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Autore: Aine Walsh    11/06/2011    2 recensioni
Salisbury non era mai stato un paese molto conosciuto e abitato e, data anche la sua posizione e la gente che vi viveva, era caduto al rango di “provincia di campagna” i cui abitanti erano solo “dei sempliciotti rozzi e ingenui”.
[...]
Si potrebbe pensare che la gente del posto fosse davvero ingenua a condurre una vita così semplice e spensierata mentre il resto del mondo era impegnato in guerre e lotte per il potere che includevano anche la Chiesa e mentre si era indaffarati a praticare gli inizi della terrificante “caccia alle streghe”.
Insomma, Salisbury era un paesino tranquillo che gravitava intorno alla sua orbita, equilibrato.
Equilibrio che fu ben presto sconvolto da una morte improvvisa.
* * *
Prima Classificata al Contest "A Spasso nel Tempo" di Forah.
Genere: Introspettivo, Mistero, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Medioevo
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Nome Autore:Alan_McStarlenson
Titolo: La Confessione
Genere: Introspettivo, Mistero, Storico
Rating: Verde
Avvertimenti: One Shot
NdA: Mmm… Che dire? Forse non sarà tutta questa gran storia… Io spero solamente che il carattere che volevo avesse Lia sia venuto fuori leggendo (qualora, alla fine, avessi ancora dubbi, sei assolutamente liberissima di chiedere, sia chiaro!).
Introduzione/Presentazione della storia: Questa shot è ambientata del 1287 a Salisbury, un paese tranquillo che non veniva scosso dagli altri problemi che gravavano sull’Europa occidentale in quei tempi. Ma poi, all’improvviso…
 
 

La confessione

 
Salisbury, 1287
 
Sgomento.
Paura.
Incredulità.
 
Questo era il clima che si respirava nella cittadina inglese.
 
Salisbury non era mai stato un paese molto conosciuto e abitato e, data anche la sua posizione e la gente che vi viveva, era caduto al rango di “provincia di campagna” i cui abitanti erano solo “dei sempliciotti rozzi e ingenui”.
Ovviamente, non aveva nulla a che fare con la grande, imponente e civilizzatissima Londra.
A Salisbury la gente era tranquilla e viveva di cose semplici.
I bambini giocavano ancora in strada liberi, senza preoccupazioni, mentre la madri si riunivano in piccoli gruppi e parlottavano tra loro o con gli anziani che restavano fuori a godere quel poco della temperatura mite che restava ancora. E la sera, quando arrivavano i padri stanchi dal duro lavoro, si cenava e si andava a letto, e via, un’altra giornata stava per avere inizio.
Si potrebbe pensare che la gente del posto fosse davvero ingenua a condurre una vita così semplice e spensierata mentre il resto del mondo era impegnato in guerre e lotte per il potere che includevano anche la Chiesa e mentre si era indaffarati a praticare gli inizi della terrificante “caccia alle streghe”.
 
Insomma, Salisbury era un paesino tranquillo che gravitava intorno alla sua orbita, equilibrato.
 
Equilibrio che fu ben presto sconvolto da una morte improvvisa.
 

* * *

 
Era notte fonda, e fuori imperversava una forte tempesta.
Un forestiero, un certo Eugene Rider, nel disperato tentativo di scampare alla pioggia, trovò la Cattedrale e, senza esitare un solo attimo, vi entrò, convinto del fatto che quella fosse sempre una Chiesa e che solo lì lo avrebbero ospitato e aiutato.
C'era un freddo gelido all'interno, un freddo così gelido da far battere improvvisamente i denti ad Eugene, che si avvolse maggiormente nel lungo e vecchio mantello nero che indossava.
Le luci erano molto soffuse, quasi non si vedeva nulla, e le poche candele che erano accese non riuscivano a illuminare nemmeno un quarto dell'enorme Cattedrale gotica.
Mentre si avvicinava al presbiterio, l'uomo iniziò piano a chiamare qualcuno, qualcuno che potesse dargli un aiuto.
Ma nessuno rispondeva.
Sulla Cattedrale aleggiavano il freddo intenso, il buio opprimente e un insopportabile quanto irreale e preoccupante silenzio.
Eugene continuava a procedere a passo adesso più lento e timoroso nel grande ambiente.
Per un istante, gli passò per la mente l'idea di accovacciarsi su una delle tante panche di legno e di trascorrere lì le poche ore che lo separavano dal giorno.
Quand'ecco che un improvviso e inaspettato lampo perforò con la sua luce una finestra e illuminò per un secondo l'altare.
Doveva esserci qualcosa, o qualcuno, là.
Eugene prese una candela dalla navata sinistra e si avviò verso quel punto.
Più si avvicinava, più notava che quella figura sembrava proprio essere quella di un uomo.
Ma perché, allora, non aveva risposto alle sue chiamate? Che si fosse sentito male?
 
