Capitolo 8
“Dietro le quinte”
La voce stridula di Konatsu la distolse dai suoi pensieri, il contenuto
dei quali le svanì dalla mente come neve al sole. Fu
tuttavia solo quando il suo unico cameriere le ripeté con
discrezione la parola ‘cliente’ che Ukyo si decise,
una buona volta, ad alzare lo sguardo dall’okonomiyaki che
stava fissando come ipnotizzata.
Non che ne valesse la pena, scoprì. Per un istante fu
animata da un sentimento di speranza ma, alla vista del nuovo arrivato,
inarcò le sopracciglia e strinse le mani a pugno, prima di
ricadere in uno stato di confusione totale.
Ma dove…?
Stavolta lo smarrimento durò pochi secondi. Aveva capito.
Dove si trovava, cosa fosse coinvolto. Chi.
Ranma…
Attendeva da diversi, troppi giorni il suo ritorno dalla Cina e a ogni
ingresso di un cliente fantasticava che potesse trattarsi di lui. Di
recente aveva preso l’abitudine, per combattere la monotonia
dell’attesa, di farsi trovare preparata:
dopotutto Ran-chan sarebbe arrivato digiuno e lei voleva dargli il
miglior bentornato possibile, nel linguaggio con cui meglio
comunicavano fin da bambini.
Un bel trattamento. Non molto meritato, a dire il vero.
Nemmeno l’aveva salutata, prima di partire. Ukyo aveva
scoperto la novità soltanto quando si era trovata a dover
constatare la prolungata assenza del ragazzo da scuola. Akane-chan le
aveva brevemente illustrato i motivi del viaggio e lei, vedendo
l’ultimogenita dei Tendo così tranquilla, si era
rasserenata a sua volta.
Stupida che era stata! Invece di raggiungerlo se ne era rimasta come
uno stoccafisso nella propria città, nel proprio locale, e
intanto quella maledetta di un’amazzone aveva attirato in
Cina il suo Ranma
con l’inganno e magari l'aveva drogato per bene, o peggio.
Certo, Ukyo non aveva la minima idea di come trovare quel monte
vattelappesca, ma arrangiarsi non avrebbe costituito una
novità: per esempio avrebbe potuto seguire di nascosto
Akane, quando a sua volta aveva ‘misteriosamente’
smesso di farsi vedere al Furinkan.
Quel cuore tracciato con la salsa le trasmise un improvviso senso di
nausea: sfoderò la spatola e liberò la piastra
scostando l’okonomiyaki di lato, insieme agli altri. E dire
che un tempo non avrebbe approvato un tale spreco di
ingredienti…
Udendo il mugolio soffocato di Konatsu, ancora meno abituato a sperperi
simili, usò la prima scusa che le venne in mente per
ordinare al suo assistente di spostarsi nella stanza a fianco. Anche se
il Saotome venuto a trovarla era inequivocabilmente quello sbagliato,
la questione che si prospettava era comunque
‘personale’.
Una volta che il ninja fu uscito, Genma annuì come se non
stesse aspettando altro.
“Devo parlarti, Ukyo.” Si decise a fare la prima
mossa. Ma lei non era ancora disposta a dargli corda.
Afferrò lo straccio. Quella cosa che strisciava sul bancone
era un ragnetto?
“Se si tratta di una consumazione, è troppo
tardi.” Replicò meccanicamente. “Per i
clienti normali, il locale ha chiuso un’ora fa… e
non farò certo un’eccezione per
lei.” Dicendo ciò, con un gesto
fulmineo della mano schiacciò l’intruso
più piccolo.
“No, niente del genere.” Per nulla intimorito,
Genma prese con le dita i resti della creatura e li soffiò
via. “E non sarei certo potuto venire prima, per
ciò che ho da dirti.”
Ukyo incrociò il suo sguardo e sussultò: il
proprio interlocutore aveva un’aria insolitamente seria,
quasi da funerale.
