Videogiochi > Final Fantasy VIII
Ricorda la storia  |      
Autore: White Gundam    13/06/2011    4 recensioni
[Terza classificata al contest "Una storia per una canzone" indetto da Parsifal 62]
Laguna Loire prima di essere il presidente di Esthar City è soprattutto un uomo, un uomo di mezza età ormai, che perso lo splendore della giovinezza si avvia verso l'autunno della sua vita, con tutte le sue preoccupazioni e i suoi ricordi.
Sulle note di Francesco Guccini questa fanfiction si appresta a mostrare i numerosi caratteri di Laguna, daquello comico a quello drammatico passando, ovviamente, per il sentimentale.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Laguna Loire
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Ciao a tutti e benvenuti alla mia prima fanfiction su Final Fantasy VIII, incentrata sul personaggio che più ho amato dell'intero gioco: Laguna Loire. Spero che la song-fic vi possa piacere e ringrazio in anticipo chiunque vorrà lasciarmi una recensione che, nel bene e nel male, è sempre gradita (a chi me la lascerà prometto comunque presta risposta tramite messaggio privato).

 

AUTUNNO
 
Un'oca che guazza nel fango,
un cane che abbaia a comando,
la pioggia che cade e non cade
le nebbie striscianti che svelano e velano strade...


L’aria fredda di fine settembre spazzava con forza la strada, portando polvere e fanghiglia sul marciapiede della strada principale di Esthar. Laguna rabbrividì e maledì sé stesso per non aver portato con sé un vestito più pesante della solita camicia verde acqua.
Era perché non pensavo di uscire, di solito la burocrazia è molto più lenta.
Si corresse subito dopo, infilandosi le mani in tasca nel tentativo di riscaldarle. Sospirò e si concesse qualche sguardo distratto alla sua città: un piccolo kochocobo era finito in una pozzanghera al margine destro della strada e aveva le piume zuppe di fango. Laguna si fermò ed estrasse le mani dalle tasche, avvicinandole lentamente all’animaletto che, spaventato, gli rispose con una beccata sulle dita. Laguna si morse le labbra ma non allontanò le proprie mani; raccolse con delicatezza il pulcino di chocobo e lo spostò sulla sola mano sinistra, pulendogli le piume con un fazzoletto.
“Non dovresti stare qui.”
Gli disse, serio, come se l’animaletto fosse in grado di capirlo.
“E’ pericoloso, ci sono le macchine.”
Concluse, giungendo alla spaventosa consapevolezza di parlare come se fosse un anziano e noioso uomo vissuto. Fece per appoggiare il kochocobo nel giardino di una casa privata, ma un dobermann dall’aspetto feroce cominciò a sbraitare l’importanza del rispetto della proprietà privata dei suoi padroni e Laguna pensò che, se lo avesse lasciato lì, il cane se lo sarebbe sicuramente mangiato.
Tornò a camminare verso casa cercando un posto dove appoggiare il pulcino, il quale si era finalmente calmato, smettendo di pizzicargli le dita col becco ad uncino.
Stava ancora cercando il luogo adatto quando sentì delle fredde gocce di pioggia pungergli il viso e bagnargli i capelli brizzolati della mezza età.
Piove di nuovo? Aveva smesso dieci minuti fa.
Pensò Laguna, trovando finalmente una casa provvista di giardino ma non di cani, dove appoggiò il piccolo uccellino giallo.
La nebbia del pomeriggio aveva fatto rallentare le macchine e non gli permetteva di vedere bene dinnanzi a lui. Si chiese se l’incrocio cui era davanti era quello dove avrebbe dovuto svoltare a sinistra, ma la nebbia e il suo tristemente noto senso del disorientamento gli impedirono di capirlo.
 
Profilo degli alberi secchi,
spezzarsi scrosciante di stecchi,
sul monte, ogni tanto, gli spari
e cadono urlando di morte gli animali ignari...
 
