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Autore: rhys89    13/06/2011    1 recensioni
Sappiamo bene cosa accadde dopo l'ultimo duello tra re Romualdo e Fantaghirò... ma cosa sarebbe successo se il Conte di Valdoca fosse stato davvero il campione del re, e non sua figlia travestita?
Sequel immaginario di "Il duello", piccola improbabile what if...? che racconta di come avrebbe reagito Romualdo se le cose fossero andate diversamente. Se non ci fosse stata nessuna principessa da sposare, nessun vincolo a legarlo ancora al suo titolo...
«Andrai a cercarlo, non è vero?» Gli chiese Ivaldo, guardandolo intensamente.
«Tu lo sai.» Gli rispose soltanto.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'La trilogia di Re Romualdo'
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Angolino dell'autrice


Buon salve!! ^-^
Giuro che ormai non ci speravo più, ma è finalmente giunto il momento: l'Ispirazione è tornata a farsi viva!! *-*
E così, come promesso secoli orsono, torno da voi col capo cosparso di cenere a proporvi la conclusione della mia trilogia ("La trilogia di re Romualdo"). Sarà una what if...? in due parti, di cui la prima sarà dedicata quasi esclusivamente ad una parte fondamentale del film: quando Romualdo, Ivaldo e Cataldo vanno ad arrendersi al re avversario e lui propone a Romualdo di sposare una delle sue figlie per garantire la pace tra i due regni.
Per ovvi motivi, però, ho omesso tutto ciò che riguarda la principessa Fantaghirò. Perché, mi chiedete? E' presto detto: in questa storia voglio provare a rispodere alla domanda che ho posto nell'introduzione, ovvero "Cosa sarebbe successo se il Conte di Valdoca fosse stato davvero il campione del re, e non sua figlia travestita?"
Spero che la cosa incuriosisca anche voi, altrimenti mi scuso in anticipo ^___^"

Piccola parentesi: colgo l'occasione per ringraziare tutti coloro che hanno preferito/seguito/ricordato e/o commentato le precedenti storie. Grazie infinite!! *-*

Ah, vi annuncio che, al contrario delle altre due storie della trilogia, lo slash in questa storia sarà esplicito, quindi, se non vi piace il genere, vi consiglio di non leggere il prossimo capitolo (questo è soltanto un prologo, e come tale non succede quasi nulla che non si sia già visto nel film).

Piccola nota: i dialoghi e le scene sono fedelmente ripresi dal film (io mi sono limitata - di nuovo - ad introdurre la parte introspettiva), fatta eccezione per l'ultimo paragrafo, che invece è l'inizio vero e proprio della what if...? ed è frutto della mia mente contorta (come il resto della storia).

Un'ultima cosa e poi vi lascio ai disclaimer e alla storia: nel dire film mi sono sempre riferita al primo film di Fantaghirò. Solo per chiarirsi, ecco, visto che mi sono accorta che poteva essere equivocato.

Disclaimer: i personaggi e le scene citati in questo racconto non mi appartengono e non ne detengo i diritti. La storia non è stata scritta a scopo di lucro.

E con questo mi pare sia tutto...

Buona lettura a tutti! ^_^

Libero dalla corona

Era un giorno come tanti, nel regno. Un giorno che nessuno, fino ad allora, avrebbe creduto speciale.
Dei rumori sospetti spinsero una delle guardie del palazzo a correre lungo le mura del castello per controllarne la fonte.
«Altolà! Chi va là? Fatevi riconoscere.» Comandò imperiosa.
«Voglio parlare con il vostro re.» Rispose il giovane visitatore. «Sono re Romualdo.» Aggiunse, rivelandosi come richiesto.
«Procedete.» Concesse subito la guardia, senza esitare: che lo stessero aspettando?
Ma Romualdo rifiutò di farsi venire dei dubbi – non ancora, non adesso – e spronò il cavallo per ripartire, senza voltarsi indietro. L’unico suono a cui prestò attenzione fu il confortante rumore di altre quattro paia di zoccoli dietro di lui.
Sorrise appena, il giovane re, per poi rimettere al suo posto la maschera austera che ci si aspettava da uno del suo rango e andare a testa alta ad affrontare il destino che il suo onore aveva scelto per lui.

