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Autore: Scar    11/06/2011    2 recensioni
Alles was zählt (Tutto ciò che conta). Un tuffo nel lontano passato di Deniz e un brusco ritorno ai tormenti degli episodi 288 e 289.
Chiudi gli occhi, ferma il mondo
tutto si aggiusterà in un istante
con gli occhi chiusi...
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Avrei altre cose da finire, ma non sono riuscita a trattenermi, e quindi ecco il mio primo esperimento su questa straordinaria soap tedesca.
Semmai qualcuno passasse di qui sarebbe carino lasciare una traccia del suo passaggio già che si trova. E se non avete idea di cosa si tratti, non sarebbe tardi colmare questa lacuna. Non ve ne pentirete, fidatevi.
Grazie in anticipo.

Autrice: Scar
Categoria: Soap opera
Serie: Alles was zählt
Personaggi: Deniz Öztürk
Pairing: Deniz/Roman
Genere: introspettivo, sentimentale, character study
Rating: Giallo
Avvertenze: one shot, slash, pre-AWZ e riferimenti agli episodi 288 e 289
Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di RTL television questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro


Con gli occhi chiusi


Chiudi gli occhi, ferma il mondo
Tutto si aggiusterà in un istante
con gli occhi chiusi...
Dopo che tuo padre aveva lasciato la città, avevi preso l'abitudine di chiuderti in camera, per ore, sdraiato sul letto, le cuffie dello stereo saldamente ancorate alle orecchie: un muro contro le urla di tua madre e i suoi mille rimproveri. Il cuore si alleggeriva così tanto che quasi dimenticavi di averne uno. Adesso era il tum tum della musica a pomparti il sangue nelle arterie, e per qualche ora ti sentivi di nuovo vivo, dimenticando che di vivo ti era rimasto ben poco e che, intorno a te tutto - o niente - era cambiato. Tu poco apprezzato dai tuoi familiari, conoscenti, amici, alquanto strano per essere solo un adolescente da tenere a freno. In fondo, gli sguardi che ti lanciavano non erano mutati nel tempo: troppo tedesco per i turchi e ancora troppo turco per i tedeschi.
Armin no. Lui non subiva di queste morbose attenzioni, a meno che non fossero pizzicotti o baci a schiocco sulle guance rosee e piene. Armin così simile a vostro padre, lo stesso sguardo colore del mare, e ancora troppo piccolo per arrivare a comprendere quello che vi stava accadendo. Lui non era stato sveglio, le notti intere, a sentire papà e mamma litigare anche per un centesimo, a stringere forte gli occhi e a tapparsi le orecchie, sperando che si trattasse solo di un altro brutto sogno.
Invece, tutto era dannatamente reale. Nessuno più ti avrebbe sorpreso al mattino con una carezza, sussurrandoti : günaydın, küçük. Buongiorno, piccolo. È tardi. Nessuno t'avrebbe accompagnato davanti al cancello della scuola, aspettando di vederti sparire oltre il portone. E nessuno più ti avrebbe preparato çörekler e kebab a pranzo, la domenica. Chi mai t'avrebbe ascoltato quando quello che avevi da dire diventava così ingombrante e rumoroso da sfondarti il petto? Chi ti avrebbe detto con calma e dolcezza che sarebbe andato tutto bene? Di certo, non tua madre, troppo occupata con il lavoro, la casa e quei fidanzati che diventavano, di anno in anno, più ricchi e, come una sorta di compensazione, meno giovani.
Il silenzio era l'unica alternativa, e il rock usava quelle parole che avevi il terrore di lasciar sfuggire dal tuo cuore.
Chiudi gli occhi, ferma il mondo
Nessuno potrà toccarti
con gli occhi chiusi...

Gli anni erano volati nell'indifferenza generale, tra i tuoi successi nello sport e i brutti voti. Pochi amici, poco amici. Qualche ragazza da sbaciucchiare di tanto in tanto.
Le estati con tuo padre sempre più corte e fredde.
Tuo padre. L'uomo che era diventato sempre meno eroe ai tuoi occhi, giorno dopo giorno, anno dopo anno. Avanzo di galera. Idiota. Perdente.
E tu ne ricalcavi le orme, stando a quando ti ripeteva sempre tua madre.
Incontentabile Veronika. Inossidabile Veronika. Ancora giovane e bella. Grande esempio di istinto materno.
Ma eri suo figlio, e ne avevi ereditato la vanità. In due anni avevi superato in altezza tutti quelli della tua classe...e i muscoli... oh, quanto amavi i tuoi muscoli! A volte, ci perdevi il tempo di fronte allo specchio, accarezzandoti le braccia e gli addominali, tanto da scordarti di ogni altra cosa. E amavi il modo in cui gli altri avevano preso a guardarti. Era eccitante sentire gli sguardi femminili scivolare su di te come seta, e l'invidia dei ragazzi accendersi. Ti lasciavano addosso una sensazione dolce e calda, come il caramello disciolto sul gelato.
Bastava solo chiudere gli occhi e lasciare che le tue mani facessero il resto.
Chiudi gli occhi, ferma il mondo
lascia che cada ai tuoi piedi
con gli occhi chiusi...