L’unica cosa che gli riusciva di vedere lungo la strada che aveva scelto erano le lunghe file di alberi secchi, appassiti in autunno e in attesa di rifiorire in primavera.
Peccato che per gli uomini le cose non funzionino nello stesso modo.
Pensò, ricordando tutte le cose che aveva fatto in gioventù: i migliaia di lavori che aveva svolto, i talenti che aveva scoperto quando meno se l’era aspettato, le uniche due storie d’amore che aveva avuto delle quali il ricordo della triste fine dell’ultima era ancora impresso nell’anello che portava all’anulare sinistro, i guai in cui si era cacciato ed aveva cacciato i suoi amici.
Tutte cose che non sarebbero mai più tornate, perché all’autunno degli uomini poteva succedere soltanto l’inverno; non ci sarebbero più state né primavere né estati.
I pensieri nostalgici dell’uomo vennero tuttavia celermente spezzati dal suono secco e freddo degli spari dei cacciatori.
Laguna conosceva bene quel rumore, come conosceva bene il grido della morte. Era stato un soldato in passato; l’avevano mandato in guerra, senza che nessuno ascoltasse la sua volontà, gli avevano dato un fucile e gli avevano detto di sparare e di uccidere.
I colpi sordi del fucile e il suono ripetitivo della mitragliatrice alcune volte lo svegliavano ancora la notte e lui si alzava, sudato e tremante, per raggiungere il telefono e svegliare Kiros o Ward nel bel mezzo della notte solamente per assicurarsi che fossero vivi e che il sogno non fosse la realtà.

L'autunno ti fa sonnolento,
la luce del giorno è un momento
che irrompe e veloce è svanita:
metafora lucida di quello che è la nostra vita...
 
A proposito di sogni e di veglia, Laguna non poteva fare a meno di accorgersi che, negli ultimi tempi, il tempo che dedicava a quella parte che aveva sempre decretato inutile nella sua vita, ovvero il sonno, si era almeno duplicato.
Quando aveva ventisette anni o giù di lì, l’unica cosa che riuscisse a fargli prendere sonno e ad addormentarlo erano le uniche volte in cui lo costringevano a farsi un bicchiere. Era sempre stato astemio e quella parte di lui non era cambiata, ma adesso sentiva che non era più necessario il vino a mandarlo KO ma bastava una normale giornata di vita quotidiana.
L’uomo sbuffò, insoddisfatto, e volse lo sguardo al cielo, notando che finalmente le nuvole si stavano diradando per lasciare lo spazio ad uno spiraglio di sole. Laguna si fermò in quel piccolo spazio soleggiato, lasciando che il tiepido calore lo avvolgesse come in un abbraccio, come se loro fossero state ancora lì con lui.
Elli…
Pensò l’uomo, e il suo cuore si strinse in una morsa ghiacciata mentre pensava alla sua unica figlia, rapita e portata chissà dove; e il cielo, in quel momento, tornò ad essere nuvoloso come il suo animo.
L’altra persona a cui stava pensando sembrò essere richiamata nuovamente al pensiero di Laguna a causa del cielo: la luce improvvisa che era scaturita e che subito si era spenta gli ricordava la vita di sua moglie, morta giovanissima per cause a lui sconosciute mentre egli era alla ricerca della bambina.

L'autunno che sfuma i contorni
consuma in un giorno più giorni,
ti sembra sia un gioco indolente,
ma rapido brucia giornate che appaiono lente...