Forse la situazione era ancora più preoccupante di come se
l’immaginava: dopotutto, se era tornato il padre, lo doveva
essere anche il figlio. Ma dato che Ran-chan non aveva evidentemente
avvertito alcuna voglia di passare a trovarla… Peggio
ancora, se fosse rimasto in Cina e avesse mandato il genitore
per… Diamine, si era messo davvero con Shampoo?! O con
Akane?!
A questo punto doveva sapere.
Perfino da lui.
“Allora, avanti.”
“Ukyo, tu certamente mi riterrai una pessima persona, uno
sconsiderato.”
Aprì la bocca, tuttavia non le andò di confermare
quella dichiarazione.
“Forse farai fatica a crederci”,
proseguì Genma, avvicinando il capo con aria di segretezza,
“ma ciò che sto per compiere ora… questo supera
sicuramente quanto di più scellerato abbia mai commesso in
vita mia. Eppure, dopo che avrò finito di spiegare, ti
porrò lo stesso la mia domanda…”
Ukyo deglutì. Si sporse leggermente e solo allora
notò l’ingombrante bisaccia che l’altro
aveva portato con sé e posato a terra.
“Cominciamo dall’inizio. Le va?” Propose,
con il fare di chi è abituato a ricevere pronte risposte
alle proprie domande. D’altronde, l’intenzione era
quella.
Lo zio Genma era tornato umano da diversi minuti, ma ancora non aveva
proferito parola. Né gli altri sembravano tanto smaniosi di
interrogarlo, forse ancora troppo sconvolti dal
‘ritorno’ di Akane, che li aveva ingannati per una
manciata abbondante di secondi. Papà paradossalmente non
piangeva, e alcune lacrime erano invece sul punto di uscire dagli occhi
lucidi di un ninja troppo sensibile. Nabiki sapeva che Ranma avrebbe
potuto approfittare della distrazione di Konatsu in qualsiasi momento
per sfuggire al suo controllo, ma aveva anche notato che a sua volta il fuggiasco, dal
momento esatto in cui aveva assistito alla trasformazione di
‘Akane’ in Ucchan, non aveva più provato
a divincolarsi.
Le donne della famiglia sembravano in qualche modo
più… vicine alla realtà, eppure
l’attenzione sia di Kasumi che della signora Nodoka era
sviata dalle condizioni del dottore, che a sua volta rifiutava di
pensare a se stesso ed era tutto preso a controllare che Ukyo, ancora
addormentata, stesse bene. Anche loro stavano chiaramente aggirando la
questione principale.
Scosse il capo. Come al solito, era l’unica con la testa
sulle spalle. E avrebbe fatto luce, a qualunque costo.
“Signor Saotome”, gli disse con falsa enfasi,
“a giudicare dalla pelliccia che la ricopriva fino a pochi
secondi fa pare che, dopotutto, tornare normale non fosse proprio il
primo dei suoi pensieri. Dunque, perché? Come mai tanta
premura di farsi portare qui in Giappone l’acqua maledetta?
Ce lo vuole dire… o devo farlo io per lei?”
Genma Saotome alzò una mano nel gesto meccanico di
sistemarsi gli occhiali che non portava più.
“Non conta il motivo.” Disse, con fare insolente.
“Ormai non conta più nulla.”
“Non può essere!” Gridò
papà, scoppiando come un fiume in piena. “Saotome,
vecchio mio, tu devi essere
estraneo a questa vicenda! Non puoi aver fatto questo a tuo figlio, a
tutti quanti, aver messo in atto una messinscena simile! Ma certo!
Sicuramente ti hanno ricattato, o suggestionato! Si tratta di Cologne,
non è vero?! Quella vecchia megera non me la diceva giusta,
ha usato te e Ukyo per… non lo so cosa, ma è uno
dei suoi loschi piani, no?! Dillo, Saotome! Dimmi che è
così!”
Il chiamato in causa lo guardò con un’espressione
bonaria, ma non gli rispose.
Papà, sempre più agitato, rivolse allora la sua
attenzione proprio verso di lei.
“Nabiki… sei tu che hai scoperto la
verità! Racconta come sono andate veramente le cose! Che
Saotome non c’entra nulla!”
