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Autore: NiNieL82    13/06/2011    3 recensioni
'Da un po' di tempo la ragazza dell'ultimo banco era strana. Anche se parlare di stranezza quando si trattava di lei era una cosa ordinaria. Lei era sempre strana. Lei era sempre silenziosa e assente.'
Gli alunni della sezione D della terza del Liceo Classico Galilei hanno già la testa impegnata a programmare le vacanze natalizie, ignari che la ragazza silenziosa, quella dell'ultimo banco con cui nessuno ha mai osato parlare, nasconda dentro di se un terribile segreto che presto la porterà ad un bivio che la costringerà a prendere una decisione importante che le cambierà la vita, facendole perdere quello che ha di più caro. Matteo Zanin frequenta la classe da solo da tre mesi. Lui il nuovo arrivato, non è spaventato dalla ragazza misteriosa, sua vicina di banco, anzi ne è affiscinato al punto che comincia ad osservarla di nascosto, capendo quello che è il problema della giovane leggendo le frasi che lei incide nel suo banco. Così, dopo mesi di silenzi, in un'uggiusa mattina di Dicembre, prende coraggio e parla con lei, deciso ad aiutarla. Non sa che con quel gesto inaspettato cambierà la vita di entrambi per sempre.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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LA RAGAZZA DELL'ULTIMO BANCO.


Capitolo 1

L'importanza di non essere.


Il cielo plumbeo prometteva neve.

Fu quella la prima cosa che Matteo vide alzandosi dal suo letto, dopo che sua madre poco delicatamente era entrata in camera per sollevare l'avvolgibile e farlo svegliare con il solito e monotono monito:

Alzati! O farai tardi a scuola!”

Ci volle qualche canonico secondo prima che cominciasse a carburare per bene, poi Matteo poggiò i piedi per terra e rabbrividì per il contatto con il pavimento gelido.

Ecco! Quello era un bel modo per cominciare una giornata che doveva essere tutto meno che fallimentare.

Si grattò la testa e scompigliò i capelli neri già arruffati senza il suo aiuto e si guardò allo specchio. Matteo non era contento del suo aspetto. Non lo era mai stato.

Odiava il suo corpo troppo alto e dinoccolato, le ginocchia appuntite e l'attaccatura delle orecchie bassa. Odiava le costanti occhiaie un po' grigiastre che contornavano gli occhi scuri, scialbi e un po' inespressivi. Le labbra erano fini, quasi impercettibili nell'ovale macchiato da un'ombra scura che rappresentava un abbozzo spaurito di barba. Una barba che tra l'altro aveva deciso, sin dal principio, di crescere in tutte le direzioni: destra, sinistra, basso, alto.

Matteo sapeva di non essere bello. Affatto. Per conquistare le ragazze sapeva di dover puntare sulla sua simpatia, sulla sua intelligenza e sulla buona dialettica che aveva migliorato negli anni, parlando da solo davanti allo specchio: interminabili monologhi inconcludenti, che lo vedevano disquisire di politica scolastica, di temi da trattare alle interrogazioni e di discorsi d'amore che non venivano mai proferiti.

C'è qualche cosa che fa paura quando hai diciotto anni e poche e fallimentari esperienze alle spalle. Qualcosa che non puoi controllare, che sfugge ad ogni tuo ordine più del tuo corpo che cambia lentamente ma prepotentemente. Quel qualcosa che i suoi compagni chiamavano amore e i genitori di Matteo declassavano a semplici cottarelle giovanili, guaribili con un po' di sport, studio, qualche buona lettura e un'uscita con gli amici il sabato sera.

Matteo non sapeva dire se fosse mai stato innamorato o no. Sapeva quello che aveva provato davanti alla sua compagna di classe di quarta ginnasio, quando durante l'ora di educazione fisica l'aveva osservata di nascosto fare stretching, mentre la maglietta grigia elastica di tendeva sul seno privo di biancheria, mostrando i capezzoli inturgiditi dal freddo. Fu quella volta, per la prima volta in vita sua, che Matteo si eccitò guardando una ragazza. Non capì esattamente cosa stesse succedendo, o meglio, non se ne rese conto. L'unica cosa che sapeva era che, mentre la guardava, tutti cominciarono a ridere. E quando lui se ne rese conto, ormai era troppo tardi. Anche Elena, la bella Elena, quella che girava senza reggiseno quando faceva educazione fisica, quella che metteva in subbuglio gli ormoni dormienti di ogni quattordicenne nei paraggi, voltandosi aveva visto la tela del cavallo della tuta di Matteo tendersi impietosamente e portando una mano alla bocca, voltandosi verso la sua amica che sedeva vicino a lei, aveva indicato il povero Matteo che si guardava intorno imbarazzato.

