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Autore: Kuno84    11/06/2011    8 recensioni
Tutti conosciamo l'esito della battaglia finale contro Safulan. Ma se le cose fossero andate diversamente? Ranma avrebbe combattuto, avrebbe salvato Akane contro ogni evidenza, o più semplicemente si sarebbe lasciato soccombere alla pazzia?
Genere: Drammatico, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akane Tendo, Ranma Saotome
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Capitolo 8 
“Dietro le quinte”

  
  
La voce stridula di Konatsu la distolse dai suoi pensieri, il contenuto dei quali le svanì dalla mente come neve al sole. Fu tuttavia solo quando il suo unico cameriere le ripeté con discrezione la parola ‘cliente’ che Ukyo si decise, una buona volta, ad alzare lo sguardo dall’okonomiyaki che stava fissando come ipnotizzata. 
Non che ne valesse la pena, scoprì. Per un istante fu animata da un sentimento di speranza ma, alla vista del nuovo arrivato, inarcò le sopracciglia e strinse le mani a pugno, prima di ricadere in uno stato di confusione totale. 
Ma dove…? 
Stavolta lo smarrimento durò pochi secondi. Aveva capito. 
Dove si trovava, cosa fosse coinvolto. Chi. 
Ranma… 
Attendeva da diversi, troppi giorni il suo ritorno dalla Cina e a ogni ingresso di un cliente fantasticava che potesse trattarsi di lui. Di recente aveva preso l’abitudine, per combattere la monotonia dell’attesa, di farsi trovare preparata: dopotutto Ran-chan sarebbe arrivato digiuno e lei voleva dargli il miglior bentornato possibile, nel linguaggio con cui meglio comunicavano fin da bambini. 
Un bel trattamento. Non molto meritato, a dire il vero. 
Nemmeno l’aveva salutata, prima di partire. Ukyo aveva scoperto la novità soltanto quando si era trovata a dover constatare la prolungata assenza del ragazzo da scuola. Akane-chan le aveva brevemente illustrato i motivi del viaggio e lei, vedendo l’ultimogenita dei Tendo così tranquilla, si era rasserenata a sua volta. 
Stupida che era stata! Invece di raggiungerlo se ne era rimasta come uno stoccafisso nella propria città, nel proprio locale, e intanto quella maledetta di un’amazzone aveva attirato in Cina il suo Ranma con l’inganno e magari l'aveva drogato per bene, o peggio. Certo, Ukyo non aveva la minima idea di come trovare quel monte vattelappesca, ma arrangiarsi non avrebbe costituito una novità: per esempio avrebbe potuto seguire di nascosto Akane, quando a sua volta aveva ‘misteriosamente’ smesso di farsi vedere al Furinkan. 
Quel cuore tracciato con la salsa le trasmise un improvviso senso di nausea: sfoderò la spatola e liberò la piastra scostando l’okonomiyaki di lato, insieme agli altri. E dire che un tempo non avrebbe approvato un tale spreco di ingredienti… 
Udendo il mugolio soffocato di Konatsu, ancora meno abituato a sperperi simili, usò la prima scusa che le venne in mente per ordinare al suo assistente di spostarsi nella stanza a fianco. Anche se il Saotome venuto a trovarla era inequivocabilmente quello sbagliato, la questione che si prospettava era comunque ‘personale’. 
Una volta che il ninja fu uscito, Genma annuì come se non stesse aspettando altro. 
“Devo parlarti, Ukyo.” Si decise a fare la prima mossa. Ma lei non era ancora disposta a dargli corda. Afferrò lo straccio. Quella cosa che strisciava sul bancone era un ragnetto? 
“Se si tratta di una consumazione, è troppo tardi.” Replicò meccanicamente. “Per i clienti normali, il locale ha chiuso un’ora fa… e non farò certo un’eccezione per lei.” Dicendo ciò, con un gesto fulmineo della mano schiacciò l’intruso più piccolo. 
“No, niente del genere.” Per nulla intimorito, Genma prese con le dita i resti della creatura e li soffiò via. “E non sarei certo potuto venire prima, per ciò che ho da dirti.” 