Inspirò con calma. Fissò un punto indefinito di
spazio, per evitare quello sguardo così implorante che per
qualche motivo la stava rendendo nervosa.
Avrebbe potuto confortare le sue speranze, convincerlo che il suo
miglior amico non lo avesse tradito così spudoratamente.
Ripensò a diversi giorni prima. Mousse doveva aver
rimuginato molto, accumulato una gran quantità di
frustrazione, negli ultimi tempi: aveva risposto alle sue domande quasi
sfogandosi, le aveva raccontato davvero tante cose, di quel viaggio in
Cina, fin nei minimi particolari.
Perfino di certe… uova, proprio così, uova dalle
proprietà peculiari: di come la povera Shampoo ne fosse
caduta vittima e di come la volontà di Genma Saotome fosse
stata a sua volta assoggettata a
quella dell’amazzone… che chiaramente non aveva
alcuna responsabilità delle sue azioni, poverina, la colpa
era di Safulan, Kima e quel dannato popolo di uccelli. Che comunque lui
era riuscito a liberare l’amata dal controllo mentale,
rinunciando ad approfittarne per conquistare il suo cuore, anteponendo
la felicità di Shampoo alla propria, mostrandole
così la nobiltà del proprio animo. Come?... Ah,
sì, gli pareva che anche Genma fosse poi stato
disipnotizzato, una volta conclusa la battaglia finale. Ma sinceramente
non ci aveva fatto molto caso e non avrebbe potuto giurarlo.
Già, a papà avrebbe fatto piacere ascoltare
questa storia.
“Come sono andate le cose?” Ripeté.
“Eppure lo dovresti sapere. Lo dovreste sapere tutti. Prima
di far ritorno in Giappone, il signor Saotome si è offerto
di parlare alla guida di Jusenkyo e chiedere le acque che avrebbero
annullato la maledizione sua e di Ranma… tra le
altre.”
Il volto di Soun sembrò illuminarsi. “Vuoi
dire…”
“Che la guida ha spedito, e curiosamente non a casa nostra
bensì all’indirizzo del ristorante Nekohanten, ben
tre fiasche di acqua di Jusenkyo.” Nabiki
puntualizzò con le dita. “La prima conteneva la Nannichuan,
dalla sorgente dell’uomo annegato. La seconda la Niannichuan,
dalla sorgente della ragazza annegata. E la terza, come avrete tutti
capito…”
“Akanenichuan?”
Ripeté Ukyo, perplessa come la prima volta che aveva vissuto
quegli eventi.
La storia che le aveva raccontato l’interlocutore, dopo aver
estratto dalla bisaccia la fiasca che aveva chiamato con questo nome,
era abbastanza confusa e non poteva dire di averci capito molto,
nemmeno stavolta.
Giusto. Perché questa spiegazione io
l’avevo già…
Le erano rimasti impressi solo i tratti essenziali, tra
l’altro i più ostici a cui una persona normale,
che non avesse visto certe cose con i propri occhi, avrebbe potuto
credere. Akane rapita a sua volta, portata contro la sua
volontà in Cina da… uno stormo di uccelli?
Soprattutto, Akane fatta immergere in una delle fonti di Jusenkyo. Se
si riuscivano ad accettare le due cose, l’affermazione
conseguente di Genma era verosimile, perfino naturale.
Una nuova sorgente magica. La sorgente di… Akane annegata?
“Non occorre annegarvi,
la guida non parla molto bene il giapponese e per tutto questo tempo ha
usato un termine improprio. Comunque… anche se non le hai
mai potute vedere di persona, ormai ti sarai fatta un’idea
delle fonti del campo d’addestramento leggendario di Zhou
Chuan Xiang. Le sorgenti hanno la proprietà di memorizzare
l’aspetto della prima persona che vi cade, e di duplicarlo a
danno di coloro che hanno successivamente la sventura di bagnarsi con
l’acqua maledetta.”
“Ovvio che lo so.” Lo interruppe. Tutto
ciò lo aveva sperimentato infinite volte sulla sua pelle,
anzi quella di Ran-chan, letteralmente. “Ciò che
non capisco è cosa c’entri questa storia con
me!”