Da quel momento i sogni erotici, via via sempre più spinti e sempre più fantasiosi, sulla giovane compagna di quarta liceo vennero surclassati dal ricordo della brutta figura di Matteo che a malapena riusciva ad alzare lo sguardo davanti ad Elena.

Matteo non seppe mai se la sua lussuriosa ossessione per i capelli castani e leggermente mossi di Elena fosse amore o no. Fortunatamente -a seconda dei punti di vista- il lavoro del padre lo portò lontano dalla città dove al tempo risiedevano, facendo lasciare alle spalle di Matteo e di suo fratello Michele tutto quello che avevano creato. Ossessione per Elena inclusa.

Era forse per questo che Matteo non poteva essere sicuro di essere stato realmente innamorato di qualcuno. Il lavoro di suo padre lo aveva costretto a continui cambiamenti da quando era un bambino, facendolo diventare un essere un po' chiuso, restio alla nuove conoscenze, o meglio, capace di stringere rapporti leggeri, senza nessun vero e proprio legame.

In parole povere. Matteo aveva avuto tanti amichetti, ma mai nessun migliore amico; tante conoscenze, ma mai una vera e propria compagnia di amici con il quale uscire la sera, stare seduti su di un muretto o una gradinata a ridere e scherzare, fumare, cercare di rubare un bacio ad un'amica che stranamente appariva più bella senza un vero e proprio motivo, a cantare canzoni con una chitarra disturbando i vicini che finivano con chiamare i Carabinieri.

Tutto questo a Matteo Zanin, classe 1992, era mancato. E alle volte, quando arrivava in una nuova città, quando vedeva un gruppo di ragazzi ridere o divertirsi giocando a calcio con una pallina di carta arrotolata o con una bottiglietta di plastica vuota, si sentiva vuoto, come se mancasse qualche cosa alla sua formazione.

Michele Zanin, suo fratello, invece era l'opposto di lui. Classe 1990, aveva ereditato la bellezza e la delicatezza dei tratti della madre. Dai capelli sempre in ordine, al corpo atletico, all'altezza considerevole, Michele era uno di quei ragazzi che nei corridoi delle scuole faceva voltare tutte le ragazzine e le faceva sospirare sognanti.

Erano passati, infatti, cinque anni da quando l'erezione inaspettata di Matteo aveva svelato i veri sentimenti del ragazzo nei confronti della bella compagna di classe e da allora Michele aveva seminato un numero considerevole di amori a distanza, una caterva di lettere d'amore -in barba alle e-mail -e una sequela di insulti ogni qualvolta la precedente fidanzata scopriva che Michele aveva un'altra.

Di tutto questo, Matteo, non aveva avuto nemmeno una briciola.

Per anni si era chiesto se nelle culle dell'ospedale dove era nato avessero fatto le cose per bene e non avessero scambiato lui con il vero figlio dei Zanin.

Se si guardava intorno Matteo non vedeva altro che differenze con il resto della famiglia: della bellezza di sua madre non aveva ereditato niente; della simpatia del padre, un uomo che riusciva a far ridere perfino un depresso, non aveva ereditato nulla. Sembrava che suo fratello Michele avesse preso tutto il meglio dei genitori e Matteo aveva dovuto accontentarsi delle briciole.

Sospirò guardandosi allo specchio.

Lui era quello sempre malaticcio, quando era un bambino. Lui era sempre quello che piangeva quando giocava alla guerra con Michele e finiva per farsi male.

Lui era quello che si nascondeva dietro i suoi genitori prima di prendere una qualsiasi iniziativa.

Così, se Michele era quello ribelle, quello che era riuscito a farsi bocciare in quinta ginnasio, in prima liceo e ora si apprestava a ripetere la seconda liceo con noncuranza, quasi per lui lo studio fosse uno scherzo, Matteo era quello serio e giudizioso, quello che non aveva mai perso un solo anno di liceo nonostante gli spostamenti continui della famiglia che lo costringevano a lasciare la scuola anche ad anno inoltrato.

Ed era questo che Matteo desiderava: essere come suo fratello. Avere una ragazza diversa in ogni città; correre la mattina appena sveglio e arrivare a scuola fresco come una rosa; essere ammirato per il suo fisico. E soprattutto riuscire ad avere tutti gli amici che aveva Michele e che con nostalgia lo chiamavano anche quando la distanza era grande.

Perché Matteo Zanin, anni diciotto, del segno del Toro, era come un'ombra nascosta dietro il padre e il fratello. Un'ombra grigia, nemmeno scura, di cui nessuno si accorgeva, che camminava piano per non disturbare nemmeno se stesso. Un'ombra triste, come quel cielo grigio, talmente compatto che sembrava quasi una lastra di acciaio. E invece era solo una massa triste e incapace di risplendere.

Proprio come Matteo.