E poi venne quella maledetta sera. Quattro amici, un porno e una bottiglia di vodka.
Chissà come sarebbe baciare un ragazzo?
Tu non potevi saperlo, ma delle volte ti eri trovato ad immaginarlo, quando ti trovavi sospeso tra la veglia e il sonno, e il controllo veniva meno, oppure quando avevi troppe birre in corpo da risultare per lo meno credibile. E allora, in quei momenti, tutto ciò che ti davi come risposta erano altre domande: strano? diverso? schifo? Gerhardt aveva voluto provarci proprio con te, e tu tremasti soltanto al pensiero, eccitato.
Strano. Diverso. Certamente meno schifo di quanto avevi supposto in un primo momento. La tua lingua si animò all'improvviso di una volontà propria, come impazzita, e Gerhardt ti spinse così forte da farti cadere dal divano.
Sei frocio?
Il terrore ti attanagliò in una morsa gelata e qualsiasi risposta sensata ti rimase bloccata in gola. Borbottasti qualcosa che non avresti mai più ricordato e fuggisti via.
Era quasi estate, ma il freddo di quella sera ti era entrato fin dentro le ossa, tanto che non t'avrebbe abbandonato per giorni e giorni.
Che cosa era successo? Qualcuno avrebbe saputo spiegarti cosa fosse quel formicolio che ancora sentivi sulle labbra e quella voglia impellente di riaffondare la lingua nella bocca di Gerhardt? No, nessuno avrebbe saputo spiegartelo, perché tu non l'avresti detto ad anima viva. E i tuoi amici, o quello che erano, come si sarebbero comportati?
Mancavano poche settimane alla fine dell'anno scolastico e tu non vedesti altra soluzione che restare tappato in casa, senza rispondere al telefono, tanto meno controllare chi t'avesse cercato, semmai qualcuno avesse sentito il bisogno di farlo. Poi avresti chiesto a tua madre di lasciarti andare a Essen, da tuo padre, e lei sarebbe stata ben lieta di sbarazzarsi di te. Invece, tua madre fu avvisata dal preside e tu fosti costretto a rientrare a scuola.
Uno.
Due.
Tre.

Al quarto giorno le voci che giravano tra i corridoi divennero via via più insistenti e, prima che potessi rendetene conto, immagini e suoni si fusero intorno a te, trascinandoti in un vortice di pugni e sangue.
Chiudesti la mente, i tuoi occhi. E quando decidesti di riaprirli, più tardi, eri in una stazione di polizia, le dita sporche d'inchiostro e la polo ancora macchiata di sangue, ad aspettare tua madre.
Non ti saresti mai pentito per quel gesto e, di certo, l'avresti rifatto se fossi tornato indietro; non avresti più minacciato di morte l'insegnante che voleva aiutarti, forse. Anzi, se un giorno avessi conosciuto il suo indirizzo, gli avresti anche spedito una lettera di scuse e un mazzo di fiori.
Chiudi gli occhi chiusi, ferma il mondo
nessuno potrà ferirti
con gli occhi chiusi...