Ukyo incrociò il suo sguardo e sussultò: il proprio interlocutore aveva un’aria insolitamente seria, quasi da funerale. 
Forse la situazione era ancora più preoccupante di come se l’immaginava: dopotutto, se era tornato il padre, lo doveva essere anche il figlio. Ma dato che Ran-chan non aveva evidentemente avvertito alcuna voglia di passare a trovarla… Peggio ancora, se fosse rimasto in Cina e avesse mandato il genitore per… Diamine, si era messo davvero con Shampoo?! O con Akane?! 
A questo punto doveva sapere. Perfino da lui. 
“Allora, avanti.” 
“Ukyo, tu certamente mi riterrai una pessima persona, uno sconsiderato.” 
Aprì la bocca, tuttavia non le andò di confermare quella dichiarazione. 
“Forse farai fatica a crederci”, proseguì Genma, avvicinando il capo con aria di segretezza, “ma ciò che sto per compiere ora… questo supera sicuramente quanto di più scellerato abbia mai commesso in vita mia. Eppure, dopo che avrò finito di spiegare, ti porrò lo stesso la mia domanda…” 
Ukyo deglutì. Si sporse leggermente e solo allora notò l’ingombrante bisaccia che l’altro aveva portato con sé e posato a terra. 
  
  
“Cominciamo dall’inizio. Le va?” Propose, con il fare di chi è abituato a ricevere pronte risposte alle proprie domande. D’altronde, l’intenzione era quella. 
Lo zio Genma era tornato umano da diversi minuti, ma ancora non aveva proferito parola. Né gli altri sembravano tanto smaniosi di interrogarlo, forse ancora troppo sconvolti dal ‘ritorno’ di Akane, che li aveva ingannati per una manciata abbondante di secondi. Papà paradossalmente non piangeva, e alcune lacrime erano invece sul punto di uscire dagli occhi lucidi di un ninja troppo sensibile. Nabiki sapeva che Ranma avrebbe potuto approfittare della distrazione di Konatsu in qualsiasi momento per sfuggire al suo controllo, ma aveva anche notato che a sua volta il fuggiasco, dal momento esatto in cui aveva assistito alla trasformazione di ‘Akane’ in Ucchan, non aveva più provato a divincolarsi. 
Le donne della famiglia sembravano in qualche modo più… vicine alla realtà, eppure l’attenzione sia di Kasumi che della signora Nodoka era sviata dalle condizioni del dottore, che a sua volta rifiutava di pensare a se stesso ed era tutto preso a controllare che Ukyo, ancora addormentata, stesse bene. Anche loro stavano chiaramente aggirando la questione principale. 
Scosse il capo. Come al solito, era l’unica con la testa sulle spalle. E avrebbe fatto luce, a qualunque costo. 
“Signor Saotome”, gli disse con falsa enfasi, “a giudicare dalla pelliccia che la ricopriva fino a pochi secondi fa pare che, dopotutto, tornare normale non fosse proprio il primo dei suoi pensieri. Dunque, perché? Come mai tanta premura di farsi portare qui in Giappone l’acqua maledetta? Ce lo vuole dire… o devo farlo io per lei?” 
Genma Saotome alzò una mano nel gesto meccanico di sistemarsi gli occhiali che non portava più. 
“Non conta il motivo.” Disse, con fare insolente. “Ormai non conta più nulla.” 
“Non può essere!” Gridò papà, scoppiando come un fiume in piena. “Saotome, vecchio mio, tu devi essere estraneo a questa vicenda! Non puoi aver fatto questo a tuo figlio, a tutti quanti, aver messo in atto una messinscena simile! Ma certo! Sicuramente ti hanno ricattato, o suggestionato! Si tratta di Cologne, non è vero?! Quella vecchia megera non me la diceva giusta, ha usato te e Ukyo per… non lo so cosa, ma è uno dei suoi loschi piani, no?! Dillo, Saotome! Dimmi che è così!” 
Il chiamato in causa lo guardò con un’espressione bonaria, ma non gli rispose. 