Con i sentimenti confusi tra tristezza e malinconia, Laguna tornò a camminare, sperando di aver imboccato la giusta via per tornarsene a casa. La nebbia che avvolgeva e inumidiva la città rendeva i contorni di costruzioni e persone sfumati ed irriconoscibili.
Di questo passo non troverò mai casa mia… Lo sapevo! Dovevo comprarmi la cartina di Esthar!
Pensò l’uomo, girovagando a caso per quella città in cui viveva da ormai numerosi anni. Intorno a lui le finestre si illuminavano di luce e il cielo si rabbuiava: stava arrivando la sera.
Laguna controllò svogliatamente l’orologio, notando che si erano fatte le sei e mezza, eppure non gli sembrava che fosse passata più di mezzora da quando aveva lasciato il palazzo presidenziale per avviarsi a casa sua.
Il freddo era aumentato e il vento non sembrava intenzionato a calmarsi quando, con le dita quasi ghiacciate, all’uomo parve di vedere la strada dove abitava.
Dovrei esserci…
Pensò, sapendo che la lentezza di quel momento si sarebbe presto trasformata nella frenetica velocità che l’avrebbe accompagnato al giorno successivo e a quello dopo ancora, senza che nulla sarebbe mai cambiato.

Odori di fumo e foschia,
fanghiglia di periferia,
distese di foglia marcita
che cade in silenzio lasciando per sempre la vita...


Laguna svoltò l’angolo che separava la sua casa da quelle a fianco, captando con il naso l’odore freddo e acre dell’autunno. Arricciò il naso sentendo il denso fumo delle fabbriche pizzicargli le narici e quella gelido della nebbia farlo starnutire.
Il paesaggio intorno a lui era grigio, come le giornate che si preparavano a susseguirsi in quella morta stagione.
In molti si chiedevano come mai il presidente Loire avesse deciso di vivere in periferia invece che in una bella e sfarzosa villa del centro città, ma lui rispondeva semplicemente che ad un uomo solo bastava un monolocale e che i suoi soldi servivano alla città stato e non certo al suo tornaconto personale; ma la gente continuava, imperterrita, a porsi le solite, inutili, domande.
Ad ogni modo a Laguna quel posto, in fondo, non dispiaceva: le fabbriche e la polvere di quel luogo erano abbastanza distanti dai verdi prati di Winhill e gli permettevano di pensare un po’ meno a quella città e a quei tempi in cui era stato veramente felice, ma che adesso gli ricordavano solo il rapimento della figlia e la morte della moglie.
Gli unici punti di verde che c’erano lì, invece, erano pochi e sparuti alberi che, in quel periodo non lasciavano altro che una distesa di foglie marce e invecchiate al suolo. Laguna le calpestò, sentendole scricchiolare sotto i suoi piedi, mentre si avvicinava alla porta del condominio dove abitava, sfilava le chiavi dalla tasca e si apprestava ad aprire le due porte che lo separavano dal suo divano.

Rinchiudersi in casa a aspettare
qualcuno o qualcosa da fare,
qualcosa che mai si farà,
qualcuno che sai non esiste e che non suonerà...