Oh, ma sapeva anche questo! Perché ricordare di nuovo ogni
cosa?! Ukyo provò a scuotersi, doveva smetterla di
rimuginare. E invece, contro la sua volontà, si
alzò in piedi e superò il confine del bancone che
la divideva da quel dannato. Di nuovo preda dei suoi sentimenti di
allora, dovette fare appello a tutta la propria buona
volontà per resistere alla tentazione di cacciarlo via
seduta stante.
A cosa serviva questo discorso? Anche Akane era stata rapita, gli
gridò in faccia, era chiaro, chiarissimo! Tutti i nemici di
Ranma prendevano in ostaggio – prigioniero ovviamente sicuro
di un successivo e galante salvataggio da parte dell’eroe con
il codino – qualunque fidanzata che non fosse lei,
più evidente di così! Nemmeno
loro la
consideravano! A questo punto, a quando il sequestro di Kodachi?!
Ukyo si arrestò, il cuore che le pulsava a gran
velocità e le mani che tremavano.
“Ti sei sfogata?” Fece l’altro, senza
mostrare segni di scompostezza. “Bene. Ora te lo
dirò senza ulteriori giri di parole, anche perché
non sono bravo in queste cose. Lo verresti a sapere in ogni caso e, da
me o da altri, non cambia poi molto. Akane non è annegata in
quella fonte, eppure… lei non c’è
più lo stesso. È morta, durante lo scontro finale
tra Ranma e quel Safulan.” Finì d’un
fiato. “Te l’avevo già spiegato, non
è vero, chi è Sa…”
La spatola crollò a terra, coprendo la sua voce con
l’eco del rimbombo.
Strabuzzò gli occhi, come se non avesse afferrato il
concetto. Akane. Morta. Per quanto si sforzasse, non riusciva ad
associare le due parole.
Poi il cuore le suggerì un pensiero orrendo, così
Ukyo non poté fare a meno di rivolgere a Saotome,
maledicendosi mentre le parole le erano già uscite di bocca,
la pur logica domanda.
“E Ranma… come sta?”
Genma non parve sorpreso.
“Lui… non è più il ragazzo
che conosci. Non sa perdonarsi per quello che è accaduto. E
ancora non riesce ad accettare la perdita della persona
che…” Si bloccò. Troppo tardi,
pensò Ukyo: aveva inteso benissimo, in questo caso, come
già la prima volta che aveva udito queste parole. E come
allora si limitò ad annuire, mogia. Una parte di lei sapeva
forse fin dall’inizio come stavano realmente le cose.
“Ranma si sta letteralmente autodistruggendo.”
Riprese Saotome, a voce bassa. “Dal nostro ritorno, qualche
giorno fa, non ha più messo piede fuori casa. Ha smesso di
praticare le arti marziali. Praticamente non mangia, non dorme. Sta
accovacciato in un angolo e nient’altro. Un vegetale. E
Nodoka… sua madre sta morendo lei stessa dal dolore, per
Akane e perché vede suo figlio ridotto in questo
stato.”
Le lacrime riempirono gli occhi di Ukyo, senza però
scendere. L’intero piccolo mondo che conosceva era andato in
pezzi in una manciata di secondi… anzi no, perché
tutto questo era già accaduto, mentre lei, ignara, attendeva
che il
suo Ranma
venisse a trovarla per mangiare un okonomiyaki. Represse a stento un
secondo moto di nausea.
Basta! Pensò,
in preda alla sofferenza. Perché
sto rivivendo, momento per momento, tutti questi eventi?! Fa male! Non
voglio, non voglio!
Voleva arrestare quei terribili ricordi, smettere di provare quel
dolore, quei sensi di colpa, anche perché il peggio doveva
ancora arrivare. Ma questa volta era differente dalle altre, non
riusciva a svegliarsi.
Fu Saotome, invece, a scuoterla per le spalle.
