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Autore: Li_chan    08/02/2004    18 recensioni
Dopo mondiali e trionfi, è arrivato il momento per i giovani campioni della nazionale di lasciare un po' da parte l'agonismo e di immergersi nella quotidianità dei vent'anni. Quattro di loro si troveranno a dividere la stessa università e lo stesso appartamento, ma soprattutto le loro vite.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Genzo Wakabayashi/Benji, Hikaru Matsuyama/Philip Callaghan, Jun Misugi/Julian Ross, Taro Misaki/Tom, Yayoi Aoba/Amy, Yoshiko Fujisawa/Jenny
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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DISCLAIMERS

Tutti i personaggi di Capitan Tsubasa sono © di Yoichi Takahashi, della Shueisha, e degli aventi diritto. All right reserved.Con la presente non si intende ledere nessun diritto.
Lola, Will, e tutti gli altri personaggi non appartenenti a Capitan Tsubasa sono invece © di Li-chan.
Pertanto nessuno può utilizzarli senza il mio permesso.

Buona lettura e possibilmente buon divertimento a tutti!


LEGAMI


Capitolo I


Un giorno speciale

08.00 A.M.

DRIIIINNNNN DRIIIIINNNNN
L’odiato trillo della sveglia si diffuse per tutta la stanza, distraendo il ragazzo dal rassicurante tepore del riposo.
« Jenny…» mormorò, abbracciando il cuscino, cercando di non arrendersi all’interruzione forzata di quello che doveva essere un bellissimo sogno, a giudicare dall’espressione beata dipinta sul suo viso.
La sveglia impietosa continuò nella sua opera, la stessa per la quale il ragazzo l’aveva programmata la sera prima.
« Uhm…» mugolò lui, tirandosi sul volto lenzuola e coperte, nel tentativo di attutire almeno in parte il gorgheggio di quello strano uccello metallico che gli penetrava nel cervello.
Non ottenne alcun risultato, e stancamente aprì gli occhi. Allungò una mano sul comodino e fece tacere quell’odioso oggetto.
« Adesso mi alzo» balbettò, sfregandosi vigorosamente il viso. « Mi alzo, va bene…»
Con un portentoso colpo di reni balzò in piedi. Venne assalito da un’improvvisa vertigine, e si appoggiò al comodino. Il suo sguardo cadde su una fotografia incorniciata adagiata in bella vista sul mobile. La prese e si sedette sul letto, contemplando la bella ragazza dai lunghi capelli che attraverso il vetro gli sorrideva, ammiccante.
« Oh Jenny… Chissà quando ti rivedrò…» mormorò, sdraiandosi sul letto e portandosi la fotografia sul cuore. Chiuse gli occhi, cercando di ritrovare nella memoria il suo profumo di mughetto e cannella.

09.27 A.M.

Un raggio di sole si posò pigramente sul volto del ragazzo placidamente addormentato. Le palpebre sussultarono, e il giovane aprì gli occhi. C'impiegò qualche momento ad abituare le iridi alla luce, e si mise a sedere, poggiando la schiena sulla testata del letto. Si passò le mani sul viso, ancora intontito dalla nuvole del sonno. Distrattamente rivolse un’occhiata all’orologio che portava al polso, e scattò in piedi come una molla.
« Cazzo!» gridò. « Sono le nove e mezza! Ma porc… Meno male che avevo detto a Phil di svegliarmi! Io l’ammazzo!»
Corse fuori dalla stanza, e come un turbine si precipitò nella camera attigua, spalancando la porta. Come immaginava, quel pigrone dell’amico dormiva ancora della grossa, steso sul letto e con la foto di Jenny tra le braccia. Il giovane scosse la testa, rassegnato.

Ma è possibile che io debba conoscere sempre e soltanto dei pazzi scatenati? Scatenati e incoscienti, per giunta! Iniziando da Oliver, con la sua fissa per il pallone, che per anni non è riuscito a guardare al di là del suo naso, per giungere a Mark, con le sue strambe idee maschiliste e i suoi sensi di colpa, che classifica le emozioni e i sentimenti come debolezze… E per di più sono finito a dividere casa con tre di loro! Prevedo guai a non finire…!

Si avvicinò all’amico e lo scosse.
« Phil… Ehi, Phil!»
Il ragazzo aprì un occhio.
« Tom… Cosa vuoi? E’ ancora presto per l’allenamento…»
« Per l’allenamento sì, per la lezione no! Hai la minima idea di che ore siano?! E per di più dovevi essere tu a svegliare me!»
Il ragazzo steso sul letto guardò l’amico di fronte a lui con aria interrogativa, poi spostò lo sguardo sulle lancette della sveglia posta sul comodino.
« Maledizione, è vero!»
Saltò giù dal letto e indossò in fretta e furia un paio di jeans blu scuro, tirandosi indietro con le lunghe dita alcune ciocche che gli ricadevano in disordine sul viso. I capelli scuri gli arrivavano fino alle spalle.
« Tom, cosa ci fai ancora qui?» apostrofò l’amico. « Vai a prepararti!»
Tom lo guardò costernato, e alzò le braccia in segno di resa.

Mi arrendo. Neanche il mio senso pratico può combattere con Philiph.

Tom si voltò, dirigendosi verso la porta.
« Ci vediamo giù tra dieci minuti. Guarda che non ho intenzione di aspettarti, quindi datti una mossa. O prendo la macchina e ti lascio qui.»
Philiph annuì, mentre indossava una maglia di cotone turchese.
« Per la colazione ci arrangeremo in qualche modo più tardi. O pranzeremo direttamente» concluse Tom, rivolgendo un’ultima occhiata all’amico prima di chiudersi la porta della stanza alle spalle.

10.13 A.M.

« Tu sei pazzo!» urlò Tom, mentre sbatteva con violenza la portiera dell’automobile.
Sull’asfalto del parcheggio erano visibili i segni della frenata, come dire, un po’ brusca.
« Cosa ti lamenti? Siamo arrivati QUASI in orario!» replicò Philiph con nonchalance.
«QUASI in orario? QUASI? La lezione di storia del Giappone è iniziata da più di mezz’ora! Ti ricordo che alle nove e mezza, quando dovevamo già essere all’università, tu eri ancora bellamente immerso nel mondo dei sogni! E sai anche tu che razza di bestia diventa Dawson con i ritardatari! In più oggi è il giorno di consegna della relazione! Non ti chiederò mai più un favore! »
« Tom, da quanti anni ci conosciamo noi due?»
« A occhio e croce… direi circa dodici anni.»
« E in questi dodici anni quante volte sono arrivato puntuale ad un appuntamento?»
« Neanche una. Ricordo ancora il giorno in cui dovevamo partire per i mondiali giovanili. Abbiamo seriamente rischiato di rimanere a terra perché tu a due minuti dalla partenza non eri ancora arrivato…»
« E tutto questo cosa ti fa pensare?»
Tom tacque. Aveva capito dove Philiph voleva andare a parare.
« Ho capito» concesse, magnanimo. « Hai ragione tu. La puntualità non è sicuramente il tuo forte.»
« Ok, allora. Andiamo, adesso, o vogliamo incrementare ancora di più il ritardo?»
I due ragazzi si guardarono in viso, e iniziarono a correre, con i libri sotto braccio. Attraversarono rapidi i parcheggi, il vasto giardino e le scale dell’ingresso, raggiungendo i lunghi corridoi della facoltà, gremiti di gente, come in ogni ora del mattino e del primo pomeriggio.
L’edificio, un immenso casermone con la facciata di mattoni rossi, ospitava moltissime facoltà e master post laurea, e poteva vantare una serie di strutture sportive e intellettuali all’avanguardia.
L’università “Morrison” era la più rinomata di Tokyo, famosa, oltre che per la qualità della sua preparazione culturale, per le sue squadre sportive, tra le quali quelle di calcio maschile e basket femminile costituivano la punta di diamante. Doveva il suo nome ad un’eccentrica miliardaria americana, vedova e senza discendenti, che aveva nominato l’università come erede universale, a condizione però che assumesse il suo nome. E così l’anonima università S. era diventata la famosa università “Jane Morrison”, nelle cui casse era confluita un’enorme quantità di denaro, che in seguito venne investito nell’ampliamento strutturale e nella rimodernizzazione di impianti e attrezzature. Tutto questo era accaduto circa un secolo prima, e col passare del tempo il prestigio e la fama dell’università si erano ulteriormente ampliati e rafforzati, tanto che il consiglio di amministrazione poteva contare sulle generose donazioni di ricchi uomini e donne d’affari, che nella maggior parte dei casi si erano laureati proprio alla “Morrison”. In questo modo l’università poteva offrire ai suoi studenti strutture e attrezzature all’avanguardia: un’intera ala era stata trasformata in biblioteca, e i giovani iscritti potevano contare su laboratori, aule specialistiche (arte, musica, chimica…), sale conferenze, dormitori, mensa, una palestra attrezzata, campi da tennis, calcio, basket, e ben due piscine, di cui una coperta, oltre che di un bellissimo giardino interno, dove gli studenti consumavano il pranzo o passeggiavano nelle belle giornate. Per accederci, i ragazzi dovevano superare delle severissime prove di selezione, se non erano beneficiari di una borsa di studio per meriti scolastici o sportivi, o se non erano figli di qualche facoltoso benefattore dell’università stessa.
E i due ragazzi che correvano in corridoio erano esattamente intestatari di borse di studio per meriti sportivi, rispettivamente il numero 10 e numero 11 della squadra di calcio vincitrice del campionato nazionale da due anni, e punti fermi della nazionale giovanile.
« La prossima volta però guido io!» esclamò Tom, cercando di farsi largo con Philiph tra gli altri ragazzi che affollavano i ristretti locali dell’androne. « Vorrei proprio sapere chi diavolo ti ha insegnato a guidare! I limiti ci sono per essere rispettati, sai?»
« Quante storie!» replicò Philiph, distratto e anche un po’ annoiato.
Quando Tom ci si metteva, era più insopportabile di una zanzara molesta.
« Siamo arrivati, no?»
« Già. Ma abbiamo lasciato due dita di strisciata di copertoni in strada!»
Cercavano di raggiungere la loro aula e intanto continuavano a punzecchiarsi, senza accorgersi che le ragazze, in particolar modo le iscritte al primo e secondo anno, ma anche molte di quarta, li osservavano, interessate e divertite.
Entrambi esercitavano molto ascendente sulle ragazze.