Quando fu entrato nel piccolo monolocale, Laguna si lasciò cadere sul divano e si sdraiò, senza togliersi nemmeno le scarpe. Si appoggiò una mano sulla fronte a togliere il sudore della lunga camminata e gettò uno spaventato sguardo verso il lavandino, il quale rispose in maniera affermativa alle sue preoccupazioni con una montagna di stoviglie sporche.
“Tra cinque minuti arrivo.”
Disse l’uomo, digrignando i denti verso l’odioso lavabo, mentre si accingeva a lasciare il suo comodo posto sul divano.
Si alzò, sbuffando e spostando una ciocca di capelli che gli era caduta sugli occhi dietro all’orecchio, quindi infilò un paio di guanti gialli in lattice e si preparò a sbrigare le faccende di casa.
Mentre litigava col grasso stampato sul piatto della sua cena del giorno prima e le bolle di sapone si riversavano per terra, Laguna cominciò a sperare quello che sperava ormai da anni.
Era ormai molto tempo che sognava ad occhi aperti, e anche ad occhi chiusi, che il campanello di casa sua suonasse e che una giovane, che ora neanche riusciva a immaginare, suonasse alla porta. Il sogno continuava con lui che si alzava ed andava svogliatamente ad aprire, chiedendosi quale fosse il problema per cui lo disturbassero a quell’ora della notte, ma fuori dalla porta c’era lei, Ellione, che si lanciava tra le sue braccia gridando il suo nome, e lui la abbracciava e giocava a farla “volare” come quando Elli era ancora una bambina. E poi, poi sarebbero tornati ad essere una famiglia e lui l’avrebbe accompagnata a scuola in macchina e le avrebbe dato un bacio sulla fronte ogni volta che tornava a casa.
Il sogno ad occhi aperti di Laguna venne però bruscamente spezzato da un suono acuto e ripetitivo: il campanello della porta.
L’uomo corse ad aprire, senza neanche togliersi i guanti né lavarli dal detersivo e dallo sporco del piatto.
“Elli?”
Chiese, al citofono, con voce rotta dal pianto.
“Veramente sono la signora Robinson…”
Rispose la voce tranquilla dell’anziana che viveva al secondo piano.
“Mi dispiace disturbarla signor Loire, ho dimenticato le chiavi.”
Disse, il tono velato da una nota di pietà. Non aggiunse:
“Non sono la sua bambina.”
Ma Laguna poteva essere sicuro che l’avesse pensato.
L’uomo sospirò e le aprì.
“Nessun disturbo, si figuri.”
Rispose, senza riuscire ad evitare una nota di delusione nella voce.

Rinchiudersi in casa a contare
le ore che fai scivolare
pensando confuso al mistero
dei tanti "io sarò" diventati per sempre "io ero"...


Dopo il breve scambio di battute con la sua vicina di casa, Laguna tornò alle sue faccende domestiche. Passò una buona mezzora a lavare e asciugare i piatti, si lavò le mani sotto l’acqua fredda che scaturiva dal rubinetto e prese scopa e paletta per pulire il monolocale.
Si chiese come faceva un appartamento così piccolo a sporcarsi in così poco tempo, ma non poteva non ammettere che tutti quegli impegni gli facessero comodo, riducendo le sue sempre più frequenti visite alla tomba di Raine o i tristi pensieri che gli affollavano la mente.
Certo però che da ragazzo non si sarebbe mai immaginato di finire a fare le proprie faccende di casa. Laguna ricordava che, quand’era giovane, il suo più grande sogno era di diventare un giornalista.
Era un soldato di Galbadia all’epoca; l’avevano inviato in missione come militare a causa della leva obbligatoria, ignorando il fatto che lui era pacifista e che, al contrario di quasi tutti i suoi concittadini, non aveva nessun interesse per la carriera militare.
Successivamente era riuscito a far pubblicare alcuni suoi articoli sulla famosa rivista Timber Maniacs e ricordava di aver provato una felicità immensa, oltre che un grande stupore, quando l’aveva saputo. Negli anni successivi era poi riuscito a far diventare praticamente tutte le frasi di bambino su quello che si sarebbe voluti essere, in racconti di un uomo: aveva fatto il militare, il giornalista, lo scrittore, l’attore e adesso era persino un presidente, senza averlo mai voluto né desiderato.

Rinchiudersi in casa a guardare
un libro, una foto, un giornale
e ignorando quel rodere sordo
che cambia "io faccio" e lo fa diventare "io ricordo"...


