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Autore: Nyappy    08/06/2011    2 recensioni
-Andiamo, Miss Carlyle, mettetevi in posa.-, aveva cinguettato il fotografo infilandosi sotto una mantella scura -lei non sarebbe mai riuscita a capire quegli affari- e Reine si era sistemato il capello che Margarethe le aveva fatto indossare.
Erano vicine, ricci neri accanto a preziose volte dorate, le sue mani sul viso dell'altra e due sorrisi di donna. Loro non erano sbagliate.
[ Scritta per il concorso "Titoli per l'amore" indetto da signorino_ sul forum di EFP ]
Genere: Malinconico, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Età vittoriana/Inghilterra
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Il paesaggio dietro di loro era finto, un pannello dipinto che raffigurava degli scogli ed un mare illuminato dal sole alto nel cielo.
Con i ricci neri ancora gocciolanti e gli occhi nocciola fissi sulla foto che teneva in mano, Reine ripensava al giorno dello scatto.
Margarethe desiderava così tanto vedere il mare, respirare l'aria salmastra e baciarla con i gabbiani che volteggiavano sopra le loro teste, ma era impossibile scappare da Londra, dal centro, dai loro genitori.
Avevano mandato il maggiordomo in un teatro, ad affittare dei costumi, ed erano andate da un fotografo amico della famiglia di Reine, Mr Jenkins; lei era sicura che non avrebbe fatto domande, abituato com'era a fare scatti ben più disdicevoli.
Così ingenua Margarethe, deliziata come sempre dai lunghissimi capelli di Reine, gli occhi brillanti come non mai.
-Andiamo, Miss Carlyle, mettetevi in posa.-, aveva cinguettato il fotografo infilandosi sotto una mantella scura -lei non sarebbe mai riuscita a capire quegli affari- e Reine si era sistemata il capello che Margarethe le aveva fatto indossare.
Erano vicine, ricci neri accanto a preziose volte dorate, le sue mani sul viso dell'altra e due sorrisi di donna. Loro non erano sbagliate.
Reine appoggiò l'immagine sopra il comodino, fissando fuori dalla finestra costellata di gocce, la gonna ancora bagnata e gli stivaletti sporchi di fango del parco.
Le piaceva la pioggia, le gocce fredde che scivolavano sulla pelle e sembravano le lunghe dita bianche di Margarethe, ancora timide nonostante i sorrisi spavaldi e lo sguardo luminoso.
Reine non avrebbe mai smesso di accarezzarla, di sentire le sue labbra contro le proprie, per sempre.
-Miss Reine, hai visite: Miss Rosenberg ti attende in salotto.-, sussultò nell'udire la familiare voce del fido Cristoffen, e dopo aver raccolto la foto di diresse con fin troppa fretta al piano inferiore dove Margarethe la stava aspettando.
Congedò il maggiordomo con un cenno prima di avvicinarsi alla ragazza e stringerle le mani tra le proprie.
-E' pericoloso girare per la città da sola.-, la rimproverò fissandola negli occhi chiari, ma Margarethe non smise di sorridere.
-Volevo farti una sorpresa.-
-E l'hai fatta.-, tirò fuori dalle pieghe della gonna la foto, porgendogliela, -Ne ho una anch'io.-
Le appoggiò la fronte sui capelli, chiudendo gli occhi ed assaporando il profumo selvaggio della pioggia. Come un folletto era la sua Margarethe.
-Ti piace?-, le chiese, e l'altra rispose gioiosa -Come potrebbe non piacermi?-
*
Reine odiava quando quel periodo rovinava le sue giornate.
Era incredibilmente spiacevole, sporco: la indeboliva, la faceva sentire così succube di sé stessa.
Per fortuna Margarethe era con lei, sempre con lei e la capiva: non avevano bisogno di giri di parole o scuse, anche se li usavano lo stesso.