10.25 A.M.

« Ma chi abbiamo qui? Signor Callaghan, ben arrivato! Signor Becker, anche lei! Mi meraviglia, sa? Lei è estremamente puntuale. Qual è il motivo di questo ritardo?» li apostrofò il professore di storia del Giappone, non appena li scorse varcare la soglia dell’aula.
Non erano molti gli studenti che frequentavano il suo corso, e per questo non era difficoltoso per lui conoscerli tutti per nome e cognome. Philiph non stentava a comprendere il motivo per cui avesse così pochi allievi, sebbene la disciplina che insegnava fosse tra le più interessanti.
« Domando scusa. Ho passato buona parte della notte sui libri, e non ho riposato abbastanza» rispose Tom, prendendo posto in seconda fila.
Philiph si sedette accanto a lui.
« Bene, questo vuol dire che mi consegnerà la relazione che vi avevo chiesto per oggi.»
Tom cercò nella sua cartella, estraendone un fascicolo che porse all’uomo. Il professore lo sfogliò in silenzio per parecchi secondi, e infine un ampio sorriso di soddisfazione gli si dipinse sul volto.
« Vasto e circostanziato, accuratamente trascritto e ancor meglio rilegato. Mi congratulo con lei, Becker. In questi pochi istanti non ho avuto modo di approfondire ulteriormente il suo elaborato, ma sono certo che ha svolto un lavoro eccellente. Può vantare degli ottimi motivi a monte della sua stanchezza.»
Nella stanza si levò un insistente brusio di sorpresa e malumore. Raramente il professore si era mostrato così accondiscendente con uno studente, e ancor meno aveva manifestato tanto apprezzamento! E in questo frangente Tom si guadagnò le ostilità di buona parte dei suoi compagni di corso, palesemente invidiosi di tanto successo. Tom abbassò lo sguardo, disorientato da tanti complimenti e vistosamente a disagio.
« Constato con piacere che non trascura lo studio, nonostante gli impegni e le responsabilità derivanti dal suo ruolo nella nostra squadra. Devo ammettere che ero un po’ scettico a proposito, ma lei sta dimostrando di saper gestire con profitto entrambe le incombenze. Spero che anche lei, signor Callaghan, sia all’altezza del suo duplice impegno nella nostra università. Mi mostri la sua relazione.»
Philiph scosse la testa. Aveva compreso le intenzioni del docente. Agendo in quel modo non voleva esaltare Tom, sicuramente un ottimo studente, ma sminuire lui. Ciò nonostante gli pose il proprio incartamento, fissandolo in volto con sguardo sicuro. Tom conosceva quell’atteggiamento; anche lui aveva compreso le intenzioni del professore. Rivolse una lunga occhiata all’amico, pregandolo di rimanere calmo.

Philiph, non fare sciocchezze. Non farti trascinare dalla collera. Dawson può renderti la vita impossibile, e lo farà di certo, se gliene darai l’occasione. Lo sai anche tu. E sai anche che non sei nelle sue grazie… Non fare colpi di testa, amico mio…

Le iridi scure di Philiph brillavano per l’indignazione.

Io questo lo distruggo! “Spero che anche lei sia all’altezza del suo duplice impegno nella nostra università!” Cosa vuoi dire in realtà, maledetto ipocrita? Che mi hanno dato quella borsa di studio solamente per la mia fama calcistica? E no, bello mio! Io me la sono sudata, ci ho sputato sangue sopra, studiando di notte come un pazzo per recuperare il tempo dedicato agli allenamenti! E Tom come me! E ora non mi venire a dire queste stronzate! Ti darei volentieri una lezione, bastardo!

Dawson sfogliò con sguardo critico la relazione, rivolgendo una lunga occhiata di disapprovazione al ragazzo.
« Frammentario, superficiale, confuso. Signor Callaghan, nemmeno un ragazzino delle medie potrebbe fare peggio di così. Mi meraviglio che lei sia stato ammesso alla nostra università, e con quelle valutazioni stratosferiche in storia!»

Allora è questo che ti rode? I miei voti in storia! Ti domandi come mai uno che sta tutto il giorno dietro un pallone possa conseguire il massimo dei voti nella tua materia!

« Mi dispiace, ma se continua così sarò costretto a non farle superare il corso.»

Non è vero che ti dispiace, figlio di…! Tu ci godi a rendermi la vita difficile!


« Prenda esempio dal suo collega Becker, che tra l’altro come lei gioca nella nostra squadra di calcio, e riesce benissimo a conciliare entrambi gli impegni, nonostante gli allenamenti e gli incontri ufficiali e non.»

Perché, io non ce li ho gli allenamenti e le partite? Ma guarda questo! Ma non ti permetterò di incrinare un’amicizia che dura da più di dieci anni con questi tuoi ridicoli paragoni! Tu speri che io me la prenda con Tom, perché lui riesce dove secondo te fallisco! Grazie al cielo gli altri docenti non sono come te! Sono equi nei loro giudizi, al contrario tuo! Se non fosse così me ne sarei andato già da un pezzo!


Philiph strinse i pugni con forza, conficcandosi le unghie nella carne, al punto che le nocche diventarono bianche. Non replicò, limitandosi a guardare tranquillamente il docente, riuscendo a dominare la rabbia che sentiva montare dentro di sé. Tom, che l’aveva osservato allarmato, tirò un sospiro di sollievo. Per una volta Philiph non si era fatto trascinare dalla sua rinomata impulsività.
« Allora, signor Callaghan. Devo sicuramente approfondire il suo elaborato, ma da quanto ho avuto modo di constatare, non merita sicuramente la sufficienza. Tuttavia, le concedo una possibilità di riscatto. Mi prepari per la prossima lezione una tesina sulla figura dei ronin, i samurai erranti, che tanta importanza hanno avuto nella storia del medioevo giapponese.»

Un’altra relazione? Dillo pure che mi vuoi caricare di lavoro allo scopo di confondermi il cervello! Ma te la farò, eccome se te la farò! E ti farò rimangiare tutto il tuo disprezzo!


« La prossima lezione gliela consegnerò senz’altro» rispose Philiph, tornando a sedere.
Un’espressione cupa gli velò lo sguardo. Tom lo guardò con silenziosa comprensione e affettuosa vicinanza, ma Philiph non gli badò neppure. Era troppo infuriato.

Penso che non sia così difficile comprendere il motivo per cui Philiph fa così fatica ad alzarsi quando abbiamo lezione di storia del Giappone… Quest’ipocrita di Dawson non perde occasione di criticarlo… Senza motivo, poi… Ho guardato la sua relazione, e non era assolutamente così disastrosa, anzi… E’ senz’altro un buon lavoro… E poi Phil è sempre stato bravissimo in storia…. Lo appassiona, si vede… Divora libri su libri su qualunque epoca e argomento storico… E adesso questo deficiente di Dawson lo accusa di superficialità! Se si mettessero a parlare sul serio, sono sicuro che Philiph sarebbe capace di surclassarlo in un attimo!

La lezione proseguì senza intoppi. Dawson ritirò le relazioni degli altri studenti, ed ebbe perfino la bontà di ripetere l’argomento della precedente lezione ad una ragazza che non lo aveva compreso appieno. Era di buon umore, si vedeva.

Brutto deficiente! Adesso è soddisfatto perché ha messo Philiph in difficoltà! Se potessi gli tirerei un pugno sul naso! Ma non servirebbe a niente. Solo ad aggiungere problemi a problemi. Anche Philiph lo sa, e per questo non ha replicato. In un’altra occasione avrebbe risposto per le rime…

Tom tornò a guardare l’amico, che con le braccia incrociate sul petto seguiva la lezione con simulato interesse. Gli occhi scuri non riuscivano a contenere l’indignazione e la rabbia, e ogni tratto del viso era atteggiato in un’espressione di cupa serietà. Stava cercando in tutti modi di controllarsi. Tom distolse lo sguardo da lui, e iniziò a vergare il suo notes di appunti.