I pensieri a proposito del suo passato portarono l’uomo a decidere di avvicinarsi a un vecchio cassetto del comodino, dove erano gelosamente custoditi i suoi più preziosi ricordi. Laguna infilò le chiavi nella serratura e la face scattare per tre volte prima di tirare il cassetto verso di sé. Ne estrasse un libro, due foto polverose e qualche ritaglio di giornale.
Guardò il libro con aria nostalgica e ne lesse il nome dell’autore: Laguna Loire.
“In baffi a tutti quelli che dicevano che non sapevo scrivere.”
Commentò ad alta voce. Pensò che, sicuramente, se ci fosse stato Kiros con lui in quel momento, avrebbe alzato gli occhi al cielo e avrebbe trovato il modo di correggere il modo di dire che lui aveva usato: era proprio fissato con il fatto che lui non li dicesse mai giusti, il suo amico.
Appoggiò il libro sul bracciale del divano, su cui era tornato a sedersi, e rivolse lo sguardo alle due foto. Tenendole ai lati, per non rovinarle, ne soffiò via la polvere. La prima raffigurava tre giovani sulla trentina, con indosso le divise di Galbadia. Il ragazzo al centro, quello che portava i capelli lunghi e che era lui, abbracciava gli altri due con un sorriso a trentadue denti stampato sul viso. Kiros, il ragazzo di colore alla sua sinistra, gli scompigliava i capelli con aria divertita e sorrideva allegro ad un probabile errore semantico fatto da lui. Ward infine aveva gli occhi alzati al cielo e gli stava tirando un’amichevole gomitata per pregarlo di tacere.
Eravamo una bella squadra noi tre.
Pensò l’uomo, con un sorriso nostalgico stampato in volto.
Ma che dico!
Si corresse subito dopo:
Siamo ancora una bella squadra, e la saremo per sempre!
Il sorriso, che si era allargato a quel pensiero, si spense subito dopo e gli occhi dell’uomo luccicarono, pieni di lacrime, nel guardare la seconda foto.
Essa raffigurava due giovani ed una bambina. Il maschio teneva la più piccola sulle spalle, la quale gli tirava i capelli come se fossero le briglie di un cavallo e pendeva pericolosamente di lato. La donna con aria spaventata teneva le braccia aperte in direzione di Ellione e guardava con occhi torvi Laguna.
“Raine, Elli, non passa giorno senza che voi mi manchiate.”
Mormorò, permettendo a due lacrime di lasciare i suoi occhi e spostando la carta lucida, giusto in tempo per impedire che venisse da esse bagnata.
Infine si portò tra le mani i ritagli dei suoi articoli di Timber Maniacs e li rilesse, ricordando così tutti i posti che aveva visitato, i quali gli ricordavano a loro volta le altrettante cose che aveva vissuto.

La notte è di colpo calata,
c'è un'oscurità perforata
da un'auto che passa veloce
lasciando soltanto al silenzio la buia sua voce...


Probabilmente fu proprio per sfuggire alla nostalgia ed ai ricordi che Laguna decise di nascondere nuovamente quei documenti all’interno del piccolo e straripante cassetto del suo comodino.
Diede una rapida occhiata fuori dalla finestra quando si accorse di aver dimenticato di firmare alcuni documenti importanti.
“Dannata burocrazia!”
Imprecò mentre infilava una giacca e si preparava a scendere verso il suo garage, dove la sua fedele macchina lo aspettava paziente. L’uomo inserì le chiavi nella serratura e le girò per accendere il motore. Spostò i piedi su frizione e acceleratore subito dopo aver inserito la retromarcia, e avviò la macchina.
Guidare gli era sempre piaciuto, fin da quando aveva fatto la patente. Sentire i pedali sotto i suoi piedi, il rombo del motore e l’aria fredda che entrava dal finestrino riuscivano a farlo sentire vivo.
Quando fu in strada accese le luci di posizione e i fendinebbia e accelerò sulla strada principale, lasciando l’unica nota di luce e rumore nei luoghi dove passava.

Rumore che appare e scompare,
immagine crepuscolare
del correre tuo senza scopo,
del tempo che gioca con te come il gatto col topo...
 