Papà, sempre più agitato, rivolse allora la sua attenzione proprio verso di lei. 
“Nabiki… sei tu che hai scoperto la verità! Racconta come sono andate veramente le cose! Che Saotome non c’entra nulla!” 
Inspirò con calma. Fissò un punto indefinito di spazio, per evitare quello sguardo così implorante che per qualche motivo la stava rendendo nervosa. 
Avrebbe potuto confortare le sue speranze, convincerlo che il suo miglior amico non lo avesse tradito così spudoratamente. 
Ripensò a diversi giorni prima. Mousse doveva aver rimuginato molto, accumulato una gran quantità di frustrazione, negli ultimi tempi: aveva risposto alle sue domande quasi sfogandosi, le aveva raccontato davvero tante cose, di quel viaggio in Cina, fin nei minimi particolari. 
Perfino di certe… uova, proprio così, uova dalle proprietà peculiari: di come la povera Shampoo ne fosse caduta vittima e di come la volontà di Genma Saotome fosse stata a sua volta assoggettata a quella dell’amazzone… che chiaramente non aveva alcuna responsabilità delle sue azioni, poverina, la colpa era di Safulan, Kima e quel dannato popolo di uccelli. Che comunque lui era riuscito a liberare l’amata dal controllo mentale, rinunciando ad approfittarne per conquistare il suo cuore, anteponendo la felicità di Shampoo alla propria, mostrandole così la nobiltà del proprio animo. Come?... Ah, sì, gli pareva che anche Genma fosse poi stato disipnotizzato, una volta conclusa la battaglia finale. Ma sinceramente non ci aveva fatto molto caso e non avrebbe potuto giurarlo. 
Già, a papà avrebbe fatto piacere ascoltare questa storia. 
“Come sono andate le cose?” Ripeté. “Eppure lo dovresti sapere. Lo dovreste sapere tutti. Prima di far ritorno in Giappone, il signor Saotome si è offerto di parlare alla guida di Jusenkyo e chiedere le acque che avrebbero annullato la maledizione sua e di Ranma… tra le altre.” 
Il volto di Soun sembrò illuminarsi. “Vuoi dire…” 
“Che la guida ha spedito, e curiosamente non a casa nostra bensì all’indirizzo del ristorante Nekohanten, ben tre fiasche di acqua di Jusenkyo.” Nabiki puntualizzò con le dita. “La prima conteneva la Nannichuan, dalla sorgente dell’uomo annegato. La seconda la Niannichuan, dalla sorgente della ragazza annegata. E la terza, come avrete tutti capito…” 
  
  
Akanenichuan?” Ripeté Ukyo, perplessa come la prima volta che aveva vissuto quegli eventi. 
La storia che le aveva raccontato l’interlocutore, dopo aver estratto dalla bisaccia la fiasca che aveva chiamato con questo nome, era abbastanza confusa e non poteva dire di averci capito molto, nemmeno stavolta. 
Giusto. Perché questa spiegazione io l’avevo già… 
Le erano rimasti impressi solo i tratti essenziali, tra l’altro i più ostici a cui una persona normale, che non avesse visto certe cose con i propri occhi, avrebbe potuto credere. Akane rapita a sua volta, portata contro la sua volontà in Cina da… uno stormo di uccelli? Soprattutto, Akane fatta immergere in una delle fonti di Jusenkyo. Se si riuscivano ad accettare le due cose, l’affermazione conseguente di Genma era verosimile, perfino naturale. 
Una nuova sorgente magica. La sorgente di… Akane annegata? 
“Non occorre annegarvi, la guida non parla molto bene il giapponese e per tutto questo tempo ha usato un termine improprio. Comunque… anche se non le hai mai potute vedere di persona, ormai ti sarai fatta un’idea delle fonti del campo d’addestramento leggendario di Zhou Chuan Xiang. Le sorgenti hanno la proprietà di memorizzare l’aspetto della prima persona che vi cade, e di duplicarlo a danno di coloro che hanno successivamente la sventura di bagnarsi con l’acqua maledetta.” 