“Ukyo, io ho bisogno di te.” La sua voce la
colpì come una lama al petto. “Non saprei a chi
altri rivolgermi. Sei una brava ragazza e vuoi bene a Ranma. Ora io ti
chiedo: saresti pronta a qualunque cosa per salvarlo da se
stesso?”
Tu…
“È questa la mia domanda! Rispondimi, Ukyo! Devo
saperlo!”
Tu… sei venuto qui… a chiedere il mio
aiuto?! Tu!
Avvertì vibrare ogni nervo in preda a una rabbia
irrazionale, come se qualcuno le avesse colpito con forza una ferita
rimarginatasi dopo tanto tempo e fatica.
“Avevate promesso di portarmi con voi… e
invece mi avete abbandonato come un cane!”
“Sapete che Ukyo è stata mollata dal
fidanzato?”
“Sì, sì. Lui e suo padre sono
fuggiti prendendosi solo la dote!”
“Umiliata in quel modo! Non vorrei essere nei suoi
panni!”
“Io… mi vendicherò! Fosse
l’ultima cosa che faccio!”
Ranma aveva le sue colpe, certo… ma lei l’aveva
infine perdonato.
Con Genma Saotome era un altro discorso. Lui, il vero responsabile di
una vita rovinata. E ora proprio lui le stava chiedendo…
“Sei disposta ad aiutarmi?”
Strinse la mano a pugno, dimenticandosi che era già
impegnata.
“Tutto questo non dimostra nulla, Saotome è
innocente!” Protestò. “Non sappiamo
nemmeno se fosse a conoscenza dell’identità
dell’Akane che ha rapito… forse intendeva solo
sottrarla alla pazzia di Ranma, con metodi poco ortodossi, lo ammetto,
ma…”
“Adesso basta, papà.” Gli rispose
Nabiki. “Non insultare ancora la mia intelligenza…
e la tua. I fatti parlano da soli.”
Genma si mise a ridacchiare. “Ascolta tua figlia, Tendo.
Sospettava di me da prima di questa notte, né mi aspettavo
qualcosa di diverso, dopotutto.”
Soun avvertì un groppo alla gola. Il suo più caro
amico stava forse confessando…?
“Lieta della sua stima.” Disse Nabiki.
“Ma ammetto che ho cominciato a mettere insieme gli ultimi
pezzi solo oggi stesso, verso cena. Avevo… diciamo parlato
vivacemente con Ukyo e, a un certo punto, lei mi ha rammentato che
quella di sistemarsi a casa nostra non era stata una sua iniziativa. E
guardacaso chi è che aveva avuto la brillante
idea…?”
Proseguì, con un tono più grave:
“Ammetto anche di aver sospettato a lungo della vecchia
Cologne, che qualcosa ci ha indubbiamente nascosto. Ma la mia
impressione è che lei, zietto, non sia mai stato la sua
pedina inconsapevole. Anzi, credo perfino di aver compreso le vere
intenzioni sue e di Ukyo… ma le farebbe più onore
dircele di persona, non pensa?”
Genma si alzò in piedi. “Hai calcolato proprio
tutto, signorinella. Va bene, a questo punto tanto vale che parli io.
Ma prima, qualcuno potrebbe trovarmi gli occhiali?”
In quel momento Soun sentì il dolore e il palmo della mano
sanguinargli sotto la pressione delle schegge di vetro.
Si svegliò, abbagliata, ansimante e col cuore che le pulsava
frenetico fino in gola.
Un incubo? Ma la stanchezza che provava era più simile a
quella di chi aveva corso a perdifiato i cento metri. Anche il caldo
sudore che le colava lungo le tempie e per le guance, in tanti
rigagnoli sottili, pareva deporre a favore della seconda ipotesi.
Uno di questi le inumidì l’angolo del labbro e,
per istinto, lo leccò.
Un momento… ma è tè?!
Tè tiepido?!
“Fermati, ho detto!”
Ukyo trasalì, riconoscendo la voce roca. Accennò
a dire qualcosa, ma in quel momento la vista si abituò del
tutto al fascio della torcia elettrica e si ritrovò a un
palmo di naso due lenti minacciose, che sembravano squadrarla con una
severità inaudita. Riconobbe subito anche il loro
proprietario e capì dove si trovava.