12.04 A.M.

Provvidenziale come non mai, giunse infine il termine di quelle terribili due ore. I ragazzi lasciarono l’aula in modo ordinato e composto, come richiedeva Dawson ai suoi studenti. Gli ultimi a varcare la soglia della stanza furono proprio Tom e Philiph, avvertendo sulla pelle lo sguardo pungente di Dawson che li seguiva.
« Io questo Dawson proprio non riesco a mandarlo giù!» proruppe Philiph, scuro in volto.
« Se ti può consolare, nemmeno io. Non riesce ad essere obiettivo con te. Ho letto la tua relazione, ed è un buon lavoro. Credo che sia migliore della mia. Non riesco proprio a capire il motivo del suo comportamento. Si vede lontano un miglio che si comporta così per dispetto. Ce l’ha con te per qualcosa, o gli sei semplicemente antipatico» rispose Tom, mentre attraversavano entrambi il corridoio, gremito di gente ancor più che due ore prima.
« E per una stupida antipatia mi rovina la carriera universitaria?! Lo sa che io e te dobbiamo obbligatoriamente ottenere buone votazioni in storia del Giappone per poter accedere all’ultimo anno. Lo dica che per quanto io faccia non mi darà mai la sufficienza, così evito proprio di presentarmi a lezione!»
« Phil, non compiere atti avventati. Pensa prima di agire. Lo sai quanto c'è costata questa borsa di studio. Non mandare a monte la laurea per l’idiozia di un inetto. Ricordi, vero, cosa ci ha spinto ad iscriverci qui? Per quanto bella e ricca di soddisfazioni, la carriera di uno sportivo è effimera, dura appena pochi anni. E quella di un calciatore è ancora più breve. Una laurea conseguita in un’università prestigiosa può aprirci molte strade, in futuro. E sia che riusciamo a realizzarci nello sport, sia che per disgrazia non ce la facciamo, non ci ritroviamo col culo per terra.»
Philiph guardò Tom, stupito e divertito. Raramente aveva sentito il saggio e compìto Tom usare espressioni del genere. Lui e Benji lo avevano soprannominato “James” per le sue maniere perfette e il suo linguaggio forbito. Non che fosse noioso, anzi! Era di temperamento allegro e vivace, rideva volentieri, organizzava scherzi e li riceveva di buon grado. Il compagno ideale per uno come lui. Uno dei suoi pochi difetti era un eccesso di perfezionismo, derivante forse dall'ineccepibile educazione che aveva ricevuto fin da bambino. Suo padre era un pittore errante, divorziato, e aveva viaggiato per il mondo con il figlio fin da quando Tom era in tenerissima età, riuscendo tuttavia a trasmettergli una finezza di modi invidiabile. Tom non rideva mai di qualcuno, non si faceva mai burla di nessuno. Era il primo ad apprezzare il sapore di uno scherzo ben fatto, com'era il primo a condannare scherni e derisioni offensivi. Erano amici anche per questo. E il fatto che adesso avesse pronunciato una frase del genere, significava che era furente con Dawson quasi quanto lui.

Sei proprio un buon amico per me, Tom Becker.

« Adesso cosa farai, Tom? Vai a casa?»
« Purtroppo no. Ho una lezione tra venti minuti. Arte, pensa un po’.»
« Ancora non ho capito perché hai scelto un corso del genere. Io non riesco nemmeno a prendere una matita in mano.»
« Beh, io sono figlio di un pittore! Vuoi che non abbia almeno un po’ di talento?»
« A volte dimentico che tuo padre è un artista affermato.»
« E tu cosa farai, Phil?»
« Non ho più lezioni, per oggi. Però non ho voglia di andare a casa. A parte il fatto che subito dopo pranzo abbiamo gli allenamenti. Credo che mi rintanerò in biblioteca per un’oretta, buttando giù qualche spunto per l’ennesima relazione da consegnare a Dawson. Poi andrò a pranzare.»
« Allora ci vediamo in mensa. Io scappo, altrimenti arrivo tardi.»
« Ok. A dopo, allora.»
I due ragazzi si separarono. Tom corse verso l’ala ovest, e Phil si avviò senza fretta verso quella sud.
Non sapevano che per entrambi un destino aveva in serbo una sorpresa.

12.22 A.M.

Una ragazza percorreva lentamente i vasti corridoi dell’università. Reggeva nella mano destra una cartella, e nella sinistra un foglietto spiegazzato, sul quale i suoi occhi si posavano di tanto in tanto. Sembrava che stesse cercando qualcosa o qualcuno, ed era talmente assorta nella sua ricerca da non accorgersi degli sguardi e dei mormorii che si levavano al suo passaggio. Le ragazze la indicavano alle amiche, scuotendo la testa in segno di disapprovazione, e i ragazzi la fissavano incuriositi. Ed era veramente impossibile non notarla, visto che sfoggiava con noncuranza ciò che la maggior parte delle persone non osava nemmeno pensare.
Indossava un paio di jeans blu scuro con due grossi risvolti, spruzzati di vernice dorata, e una maglietta bianca a maniche lunghe, molto semplice, su cui era stata disegnata l’immagine della Venere di Botticelli. Ai piedi un paio di sandali infradito neri, con una leggera zeppa stampata a grandi fiori azzurri. I capelli castano dorato erano stati raccolti in due grosse trecce che le ballonzolavano sul seno, fermate all’estremità da due vistosi elastici gialli a forma di girasole, e adagiato sul capo sfoggiava un buffo cappellino bianco lavorato all’uncinetto, trattenuto sulla nuca da due forcine lilla. Le unghie, lunghe e ben curate, erano state dipinte in diversi colori, e ciascun dito sfoggiava un anello d’argento, compresi pollice e mignolo. Le orecchie erano state forate innumerevoli volte, col risultato che la compilation d'orecchini che ostentava brillava di uno strano scintillio ad ogni passo di lei. Il viso presentava un filo impalpabile di make-up, applicato con grande cura sugli occhi e sulle labbra, nella forma di un velo di ombretto grigio chiaro e di un gloss rosa naturale; la semplicità del trucco contrastava con la stravaganza del suo abbigliamento. Era molto graziosa, ed era forse questo ad attirare maggiormente l’attenzione: poche persone possono permettersi tale originalità senza rasentare il ridicolo. E invece lei stava benissimo.

Santo cielo, quanto è lontana l’aula di arte! Se non mi sbrigo arriverò in ritardo per la seconda volta! E per oggi basta e avanza! Per fortuna sono quasi arrivato!

Immerso com’era nei suoi pensieri, Tom non prestò la dovuta attenzione nello svoltare un angolo. Travolse qualcuno che stava sopraggiungendo nella direzione opposta, con l’immaginabile risultato che si presero entrambi una bella botta e caddero sul pavimento.
« Oddio, scusami! Mi dispiace! Ti sei fatta male?» domandò Tom, sinceramente dispiaciuto.
« Ahia! Ho sbattuto il gomito! Certo che mi sono fatta male, idiota! La prossima volta guarda dove vai, o finirai per ammazzare qualcuno!»
Tom la fissò costernato. Nessuno gli aveva mai parlato in quel modo. Sentendosi osservata, la ragazza alzò lo sguardo e i loro occhi s’incrociarono.

Il viso dai lineamenti delicati, dalla carnagione chiara, incorniciato da folti capelli castano dorato, raccolti in due trecce che ricadevano mollemente sul seno. La fronte ampia, gli zigomi appena accennati, le gote dipinte da un leggero rossore. Gli occhi grandi, di un caldo bruno, lucenti come l’oro.
Ecco cosa vide il ragazzo.

Il viso dall’incarnato leggermente ambrato, segno inequivocabile della sua vita da sportivo, i corti capelli castani in uno studiato disordine, le labbra carnose atteggiate in un lieve sorriso, gli occhi nocciola che la fissavano con curiosità e dolcezza. Ogni suo tratto denotava armonia e serenità.
Ecco cosa vide la ragazza.

Non ho mai visto una ragazza simile prima d’ora… Definirla strana è senz’altro un eufemismo… Il suo abbigliamento è, come dire, bizzarro… Ma quante orecchini ha??? Chissà che male, forarsi le orecchie così tante volte! Un momento, ha le unghie smaltate con diversi colori! Però è carina… Sembra una matricola… Ha degli occhi davvero splendidi… Ora che la guardo meglio, mi sembra di averla già vista da qualche parte… Sì, ne sono sicuro! Il suo viso non mi è nuovo… Ma dove? Non posso essere stato così scemo da aver scordato un paio d’occhi simili! Tom, cerca di ricordare! Dove…?

Oddio, oddio, oddio!!! E’ lui! Ecchecavolo, non posso fare sempre queste figure da imbecille!!! Sapevo che anche lui frequentava la Morrison, speravo di rivederlo, ma non m’immaginavo d’incontrarlo così presto… E l’ho pure chiamato idiota! Ma posso essere più stupida!!!

Tom le sorrise e le porse la mano.
« Ti aiuto ad alzarti» disse.
La ragazza strinse la mano di lui, e si alzò in piedi. Tom le sorrise, con simpatia.
« Scusami se ti sono venuto addosso in quel modo. Mi dispiace molto.»

Tom, non sei cambiato affatto in questi anni… Sei gentile ora come allora… E non è cambiato neanche il tuo modo di sorridere… Con quel sorriso luminoso e seducente… Non sorridermi così, Tom! Non sai quanto mi ha fatto male in passato quel tuo sorriso!

« Il fatto è che ero di fretta perché temevo di arrivare tardi alla lezione del professor Abbott.»
La ragazza lo guardò, stupita.
« Tu frequenti le lezioni d’arte del professor Abbott?»
« Sì, certo. Non vedo cosa ci sia di strano.»

Non ci posso credere… Troppe coincidenze! Prima lo incontro il giorno stesso del mio arrivo qui, e poi scopro che è addirittura mio compagno di corso! Uhm… Strano… Dov’è il trucco? Troppe felici coincidenze per far parte della mia miserevole vita…

« Niente, scusa. Il fatto è che anch’io stavo cercando l’aula d'arte…»
« Sei una matricola, vero? Non ti avevo mai vista, prima. Altrimenti mi sarei ricordato di te.»
La ragazza arrossì, ma Tom non se ne accorse.
« Se vuoi ti mostro dov’è. Tanto andiamo dalla stessa parte!»
« Accetto la tua offerta con piacere. Anche perché non so se da sola l’avrei trovata.»
« Allora andiamo. Dobbiamo sbrigarci, però. Altrimenti arriviamo tardi.»