Rider non riuscì a trattenere un grido mentre la candela gli cadeva di mano sul gelido pavimento di marmo.
 
Per terra, accanto all'uomo disteso, c'era una vasta pozza di sangue.
Osservando più attentamente, era possibile notare nella schiena della vittima tre segni di pugnalate.
Ma Eugene non se ne accorse, era troppo sgomento e impaurito per pensare ad altro.
 
La vittima era Padre More.
 
Era il 30 Settembre.
 

* * *

 
Ovviamente, dopo quel giorno, nulla fu più lo stesso.
 
I bambini non ebbero più il permesso di giocare in strada e le donne non uscivano più a far comizio, così come pure gli anziani, che preferirono rintanarsi nelle loro case piuttosto che al sole.
Tutti presero come scusa l’arrivo del freddo, che, stranamente, tardava ad arrivare quell’anno.
 
Chi poteva aver ucciso Padre More?
 
Molti additavano la colpa di un tale delitto all'innocente Rider.
Si diceva che fosse un uomo malvagio, posseduto dal demonio e che avesse già chissà quanti altri delitti alle spalle.
Altri sostenevano l'innocenza di Rider, reputando che lui fosse solo l'uomo sbagliato al momento sbagliato. Che motivo poteva portare un viandante in cerca d'aiuto ad uccidere un parroco a lui sconosciuto? Andando a controllare, le offerte c'erano ancora tutte.
 
Tante erano le voci che circolavano a Salisbury, che riguardassero o meno i demoni o Eugene Rider.
 
Chi poteva uccidere un uomo come Padre More?
 
La vittima, a detta di tutti, era una persona a modo, gentile, simpatica e piena di spirito religioso, di una dolcezza infinita, poi.
Figurarsi che aveva anche accolto presso di sé, nella casetta in cui viveva prima, Lia, una giovane ragazza impaurita figlia di un'italiana e di chissà chi altro. Una ragazza rimasta orfana quando aveva ancora solo sei anni e che Padre More, spinto da una grandissima compassione tipica del suo carattere, aveva scelto di tenere presso sé, senza mai chiederle nulla in cambio, crescendola come fosse la figlia che non aveva mai avuto.
 
Chi aveva ucciso Padre More?
 

* * *

 
I giorni passavano.
Settembre cedette il posto ad Ottobre, che a sua volta lo cedette a Novembre, con il suo freddo e le sue piogge.
E con ancora il mistero sulla morte di Padre More.
 
Era pomeriggio inoltrato, quasi il crepuscolo, quando il portone d’ingresso della stessa Cattedrale in cui il frate fu trovato morto si aprì e Lia vi entrò con passi lenti ma decisi.
 
Da quando il suo tutore, o padre adottivo come dir si voglia, non c’era più, la giovane ragazza si era ancora più chiusa in sé stessa, parlando e uscendo di casa ancora meno di quando non facesse prima. Il che era un peccato perché, data la sua bellezza, avrebbe facilmente potuto trovare un marito.
Forse è proprio a causa di questo suo fascino, così semplice eppure così straordinario, che le ragazze della zona presero a dire su di lei false cattiverie.
Ma Lia non si preoccupò mai di dar conto a queste chiacchiere insensate che la riguardavano.
Non aveva a disposizione nemmeno il tempo di pensare a cosa poter rispondere.
Era presa da altro.
Qualcosa che nessuno sapeva, qualcosa che però la turbava profondamente; ne portava i segni sul visino candido.
Ed era qualcosa che non poteva tenere dentro di sé, non per sempre, almeno.
Doveva parlarne con qualcuno, con una persona abbastanza fidata che non sarebbe mai andata a raccontare niente in giro, tranne se glielo avesse chiesto lei.
Sarebbero bastate poche, semplici parole e l’enorme masso che portava sul suo petto da poco più di un mese sarebbe sparito, come se non ci fosse mai stato nulla.
 
Fu questa la motivazione che la condusse in Chiesa, quel giorno.
Era una brava cristiana, andava sempre a messa e metteva sempre qualcosa da parte per le offerte destinate a chi era meno fortunato di lei.
 
Ma oltre la domenica, non vi metteva mai piede.
 
Aveva bisogno di Padre McKenzie.
Lui poteva aiutarla, capirla, consigliarla.
 