“Ovvio che lo so.” Lo interruppe. Tutto ciò lo aveva sperimentato infinite volte sulla sua pelle, anzi quella di Ran-chan, letteralmente. “Ciò che non capisco è cosa c’entri questa storia con me!” 
Oh, ma sapeva anche questo! Perché ricordare di nuovo ogni cosa?! Ukyo provò a scuotersi, doveva smetterla di rimuginare. E invece, contro la sua volontà, si alzò in piedi e superò il confine del bancone che la divideva da quel dannato. Di nuovo preda dei suoi sentimenti di allora, dovette fare appello a tutta la propria buona volontà per resistere alla tentazione di cacciarlo via seduta stante. 
A cosa serviva questo discorso? Anche Akane era stata rapita, gli gridò in faccia, era chiaro, chiarissimo! Tutti i nemici di Ranma prendevano in ostaggio – prigioniero ovviamente sicuro di un successivo e galante salvataggio da parte dell’eroe con il codino – qualunque fidanzata che non fosse lei, più evidente di così! Nemmeno loro la consideravano! A questo punto, a quando il sequestro di Kodachi?! 
Ukyo si arrestò, il cuore che le pulsava a gran velocità e le mani che tremavano. 
“Ti sei sfogata?” Fece l’altro, senza mostrare segni di scompostezza. “Bene. Ora te lo dirò senza ulteriori giri di parole, anche perché non sono bravo in queste cose. Lo verresti a sapere in ogni caso e, da me o da altri, non cambia poi molto. Akane non è annegata in quella fonte, eppure… lei non c’è più lo stesso. È morta, durante lo scontro finale tra Ranma e quel Safulan.” Finì d’un fiato. “Te l’avevo già spiegato, non è vero, chi è Sa…” 
La spatola crollò a terra, coprendo la sua voce con l’eco del rimbombo. 
Strabuzzò gli occhi, come se non avesse afferrato il concetto. Akane. Morta. Per quanto si sforzasse, non riusciva ad associare le due parole. 
Poi il cuore le suggerì un pensiero orrendo, così Ukyo non poté fare a meno di rivolgere a Saotome, maledicendosi mentre le parole le erano già uscite di bocca, la pur logica domanda. 
“E Ranma… come sta?” 
Genma non parve sorpreso. 
“Lui… non è più il ragazzo che conosci. Non sa perdonarsi per quello che è accaduto. E ancora non riesce ad accettare la perdita della persona che…” Si bloccò. Troppo tardi, pensò Ukyo: aveva inteso benissimo, in questo caso, come già la prima volta che aveva udito queste parole. E come allora si limitò ad annuire, mogia. Una parte di lei sapeva forse fin dall’inizio come stavano realmente le cose. 
“Ranma si sta letteralmente autodistruggendo.” Riprese Saotome, a voce bassa. “Dal nostro ritorno, qualche giorno fa, non ha più messo piede fuori casa. Ha smesso di praticare le arti marziali. Praticamente non mangia, non dorme. Sta accovacciato in un angolo e nient’altro. Un vegetale. E Nodoka… sua madre sta morendo lei stessa dal dolore, per Akane e perché vede suo figlio ridotto in questo stato.” 
Le lacrime riempirono gli occhi di Ukyo, senza però scendere. L’intero piccolo mondo che conosceva era andato in pezzi in una manciata di secondi… anzi no, perché tutto questo era già accaduto, mentre lei, ignara, attendeva che il suo Ranma venisse a trovarla per mangiare un okonomiyaki. Represse a stento un secondo moto di nausea. 
Basta! Pensò, in preda alla sofferenza. Perché sto rivivendo, momento per momento, tutti questi eventi?! Fa male! Non voglio, non voglio! 
Voleva arrestare quei terribili ricordi, smettere di provare quel dolore, quei sensi di colpa, anche perché il peggio doveva ancora arrivare. Ma questa volta era differente dalle altre, non riusciva a svegliarsi. 
Fu Saotome, invece, a scuoterla per le spalle. 