12.33 A.M.

Entrarono nell’aula pochi attimi prima che comparisse il professore. L’aula era gremita, come ad ogni lezione di Abbott, stimatissimo dai suoi studenti per la competenza e l’umanità dimostrate in svariati anni d’insegnamento. Trovarono due posti liberi in file diverse, cosicché si dovettero separare. Tom seguì la ragazza con la coda dell’occhio, e non gli sfuggirono le occhiate curiose che le rivolgevano gli altri studenti. In esse non v’era traccia di malignità come in quelle delle ragazze nei corridoi, ma la giovane sembrava immune anche a queste. Non se ne rendeva nemmeno conto. Prese posto in silenzio, ed aprì la cartella, scostandosi le trecce dal collo con gesto deciso.

Strana ragazza. Già, proprio strana.

« Buongiorno ragazzi!» li salutò il professore, entrando.
« Buongiorno!» risposero i suoi studenti, in coro.
« Il week-end si avvicina, eh! Allora dovreste essere di buonumore come il sottoscritto!»
Nella stanza riecheggiò una sonora risata. Eh sì, il professor Abbott sapeva proprio come mettere a loro agio i ragazzi.
La lezione iniziò, e sia Tom che la ragazza misteriosa la seguirono con palese interesse. Interesse che tuttavia non impediva loro di scambiarsi di soppiatto delle fuggevoli occhiate… In particolare lei osservava ogni particolare di Tom con attenzione… Dai jeans grigio antracite alla camicia bianca aperta sul collo che indossava, al grosso anello d’argento che sfoggiava all’anulare, all’orologio con bracciale in acciaio, alle mani lunghe e nervose che scrivevano velocemente gli appunti, al bracciale d’oro troppo grande per i polsi sottili di lui, alle spalle larghe e il torace possente che s’intravedevano appena sotto la camicia, allo sguardo assorto, al modo particolare che aveva di tirarsi indietro i capelli…

Non posso credere di avere Tom di fronte a me… Dopo tutti questi anni le nostre strade si sono incrociate nuovamente… E’ così cambiato… E’ un uomo ormai, non è più il ragazzino dei miei ricordi… Un uomo straordinariamente attraente… Non ho mai visto un ragazzo bello come lui… Ma contemporaneamente è rimasto lo stesso… Sempre gentile e disponibile… Non si direbbe che è un calciatore così famoso, colonna portante della nostra nazionale… Eh, no! Basta con questi pensieri! Non sono qui per lui! Sono qui per studiare! Non devo pensare a Tom. Non devo assolutamente ricascarci. Ci sono stata male abbastanza una volta. Non voglio ricominciare. Lui non ha mai saputo niente, e sicuramente non ha mai badato a me. E’ naturale che non si ricordi, e anche se così non fosse non mi riconoscerà sicuramente… Sono anni che non ci vediamo… Quindi non devo farmi illusioni a proposito. Lui non può aver serbato nel cuore per me la stessa immagine che io ho serbato di lui…

« D’accordo ragazzi, adesso facciamo qualche esercitazione pratica. Ho parlato abbastanza per oggi, fatemi riposare un po’!» disse Abbott, sistemandosi comodamente in cattedra dopo aver percorso a grandi passi l’aula durante la spiegazione.
« Sbalorditemi con il vostro talento artistico! Scegliete un soggetto a piacere e disegnatelo a matita sui vostri album.»
« Un soggetto qualsiasi?» chiese una ragazza.
« Qualsiasi cosa. Un viso, un oggetto, un sogno… Non vi pongo limiti. Potete anche cimentarvi nella libera interpretazione. Perché non è detto che il vostro soggetto debba essere per forza un oggetto materiale… L’arte è libertà, ragazzi. Qualsiasi forma d’arte è espressione della libertà dell’uomo. Ricordatevelo sempre. Non a caso le dittature e i regimi assolutisti hanno sempre temuto ogni forma d’arte e i suoi esponenti, arrivando perfino a bruciare in pubblici falò biblioteche intere, ed esiliando o trucidando gli artisti. Volevano impedire agli uomini di pensare e di imparare dal passato. E non voglio essere proprio io colui che legherà le vostre giovani menti a stupidi preconcetti. E ora, al lavoro.»

13.24 P.M.

« Ragazzi, tra cinque minuti la mia lezione avrà termine, con vostra somma gioia. Se non avete finito i vostri capolavori, non ha importanza. Avrete tempo la prossima lezione. Adesso passerò tra voi per controllare il lavoro dei miei giovani e promettenti artisti. Non preoccupatevi se volete apportare qualche miglioria o correggere un’imperfezione, mi rendo benissimo conto che quelle che avete davanti sono solo delle bozze, non i lavori definitivi. Ciò che m’interessa è verificare il vostro stile, e aiutarvi a raffinarlo sempre più» disse Abbott, alzandosi e avvicinandosi alla prima fila.
Tom posò la matita e guardò con occhio critico il suo disegno. Raffigurava una giovane donna dai tratti aristocratici e lo sguardo allegro, con i capelli fluenti che le accarezzavano morbidamente le spalle. Nel complesso, non sembrava essere venuto malissimo.
Cercò con lo sguardo la ragazza misteriosa, e la scorse non senza una certa sorpresa ancora assorta nel suo disegno, talmente concentrata da non accorgersi del vivace cicaleccio dei ragazzi vicino a lei.
« Signor Becker, vedo con piacere che continua a frequentare le mie lezioni.»
Una voce alle sue spalle. Tom alzò gli occhi e guardò in volto Abbott, che gli sorrideva.
« Lei è un ragazzo coscienzioso. Un ottimo studente ed un ottimo atleta. Suo padre dev’essere fiero di lei.»
« Lei conosce mio padre?»
« Sì, ho avuto il piacere d’incontrarlo diverse volte alle sue mostre, e anche a qualcuna delle mie. Un grande pittore e un uomo eccellente. Se lei ha ereditato almeno una parte del suo talento, sono sicuro che diventerà uno dei miei migliori allievi.»
« Non sono bravo come lui, ma amo molto l’arte.»
« Ed è questo l’importante, Becker. Amare l’arte. I risultati arriveranno in seguito. Ora mi mostri il suo lavoro.»
Tom glielo porse senza indugio. Non era molto sicuro della sua abilità, ma sapeva che Abbott non gli avrebbe rivolto commenti denigratori o sarcastici, ma anzi l’avrebbe incoraggiato in ogni caso, anche se avesse trovato il suo disegno davvero orribile. Era proprio questa circostanza a rendere il professor Abbott uno dei beniamini degli studenti, e a fare di lui l’esatto opposto di Dawson, che invece era pungente e beffardo, come aveva dimostrato ampiamente la stessa mattina.
« Un lavoro pregevole, Becker. Davvero pregevole. Certo, è ancora grezzo, vanno limate via certe grossolanità, ma questa donna RESPIRA. Non conosco il legame che vi unisce, ma sono sicuro che dev’essere molto stretto, se la spinge a ritrarla in questo modo. Lei possiede indubbie capacità, Becker. Le sfrutti per il meglio. Anche se l’arte non dovrà essere la sua strada, in futuro, non smetta di dipingere» lo incoraggiò Abbott, restituendogli il blocco e passando oltre.
Tom lo seguì con lo sguardo, curioso di vedere cosa avrebbe detto alla ragazza misteriosa. Più la osservava, più si faceva forte la strana sensazione di déjà vu che aveva provato dal primo momento. Nonostante i suoi sforzi, però, non riusciva a ricordare dove l’avesse incontrata…
« Provo sempre piacere nel vedere l’impegno e l’interesse sincero verso l’arte, specie da parte di voi giovani. Ora però, signorina, posi la matita e mi dia il disegno.»
La ragazza misteriosa sussultò. Non si era proprio accorta della sopraggiunta presenza di Abbott dietro di lei.
« Mi scusi» balbettò, abbandonando la matita e tendendo il blocco all’insegnante. « Non è venuto molto bene, e cercavo di migliorarlo un po’. Anche se non ci sono riuscita.»
« Lo faccia decidere a me questo, signorina» sorrise Abbott, prima di spostare lo sguardo verso il disegno.
Il suo viso cambiò espressione. Da ilare si fece serio, e osservò con un’espressione grave lo schizzo che teneva tra le mani.

Oddio… E adesso che succede? Sapevo di non aver combinato granché, ma non credevo che fosse addirittura così disastroso… Sono una frana! Come se non bastassero tutti i casini che ho combinato con Tom… Ci manca solo che Abbott mi sbatta fuori dal corso! Lo sento già: “Lei è indegna di frequentare le mie lezioni!”; E il fatto che lo dica proprio un pezzo di pane come Abbott vuol dire che sono proprio un disastro ambulante…

Abbott la guardò in viso, poi tornò ad osservare il disegno, e infine posò nuovamente lo sguardo su di lei.
« E’… notevolissimo… Da parte di una ragazza così giovane, poi… Non vorrei essere indiscreto, ma lei quanti anni ha, mia cara?»
Un brusio di sorpresa e ammirazione si levò per la stanza. Abbott era notoriamente giovale e amichevole, ma mai prima d’ora si era rivolto a qualcuno con un appellativo così affettuoso. Lei rimase interdetta per un attimo, infine balbettò:
« Io… diciotto…»
« Diciotto anni appena… Frequenta il primo anno, non è vero?»
La ragazza annuì.
« Una matricola… Una ragazza giovanissima… Posso mostrare la sua opera ai suoi colleghi?»
Lei arrossì, ma annuì per la seconda volta. Abbott passò nuovamente tra gli studenti, presentando loro lo schizzo della ragazza, e tutti lo osservarono con attenzione. Tom in particolar modo era curioso di vedere cosa aveva suscitato tanto entusiasmo in Abbott, e quando il professore giunse di fronte a lui esaminò minuziosamente lo schizzo, comprendendo i motivi di tanto apprezzamento.

