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Autore: blackdolphin    13/06/2011    6 recensioni
Era corsa via. Voleva scappare. Lo odiava.
Nella mente mille pensieri governati dal caos sfociavano in un’unica domanda: perché?
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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PIOGGIA
 
Era corsa via. Voleva scappare. Lo odiava.
Nella mente mille pensieri governati dal caos sfociavano in un’unica domanda: perché?
Sua sorella, l’unica persona della famiglia interessata al vero amore ora si trovava a piangere lacrime amare. Aveva perso  il suo sogno; lui, affascinante, timido, spontaneo, dalla risata facile. Ricco. Ma questo non importava, perché sua sorella era già ricca dell’amore che provava per lui. Era perfetto.
Sarebbe stato perfetto se non si fosse intromesso il suo migliore amico. Perché l’aveva fatto?
Sapere che sua sorella soffriva, faceva irrimediabilmente soffrire anche lei, ma quella bassezza, quell’umiliazione era come una freccia in pieno petto.
Non si era nemmeno resa conto di essere completamente bagnata. Fuori pioveva. Il vestito di lino marrone era fradicio. I capelli ancora acconciati nel suo solito chignon si erano appiccicati sulla sua fronte.
Era in condizioni pietose, lo sapeva, ma non le importava. Voleva fuggire da quel silenzio imbarazzante che lottava contro il frastuono nel suo cuore, voleva fuggire dall’ipocrisia delle persone sedute ai banconi della chiesa, voleva fuggire da lui.
Già, non lo sopportava. Non le era mai piaciuto fin dal principio, anche se non aveva trovato ragionevoli spiegazioni allo sguardo che si erano rivolti la prima volta al ballo, o al brivido che aveva provato nel sentire la sua mano avvolgere le sue dita dolcemente; o a quella volta che avevano danzato insieme inconsci della presenza degli altri invitati come se la stanza fosse solo per loro due. O quella volta che lui l’ascoltava e la guardava suonare il piano.
Era come se la pioggia stesse cancellando quei ricordi. Guardava il fango e pensava a lui.
Il fiato corto, aveva fatto una bella corsa e si era rifugiata sotto un portico. Il respiro si stava calmando, il battito del cuore stava raggiungendo un ritmo regolare.
Sì, forse in quel silenzio dove la pioggia era l’unica a parlare, avrebbe trovato pace.
Guardò verso l’orizzonte come se volesse spazzare via tutte le emozioni provate fin quel momento.
Istintivamente girò il viso attratta da un rumore e vide un’ombra scura. Subito trasalì emettendo un gemito di spavento.
“Signorina Elisabeth”
Che diavolo voleva da lei? Il lungo cappotto nero lo copriva interamente lasciando celato il suo ampio torace. Anche lui era fradicio. I capelli spettinati e bagnati sulla fronte gli conferivano un’aria selvaggia, mettendo in risalto l’azzurro glaciale dei suoi occhi.
Era talmente affascinata dall’accarezzarlo con lo sguardo che non si era accorta che le aveva rivolto la parola.
“Signorina Elisabeth. Ho lottato invano, ma non c’è rimedio, questi mesi trascorsi sono stati un tormento”
-tormento? Come può proprio lui parlare di tormento? La sua voce sembrava tremare.
“Sono venuto a Rosings con lo scopo di vedervi, dovevo vedervi. Ho lottato contro la mia volontà, le aspettative della mia famiglia, l’inferiorità delle vostre origini, il mio rango e patrimonio. Tutte cose che voglio dimenticare e chiedervi….di mettere fine alla mia agonia”
-cosa aveva in mente? Era venuto fin lì per ricordarle che lui era un nobile d’altissima estrazione e lei una poveraccia? Era pieno di se fino a tal punto?
Chiuse gli occhi come se dovesse prepararsi  ad affrontare il suo più acerrimo nemico.
“Non capisco”
“Vi amo….”
 
 
Silenzio. Non sentiva più niente. Non sentiva la pioggia che cadeva. Non sentiva il freddo degli abiti bagnati sulla pelle. C’erano solo quelle parole.
“….. con grande ardore”
I suoi occhi scuri erano sgranati, le labbra dischiuse per lo stupore. Dalle ciocche di capelli colavano gocce d’acqua che scendevano lentamente lungo il viso percorrendo il collo sottile fino a insinuarsi nel colletto dell’abito.
Ebbene Darcy avrebbe desiderato fare quello stesso percorso; un’ondata di calore lo pervase.
Era l’esatto opposto di tutte le donne che conosceva: loro erano ordinate, perfette nelle loro acconciature, imprigionate nei loro corsetti e nelle loro parole di lusinga, il viso sempre di ceramica. Lei no.