“Ukyo, io ho bisogno di te.” La sua voce la colpì come una lama al petto. “Non saprei a chi altri rivolgermi. Sei una brava ragazza e vuoi bene a Ranma. Ora io ti chiedo: saresti pronta a qualunque cosa per salvarlo da se stesso?” 
Tu… 
“È questa la mia domanda! Rispondimi, Ukyo! Devo saperlo!” 
Tu… sei venuto qui… a chiedere il mio aiuto?! Tu! 
Avvertì vibrare ogni nervo in preda a una rabbia irrazionale, come se qualcuno le avesse colpito con forza una ferita rimarginatasi dopo tanto tempo e fatica. 
“Avevate promesso di portarmi con voi… e invece mi avete abbandonato come un cane!” 
“Sapete che Ukyo è stata mollata dal fidanzato?” 
“Sì, sì. Lui e suo padre sono fuggiti prendendosi solo la dote!” 
“Umiliata in quel modo! Non vorrei essere nei suoi panni!” 
“Io… mi vendicherò! Fosse l’ultima cosa che faccio!” 
Ranma aveva le sue colpe, certo… ma lei l’aveva infine perdonato. 
Con Genma Saotome era un altro discorso. Lui, il vero responsabile di una vita rovinata. E ora proprio lui le stava chiedendo… 
“Sei disposta ad aiutarmi?” 
  
  
Strinse la mano a pugno, dimenticandosi che era già impegnata. 
“Tutto questo non dimostra nulla, Saotome è innocente!” Protestò. “Non sappiamo nemmeno se fosse a conoscenza dell’identità dell’Akane che ha rapito… forse intendeva solo sottrarla alla pazzia di Ranma, con metodi poco ortodossi, lo ammetto, ma…” 
“Adesso basta, papà.” Gli rispose Nabiki. “Non insultare ancora la mia intelligenza… e la tua. I fatti parlano da soli.” 
Genma si mise a ridacchiare. “Ascolta tua figlia, Tendo. Sospettava di me da prima di questa notte, né mi aspettavo qualcosa di diverso, dopotutto.” 
Soun avvertì un groppo alla gola. Il suo più caro amico stava forse confessando…? 
“Lieta della sua stima.” Disse Nabiki. “Ma ammetto che ho cominciato a mettere insieme gli ultimi pezzi solo oggi stesso, verso cena. Avevo… diciamo parlato vivacemente con Ukyo e, a un certo punto, lei mi ha rammentato che quella di sistemarsi a casa nostra non era stata una sua iniziativa. E guardacaso chi è che aveva avuto la brillante idea…?” 
Proseguì, con un tono più grave: “Ammetto anche di aver sospettato a lungo della vecchia Cologne, che qualcosa ci ha indubbiamente nascosto. Ma la mia impressione è che lei, zietto, non sia mai stato la sua pedina inconsapevole. Anzi, credo perfino di aver compreso le vere intenzioni sue e di Ukyo… ma le farebbe più onore dircele di persona, non pensa?” 
Genma si alzò in piedi. “Hai calcolato proprio tutto, signorinella. Va bene, a questo punto tanto vale che parli io. Ma prima, qualcuno potrebbe trovarmi gli occhiali?” 
In quel momento Soun sentì il dolore e il palmo della mano sanguinargli sotto la pressione delle schegge di vetro. 
  
  
Si svegliò, abbagliata, ansimante e col cuore che le pulsava frenetico fino in gola. 
Un incubo? Ma la stanchezza che provava era più simile a quella di chi aveva corso a perdifiato i cento metri. Anche il caldo sudore che le colava lungo le tempie e per le guance, in tanti rigagnoli sottili, pareva deporre a favore della seconda ipotesi. 
Uno di questi le inumidì l’angolo del labbro e, per istinto, lo leccò. 
Un momento… ma è tè?! Tè tiepido?! 
“Fermati, ho detto!” 
Ukyo trasalì, riconoscendo la voce roca. Accennò a dire qualcosa, ma in quel momento la vista si abituò del tutto al fascio della torcia elettrica e si ritrovò a un palmo di naso due lenti minacciose, che sembravano squadrarla con una severità inaudita. Riconobbe subito anche il loro proprietario e capì dove si trovava. 