Il disegno ritraeva un paesaggio, con un’imponente quercia in primo piano, e in lontananza delle colline brulle e spoglie, il tutto dominato da un cielo cupo carico di pioggia. Uno scorcio d’autunno. Tra tanta desolazione, il grande albero spiccava per la placida vivacità, e le sue foglie costituivano l’unica nota di colore in un luogo altrimenti spento. Un paesaggio sicuramente malinconico, ma intriso di una grande energia espressiva, tanto che chi lo osservava non veniva colpito dalla solitudine della maestosa quercia, ma dalla dignità con cui affrontava un inverno ormai alle porte, l’ennesimo della sua lunga esistenza.

Bellissimo… E’… meraviglioso… Non so come definirlo altrimenti… Sono senza parole…

Abbott finì di mostrare lo schizzo agli altri ragazzi, e tornò dalla sua autrice, senza sforzarsi di nascondere la propria soddisfazione.
« Glielo rendo» disse, porgendole il blocco, che la ragazza afferrò prontamente. « Non le nascondo che sono rimasto vivamente impressionato da lei, oggi. Forse dovrei andare più cauto con certe affermazioni, ma sono sicuro di ciò che dico. Lei è un talento naturale. Ha ricevuto un grande dono, e se lo coltiverà con cura e dedizione diventerà una grande artista. Non ha mai beneficiato di lezioni extrascolastiche?»
« No… Io ho sempre fatto parte del club di disegno fin dalle elementari, ma non ho mai avuto un insegnante che mi seguisse in privato.»
« Disegna da molto tempo?»
« Non lo so con precisione. Da che mi ricordo, ho sempre tenuto una matita in mano.»
« Proprio come immaginavo. Un’ultima domanda. Mi dice il suo nome?»
« Io sono… Mi chiamo Lorelei Jackson.»
« Lorelei Jackson… Ho sentito parlare di lei. Due anni fa ha vinto il premio speciale della giuria ad un importante concorso di pittura. La notizia di una promettente pittrice appena sedicenne ha avuto molto risalto. Ero a conoscenza del fatto che nella nostra università era attesa una studentessa dalla promettente vocazione artistica, ma non sapevo che si trattasse proprio di lei.»
Lei arrossì vistosamente.
« Io non volevo partecipare a quel concorso. Non sapevo neanche che mio fratello avesse spedito un mio quadro alla giuria.»
« E’ stato suo fratello? Peccato, speravo che fosse stato il suo insegnante. Suo fratello è stato più lungimirante degli adulti che la circondavano.»

Lorelei Jackson… Lorelei Jackson… Ho già sentito questo nome… Il problema è il solito: dove??? Un momento… Jackson… Come Freddie Jackson… Che sia…?

« Spero di vedere presto terminato il suo bozzetto. Come pensa di realizzarlo?»
« Ecco… Pensavo di adoperare i colori ad olio.»
« Non poteva compiere scelta migliore.»
Le sorrise nuovamente, e si rivolse agli altri ragazzi, che avevano seguito con vivo interesse gli sviluppi della vicenda.
« Ragazzi, andate pure a pranzo. E scusatemi se vi ho trattenuto finora. Ci vediamo la prossima lezione. Buona giornata a tutti.»
Gli studenti si alzarono, e lasciarono la stanza alla spicciolata. Tom raccolse in fretta il materiale che aveva adoperato, rivolse un rapido saluto ad Abbott, e corse dietro alla ragazza, che stava guadagnando l’uscita a rapidi passi.
La raggiunse quando ormai era già nel corridoio, e la trattenne per un polso. Lei si girò di scatto, stupita nel ritrovarsi di fronte Tom.
« Aspetta un momento» le disse lui. « Io… Ti conosco. Tu sei la sorella di Freddie. Lorelei Jackson. Tu sei… Lola.»

Oddio oddio oddio! E adesso? Mi ha riconosciuto!!! Questa poi… Non sono assolutamente preparata ad una situazione del genere! Che faccio? Nego? Confermo? Scappo via? Ero talmente convinta che lui non mi riconoscesse che non ho minimamente pensato a come comportarmi nel caso contrario! Sono un caso disperato! Mi sento svenire! E tu, Tom, non rivolgermi quel sorriso così affascinante! Mi confondi ancora di più, così! Ma perché diavolo sei diventato così bello, ancora di più di quando venivi a casa mia a giocare a calcio con Freddie, e io rimanevo ore a guardarvi, nascosta dietro la macchina di papà…?

13.46 P.M.

Philiph uscì dalla biblioteca tenendo sotto il braccio destro un grosso libro, mentre la mano sinistra reggeva un fascio d'appunti.

Se con questa relazione non riesco a stenderlo, vorrà dire che è proprio prevenuto al massimo grado contro di me… E allora veramente mi ritroverò con il culo per terra… Ma non voglio rovinarmi il pranzo per quel deficiente… Meglio non pensarci… Altrimenti avrò sul serio un travaso di bile…

Si avviò velocemente verso la mensa, quando i timidi raggi di un sole insolitamente caldo per quella stagione attirarono la sua attenzione. Il cielo terso e la temperatura mite lo convinsero a uscire per godersi la bella giornata. Spalancò la porta e scese le scale che portavano allo splendido giardino interno dell’università. Passeggiò per pochi minuti, respirando a pieni polmoni l’aria frizzante e immergendosi nell'atmosfera serena di quel piccolo paradiso, quasi deserto a quell’ora.

Seguono tutti il loro stomaco… E invece è proprio questa l’ora migliore per godersi la pace di questo straordinario angolo di mondo…

Si sedette sotto un imponente ciliegio, in piena fioritura in quel periodo dell’anno, e appoggiò il capo al tronco, socchiudendo gli occhi.

Con Jenny… Quante volte ho passeggiato sotto i ciliegi, tornando a casa… Erano davvero splendidi, a Hokkaido… La fioritura era tardiva rispetto ad altri climi più miti, ma forse proprio per questo era così… speciale… L’aspetto buffo della vicenda è che non mi sono mai piaciuti i ciliegi…. Questo finché non l’ho incontrata… Finché non ti ho incontrata, Jenny… Che sciocco, tutto quel tempo perso… E poi la corsa all’aeroporto, nel mio disperato tentativo di non perderla per sempre… Quel bacio lievissimo, scambiato di sfuggita mentre sua madre era distratta… Un bacio candido come la neve del nostro paese, sulla guancia… Il primo bacio che abbia ricevuto da una ragazza… Mio Dio, quanto ero imbranato! Ma nella mia vita non c’è più stata un’altra donna come lei… Le ragazze più belle e i baci più sensuali e profondi non mi hanno mai fatto provare nemmeno un decimo delle sensazioni che mi ha trasmesso lei quel giorno, con un tocco talmente lieve e sfuggevole da sembrare il battito d’ali di un angelo… Le tante notti di passione che ho trascorso in questi anni non sono servite a farmi scordare il suo sorriso sincero, i suoi occhi quieti e ridenti, i capelli che l’elastico non riusciva mai a trattenere e che le cadevano in continuazione sul viso, il suo profumo di mughetto e cannella… Nessuna è stata in grado di rendermi felice come sapevi fare tu, Jenny… Un tuo bacio per me è più prezioso dell’ammirazione e dell’adorazione di tutte le donne di questo mondo… Un momento di tenerezza tra le tue braccia è come una stella cadente che attraversa il mio cuore…* Mio Dio, quanto mi manchi, Jenny! Stiamo insieme da sette anni, ma quanto tempo abbiamo passato insieme? Eppure ci unisce qualcosa di straordinario, Jenny… Tu… Sei l’unica donna per me…

Un’improvvisa folata di vento lo distrasse dai suoi pensieri. I suoi appunti volarono dappertutto, sospinti dalla leggera brezza primaverile.
« Dannazione, gli appunti!» sbraitò.
Si alzò immediatamente e li raccolse uno ad uno, senza difficoltà. Fortunatamente il venticello che si era levato non era molto intenso. Una volta che li ebbe radunati tutti, li fissò con espressione indecifrabile. Il brillio di gioia che il solo pensare a Jenny aveva impresso nelle sue iridi si spense.

Quanto ti odio, Dawson! Ho già abbastanza problemi per conto mio, e tu ti diverti ad aggiungermene di nuovi! Se potessi, credo che ti ammazzerei!

Trascinato dalla collera, sferrò un gran pugno contro il ciliegio. Avvertì un acuto dolore alla mano, e la guardò, stupito. Il sangue scorreva, caldo e copioso, da una profonda ferita sulle dita e le nocche. Guardò il tronco dell’albero. La corteccia era saltata via in più punti. Posò l’altra mano, la sinistra, sul ciliegio.

Scusami, amico. Ti ho coinvolto nei miei casini.