Giunsero infine al cospetto del re, decisamente confuso dalla loro presenza. Era dunque chiaro nessuno, a corte, si aspettava quella visita.
Romualdo si chinò di fronte al trono un momento e depositò la spada ai piedi del suo vecchio avversario, per poi ergersi di nuovo e guardarlo in viso con sguardo sicuro. A malapena si accorse che Ivaldo e Cataldo, silenziosi, avevano ripetuto il suo stesso gesto.
Adesso le tre armi stavano immobili sul tappeto rosso, e con esse anche l’orgoglio dei loro padroni. Ma erano uomini d’onore, e per niente al mondo sarebbero venuti meno al loro dovere.
«Sire,» cominciò dunque Romualdo, pacato «sono qua per darvi ciò che è vostro di diritto: il vostro campione mi ha sconfitto. Rimetto me stesso e il mio popolo nelle vostre mani.» Spiegò, rivelando così il motivo della sua presenza. «Una cosa vi chiedo: siate clemente nei loro riguardi, essi non meritano la prigione, né il saccheggio.» Sì, questo era importante che lo capisse, non avrebbe sopportato che per colpa sua il suo amato popolo avesse dovuto soffrire. «E in quanto a me, ormai,» aggiunse, come ripensandoci «la vita non ha più alcun valore. Il vostro campione mi ha umiliato, risparmiandomela.»
E così dicendo si inginocchiò, abbassando lo sguardo.
«Se volete,» aggiunse, sollevando appena la testa con umiltà «concludete voi il suo compito.»
Il re rimase un momento perplesso – un momento solo – poi riprese il controllo della situazione.
«Il Conte di Valdoca ha già pagato per non aver compiuto il suo dovere.» Annunciò solenne, e Romualdo poté quasi sentire il proprio cuore spezzarsi in due, ma tale sofferenza non si rispecchiò nella sua espressione impassibile. «Invece, per quanto mi riguarda, la mia decisione sarà equilibrata, come si conviene a un re giusto e imparziale.» E qui si fermò un momento, come raccogliendo le idee o cercando le parole adatte. Poi riprese. «In considerazione del coraggio da voi dimostrato non solo in battaglia, ma anche e soprattutto venendo a presentarvi qui da noi con umiltà e buona disposizione d’animo, noi riteniamo che voi, re Romualdo, meritiate non solo il mio perdono,» e qui il giovane sollevò di nuovo lo sguardo, come se non credesse alle proprie orecchie «ma di continuare a regnare sul vostro popolo. Ma,» aggiunse il sovrano, dopo una breve pausa «allo scopo di assicurare duratura pace tra i nostri due regni, io chiedo a voi… di sposare una delle mie figlie. Ammesso che loro vogliano, è naturale.» Precisò, dopo aver lanciato una rapida occhiata alle fanciulle alla sua destra. «Queste le mie condizioni, siete libero di accettarle, o di dichiararci una nuova guerra.»
Romualdo allora si alzò in piedi – non aveva più motivo di mantenere quell’atteggiamento sottomesso – e, dopo appena un attimo di esitazione, si risolse a rispondere, conscio che era giunto infine il momento decisivo. Il momento in cui la sua vita sarebbe stata segnata per sempre.
«Grazie mio signore,» disse quindi «siete generoso oltre ogni attesa. Ma… non ho motivo di dichiarare una nuova guerra.» Ammise, fingendo di non accorgersi del gioco di sguardi che, da qualche minuto, legava le principesse e i suoi amici.
Poi il re presentò le sue figlie, per prima la fanciulla mora.
«Lei è la mia primogenita, Caterina.» Disse, mentre la giovane si piegava per un breve e rispettoso inchino.
E Romualdo non si stupì affatto quando sentì la voce di Cataldo sussurrargli «Sembra fatta per me.», con quel sorriso sicuro che solo lui riusciva ad avere, in certe situazioni.
«Il mio grande amico Cataldo mi ha confessato che dal momento in cui ha guardato vostra figlia Caterina è stato colpito dalla sua espressione intelligente, oltre che dalla sua bellezza.» Spiegò al re. «Quindi è da parte sua che vi chiedo il permesso di sposarla.»
La ragazza sorrise radiosa.
«Dite sì padre.» Lo pregò. «Padre!» Esclamò, quando egli non le rispose.
«Ehm, sì… Chiedo solo di vederti felice, Caterina. Acconsento di buon grado.» Si pronunciò lui, dopo un attimo di esitazione. «E questa è la mia secondogenita, la bellissima Carolina.» Disse, e la fanciulla bionda si inchinò a loro.
A stento Romualdo represse un sorrisetto nel sentire la voce supplicante di Ivaldo.
«Intercedi anche in mio favore, ti prego» Gli chiese questi, concitato.
«Aspetta.» Lo fermò lui, accorgendosi che il re aveva ripreso a parlare.
«Allora, valoroso re Romualdo, vuoi sposare…» Stava dicendo… ma la ragazza lo interruppe.
«No padre, col vostro permesso, sposerò il barone Ivaldo.» Esclamò decisa, avvicinandosi al giovane che, da parte sua, quasi esplodeva per la gioia.
Il vecchio re rimase un po’ a fissare le sue figlie con sguardo benevolo, prima di rivolgersi al figlio del suo più antico avversario. «Bhé,» iniziò, leggermente imbarazzato «a questo punto… mi pare che non ci sia più niente da trattare, mi pare. Re Romualdo, voi che ne dite?»
«Sono d’accordo.» Rispose, senza esitazioni. «Lascio il mio trono a voi due, miei leali amici.» Proclamò con un sorriso: era davvero felice per loro. «Questi matrimoni congiungeranno i nostri regni nella pace, per sempre. Ora vi prego, congedatemi.» Concluse, rivolto al re.
E, dopo un rapido ma profondo inchino, fece per andarsene.