Ciabattando per il corridoio della casa ancora nella penombra, Matteo si scompigliò ancora una volta i capelli con le mani, entrando in cucina.

Alla televisione il telegiornale parlava di politica, di crisi mondiale e di guerra in Afghanistan.

La mamma di Matteo, Daniela, ascoltava in silenzio, sistemando le stoviglie utilizzate la notte prima.

Dalla portafinestra semiaperta del piccolo poggiolo, entrava un freddo pungente, che sembrava quasi fare a pugni con la temperatura corporea del ragazzo ancora in pigiama e si mischiava con il profumo delle paste calde.

Nella famiglia Zanin c'era un rituale: tutte le mattine, il padre di Matteo, Giovanni, usciva presto e andava al bar sotto casa -o a quello più vicino- e comprava i cornetti caldi per tutti. Non succedeva mai, o quasi, che mancassero i cornetti e che entrando in cucina non si sentisse l'invitante profumo del dolce appena sfornato.

Il papà ha preso i cornetti alla crema per me?” chiese Matteo mettendosi a sedere al tavolo.

Lo sai che li ha presi!” rispose Daniela senza staccare gli occhi dal notiziario del mattino.

Ecco l'ennesimo rituale della famiglia Zanin: nessuno doveva parlare durante il telegiornale. A qualsiasi ora venisse trasmesso, tutti dovevano stare in religioso silenzio, lasciando che la voce dell'anchorman risuonasse per la casa.

Matteo, senza aggiungere altro, si mise a sedere e prese un cornetto. La sfoglia era ancora calda e fragrante. Il ragazzo ne addentò un pezzo e socchiuse gli occhi. Matteo amava mangiare le estremità prima di arrivare al ripieno cremoso e gustoso. Infondo lui era sempre stato così: calmo, riflessivo, attento. Il completo opposto di suo fratello Michele che, a differenza del fratello minore, era la quintessenza dell'impulsività.

Assaporò il cornetto in silenzio, sorseggiando di tanto in tanto il caffellatte freddo, come piaceva a lui.

Prese un secondo cornetto e lo mangiò nello stesso identico modo. Daniela guardava attenta il telegiornale, sbattendo di tanto in tanto, per sbaglio, tra loro le varie stoviglie.

Quella era una giornata tipo a casa di Matteo Zanin. L'unica cosa che differenziava la cucina dagli altri giorni era che le presine per il forno con la faccia di Babbo Natale stampata sopra, capeggiavano vicino ai canovacci logori dall'uso e dall'umidità accumulata e filtrata dentro le trame, indicando l'arrivo delle festività di Natale.

Natale. Appunto!

Matteo sospirò e passò di nuovo la mano sui capelli ribelli. Doveva sbrigarsi o sarebbe stato troppo tardi.

E non parlava della scuola. Non parlava nemmeno dell'orario. Matteo Zanin era l'ultimo arrivato nella sezione D della Terza Liceo del Classico Galilei.

Matteo Zanin era quello nuovo, intelligente, che i primi giorni tutti riempivano di domande. Figlio di un militare, costretto -ma guarda che fortuna- a stare sempre in giro, senza dover pagare una sola lira.

Peccato che Matteo non amasse la sua vita e una volta passata la curiosità dei primi giorni, tutti lo considerarono il nuovo arrivato, quello intelligente che sapeva fare benissimo le traduzioni di greco e latino.

Matteo Zanin non era popolare. Non era bello come Molinari, il figlio del notaio più conosciuto in città; non era nemmeno sportivo come Rinaldi, il giocatore di basket della classe, figlio del sindaco della città.

Matteo Zanin era interessante solo perché era il nuovo arrivato, l'inaspettato ultimo acquisto dell'ultimo anno di liceo, quello in cui gli equilibri sono stati creati e non si ha tempo per far entrare qualcuno di nuovo e conoscerlo come si è fatto con tutti gli altri per tutto il tempo precedente. Le ragazze non erano attratte dalla bellezza di Matteo. Matteo, come già detto, non era bello. O per lo meno, era un tipo, uno di quelli che se passi per strada non ti giri a guardare pensando 'cavolo! proprio un bel ragazzo'. Tutte erano attratte dalla sua vita senza radici, così poco simile alla loro noiosa vita. E poi, francamente, era il fratello di Michele Zanin, che solo poggiando piede nell'atrio del Liceo Classico Galileo Galilei, era diventato il ragazzo più ambito della scuola. Avvicinare lui, quindi, significava avvicinare Michele.

Ma non era quello che interessava Matteo e che le metteva una certa premura.

In ogni classe c'è una storia da raccontare.

Ogni alunno è un libro aperto che si può sfogliare con facilità, per colpa di tutta quella vasta gamma di sentimenti che, ancora, difficilmente si riesce a controllare. Ogni ragazzo o ragazza che sedeva tra i banchi pieni di scritte o di gomme attaccate sotto perché la professoressa non se ne rendesse conto, aveva un mondo che stava lentamente creando muovendo i primi passi nel cammino della vita.