« Philiph! Cosa stai facendo? Sei impazzito?!» gridò una voce alle sue spalle.
Phil si voltò e vide un ragazzo che lo osservava, sbalordito. Indossava un paio di jeans azzurri, e una camicia di due tonalità più scura, abbottonata per metà e con le maniche rimboccate. Sul collo sfoggiava un sottile nastrino di pelle e al polso sinistro un grosso bracciale d’argento, aggrovigliato ad un voluminoso e costoso orologio; l’unico dettaglio particolare era costituito da una fedina intarsiata, pure d’argento, al pollice destro. I capelli castani di media lunghezza erano stati pettinati accuratamente all’indietro, e ciò nonostante alcune ciocche gli accarezzavano morbidamente le tempie. Il volto dai lineamenti decisi, ingentiliti dai colori tenui della carnagione e dal sorriso luminoso e vivace, che si presentava spesso e volentieri sulle labbra sensuali, era di una bellezza disarmante, acuita maggiormente dall’espressione malinconica che si poteva leggere in fondo ai profondi occhi nocciola. Non c’era da stupirsi che appena pre-adolescente avesse disseminato cuori infranti come margherite tra le sue coetanee.
« Julian! Cosa ci fai qui?» gli chiese Philiph.
« Potrei rivolgerti la stessa domanda, sai?» replicò Julian tranquillamente, avvicinandosi a lui. « Ti stavo cercando per pranzare insieme. Non mi sarei mai aspettato di vedere la scena cui invece ho assistito.»
Philiph tacque.
« Phil, tu sei una testa calda. Ricordo ancora i contrasti, chiamiamolo vivaci, che hai avuto con Mark in più di un’occasione, quando non era occupato a punzecchiarsi con Benji. Santo cielo, quante ce ne avete fatto passare, voi tre, a me, Tom e Holly! Però c’era una cosa che ti distingueva dagli altri due: mentre Benji e Mark sono caratterialmente due attaccabrighe, tu reagisci solo se provocato. Non attacchi mai per primo, ti limiti a reagire. Il tuo difetto è l’impulsività, Phil, ma c’è sempre una buona ragione dietro alle tue azioni. E per questo sono sicuro che dietro all’attacco d’ira di poco fa c’è un buon motivo. Se me ne vuoi parlare… Prima però, andiamo in infermeria a medicarti questa mano. Fa vedere, dai!»
Philiph si ritrasse bruscamente.
« Non fare il bambino, Phil. Se non vuoi mostrarla all’amico, lo farai con l’allenatore. Philiph, t'intimo di darmi la mano!» ordinò Julian.
Philiph sospirò, e finalmente si decise. Julian la osservò attentamente. Il sangue continuava a fuoriuscire, scivolando lentamente tra le dita.
« Non vorrei allarmarti, ma è probabile che ti suturino questa ferita con alcuni punti» commentò Julian, stringendo con forza un fazzoletto attorno alla mano dell’amico per fermare la perdita di sangue.
« E meno male che sei un centrocampista! Se ci fosse stato Benji al tuo posto… Meglio non pensarci. Ahhh, ma una cosa è certa: ti avrei ucciso con le mie mani! Invece tu dovrai giocare lo stesso, anche se dovessero amputartela, la mano! Tanto in campo non ti serve!»
Philiph sorrise, per la prima volta in quella mattina. Non sapeva il motivo, ma adesso era più sereno.

Tom e Julian sono le persone più assennate che conosca. Eppure… sanno essere anche così spiritosi… Julian specialmente… Ha una forza d’animo straordinaria… Considerato quello che ha passato e quello che passa tuttora… E’ un ragazzo eccezionale…

Julian passò un braccio sulle spalle dell’amico, un gesto carico d’affetto.
« Andiamo, Philiph. Considerato che dobbiamo ancora mangiare e che dopo ci sono gli allenamenti…»
« Dannazione! E’ vero, gli allenamenti! Me n’ero proprio scordato!» esclamò Philiph, parlando per la prima volta.
« Ma io no, caro mio numero 10!» concluse Julian, sorridendo.

14.35 P.M.

« Ma porc…! Tre punti di sutura e una fasciatura così stretta da non permettermi nemmeno di prendere in mano la forchetta! Come faccio a mangiare?!» quasi urlò Philiph.
Lui e Julian sedevano comodamente in un tavolo della mensa, uno di fronte all’altro. Davanti a loro il pranzo, che emanava un profumo delizioso. La signora Ann, la cuoca, quel giorno si era proprio superata. Phil sentiva i morsi della fame attorcigliargli lo stomaco. Non toccava cibo dalla sera prima. Il suo sfogo era quindi comprensibile, ma certo non parve così agli altri ragazzi, che si voltarono a fissarli con palese curiosità. Julian arrossì, tossendo imbarazzato. Philiph invece era talmente concentrato nel tentativo di prendere una cucchiaiata di riso con la mano sinistra, che non se n'accorse neppure.
« Phil, te lo chiedo per piacere. Cerca di abbassare il tono di voce» lo redarguì Julian.
« Perché? Che ho fatto?» chiese Phil, riuscendo finalmente a portarsi il cibo alla bocca.
« Lascia perdere. Solo parla più piano, per favore. Siamo già abbastanza sotto i riflettori per via della squadra e della nazionale, non vorrei alimentare altri aneddoti su di noi oltre a quelli che circolano già, veri o falsi che siano.»
« Ho capito» rispose Phil, tra un boccone e l’altro.
Julian sorrise.
« Vedo che alla fine sei riuscito a mangiare…»
« Potenza della fame. Non tocco cibo da ieri sera. Mi preoccupa solo una cosa.»
« E cosa?» chiese Julian, interessato.
« Come diavolo faccio a tagliarmi la carne con una mano sola?!»
Julian rimase interdetto per un attimo. Poi scoppiò a ridere. Una risata aperta e contagiosa.
« Julian! Non osare ridere così delle mie disgrazie, sai?» lo minacciò Philiph, indicandolo con la forchetta.
Julian continuò a ridere, incurante delle proteste dell’amico. Riuscì infine a calmarsi, e si asciugò le lacrime con il dorso della mano. Philiph lo guardò torvo.
« Dai, Phil, non fare così! Te la taglio io la carne. E per dimostrarti la mia buona fede, ti sbocconcello anche il pane» propose Julian, prendendo in mano la forchetta per la prima volta e intaccando la sua razione di riso.
« Così va meglio. Offerta di pace accettata.»
Proseguirono il pranzo in silenzio. Julian mangiava lentamente, con moderazione, mentre Philiph divorava il cibo con gusto. Ben presto terminò il primo piatto, e allora rivolse a Julian una lunga occhiata supplichevole. Julian, che aveva il riso ancora davanti agli occhi, sentendosi osservato, alzò lo sguardo e guardò stupefatto l’amico.
« Potevi dirmelo, sai, che avevi finito. Non c’era bisogno di guardarmi con quella faccia da cane bastonato. Non mi sono scordato di tagliarti la carne, povero cuccioletto affamato. Certe volte sei proprio strambo, Phil.»
Afferrò il piatto di Philiph e iniziò a tagliargli la carne, pazientemente. Philiph seguiva con gli occhi ogni sua mossa, un’espressione soddisfatta dipinta sul viso.
« Guarda un po’ cosa mi tocca fare… Neanche fossi tua madre, o la tua manager…»
Julian tacque. La sua frase aveva ripristinato dall’oblio momenti del passato non solo di Philiph, ma anche suoi.

“Buongiorno capitano!”: mi accoglievi sempre così, con questo saluto e un sorriso. Mi piaceva tanto il tuo sorriso… Il sorriso della mia unica amica. Tutti questi anni mi sei rimasta accanto, sempre, anche durante i momenti peggiori, quanto ero così terrorizzato e deluso e intrattabile da allontanare tutti, tranne i miei genitori, da me. Ma tu eri diversa. Prendevi una sedia e ti sedevi accanto al mio letto. Mi tenevi una mano tra le tue e restavamo così, in silenzio, anche ore. Quelli erano gli unici momenti in cui mi sentivo sereno, quando riuscivi a darmi la forza per affrontare un altro giorno senza lasciarmi andare… Sarebbe stato così facile, allora, arrendersi… E invece tu non me l’hai permesso. “Non pensarci nemmeno, Julian, hai capito? Ce la farai. Ce la faremo. Mettiti in testa che non sei morto. Sei vivo. Perciò stringi i denti e lotta, capitano. Il mondo ha bisogno di te, della tua classe, del tuo talento.” Chissà, forse senza di te avrei aspettato sul serio il momento in cui sarei stato finalmente libero dalla sofferenza, dalla schiavitù dei farmaci e dei controlli in ospedale, dalla prigionia dei divieti e delle raccomandazioni, dal dolore degli attacchi di quel mio cuore malandato… Ricordo la prima volta che sono stato male. Dieci anni appena, eppure già una promessa acclamata dai giornali. Tu eri la nostra manager da pochi mesi, da quando la tua famiglia si era trasferita qui a Tokyo. Un giorno come gli altri, dopo gli allenamenti. Ero rimasto solo negli spogliatoi, i miei compagni erano andati tutti via. Nel campo, solo tu, che radunavi i palloni che avevamo usato noi, e il mister. Mi stavo infilando la maglietta, quando lo sentii. Una stilettata improvvisa, e un sordo martellare in mezzo al petto. Mi accasciai per terra, tenendomi una mano sul cuore, stringendo convulsamente la maglietta. Cos’era quel dolore insopportabile che m’impediva di respirare? Ad un tratto la porta s'aprì… Eri tu. Mi scorgesti subito, e corresti da me. Ricordo ancora il tuo volto pallido e tirato. “Capitano, cos’hai?” mi chiedesti. Ma io non avevo nemmeno la forza di risponderti. “Sommers” riuscii a mormorare, prima di perdere i sensi. Cos’è successo dopo, non l’ho mai saputo. Credo di aver avuto paura a chiederlo, non so perché. Mi sono svegliato in ospedale, con una maschera d’ossigeno sulla faccia, collegato a degli strani macchinari, e il braccio livido dagli aghi delle flebo. Ancora oggi mi vergogno di tutte le cicatrici che mi porto addosso. Mia madre seduta accanto a me, che piangeva. Mio padre accanto a lei, pallido. E poi tu, che mi tenevi la mano. Quando aprii gli occhi mi sorridesti. E mia madre ti abbracciò. “Grazie” ti disse “Grazie”. Forse è vero, quel giorno mi hai sul serio salvato la vita. O forse me l’hai salvata ogni giorno durante tutti questi anni, quando non mi hai lasciato da solo.