Le parole della principessa Caterina lo fermarono che aveva appena fatto un passo.
«Perché non rimanete anche voi?» Gli domandò, sotto lo sguardo speranzoso di Ivaldo e Cataldo. «Il vostro popolo vi ama, e anche i vostri amici: sarete un ottimo re, ne sono certa.»
Romualdo le rivolse un sorriso di circostanza.
«Le vostre parole mi lusingano,» le rispose «ma il mio orgoglio – il mio cuore, si corresse nei pensieri – mi impedisce di continuare con la mia solita vita, quando il mio avversario ha perso la propria, per salvarmi.» E così dicendo chinò il capo per congedarsi, ma la voce della fanciulla lo fermò nuovamente.
«Quieterebbe il vostro animo sapere che il conte non è stato punito con la morte, ma con l’esilio?» Domandò ancora, e stavolta il giovane le rivolse piena attenzione.
Mentre studiava quei tratti delicati e quell’espressione seria, la consapevolezza fece breccia nella corazza che lo difendeva dal mondo. E allora, finalmente, le sue labbra si schiusero in un sorriso sincero, il primo che si concedeva da quel dannatissimo duello.
«Il vostro intelletto è davvero fine come si vocifera, a quanto pare.» La elogiò, e quella sorrise in risposta, immaginando il resto. «Sì, la notizia ha davvero quietato il mio animo, principessa. Ma sono ancora deciso – ora più che mai, pensò – a lasciare il trono, e il regno con esso.» Concluse, cogliendo di sorpresa quasi tutti in quella sala.
Quasi, perché i suoi amici non fecero una piega, a quella sua affermazione.
«Andrai a cercarlo, non è vero?» Gli chiese Ivaldo, guardandolo intensamente.
«Tu lo sai.» Gli rispose soltanto.
Il barone allora gli sorrise, e lo strinse in un rapido abbraccio.
«Buona fortuna, amico mio.» Gli sussurrò, prima di tornare a fianco della sua futura moglie.
Anche Cataldo lo salutò con affetto, augurandogli ogni bene.
Romualdo li guardò un’ultima volta, come a volersi imprimere nel cuore i loro volti.
Poi si voltò e, finalmente libero dal peso della sua corona, si incamminò a testa alta ad affrontare il suo destino. Quel destino che, per la prima volta, dipendeva soltanto da lui.
   
 
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