-Ton moment de la lune.-, Margarethe le si avvicinò sul divano con una tazza fumante tra le mani, che si affrettò a poggiare sul tavolino intagliato.
-Oui.-, Reine si esprimeva in francese solo quando non voleva parlare di qualcosa, e quella di Margarethe doveva essere una tecnica per ovviare il problema.
-Cos'è?-, si sporse per scorgere del liquido ambrato diverso dal solito the di casa Rosenberg.
-Un infuso. Caldendula.-, Margarethe la imitò per osservare i fumi della bevanda alzarsi in pigri arabeschi.
-Porta male, quel fiore.-, Reine inarcò appena un sopracciglio. Non che lei ci credesse, ma rimaneva comunque un dato di fatto.
-E' il fiore della sofferenza. Quello che stai provando tu, no? Bevilo, ti farà bene.-, la incoraggiò l'altra, -L'ho fatto con le mie mani.-
Margarethe riusciva sempre a stupirla, con un fiore colto chissà dove o un dipinto eccezionale. Dove trovava tutta quell'energia?
Prese scettica la tazza in mano e guardò l'amata mentre iniziava a sorseggiare l'infuso.
-Ed è anche...-, Margarethe fece una piccola, nervosa pausa prima di continuare, -Afrodisiaca.-
A Reine scappò un sorriso complice. Non avevano bisogno di quelle cose.
*
"A un pallido chiarore di lampade languenti / affondando la nuca nel muschiato origliere,
Ippolita riandava le carezze possenti / che acerba la iniziavano, e candida, al piacere."
Un sospiro.
"Calma e piena di gioia, accosciata ai suoi piedi / Delfina la covava con pupille roventi,
come un fiero animale che la vicina preda / sorveglia, dopo averla già segnata coi denti."
Una lacrima scivolò dalla guancia di Reine mentre leggeva la poesia, e si affrettò ad asciugarsi gli occhi con un fazzoletto che teneva vicino.
Non doveva piangere, non poteva. Non potevano.
"I miei baci son simili ad effimere lievi / che carezzan a sera grandi diafani laghi...
Quelli dell'uomo, quasi vomeri o carri grevi / ti scaveran nel corpo mille lacere piaghe."
Lo sapeva che il comportamento di Margarethe aveva iniziato a destare sospetti nella sua famiglia, ma non credeva che i signori Rosenberg fossero così crudeli. Perversi.
-Reine!-, la sera prima si era ritrovata Margarethe alla porta, fradicia, gli occhi sbarrati ed il viso sfatto, sembrava impazzita dal dolore.
-Reine! Reine!- Aveva continuato a chiamarla lanciandosi tra le sue braccia, in lacrime, e lei l'aveva stretta forte a sé, mille dubbi che le agitavano il cuore, le dita trai capelli di Margarethe, per calmarla, per farla parlare.
-Che succede?-, le aveva chiesto con voce ferma -ma non aveva ferme nemmeno le mani, tremavano.
E Margarethe aveva sciolto l'abbraccio e l'aveva fissata dal basso, terrea, dolore e vergogna ad offuscarle lo sguardo.
-Mi sposo.-
Bastarono quelle due parole a fare barcollare Reine: non svenne, no, s'aggrappò alle spalle dell'altra, gli occhi punti da lacrime.
Ora era nella sua camera, la foto scattata settimane prima sul letto ed il volume di poesie in grembo.
I ricordi del giorno prima erano tutti sbiaditi ad eccezione della sera, quella tragica sera.
Margarethe, in sposa ad uno sconosciuto, la sua Margarethe amica, sorella ed amante, più cara dei suoi stessi genitori, prigioniera di un uomo che l'avrebbe forzata , che le avrebbe fatto male.
Strinse i pugni nell'immaginare i grandi occhi grigi della sua Margarethe colmi di paura, quelle labbra ridenti gonfie e profanate.
Guardò fuori dalla finestra, il respiro accelerato, gli occhi feriti dall'improvvisa luce. Margarethe!