Matteo, seduto in disparte, all'ultimo banco, aveva osservato silenziosamente tutti. Così aveva scoperto che Molinari aveva una cotta non corrisposta per Lara Landolfi, la ragazza più timida che qualcuno avesse mai conosciuto, capace di arrossire anche quando diceva presente all'appello; e Lara, dal canto suo, era la classica ragazzina che si scopre innamorata del professore di matematica.

C'era Mattioli che prendeva in giro tutti per non farsi prendere in giro per via del suo aspetto goffo e grasso; c'era Veranocchia, ovvero Veronica 'ranocchia' Fassi, nota per essere una grande stronza, che sguazzava nel mettere nei guai i suoi compagni e che non passava mai un compito a nessuno. Matteo aveva scoperto che Veranocchia, come nelle migliori tradizioni da telefilm, era innamorata di Molinari, che le sorrideva solo quando aveva bisogno di qualche cosa.

Ogni classe che aveva frequentato Matteo, era stata scannerizzata mentalmente dal ragazzo che nel giro di pochi giorni capiva tutto di tutti. Almeno fino a quell'anno.

In ogni classe c'è una persona strana. Qualcuno con cui si parla ogni tanto, che ha problemi suoi, problemi con il mondo, problemi con la classe, problemi con i genitori... Alle volte tutto assieme. Insomma, quello che i ragazzi tendono a chiamare un caso umano. Il soggetto della classe.

Matteo quando entrava nella classe, la guardava in silenzio e subito lo riconosceva.

I casi umani hanno un modo di vestire tutto loro; sono tormentati da qualcosa o da qualcuno; sono silenziosi e scontrosi.

Quel settembre, quando entrò nella sua nuova classe, Matteo raggiunse l'ultimo banco con noncuranza, ignorando gli sguardi dei compagni. Fu nel momento esatto in cui posò lo zaino sul banco che vide una persona che non aveva notato entrando e che sedeva vicino alla finestra.

Aveva una lama tra le mani, una di quelle piccole che si posso svitare da un comune tempera lapis, le unghie smangiucchiate e lunghissimi capelli castano scuro che si poggiavano sul banco.

Non degnò Matteo di un solo sguardo, non lo salutò, non fece una sola occhiata ad una delle ragazze che stavano dall'altra parte della classe.

Lei non alzava la testa, stava a incidere nel banco chissà che cosa e non disse una sola parola per tutta la durata delle lezioni.

Matteo si incuriosì subito. La osservò in silenzio, di nascosto, guardando le frasi che tracciava nel banco quando la ragazza si fermava a guardare le nuvole: e succedeva spesso. Quando il cielo era limpido e si vedevano solo strati bianchi di nuvole che riempivano il cielo giocando a rincorrersi tra di loro, la vicina di banco di Matteo si incantava, sorrideva appena e poi tornava a tracciare il banco o a prendere appunti.

Erano passati tre mesi in quel modo, anche se per quasi un mese nessuno aveva varcato la soglia della classe per il solito sciopero per i termosifoni spenti.

Erano passati già tre mesi e solo qualche settimana prima, Matteo, aveva capito qualche cosa della sua compagna di banco. Qualche cosa di quella ragazza che gli stava quotidianamente vicino, ma che era lontana come un'aliena.

Quella ragazza che parlava solo se doveva, quando la professoressa la interrogava e che sollevava solo la mano per l'appello.

Quella ragazza che tutti scansavano come un'appestata.

Matteo stava pensando a questo quando sentì qualcuno colpirlo nella nuca. Si voltò, toccando la parte offesa e guardò chi lo aveva colpito: era Michele, che con la tuta e gli auricolari sorrideva divertito dalla reazione del fratello minore.

Teo! Lo sai quante ore di corsa devi fare per smaltire quei due cornetti che ti sei mangiato?” disse Michele cercando di essere serio, ma con poco successo.

Matteo socchiuse gli occhi e rispose:

Micky... Lo sai quanto ci vuole prima che ti mandi a fare in c...”

Ragazzi!” intervenne Daniela troncando la frase di Matteo.

Matteo stava per replicare ma Michele fu più veloce e disse:

Vai a vestirti fratellino. Devo scegliere cosa mettermi e mentre lo faccio tu puoi andare a fare la doccia!”

Come sempre.

Michele cominciava a litigare, Matteo finiva per essere sgridato e per aver torto.

Vinto anche quella mattina, Matteo si alzò mentre Michele Coccuzza ridendo, spiegava alla folta schiera di telespettatori di Uno Mattina le proprietà terapeutiche e anti-età del pompelmo.





   
 
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