Era in disordine, i capelli fuori posto, senza trucco, gli abiti semplici di foggia poco pregiata.
Ma la pioggia l’aveva resa una trappola di bellezza irresistibile.
Sbattè le palpebre, come se volesse allontanare da sé quel pensiero proibito che si era impossessato di lui.
Con la poca lucidità rimasta proseguì la sua supplica.
“Vi prego, concedetemi la vostra mano”
Rimasero in silenzio per alcuni battiti cardiaci. Le sembrava un sogno o forse un incubo?
Le aveva chiesto di sposarla. Cercando di mantenere il controllo rispose:
“Signore io apprezzo i conflitti che avete fronteggiato, mi duole molto avervi causato pena. Credetemi, è stato fatto in modo incolpevole”
“Questa è la vostra risposta?”
“Sissignore”. Era fredda, gelida. Si ricordava, lo odiava, doveva odiarlo.
“Vi state prendendo gioco di me?”
“No”
“Mi state respingendo?”
“Di certo i sentimenti che hanno offuscato la vostra lucidità vi aiuteranno a dimenticare”.
Quelle parole stavano penetrando nel suo orgoglio come una spada affilata. La stessa ironia, la stessa franchezza che avevano fatto vibrare il suo cuore ora lo stavano uccidendo.
“Potrei chiedervi perché vengo respinto con un così poco riguardo alla cortesia?”
Poteva sopportare un suo rifiuto, ma non quelle parole. Lei s’incendiò:
“In egual maniera potrei chiedervi perché con una così evidente intenzione di insultarmi avete dichiarato di amarmi contro la vostra volontà!”  “credetemi non  avev…”
“Se fossi stata cortese questo mi scuserebbe, ma ho altre ragioni e lo sapete”. Era giunto il momento di sputargli addosso tutta la verità.
“Di cosa parlate?” chiese a metà tra lo stupito e l’incuriosito.
“Pensate che possa essere allettata da accettare l’uomo che ha rovinato forse per sempre la felicità della mia amatissima sorella?!”. Negli occhi suoi vide il fuoco.
“Non negate signor Darcy? Di aver separato due giovani che si amavano esponendo il vostro amico a essere considerato dal mondo un capriccioso e mia sorella! – sentì dentro di sé la  voce rotta, maledisse questa sua debolezza emotiva –alla derisione per le speranze disattese precipitando entrambi nella più crudele infelicità?”
“Non lo nego”. Sentiva gli occhi pungere. Ma la franchezza con cui lui aveva ammesso le sue colpe ricacciarono indietro le sue lacrime. La sua voce assunse un tono più pacato: “Perché lo avete fatto?”
“Perché credo che lui sia indifferente a vostra sorella”  “Indifferente?”. Non aveva capito niente.
“Li ho osservati e ho capito che l’attaccamento di lui era più profondo”
Elisabeth sbottò esasperata:” E’ timida!”
“Anche Bingley è modesto ed era persuaso che lei non nutrisse grandi sentimenti…”  “Voi gliel’avete suggerito!” Lo interruppe.
“L’ho fatto per il bene di Bingley”  replicò frustrato. L’aveva fatto in buona fede e lei non lo capiva.
“Mia sorella dimostra a malapena il suo affetto per me!”. Silenzio. Si sentiva disorientato. Sapeva di aver peccato di presunzione ma il rischio che il suo più caro amico restasse scottato da una possibile delusione questa volta era molto alto.
Poi l’allusione. Guardando in basso Lizzy continuava la battaglia. “Immagino che abbiate sospettato che fosse interessata alla ricchezza del vostro amico..”
“Non farei un tale disonore a vostra sorella sebbene ci fosse un’idea”
“Quale?”
“Era perfettamente chiaro che cercasse un matrimonio vantaggioso”. La collera di lizzy stava raggiungendo livelli preoccupanti. Sentire  sua sorella, la persona più leale e spontanea che conosceva, giudicata come cinica e opportunista le faceva ribollire il sangue nelle vene.
“Jane le ha forse dato quell’impressione?”. Sapeva benissimo che non era così perché era evidente che sua sorella non era quel tipo di persona.
“No” rispose Darcy esasperato. ”No, comunque lo ammetto, c’era la questione della vostra famiglia”
“Il nostro desiderio di fare amicizia, questo non disturbava il signor Bingley” “No c’era di più”
“Cosa  signore?”. Pronunciò il suo appellativo con riluttanza.
“La mancanza di contegno di vostra madre, delle vostre tre sorelle minori e talvolta di vostro padre”.