La strada sembrava allungarsi all’infinito davanti alla visuale di Laguna e, benché lui desse la colpa alla nebbia, non poteva non ammettere, nel più profondo inconscio, che fosse stato sicuramente lui a sbagliare la direzione.
Il silenzio intorno a lui veniva rotto soltanto dall’incrocio di altre macchine sulla carreggiata opposta e dal clacson che spesso gli suonavano a causa del fatto che sorpassava spesso la mezzeria.
E datti una calmata! Ci passavi benissimo!
Pensò, quando l’ennesima autovettura starnazzò rabbiosa passandogli accanto.
Laguna si guardò intorno, notando un gruppo di giovani che rideva davanti ad un pub, parlando del più e del meno, da dentro arrivava il suono della musica dal vivo.
L’uomo pensò che solo una ventina di anni prima anche lui era tra loro, benché fra le sue mani non vi era mai nulla di più alcolico di un succo di frutta, e con lui c’erano, come sempre, i due migliori amici e al piano c’era Giulia che, avvolta in un’elegante vestito rosso suonava i tasti del pianoforte con leggiadria unica. Giulia, la sua prima fiamma, Giulia che era morta proprio in un incidente d’auto, Giulia che l’aveva aspettato senza che lui se ne fosse mai accorto.
Forse fu il ricordo di quella persona che lo fece rallentare, diminuendo la forza che premeva sull’acceleratore.

Le storie credute importanti
si sbriciolano in pochi istanti:
figure e impressioni passate
si fanno lontane e lontana così è la tua estate...


Laguna non seppe se fu la musica, il rombo dell’automobile o forse il pub a ricordarle lei, ma nella sua mente si affacciò l’immagine nitida di una giovanissima ragazza dai lunghi e mossi capelli castani che con le candide mani compiva miracoli sul pianoforte, regalandogli le più forti emozioni che, all’epoca, egli avesse mai provato.
Ricordava, ormai quasi con freddo distacco, tutte le sere che aveva passato al pub di Deling City, solo per ascoltarla suonare.
“Quando io suono tu mi guardi e quando mi guardi sorridi sempre.”
Gli aveva detto il giorno in cui si era decisa a parlargli, perché lui a causa della sua timidezza non ci sarebbe mai riuscito.
Ricordava come il suo cuore aveva accelerato i battiti e come la sua voce tremava nel solo vederla.
C’era un tempo, ne era sicuro, in cui era stato convinto che Giulia sarebbe stata l’unica donna della sua vita. Non aveva sbagliato di molto, ma non aveva comunque mantenuto fede a quella tacita promessa.
Adesso invece era ancora fedele ad una donna morta diciassette anni prima, ed era sicuro che sarebbe rimasto vedovo per tutta la vita e, questa volta non si sbagliava; forse perché adesso stava diventando anziano e non aveva più l’energia e la bellezza dei suoi ventisette anni, forse semplicemente perché, in fondo, di Raine era ancora innamorato.

E vesti la notte incombente
lasciando vagare la mente
al niente temuto e aspettato
sapendo che questo è il tuo autunno...
che adesso è arrivato...


Laguna parcheggiò la macchina davanti al palazzo presidenziale e spense il cruscotto, senza alzare tuttavia il finestrino. Appoggiò il braccio sinistro, lasciando uscire il gomito dall’apertura del finestrino abbassato e sospirò, lasciando che la fresca aria gli scompigliasse i capelli lunghi.
Guardò verso la sede del suo lavoro pensando alle montagne di scartoffie che avrebbe dovuto visionare e firmare.
Mi piacerebbe girare ancora il mondo.
Si accorse di pensare. Si disse che poteva chiedere a Kiros e Ward di venire con lui, ma ricordò che gli amici si erano appena calmati credendo che lui avesse finalmente messo la testa a posto.
L’uomo si lasciò andare ad un ultimo sospiro, riaccese il cruscotto per alzare il finestrino, chiuse le sicure e si avviò verso la sua sede lavorativa accorgendosi, con velato terrore, che ormai il passato era chiuso per sempre, e che, al pari con le stagioni, la sua estate era finita e l’autunno della sua vita era ormai arrivato.
   
 
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Final Fantasy VIII / Vai alla pagina dell'autore: White Gundam