Lo ricordo, sai? Quanto eri piccola, indifesa… Dodici anni appena. Tre anni insieme, sempre insieme. A scuola, agli allenamenti, perfino durante il ritorno a casa. Tu camminavi lentamente, reggendo la cartella con entrambe le mani. Io ti precedevo di qualche passo, la cartella gettata su una spalla. Ti stava bene, sai, la divisa. Questo credo di non avertelo mai detto… Come non ti ho detto molte altre cose… Come vorrei potertele confessare non appena mi attraversano la mente, anziché doverle appuntare e aspettare mesi prima di avere la possibilità di parlarti guardandoti negli occhi… Ritorna da me, Jen.

Philiph si passò le mani sugli occhi, nascondendo il volto per qualche istante. Improvvisamente era diventato taciturno. Julian se n'accorse, tornando in sé dopo un viaggio nel passato durato parecchi secondi.
« Pensavi a Jenny, non è vero, Phil?»
Philiph sobbalzò. Era vero. Sospirò, cercando di sorridere.
« E’ vero, Juls. Pensavo a lei.»
Tacque per qualche istante, poi aggiunse, un brillio malizioso negli occhi bruni.
« Come tu pensavi ad Amy. Abbiamo dei trascorsi comuni, in fatto di managers.»
Julian arrossì visibilmente. Cercò di negare debolmente, senza successo.
« Julian… E’ inutile che cerchi di mentire. Non lo sai fare. Sei un gran calciatore ed un eccellente allenatore, ma le bugie proprio non le sai dire. E poi, da quanti anni ci conosciamo noi due?»
« Uhm… Vediamo… Ci siamo visti per la prima volta a Yomiuri Land… A occhio e croce direi poco più di dieci anni…»
« Ecco, bravo. Dieci anni. E in dieci anni, durante i quali ho passato più tempo con te e gli altri ragazzi che con la mia fidanzata, credi che non abbia imparato a conoscerti?»
Julian sorrise. Colpito ed affondato. Non poteva proprio nascondere niente a quei tre ragazzi.
« Mi arrendo, sì, pensavo ad Amy.»
« E ci voleva molto ad ammetterlo? Io sarò pure strambo, ma tu sei troppo introverso, amico mio. »
Julian abbassò lo sguardo. Phil aveva ragione. Ma non ci poteva fare niente. La malattia e la sofferenza l’avevano segnato, lasciando in lui delle cicatrici ben più profonde che non quelle visibili sulle braccia. Intuendo il disagio di Julian, Phil si affrettò a cambiare discorso.
« Ma che avete oggi, che mi costringete a ricordarvi in continuazione la nostra conoscenza ormai decennale? Prima Tom, adesso tu… Manca solo Benji, e poi siamo apposto!»
« Tom?»
« Già. Quello scemo ancora non ha ben compreso il mio stato di ritardatario cronico!»
« Credo che il tuo sia un fattore genetico… Non ti ho mai visto arrivare puntuale, mai una volta. Nemmeno per sbaglio. E’ inutile farsi illusioni. Conosco una sola persona capace di farti arrivare agli appuntamenti non solo in orario, ma addirittura in anticipo.»
Philiph guardò l’amico, incuriosito dalle sue parole. Julian gli rivolse uno sguardo sornione.
« Ti dice niente il nome di… Jenny Morgan?»
Philiph lo fissò, costernato. Questa volta era lui ad essere stato colpito e affondato. Sorrise, un sorriso insieme dolce e malinconico.
« Già… Solo Jenny ha questo potere su di me. Ma anche Amy non scherza, in quanto ad influenza su un certo allenatore di mia conoscenza…»
Julian arrossì nuovamente. Quando s’incaponiva su qualcosa, Phil era tremendamente insistente.
« Dai, oggi sono buono e non voglio infierire. Solo una cosa… Dov’è? Pranzate insieme tutti i giorni… Perché sei qui con me e non con lei?»
« Amy è andata a prendere una sua amica all’aeroporto. Mi ha detto che non la vede da molto tempo, e che vuole trascorrere qualche ora con lei.»
« Ho capito. Oggi è la giornata delle bidonate. Con Tom eravamo rimasti d’accordo di vederci per pranzo, e invece chissà dov’è andato a cacciarsi… Vorrà dire che ci faremo buona compagnia, noi due.»
Julian annuì. Phil era di nuovo il ragazzo allegro di sempre, e ciò lo sollevava visibilmente.
Phil terminò il pasto, e spostò i piatti ormai vuoti in un angolo del vassoio. Afferrò i libri e gli appunti, sistemandoseli davanti. Le pupille nere, che fino a quel momento brillavano di letizia, si velarono, e il suo volto assunse un’espressione grave e preoccupata.
« Lasciami indovinare… Ancora problemi con Dawson.»
Philiph guardò l’amico negli occhi, ed annuì.
« Per l’ennesima volta, mi ha umiliato. Io non so proprio come comportarmi, con quest'imbecille. Stamattina, poi, ha superato il segno. Ha liquidato in quattro e quattr’otto il mio lavoro, definendolo come superficiale e approssimativo, addirittura indegno per uno studente universitario come me.»
« Ti ha detto così?»
Julian non poteva credere a ciò che sentiva. Era disgustato dalla ipocrisia di Dawson.
Phil annuì, sconsolato, e aggiunse:
« Non solo. Mi ha caricato d'altro lavoro. L’ennesima relazione, questa volta sui ronin. Come se non avessi altro da fare che preparare relazioni per lui. E ha avuto pure la faccia tosta di definirla l’ennesima possibilità che mi concedeva per alzarmi la media.»
« Sono sbigottito. Ma se hai fatto le quattro del mattino per una settimana per preparare quella stupida relazione! Adesso capisco perché eri così infuriato…»
« Se continua così, ho paura di non riuscire più a dominare la collera. E allora sì che mi troverò davvero nei guai!»
« Pensi di arrivare a tanto?»
« Non vorrei, Juls, ma sono esasperato. Non ce la faccio più. Questo stronzo si diverte a farmi passare per un idiota. E in più mi opprime con una mole di studio non indifferente, che tanto per cambiare riserva solo a me.»
Phil sbuffò, aprendo la custodia degli occhiali e sistemandoseli sul naso. Rivolse un’occhiata sommaria a parte degli appunti che aveva preparato, e li passò infine a Julian.
« Dacci un’occhiata e dimmi sinceramente cosa ne pensi. Considera però che sono solo spunti per la relazione vera e propria.»
Julian li afferrò, e lesse attentamente.
« Phil, non sono un professore, ma queste annotazioni mi sembrano un’ottima base di partenza.»
Phil scosse la testa.
« Lo credo anch’io. Ma scommetto 10 a 1 che non andrà bene ugualmente. Posso preparargli un saggio, scrivere un libro di 400 pagine, andare indietro nel tempo e vivere io stesso come un samurai errante, ma non sarà mai abbastanza per lui» concluse Phil, amareggiato.
Julian lo guardò, e a stento riuscì a trattenere le risa.
« Che c’è?» domandò Philiph, spiazzato.
Non credeva di aver detto qualcosa di così comico. Anzi, dal suo punto di vista la situazione presentava parecchie difficoltà.
« Scusami, Phil, è che mi ti sono immaginato nelle vesti di un ronin, ed eri troppo buffo!»
Philiph fissò l’amico per parecchi secondi, interdetto. Infine scoppiò in una risata che gli sgorgava dritta dal cuore.

Come sempre, Juls riesce a tirarmi su il morale. E a farmi ridere, perfino.

« Hai finito di pranzare, Julian?» domandò Philiph, passandosi una mano tra i capelli e tirandoli indietro.
« Sì, perché?»
« Perché sarebbe meglio andare. Gli allenamenti iniziano tra mezz’ora, e la mensa sta per chiudere.»
Julian guardò l’orologio. Erano le tre esatte. Si guardò intorno, ed effettivamente nella sala rimanevano solo loro e pochi altri sfaccendati.
« Hai ragione. Adesso andiamo» replicò, alzandosi in piedi.
Entrambi radunarono i libri e gli altri oggetti sparsi per il tavolo, ed abbandonarono il locale.