La testa del piccolo frate sbucava da dietro la panca sulla quale era seduto.
Aveva lo sguardo fisso davanti a sé, ma non vedeva nulla.
Stava pregando.
Lia decise di aspettare e di non disturbarlo, ma il frate aveva già sentito il pesante rumore del portone che si chiudeva dietro di lui, motivo per cui si affrettò a concludere la preghiera e si girò nella direzione della ragazza.
 
«Lia, sei tu» disse il frate. Nonostante fosse parecchio stranito a causa di quella così inaspettata visita, il suo tono di voce uscì neutrale, come fosse ormai un’abitudine quella di mascherare i propri sentimenti davanti al resto del mondo. «Posso fare qualcosa per te, cara?».
«Padre, io…», la ragazza esitò per un attimo, le lacrime agli occhi, «Ho bisogno di confessarmi, Padre».
«Certamente» sussurrò appena l’anziano, alzandosi lentamente.
Anche quella frase lo stupì.
Quell’esitazione nel dirlo, il lieve tremore nella voce, ma anche la visita inaspettata…
Il Padre scosse la testa, come per eliminare quei dubbi e quelle domande dalla sua mente. Del resto, lui era un parroco, non poteva avere pregiudizi di nessun tipo.
Che male c’era nell’atto? Nessuno.
Lia era una ragazza venuta per confessarsi. Una cosa normale.
 
Pochi minuti dopo la confessione ebbe inizio.
 
«Allora, Lia, cos’hai fatto?».
«Ho… Peccato, Padre» mormorò a stento quella. Aveva iniziato a piangere. «Sono una persona orribile, Padre, tremenda. Nemmeno l’Altissimo potrà avere pietà di me…».
«Oh, suvvia, ragazza – la interruppe l’uomo – Non essere così dura con te stessa. Dimmi, piuttosto, quale sarebbe questo grave e tremendo peccato e vedrai che starai meglio».
 
Ci fu una pausa interrotta solo da qualche singhiozzo che riusciva ad uscire fuori dalle labbra della ragazza.
 
Dopo il piccolo e quasi muto sfogo, Lia alzò il capo e con voce più fredda disse: «So chi ha ucciso Padre More».
 
Al vecchio McKenzie il sangue sembrò gelarsi nelle vene.
Finalmente qualcuno sapeva qualcosa del misterioso delitto.
Non esitò a spronare la ragazza a parlare, abbandonando quel suo tono gentile e piatto, troppo piatto, forse, per far spazio ad un tono rigido.
«Chi è stato?».
La sua voce tremò appena, proprio come quella di Lia quando aveva detto di volersi confessare.
 
Sì, Lia, la giovane donna che prima esitava, piangeva e singhiozzava in silenzio, la ragazza che si nascondeva da tutto e tutti, travagliata da chissà quali gravi problemi.
La stessa Lia che adesso reclinava la testa all’indietro ridendo forte, come nessuno l’aveva mai vista fare prima di allora.
McKenzie si chiese il perché di quella strana risata.
Era del tutto anormale. C’era qualcosa nel suono di quel riso quasi divertito di cupo, tetro, qualcosa che indusse sicuramente il frate a ripescare i pensieri di poco prima.
 
«Oh, Padre, l’ho sempre adorata per questa sua capacità di andare al centro della questione, sa? Non è male evitare i giri di parole. Ma stavolta, mi lasci spendere due parole in favore dell’assassino. Lei come si sentirebbe se fosse oggetto di abuso? Se lo fosse stato per dieci anni o anche più?».
Senza nemmeno riflettere, per istinto si potrebbe dire, magari perché scosso violentemente da quella domanda, il frate esclamò subito: «Come?!».
«Ha capito bene. Per spingere qualcuno ad uccidere un prete deve esserci un forte movente alle spalle, non crede? E non pensa che l’abuso sia un atto deplorevole? Specie su una bambina di sei anni?».
Lia aveva ricominciato a piangere silenziosamente.
 
Seguì un’altra pausa ancora.
 
«Mi stai dicendo che…»
«Padre More ha abusato di me per dodici anni! – tuonò la ragazza in preda ad un’altra crisi di pianto – Per questo ho deciso di porre fine alla sua sporca e schifosa vita», sussurrò infine.
 
Vuoto. Ecco cosa provava principalmente Charles McKenzie in quel momento.
Com’era possibile?
Come poteva essere accaduto tutto questo?
Se Lia non si fosse macchiata le mani con il lurido sangue di More, questo avrebbe continuato nella sua attività.
 