Udì il rumore della porta scorrevole che si spalancava di scatto e, contemporaneamente, la piccola luce si spense, facendole perdere ogni punto di riferimento. 
Avvertì una stoffa pesante cadere sopra di lei, e poi due grosse braccia che la spingevano a forza in direzione del proprio futon, al quale si aggrappò tentoni, tastando il pavimento. 
Un’altra presenza aveva fatto il proprio ingresso nella stanza: urtò freneticamente le mani contro la parete finché un interruttore scattò e l’illuminazione artificiale riempì l’ambiente. 
Cosa ho combinato…?! 
Ukyo si mantenne nascosta sotto la propria coperta, come se potesse fuggire dalla realtà facendo semplicemente finta di dormire. Espose una parte del volto solo quando sentì il mugolio della madre di Ran-chan indicare il suo risveglio. 
“Ranma… cosa è successo?” 
“Vogliamo una spiegazione.” Disse Genma, che esibiva con disinvoltura lo stesso thermos con cui poco prima doveva averla bagnata. “Si può sapere che cosa ti salta in mente, di svegliarci con tutto quel baccano a quest’ora della notte?” 
Ukyo si affacciò un po’ di più, per scorgere l’aspetto sconvolto di Ran-chan. 
Perché è ridotto in questo stato? Che cosa gli ho fatto, mentre ero Akane? Non ricordo! Perché non riesco a ricordarlo?! 
“Io… io…” 
“Tu cosa? Parla!” 
“La stavo inseguendo… l’ho vista entrare… Perché diamine non l’avete fermata?!” 
Si sforzò di pensare. Dunque si era fatta vedere da lui solo per fuggire via? Come aveva potuto? E adesso cosa poteva mai fare? Incrociò lo sguardo di Genma, il cui messaggio era inequivocabile. 
Nega! Nega tutto, perfino l’evidenza! 
“Ran-chan…” Mormorò tremando. “Chi avremmo dovuto fermare?” 
Genma aggiunse immediatamente: “Qui non è entrato nessuno. Non lo vedi?” 
Fu solo lei, tuttavia, a vedere un’ombra insinuarsi negli occhi di Ranma. Avvertì lo sgomento, la confusione di chi stava iniziando a dubitare della propria sanità mentale. 
No… per favore, no! Non doveva andare così! Lei voleva solo salvarlo! 
“Non saprei a chi altri rivolgermi. Sei una brava ragazza e vuoi bene a Ranma. Ora io ti chiedo: saresti pronta a qualunque cosa per salvarlo da se stesso?” 
Già, proprio così. Genma si era rivolto a lei, alla fidanzata carina. Era il suo momento di essergli vicino, questo. Fingendosi Akane, almeno il suo spirito o fantasma, avrebbe consolato Ranma, lo avrebbe perdonato per non essere riuscito a salvarla… e soprattutto lo avrebbe convinto a perdonare se stesso, e a tornare a vivere. Tanto le bastava: anche se lui non la ricambiava, la felicità di Ran-chan era la sua… e in questo modo Ukyo avrebbe potuto dimostrare anche a se stessa la sincerità del proprio amore. 
Sincerità?! Chi voleva prendere in giro? Dove stava la sincerità in questo ammasso di bugie e inganni, nell’aver accettato un patto del genere, nell’essere proprio venuta a patti con quel demone infingardo di Saotome, con quel… con l’uomo di cui non si era vendicata, lo specchio di se stessa, quella parte di lei propensa ai trucchi e al compromesso: la sua cattiva coscienza. 
L’unica verità era che lei si era comportata come una sciocca egoista, una presuntuosa senza limiti. 
Basta! Basta rievocare! Fa male! 
Però… 
Fa tanto male! 
Il suo amore non era ricambiato, non era puro e casto: ma era sincero. 
“Scusami, Ukyo… mi dispiace tanto.” 
Si voltò di scatto, incredula. 
“Tu?!” 

   
 
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