-Scappiamo.-, le aveva sussurrato stringendola forte, scaldando quel corpo morbido così simile al proprio, ma l'altra aveva scosso la testa, singhiozzando.
-Non posso, non posso...-, aveva quasi salmodiato, ondeggiando tra le braccia ed il petto di Reine, -Non posso...-
Non le aveva detto il perché, ma lei lo intuiva facilmente: dovevano averla minacciata in qualche modo, magari tirando in ballo anche la famiglia Carlyle.
Come se importasse loro veramente, come se fossero sbagliate! L'amore era sbagliato?
Era un errore amare quegli occhi luminosi, quel viso pieno e ridente, quei lunghi capelli biondi?
Era impossibile per Reine cercare i suoi fianchi morbidi ed i seni prosperosi, bearsi nell'essere allacciata dalle braccia bianche e le gambe che solo lei poteva vedere, ed il loro tesoro?
*
Reine era rimasta nella bottega di Mrs Meridian per tutta la durata della cerimonia, affogando nelle stoffe che sarebbero di sicuro piaciute a Margarethe.
Dopo quella sera non l'aveva più vista, ma la mattina stessa Cristoffen le aveva recapitato un biglietto lapidario e sbavato: chiesa di St. John, ore dieci.
Quando le campane suonarono a festa strinse i denti, lasciando cadere il broccato azzurro che stringeva tra le dita.
Si precipitò fuori ignorando Mrs Meridian giusto per scorgere dal pianerottolo del negozio un uomo alto sulla trentina accanto alla sposa.
-Margarethe.-, si portò una mano alla bocca, per soffocare un grido comunque muto.
Non poteva essere la sua Margarethe, la donna sempre allegra che portava il sole in una stanza con il suo sorriso.
Era costretta in un abito troppo bianco e finto, fastosamente vuoto, vuoto come i suoi occhi, spento come il suo viso.
Reine non riuscì a resistere: si mise a correre. Corse per raggiungerla sollevando l'orlo della gonna, ignorando lo sguardo scandalizzato di una passante.
Doveva raggiungerla, doveva toccarla un'ultima volta perché lei c'era, ci sarebbe sempre stata: non l'avrebbe mai abbandonata. Potevano vedersi ancora, no? Potevano ancora incontrarsi!
Schivò la carrozza pronta a nascondere i due sposi e sgomitò tra gli invitati che li nascondevano. Margarethe!
Si fece largo tra la folla giusto in tempo per vedere la sua mano elegante ondeggiare mentre saliva il gradino della carrozza, scivolando dentro e nascondendosi alla vista.
Stringeva qualcosa, l'anello, e Reine sentì una fitta dolorosa al petto.
Anche lo sposo salì, e quando la porta si chiuse riuscì a scorgere gli occhi grigi e tristi di Margarethe, le sue labbra piegate in un sorriso terribile, non quello che aveva incontrato con il proprio quella notte terribile, quando si erano baciate così a lungo da far vergognare il cielo, un sorriso disperato.
Reine intuì a cosa potesse portare quel sorriso.
-No!-, gridò spezzando il brusio ammirato degli invitati, -No!-
Si fece avanti nello spiazzo vuoto che era stato degli sposi per farsi vedere. Margarethe!
Non le importava di quel bellimbusto, l'avrebbe amata comunque, avrebbe aspettato! Non era questo quello che le aveva detto quella notte fatale mentre facevano l'amore l'ultima volta?
E gli occhi colmi di lacrime della sua amata furono l'ultima cosa che vide prima di essere portata via da Cristoffen, preoccupato per la sua signorina.
*
Stesa nel suo letto e febbricitante, come poteva Reine non pensare al suo amore?
Stringeva la foto al petto, l'ultimo ricordo fisico di Margarethe.
Non avrebbe mai potuto dimenticare i suoi occhi ardenti, i suoi gemiti, il suo nome pronunciato con così tanto amore, Reine, Reine.
