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Autore: Calispera_    10/06/2011    0 recensioni
Ma chi sei?
Abbracci, sorrisi, scherzi, bar, persone.
Casa mia. Casa mia che ora è una prigione. Ogni angolo, ogni colore, ogni sfumatura, trattiene a sè un qualcosa che non tornerà.
Pensando ciò, una lacrima presuntuosa divide il viso sfuggendo a quella parte di me che gode alla consapevolezza di voler bruciare un estraneo che camaleonticamente si è adattato alla mia persona.
Mi sento nuda, ridicola, impotente, piena di cose da dare, friabile, malleabile.
Mi sento impercettibile. No, sono vuota.
E rido di me stessa.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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"Milioni di parole,

milioni di paure,

un senso d'impotenza che ti lascerai nel cuore."

 

Una diga mi è crollata nei polmoni e i detriti stanziano in me logorandomi gli organi, lentamente.

Ho una serie di immagini che marcano decisi i miei pensieri, sono lì, tra le sinapsi, che sottolineano la mia psicolabilità.

C'è il mare, stanco e buio. Ci sono pezzi di pizza, luci astratte, il silenzio.

E le mie dita sediziose che fiorano appena una bocca egoista che no, non dovrebbe essere lì.

C'è la mia pelle presuntuosa che stimolata da un brivido a ritroso sulla schiena, vorrebbe staccarsi dalle ossa e mischiarsi a ciò che poi mi avrebbe soffocato.

Io lo so, ma continuo imperterrita.

Qualcosa mi sta sfiorando il collo. Qualcuno.

Le orecchie, le guance.

No no no.

Martina svegliati.

La bocca, le labbra.

Sì sì.

Per molto mi ero domandata "come sarebbe stato se", ma ero più incline all'amor proprio, una volta.

Lo sento ispezionarmi la bocca, adattarsi ad ogni mio punto più imperfetto, come una medusa che sciaborda nella mia saliva. Il corpo mi si rilassa, le mani, contro la mia volontà, gli finiscono tra i capelli.

L'odore.

Gli odori. Il mio e il suo mischiati assieme, per ininterrotti secondi, capaci di alterarsi reciprocamente ed impregnarsi nelle mie priorità.

Dio com'è sbagliato come piace come non si dovrebbe come volevo come

Ma chi sei?

Abbracci, sorrisi, scherzi, bar, persone.

Casa mia. Casa mia che ora è una prigione. Ogni angolo, ogni colore, ogni sfumatura, trattiene a sè un qualcosa che non tornerà.

Pensando ciò, una lacrima presuntuosa di divide il viso sfuggendo a quella parte di me che gode alla consapevolezza di voler bruciare un estraneo che camaleonticamente si è adattato alla mia persona.

Mi sento nuda, ridicola, impotente, piena di cose da dare, friabile, malleabile. Mi sento impercettibile.

No, sono vuota.

E rido di me stessa. Rido della mia fiducia infondata, dei miei pensieri antitetici, della mia incapacità di rendere sfumato un ricordo.

Rido e vorrei urlare e correre e perdere le parole e cambiare fisico e ritrovare stima e riniziare e rivedere gli individui come numeri e ridere con gli occhi e non aver mai incontrato chi vorrei vicino più di chiunque altro.

No Martina, non lo vuoi vicino, lo vuoi lontano.

Ma è lontano e dovrà essere così sempre.

E' che qualcosa di me è rimasto legato al suo modo di camminare. Sì, al modo di camminare, perchè è da quando l'ho visto venire verso di me la prima volta che ho capito che quei piedi che sembravano litigare tra loro col fine di primeggiare, si sarebbero impuntati nella mia vita.

Vorrei sapere perchè, per cercarmi, devo tenere lontano chi mi ha tirata fuori.

Maschere.

Ecco perchè.

Lo sapevi, cretina.

Sciogliere la propria algidità a chi poi l'ha presa e, una volta appallottolata, ci ha giocato per animare il pubblico della sua vita.

Lineette. Punti. Comicità.

 

Però, che bella che è la neve. Copre la vita delle cose con un velo bianco carico di iridescenza, per vivere indipendente.

Che controsenso: così bella eppure muore al solo riflettere del sole. Incompatibile al calore.

Il cielo è macchiato da nuvole cobaltiche che come spugne continuano a rincorrersi.

Hai paura, Martina, in mezzo alla gente.

C'è una madre di un bimbo che mi guarda perplessa: si preoccupa della mia solitudine, la fa ridere la moltitudine di colori che indosso o disprezza la mia sigaretta? Vorrei sorriderle e non ci riesco.

La musica mi ronza nelle orecchie e mi aiuta a non sentire.Vorrei tornare al residence, ma dovrei spiegare e giustificare e non ci riuscirei.

Non sai dove andare?

Mi sento una degli ignavi che popolano il limbo.

Ti vuoi svegliare?

Ma a che scopo dovrei reagire? La mia compagnia mi aiuta a crescere e sinceramente mi darebbe fastidio che qualcuno provasse ad entrare nella mia testa, sarei troppo instabile e le persone ci riuscirebbero perfettamente.

Che cretina, sei proprio cretina.

Che cazzata che avrei fatto.

Stringo gli occhi e provo a camminare.

Cerco di ricostruire la sua presenza vicino a me. Se solo mi tenesse la mano...

Potrei graffiargliela come un giorno lui aveva sventrato me.

Il sangue che gli sgorga dalle mani mi procurerebbe una forte fitta di piacere.

Con la lingua cerco il suo sapore in bocca; provo ad annusarmi le dita per immaginare le sue che, una volta entrati dal mio terrazzo, finita la sigaretta, mi accarezzavano sul divano.

E la carezza diventa una sberla che con quel netto rumore mi riporta alla realtà.

Cerco un vetro per potermi guardare.

Cos'hai da specchiarti?

Le pupille si sperdono nel grigio dei miei occhi, la bocca è rossa per via del freddo. La sciarpa mi copre un po'. Le guance sono alonate di grigio e tra le occhiaie il nero si è stabilito goliardico.

Sembro un clown.

Ecco perchè la signora ti squadrava, le facevi pena.

Prendo un fazzoletto, mi asciugo, levo il trucco. Eppure sembro ancora un clown.

Basta, Martina.

Talvolta bisogna smettere di cercare quello che non c'è; bisogna fare un'eutanasia alle proprie speranze, sforzandosi di razionalizzare gli eventi.

Bisogna cercarsi in un vetro, in mezzo alla neve.

Bisogna sviluppare quella fazione cerebrale in grado di credere all'impossibile e capace di creare una vita parallela a quella che sei costretta ad intraprendere ogni giorno.

Bisogna amarsi, Martina.

  
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