Il cuore in gola, le dita tremanti, infilasti quanto più possibile nel tuo zaino di tela. Non lasciasti un biglietto, un messaggio, né avvertisti con una telefonata. Non volevi essere fermato, semmai tua madre avesse recuperato avanzi d'istinto materno o un pezzo di cuore da qualche parte.
Comprasti il biglietto per Essen quasi senza riflettere, senza sapere se fosse davvero la cosa giusta da fare.
Ma non conoscevi un altro posto dove andare. Tutto quello che sapevi con certezza era che non volevi più vivere a Monaco e che non avevi abbastanza denaro per recarti altrove. Era la tua scelta.
Via, finalmente.
Via da tutte quelle facce che ormai ti studiavano come una cavia imprigionata nel vetro. Via da tua madre che non ti aveva mai mostrato un briciolo di tenerezza. Via, per sempre, da quelle voci incessanti e dalle labbra rosse di Gerhardt.
Poco importava se non vedevi tuo padre da un anno, o quasi, e se fosse stato difficile sentirlo anche solo per telefono nell'ultimo periodo. Ma eri lì, dove volevi essere dal principio.
Al primo incontro di sguardi sentisti un groppo in gola e, nel vederlo con una donna, qualcosa di amaro scendere nello stomaco. Facevi l'indifferente, ma la verità stava in quella delusione che ti aveva sorpreso come uno schiaffo. Perché tutto ciò che volevi da lui era un sorriso, lo stesso di quando eri bambino, e che ti abbracciasse forte, incurante di tutto e di tutti. Alla fine ti strinse a sé con quelle braccia più corte delle tue, ma ugualmente forti; tuttavia, quel groppo alla gola non accennò ad andarsene.
Chiudi gli occhi, ferma il mondo
Nulla più potrà farti male
con gli occhi chiusi...
Credevi di poter dimenticare quegli anni freddi e bui passati con tua madre, credevi che bastasse essere quello che eri sempre stato per ingraziarti tuo padre, ma ti sbagliavi. Lui era ormai quel genitore che non avevi avuto accanto, e tu non ricordavi bene cosa significasse essere suo figlio.
Credevi che bastasse solo incontrare qualcuno per avere un amico, e che flirtando con qualche ragazza avresti dimenticato cosa si provava nel baciare un ragazzo.
Immaginavi che tutto sarebbe stato perfetto e che i dubbi non ti avrebbero mai più sfiorato.
Fino ad ora, con lui.
Lui che, a differenza di Gerhardt, non ti ha chiesto il permesso di baciarti, tanto meno di entrare nei tuoi sogni. Lui che può sciogliere il ghiaccio dentro di te con un solo battito dei suoi occhi azzurri, e ferirti con parole più graffianti delle lame dei suoi pattini.
Perché Roman Wild non è come te. Lui non è spaventato da quello che gli altri potrebbero pensare. Lui non picchierebbe mai qualcuno solo per sentirsi al sicuro dai pettegolezzi. Lui non deve fingere di stare con una ragazza per sembrare un vero uomo agli occhi di suo padre. Perché lui è già un uomo. Qualcuno che conta a Essen e nella Germania intera, terzo ai campionati del mondo di pattinaggio artistico e, da un giorno all'altro, al primo posto nei tuoi pensieri.
Roman... Roman... Roman...
Nessun altro suono ti sembra così dolce e forte allo stesso tempo, con quel sapore selvaggio del cognome che mette anche negli sguardi che ti punta addosso, nei brividi del tuo corpo che gli risponde contro il tuo volere, perché troppo spesso dimentica che tu devi essere un Öztürk a tempo pieno.
E adesso sei con lui, seduto di fronte a lui, che si prende cura di te. Ma c'è un terzo incomodo che non ti abbandona mai: la tua cattiva coscienza.
Ora avete qualcosa in comune – ti dice con un mezzo sorriso – Entrambi picchiati da Bulle.
Ti sfiora il viso con le sue dita leggere, un calore nel petto che non avevi mai provato prima e, per qualche attimo, scordi completamente chi sei, o chi dovresti essere, quello che hai fatto, quello che gli hai fatto. Ti avvicini. Senti il bisogno delle sue labbra, di assaporarne il gusto che non sei riuscito a sentire in quel primo bacio a stampo, dato da ubriaco e un po' per scherzo.
C'è solo il battito del tuo cuore a un centimetro dalle sue labbra, la tua mente del tutto fuori gioco.
Sarebbe facile chiudere gli occhi anche questa volta e far finta che nulla sia accaduto o che tutto si risolva per proprio conto senza che tu debba muovere un dito, che l'unica cosa che ormai conta per te è appagare un desiderio che non ti dà tregua da settimane. Ma stai imparando che non può essere sempre quella la strada, perché potresti batterci la testa o perderti cose che alla fine si realizzerebbero solo nei tuoi sogni.
Forse stai crescendo, Deniz, contro la tua volontà e a dispetto di tutto ciò che hanno sempre pensato gli altri.
E il terzo incomodo è la parte più adulta e tenace di te, così si fa avanti e spezza quel magico istante.
“Roman, io ero con loro... ero con loro e non li ho fermati”.
Lui non vuole sentire tutto quello che avevi da dirgli e ti manda via, urlandoti contro tutta la sua rabbia e il suo dolore.
Vaghi per strada, cercando di richiamare quell'aria che ti è stata sottratta per qualche eterno secondo.
Non credevi che crescere fosse così, che amare fosse così, e che il tuo cuore potesse sanguinare senza colpi e senza sosta.
Nessuna ferita ti ha mai fatto più male.

  
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