Non si erano nemmeno dette addio quella notte. Forse perché era inutile, non si erano davvero lasciate.
Lei riusciva a ricordare benissimo ogni singola espressione di Margarethe, ogni curva del suo corpo, le carni bianche così delicate...
Sofferenza, dolore, rabbia, ecco quello che provava, mentre una tisana di sposa del sole fumante l'attendeva sul comodino.
Credevano che avrebbero smesso di amarsi solo perché lontane? Nemmeno la morte poteva piegarle, e Reine non cacciò questo pensiero funesto: lo sentiva ogni giorno più pesante, difficile da ignorare.
*
-Miss Rosenberg.-, annunciò semplicemente Cristoffen senza tante cerimonie, ritto in piedi davanti alla porta.
Nessun biglietto tra le sue mani, voce impassibile, il viso stanco che tradiva del dispiacere.
Reine capì, e una voragine sembrò spalancarsi sotto i piedi, la mente annebbiata come gli occhi.
Pensarci per tutti quei giorni non aveva attenuato la forza della realtà, anzi: se possibile, l'aveva amplificata ancor di più.
Respiro.
Margarethe.
Respiro.
Morta.
Respiro.
E poi il buio: gli occhi le si chiusero, la bocca si spalancò in un urlo di dolore, il terrore a deformarle il viso.
Era sola ora. No, Margarethe era con lei, la sentiva ancora tra i suoi capelli, tra le sue dita... sola.
Questa parola sembrava soffocarla mentre Cristoffen le porgeva con discrezione un fazzoletto.

Dove sei, Margarethe? Puoi sentirmi? Puoi vedermi, amore? Io sono ancora qui, sola.

E poi un nulla fatto solo di lacrime, lei che odiava piangere.
*
Il Derbyshire era molto diverso dalla città: tanti boschi, tanto verde, e la cappa scura che avvolgeva Londra sembrava assente.
Reine era in piedi davanti ad una semplice lastra di marmo, bianca come Margarethe.
Il suo nome sopra alla data più bella e brutta della vita di Reine spiccava scuro, mentre lei fissava con malinconia il mazzolino di fiori gialli che stringeva tra le mani.
Scostò i primi fili d'erba che insediavano la tomba ed appoggiò le calendule sul marmo, l'unico punto di colore tra il verde ed il bianco.

L'amore sempiterno, ecco il vero significato dei fiori. Avrebbe potuto raggiungere Margarethe, incontrarla di nuovo ma... no, doveva vivere.
Una volta da lei le avrebbe mostrato tutti i paesaggi che era riuscita a vedere, le avrebbe fatto vedere il mare attraverso i propri ricordi e chissà, forse ci sarebbero davvero andate assieme.

Margarethe era morta, ma Reine non era sola.

Questa storia si è classificata quarta su otto nel concorso Titoli per l'amore indetto da signorino_ sul forum di EFP :D per essere stato il mio primo tentativo di vero femslash -con tanto di velata fisicità- non mi lamento per niente, anzi! Ho tratto ispirazione da questa foto, trovata sulla pagina Famous LGBT di Facebook :D la poesia è Donne Dannate - Delfina ed Ippolita dei Fleurs du Mal di Baudelaire. Amo quella foto, è dolcissima, e quando l'ho trovata ho avuto l'ispirazione. Effettivamente poi il tema dei fiori sulla tomba era scontatissimo, ma dopotutto avevo la limitazione del titolo Calendula Requiem, quindi qualcuno doveva morire e dovevano centrare in qualche modo quei fiori.
Riguardo al linguaggio, dopo l'esperimento di Era una Rosa non credo mi avventurerò più nella scrittura barocca, anche se qui in effetti avrei potuto farlo.
Mi piacerebbe sapere che ne pensate, ringrazio in anticipo chi commenterà :D
Nyappy
   
 
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