La mente del prete era attraversata da una miriade di emozioni, sensazioni, ricordi, fatti o frasi, qualsiasi cosa potesse essergli utile nel ricostruire gli atteggiamenti e la vita di quello che credeva essere una brava persona, un suo amico.
 
E restarono lì.
Muti, con il buio tutto intorno a loro per chissà quanto tempo.
 
«Padre – riprese Lia nel suo tono più dolce – Ho bisogno che lei mi assolva».
 
L’anziano la fissò dritto negli occhi.
In quell’istante gli parve di capire tutto.
Riuscì a percepire anche lo strano comportamento che la ragazza aveva avuto nell’ultima ora.
Tutta quell’alternanza di forti crisi di pianto che lasciavano spesso e facilmente il posto a risate divertite… Ma non credeva affatto che il demonio c’entrasse qualcosa.
Non poteva che avere compassione per lei.
 
Improvvisamente gli tornò nei pensieri la figura di Eugene Rider.
Quell’uomo rischiava la condanna a morte un giorno sì e l’altro pure.
 
«Che cosa farai ora?» domandò il parroco asciugandosi con un fazzoletto la fronte imperlata di sudore.
«Vuole sapere se andrò via? Sì, è questa la mia intenzione. Ho troppi brutti ricordi qui. Inoltre, non voglio essere condannata come strega e patire la morte sul rogo, non credo che riuscirei a tollerare anche questo».
«Ricorda solo che tu sei l’unica persona a conoscere la verità, Lia. Fuori c’è un uomo che…».
«No, Padre. Anche lei adesso sa come si sono svolti i fatti. Sarà lei a scagionare Rider per conto mio – rispose la ragazza con tono piatto – Ma ora, la prego…».
 
Altro sguardo, altro silenzio.
Il suono di un «Io ti assolvo» che si sentiva appena.
Lia sorrise raggiante e, senza dire una parola in più, uscì dalla Cattedrale.
Il vecchio Charles la guardò allontanarsi, conscio del fatto che non l’avrebbe più rivista.
 

* * *

 
Dopo la scarcerazione di Eugene, tutto il paese seppe la verità sul delitto.
E le malelingue ripresero la loro opera.
 
Lia era sparita, si era dissolta nel nulla.
Dal nulla veniva e al nulla ritornava.
 
Qualsiasi cosa la ragazza avesse deciso di fare, in cuor suo, Padre McKenzie sapeva che aveva finalmente trovato la pace che aveva da sempre desiderato.


We Are The Champions, My Frieeeend... Tà Tà Tàààn
(--> ovvero, come dare un nome diverso all'Angolo Autrice)

Già, prima classificata.
Nemmeno io me lo sarei mai aspettato, sinceramente.

Per chiunque avesse voglia di leggere il bando, eccolo qui.
Che dire, un enorme ringraziamento va certamente a Forah, grazie ancora :D

E per chi volesse (curiosi, eh? xD), lascio il punteggio ed il commento qui di seguito.
Per quanto riguarda il verbo mancante, l'ho corretto, quindi adesso dovrebbe essere a posto.
E per ciò che concerne il Voi... Posso semplicemente dire di non averci pensato...

Ringrazio tutti coloro che hanno aperto questa pagina ;D
Alla prossima

Alan


Grammatica e Sintassi: 19,5 punti
Mi dispiace, ma non posso darti il punteggio pieno perchè la storia non era del tutto perfetta. Alcune frasi suonavano male e in una hai mancato un verbo.
Originalità: 10 punti
Un bel giallo, molto intenso e mi ha preso subito. Ero curiosa di scoprire chi fosse l’assassino, e non avrei mai detto che fossa stata Lia. Non so perchè. Quindi, complimenti!
Caratterizzazione dei personaggi: 10 punti
Ottimo. La frustrazione e l’umiltà di Lia erano ben visibili, come lo sconcerto ma il carattere dolce e buono di Padre McKenzie.
Attinenza al periodo storico: 9 punti
In quel periodo storico si dava generalmente del Voi, quindi non ho potuto darti il punteggio pieno. Per il resto è ok, soprattutto i riferimenti alla caccia alle streghe
Sviluppo della trama: 10 punti
Come ho detto prima, perfetto il senso di suspance e lo svolgimento della storia.
Gradimento personale: 9 punti
È una bella storia, molto intensa, e mi è piaciuto molto la prima parte e il personaggio di Eugene Rider. Il modo in cui l’hai fatto diventare parte della storia e l’influenza che lui ha avuto sul racconto.
Per un totale di 67,5 punti
  
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