Udì il rumore della porta scorrevole che si spalancava di
scatto e, contemporaneamente, la piccola luce si spense, facendole
perdere ogni punto di riferimento.
Avvertì una stoffa pesante cadere sopra di lei, e poi due
grosse braccia che la spingevano a forza in direzione del proprio
futon, al quale si aggrappò tentoni, tastando il pavimento.
Un’altra presenza aveva fatto il proprio ingresso nella
stanza: urtò freneticamente le mani contro la parete
finché un interruttore scattò e
l’illuminazione artificiale riempì
l’ambiente.
Cosa ho combinato…?!
Ukyo si mantenne nascosta sotto la propria coperta, come se potesse
fuggire dalla realtà facendo semplicemente finta di dormire.
Espose una parte del volto solo quando sentì il mugolio
della madre di Ran-chan indicare il suo risveglio.
“Ranma… cosa è successo?”
“Vogliamo una spiegazione.” Disse Genma, che
esibiva con disinvoltura lo stesso thermos con cui poco prima doveva
averla bagnata. “Si può sapere che cosa ti salta
in mente, di svegliarci con tutto quel baccano a quest’ora
della notte?”
Ukyo si affacciò un po’ di più, per
scorgere l’aspetto sconvolto di Ran-chan.
Perché è ridotto in questo stato? Che
cosa gli ho fatto, mentre ero Akane? Non ricordo! Perché non
riesco a ricordarlo?!
“Io… io…”
“Tu cosa? Parla!”
“La stavo inseguendo… l’ho vista
entrare… Perché diamine non l’avete
fermata?!”
Si sforzò di pensare. Dunque si era fatta vedere da lui solo
per fuggire via? Come aveva potuto? E adesso cosa poteva mai fare?
Incrociò lo sguardo di Genma, il cui messaggio era
inequivocabile.
Nega! Nega tutto, perfino l’evidenza!
“Ran-chan…” Mormorò tremando.
“Chi avremmo
dovuto fermare?”
Genma aggiunse immediatamente: “Qui non è entrato nessuno.
Non lo vedi?”
Fu solo lei, tuttavia, a vedere un’ombra
insinuarsi negli occhi di Ranma. Avvertì lo sgomento, la
confusione di chi stava iniziando a dubitare della propria
sanità mentale.
No… per favore, no! Non doveva andare così! Lei
voleva solo salvarlo!
“Non saprei a chi altri rivolgermi. Sei una brava
ragazza e vuoi bene a Ranma. Ora io ti chiedo: saresti pronta a
qualunque cosa per salvarlo da se stesso?”
Già, proprio così. Genma si era rivolto a lei,
alla fidanzata
carina. Era il suo momento
di essergli vicino, questo. Fingendosi Akane, almeno il suo spirito o
fantasma, avrebbe consolato Ranma, lo avrebbe perdonato per non essere
riuscito a salvarla… e soprattutto lo avrebbe convinto a
perdonare se stesso, e a tornare a vivere. Tanto le bastava: anche se
lui non la ricambiava, la felicità di Ran-chan era la
sua… e in questo modo Ukyo avrebbe potuto dimostrare anche a
se stessa la sincerità del proprio amore.
Sincerità?! Chi voleva prendere in giro? Dove stava la
sincerità in questo ammasso di bugie e inganni,
nell’aver accettato un patto del genere,
nell’essere proprio venuta a patti con quel demone infingardo
di Saotome, con quel… con l’uomo di cui non si era
vendicata, lo specchio di se stessa, quella parte di lei propensa ai
trucchi e al compromesso: la sua cattiva
coscienza.
L’unica verità era che lei si era comportata come
una sciocca egoista, una presuntuosa senza limiti.
Basta! Basta rievocare! Fa male!
Però…
Fa tanto male!
Il suo amore non era ricambiato, non era puro e casto: ma era sincero.
“Scusami, Ukyo… mi dispiace tanto.”
Si voltò di scatto, incredula.
“Tu?!”