15.06 P.M.

« Certo che ci sono toccati i ruoli più ingrati, a me ed a te» commentò Philiph, con un poderoso sbadiglio, che sottolineò le sue parole. « Tu poi, come allenatore, hai le responsabilità maggiori.»
« Ma anche sulle spalle del capitano gravano delle pesanti incombenze» sorrise Julian.
« E, infatti, proprio per quello non lo volevo fare, il capitano. E’ tutta la vita che mi attribuiscono questa grana. Per fortuna in nazionale è un’altra la vittima sacrificale.»
« Ti riferisci ad Holly?»
« E a chi, se no? Così per una volta posso essere io a crearli, i problemi, anziché pensare sempre alla maniera migliore di risolverli.»
« Sei così, allora? Aspetta che riveda Holly! Non credo che sarà felice di sapere che ti diverti alle sue spalle!»
« Non ho mai detto che mi diverto, Juls. Sai che non sono un piantagrane. E’ solo che sono felice, una volta ogni tanto, di liberarmi di tutti i doveri che la mia posizione di capitano m'impone.»
« E’ perché sei un buon capitano, Phil, che si preoccupa per i suoi compagni. E questo lo sanno tutti. Non a caso, fin dalle elementari hai sempre ricoperto questo ruolo, in ogni squadra in cui hai giocato.»
Phil non rispose. Rimuginò per alcuni secondi sulla frase di Julian. Gli ampi corridoi dell’università erano quasi deserti, a quell’ora, e i due ragazzi procedevano lentamente verso gli spogliatoi.
Il silenzio in cui entrambi erano immersi e che regnava nella struttura fu infranto all’improvviso da una gaia voce femminile che li chiamò. Ambedue si voltarono e videro una ragazza correr loro incontro.
I lunghi capelli color rame erano stati lasciati sciolti sulle spalle, e le accarezzavano morbidamente il viso dalla carnagione lattea e dai tratti aristocratici, illuminato da due grandi occhi dorati dallo sguardo intenso e perspicace. Tutto in lei denotava gioia e vivacità, dalle piccole lentiggini disseminate sul naso e le gote, al sorriso solare che le faceva brillare le iridi ancora prima che le labbra ben disegnate si schiudessero. Era molto graziosa, e la sua bellezza d’altri tempi veniva esaltata dal suo abbigliamento, sobrio ma nell’insieme ricercato. Indossava un paio di pantaloni grigi aderenti, che modellava perfettamente i fianchi armoniosi, e una blusa di cotone celeste con lo scollo a barca, che lasciava nude le bianche spalle, sulla quale s’intrecciavano una serie di sottili nastri di velluto all’altezza del ventre. Un paio di stivaletti di pelle dal tacco alto sopperiva a qualche piccolo difetto d'altezza. Faceva sfoggio di pochi gioielli: un paio di orecchini di perle, e una sottile catenina con un pendente, anch’esso con una perla. La squisita eleganza con cui vestiva si ritrovava anche nel maquillage da lei scelto per il volto, lieve e raffinato: un velo di fondotinta sulla pelle, sulle palpebre un ombretto marrone chiaro, e sulle labbra un rossetto color ciliegia. Era incantevole.
Non appena la scorse, Julian le rivolse un ampio sorriso. Era visibilmente felice di vederla.
« Amy! Sei già qua?»
La ragazza ricambiò il sorriso. E ridendo baciò Julian su entrambe le guance.
« Dai, confessa che ti sono mancata!» disse, sorniona, prendendolo per un braccio.
« Seeee, ho capito. Ci vediamo dopo al campo» commentò Philiph, voltandosi.
« E no! Tu rimani qui con noi!» lo richiamò indietro Amy.
« Non vorrei fare il terzo incomodo…»
« Ma quale terzo incomodo! Dai, Philiph, non fare lo scemo e resta con noi» appoggiò Julian.
« Tra l’altro devo presentarti una persona» intervenne Amy, con gli occhi che le brillavano per l’eccitazione.
« Ah sì? E chi sarebbe?» domandò Philiph.
« Una mia amica.»
« Scordatelo. Non ho nessun'intenzione di conoscere nessuna ragazza. Mi bastano quelle oche che gridano e inneggiano il nome di Juls, ogni volta che ci alleniamo.»
« A me risulta che molte acclamano il tuo, di nome. E anche Tom e Benji se la cavano mica male» specificò Julian.
« Lo sappiamo che siete i ragazzi più popolari dell’università, ma non mi sembra il caso di sbandierarlo ai quattro venti!» rise Amy.
« In ogni modo non voglio conoscere nessuno» insistette Philiph, testardo.
« Non essere così inflessibile, dai! Mi ha parlato tantissimo di te! Ti ammira molto, ti ha sempre seguito con attenzione, e in più ti trova carinissimo. Non ti costa niente trascorrere qualche minuto con lei!»
« Non ci penso nemmeno. E poi, sono già fidanzato!»
« Non te la devi mica sposare! Anche se credo che a lei non dispiacerebbe affatto!»
« Il nostro Phil ha trovato l’ennesima spasimante!» lo punzecchiò Julian.
« Juls, se non la smetti di sfottere ti giuro che non appena torno a casa prendo la tua maglietta preferita e ne faccio la cuccia di Candice!» replicò Phil, serio.
« Ritiro tutto» replicò Julian.
« Philiph, ma cosa ti costa? E’ una ragazza deliziosa. E’ simpatica, intelligente, spiritosa. Ed in più è molto carina» continuò Amy. « E’ venuta fin qui per te. Ha affrontato un viaggio lungo e faticoso, e tutto questo per vederti. Non la puoi deludere.»
Philiph tacque. Incominciava a cedere. Amy lo capì e sorrise, soddisfatta.
« Bene, io allora la chiamo» disse, prima di allontanarsi di corsa.
« Mi ha fregato» commentò Philiph.
« E ti meravigli se io non riesco a negare niente a quella piccola strega?» chiese Julian, seguendo Amy con lo sguardo.

Certo che… quant’è carina! E che… Ma cosa vado a pensare?! Da quando in qua guardo Amy in questo modo? E da quando noto certi particolari, di lei? Cavoli, certo che… E’ proprio bella…

Philiph si accorse dell’atteggiamento dell’amico, e considerò, maliziosamente:
« Juls, la stai fissando! Stai fissando Amy con un’espressione che non mi piace per niente! E per di più le stai scrutando la parte inferiore della schiena!»
Julian arrossì violentemente.
« Cosa dici, Phil?! Io non ho mai… guardato Amy in quel modo!!»
« Vuoi dire… come se fosse una donna? Beh, credimi, lo hai appena fatto.»

Oh cavolo! Phil ha ragione! E adesso? Nononono, calma! E’ stato un attimo di smarrimento! Una pazzia, certo! E’ successo solo perché oggi è maledettamente seducente, con quella magliettina che le sottolinea il… Ma non succederà più!

« Eccomi qua, ragazzi! Ho fatto presto, no?» esclamò Amy, affiancandosi nuovamente a loro.
« E la tua amica?» chiese Julian.
« Sta venendo. Sapete, è un po’ timida… Dai, vieni! Non avere paura, dai!»
Un veloce ticchettio di tacchi femminili risuonò per tutto il corridoio. Una ragazza si muoveva verso la loro direzione. Philiph la osservò… e i libri che reggeva sottobraccio caddero con gran fracasso sul pavimento.

Non è possibile! Non può essere lei! Ma cavolo come le somiglia… Sto sicuramente sognando! Sì, è così! Adesso mi sveglio! O è un sogno oppure un’allucinazione… O un’illusione ottica… Credo di vederla… La vedo perché la voglio vedere, non perché sia reale… Quando sarà di fronte a me mi renderò finalmente conto della realtà… E mi darò dello stupido come tutte le altre volte…

La ragazza continuava ad avvicinarsi, le movenze sicure, lo sguardo fisso su Philiph. Ad ogni passo di lei, il ragazzo sentiva crescere dentro il cuore l’apprensione che lo divorava. Sia lui che lei attendevano, persi negli occhi dell’altro.

Lui vide una ragazza alta e sottile, con una cascata di capelli castani dai lucenti riflessi rossicci, lunghi sino alle spalle e con le punte accuratamente pettinate all’infuori, che incorniciava l’ovale perfetto del viso e la carnagione di rosa. Gli occhi bruni, vivi e appassionati, gli zigomi alti, e la bella bocca le conferivano una vaga aria da gitana, attenuata dal naso piccolo e severo e dalla dolcezza dei lineamenti. Indossava un paio di pantaloni di pelle amaranto, e una maglietta nera aderente e con le maniche a tre quarti. Ai piedi un semplice paio di stivali, anch’essi di pelle, e al collo una sottile catenina d’oro con un particolare pendente, le iniziali “J” e “P” intrecciate tra loro. Non aveva altri gioielli, fatta eccezione di un paio di piccoli brillanti alle orecchie e un bell’anello con un’acqua marina nell’anulare della mano destra. Anche lei, come Amy, era truccata lievemente: un leggero strato d'ombretto grigio-violetto nelle palpebre e un rossetto color pesca sulle labbra.
Rivolgeva a Philiph un sorriso radioso, e aveva un’espressione di sincera gioia nelle iridi.

Lei vide davanti a sé un ragazzo alto, dalla corporatura asciutta e muscolosa. I capelli bruni gli sfioravano le spalle, ricadendogli in parte sul volto, dai tratti decisamente maschili. L’incarnato dorato, le labbra carnose, ben disegnate, gli splendidi occhi scuri che la fissavano con lo stesso sguardo ironico e impetuoso che ricordava tanto bene. Sguardo che sapeva essere tagliente e implacabile, all’occorrenza, ma che poteva trasformarsi anche in una delicata carezza, quando il suo viso s'illuminava e le labbra si atteggiavano nel sorriso più dolce e disarmante che avesse mai visto. Indossava un paio di jeans blu scuro e una maglia di cotone turchese a coste, a maniche lunghe, che aveva tirato su fino a mezzo avambraccio. Al collo era appeso un laccetto di cuoio, con un pendente in argento, raffigurante un sole tribale, e sul polso destro faceva sfoggio di un orologio dal cinturino metallico e il quadrante blu elettrico, mentre su quello sinistro portava un grosso bracciale d’oro, sulla cui piastrina era incisa una data. Riconosceva quel bracciale. Un paio d'occhiali neri dalla montatura leggera ombreggiava parzialmente l’espressione confusa e meravigliata del volto. Adorava quell’espressione. Quando, nonostante tutta la sua sicurezza e la sua proverbiale faccia tosta, rivelava per un attimo la dolcezza e l’ingenuità del suo animo.

Lei gli si avvicinò. Non aveva smesso un momento di guardarlo. Quando gli fu di fronte, sorrise.
« Buon giorno, capitano» disse solo.

FINE PRIMO CAPITOLO.


* La bellissima frase “Un momento di tenerezza tra le tue braccia è come una stella cadente che attraversa il mio cuore”, che Philiph pensa nel giardino dell’università, non è purtroppo farina del mio sacco. E’ un riferimento/omaggio (o furto? ^^) ai Queen, e al genio dell’indimenticabile Freddy Mercury.
  
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