Lei era da sola in quella città così grande. Svolgeva un lavoro part-time, in una redazione poco conosciuta. Piccoli incarichi che le trasmettevano qualcosa che a volte avrebbe potuto scambiare per soddisfazione. Una falsa maschera. Che si rompeva facilmente. La grande mela, piena di possibilità, novità. Era questo che aveva detto ai genitori, agli amici, una volta presa la laurea, sei mesi fa.

Ma no… lei era qui per altro. Per inseguire un incubo che si era allontanato più di un anno prima, in una notte silenziosa, spezzata solo dalle luci della città. Niente di più. Folle... Folle..

Come avrebbe potuto trovarlo ?

In caso, sarebbe stato il contrario... ma forse lui non era neanche in quella città. Forse si era spostato, con Kurtz… ancora una volta. .

E allora, perché non tornava a casa ? Dalla sua famiglia, nel suo mondo ?

Perché non lo dimenticava, semplicemente ?

Si fermò, cercando nella borsa le chiavi del portone, in un gesto automatico aprì la porta, spingendo la maniglia di ferro battuto ed entrando. Salì i gradini che portavano al suo appartamento. Levatasi le scarpe, si distese sul divano, la finestra aperta, mentre con il telecomando girava fra i vari canali della televisione, cercando qualcosa di interessante.

Non trovando nulla, decise di farsi una doccia. Entrata in bagno, lasciò correre l’acqua calda nella doccia. Nel mentre mandò un messaggio ad un’amica, per chiederle se voleva passare da lei, quando avesse finito di lavorare. Non poteva sopportare l’idea di rimanere sola con le proprie domande.

Una volta che i muscoli si rilassarono sotto il caldo getto, smembrò non dare più peso ai propri pensieri. Si appoggiò alla parete, lasciando che l’acqua le scorresse in rivoli lungo il volto ,donandole una vaga sensazione di serenità.


Fumo. L’odore pungente del fumo la aggredì non appena mise piede sugli scalini di pietra del pub. Fumo che saliva dalle candele accese sui tavolini di vetro. Divanetti,u cui sedevano coppie, persone che parlavano sottovoce, i loro dialoghi che si confondevano con la musica ritmata che proveniva dalle casse, nascoste appena negli angoli.

Si appoggiò appena al bancone, con la coda dell’occhio osservò due ragazzi che parlavano vicino a lei, mentre ordinava una semplice birra. Sedette sull’alto sgabello di legno, una mano posata sotto il mento, mentre,con puro e finto interesse osservava le bottiglie alle spalle del barman, ordinatamente disposte lungo gli scaffali,secondo una strana concezione d’altezza.

“A lei.”

Guardò per un istante la bottiglia che le veniva posata davanti, prima di lasciare una banconota sgualcita sul ripiano, presa dalla tasca del cappotto.

“Grazie.” Versò un po’ di birra nel bicchiere, sorseggiandola mentre aspettava l’arrivo di Liane, che l’avrebbe raggiunta a breve.

La luce al neon, tenue ed azzurra si spargeva nel locale accompagnando quella delle candele.

Il ragazzo accanto a lei rise, probabilmente in risposta ad una battuta dell’amico. Tornò a guardarlo con discrezione, memorizzandone i tratti delicati, gli occhi chiari e leggermente a mandorla, i capelli castani ricci che ricadevano appena sotto le orecchie,

Distolse lo sguardo, fissandolo fuori dalla porta a vetri, osservando la strada ingombra di macchine, perdendosi per un istante nei propri pensieri.

“Vuole?”

Una mano dalla carnagione non chiarissima le porse una sigaretta. Come se nulla fosse. Alzò il viso, a guardare il ragazzo che fino a poco prima stava ridendo, ora esibente un candido sorriso verso di lei. Notò che l’amico non era con lui e si chiese dove fosse finito.

Per guadagnare tempo, armeggiò un istante con il bicchiere, posandolo sul ligneo bancone, prima di prendere fra le dita la sigaretta.

Lui le porse l’accendino, lasciando che la accendesse, osservando la spirale di fumo che saliva, leggera, andando ad impregnare maggiormente l’aria.

“Spero non stia aspettando qualcuno..” mormorò lui, mentre velocemente s’accendeva una sigaretta, quasi a farle compagnia.

“Starei aspettando una mia amica, veramente.” mormorò, posando le labbra sul bordo del bicchiere,mentre lasciava vagare lo sguardo sui mobili.

Si ritrovò a sorridere, riscoprendo sul viso di lui un’espressione quasi delusa.

“Spero di... non averla importunata. Non volevo.”

“Nessun disturbo. Mi scusi lei, sono scortese a non prestarle attenzione. Comunque.”esitò un istante,poi proseguì.” Io sono Leonora.”

“Piacere.” Il suo sorriso si ampliò, lasciando svanire l’espressione contrariata di poco prima, mentre aspirarava dalla sigaretta.

”Io sono Ewan. Tu… posso darti del tu?,non sei di New York, vero ?”

“Si sente ?”mormorò lei, sorpresa. “No...vengo da Londra... British.”soggiunse,lasciandosi sfuggire una sommessa risata.

“Già… British. E’ evidente”
”Ewan. E’ tardi, andiamo?” l’amico si accostò a loro, osservandola per un istante, poi aspettò che Ewan si alzasse, mettendosi la giacca.

“Sì,andiamo. Mi ha fatto piacere conoscerti, Leonora..” mormorò,aspettando un istante che l’altro lo precedesse verso l’uscita. “Quanto spesso…vieni qui ?”

Lei pensò un attimo,poi rispose.”Non molto.”

“Allora…a domani?”

In quell’istante avvertì la voce di Lianne che la chiamava, entrando nel locale avvolta nel proprio cappotto scuro. Rideva, come sempre, anche mentre si avvicinava a lei. Guardò Ewan, prima di annuire appena, prendendo il biglietto da visita che aveva prontamente tirato fuori dalla tasca della giacca.

Lo seguì con lo sguardo, mentre oltrepassava la porta vetrata e iniziava a camminare lungo il marciapiede. Prese il bicchiere e finì la propria birra. Fissò il passare di un taxi giallo,poi rimase immobile.

Sorrideva, mentre ascoltava la raffica di domande porte dall’amica, sul chi era quello e come, e quando , e perchè.

Dall’altro lato della strada improvvisamente scorse con la coda dell’occhio Adrien che le sorrideva.

Come se fosse stato lì da sempre, una mano posata sul fianco che toccava la stoffa nera del cappotto lungo, abbottonato fino al collo, una camicia chiara che si intravedeva appena al di sotto di esso.

I capelli erano sciolti sulle spalle e ricadevano un poco sul viso troppo chiaro e latteo.

Mormorò,muto,una parola.”Leonora.” poi venne coperto dal passare di diverse macchine e, quando lei uscì dal pub fermandosi sul marciapiede,già non c’era più; inducendola a pensare d’aver avuto solo una stupida, evanescente illusione.

  
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