Rimase senza parole. Anche questo era vero. Le ritornò in mente per un istante l’imbarazzo provato quella volta al ballo dove la sua famiglia aveva dato spettacolo.
Però si sentiva oltraggiata, come poteva rivolgersi a lei con una franchezza così lacerante?
Lui se ne accorse. Era stato troppo duro, troppo con la persona che amava. I suoi occhi assunsero un tono di dolcezza così come la sua voce: “ Perdonate, questo giudizio non riguarda voi e Jane”.
La sua resa sembrava aver chiuso la conversazione ma Lizzy non era soddisfatta. Era bramosa di spiegazioni e la sua furia non si era del tutto placata, perciò sollevò un’altra questione:” …e il povero signor Wickham?”
Lui si irrigidì aggrottando le sopracciglia e stringendo le labbra. Riaffiorarono dalla memoria ricordi dolorosi  e poi…gelosia. Ancora aveva in mente lui e Lizzy intenti a conversare piacevolmente sotto un albero. Avrebbe voluto prenderlo a pugni. “Il signor Wickham?!”, c’era astio nella sua voce.
“Quali scuse avete per il vostro comportamento nei suoi confronti?” chiese con tono sibillino.
“E’ ardente il vostro interesse per lui” puntualizzò lui facendo un passo avanti e guardandola negli occhi.
“Mi ha raccontato tutte le sue sventure” si avvicinò a sua volta lei accettando la sfida.
“Oh le sue sventure sono state davvero grandi” rispose acido.
“Prima gli rovinate l’avvenire e poi usate un simile sarcasmo?”. Se prima era stato lui a non capire i sentimenti di sua sorella ora era lei a non comprendere la verità.
“E così questa è la vostra opinione su di me? Grazie per averla espressa con dedizia. Potevate dimenticare le offese se non avessi ferito il vostro orgoglio confessando le mie riserve su una nostra relazione amorosa! Vi aspettavate che mi rallegrassi per l’inferiorità della vostra famiglia!”. Era rabbioso, fuori controllo.
Lizzy non era da meno, i suoi occhi lo guardavano ardenti. Era a un palmo da lui, ma la sua rabbia era più forte della consapevolezza di tale vicinanza.
“Sono queste le parole di un gentiluomo?! Sin dal primo momento la vostra arroganza  e la presunzione e il disdegno per i sentimenti altrui mi hanno fatto capire che voi eravate l’ultimo uomo sulla terra che avrei mai potuto sposare!”
Quelle parole risuonavano nella sua testa come se avesse emesso una sentenza di morte. Poi la pioggia fu l’unico suono per interminabili istanti. Il silenzio aveva smascherato la loro pericolosa vicinanza. Poteva sentire il respiro di lei sulle labbra; fu pervaso dallo stesso desiderio e calore di qualche minuto prima. La guardava oltre le sue iridi scendendo lungo il collo e le labbra.
Lei che continuava a trafiggerlo con gli occhi si sentì all’improvviso disarmata: il suo sguardo che l’accarezzava così gelido ma allo stesso tempo ardente, la stava spogliando di ogni sicurezza e sulla sua faccia si instaurò lo stupore. Solo in quel momento si rese conto di quanto fosse vicino. Mai era stata così vicino a un uomo. Poteva scorgere i segni della barba, l’azzurro limpido dei suoi occhi e la bocca dal contorno ben disegnato. Si soffermò su di essa. Una strana richiesta dal recesso del suo io la invase. Cosa le stava succedendo? Lei voleva…… oh mio….
Non finì il suo pensiero che lui si chinò su pericolosamente. Sentì la gola completamente secca e inaridita; si sentì in preda a un torpore mai provato finora. Di riflesso si inumidì le labbra mentre lui d’improvviso si inclinò su di lei baciandola.
Un secondo.
Lungo.
Interminabile.
Lei aveva gli occhi aperti e increduli. Lui la fissò, poi si avvicinò nuovamente a lei assaporando le sua labbra carnose. Una mano le cinse la vita sottile e l’altra si insinuò tra i capelli. Sapeva che stava rischiando grosso ma ciò che provava era più intenso di qualsiasi formalità o etichetta.
Lei si sentiva in preda a un dolce dolore: sentiva le sue labbra, colpevoli di ingiuria, danzare sulle sue; essere stretta in quell’abbraccio possessivo e passionale le faceva provare un’enorme fitta allo stomaco, e la ragione non riusciva a darle il senso del piacere nel provare quella fitta. Era come se vagasse nell’etere, senza la terra sotto i piedi. Stava per serrare le palpebre come se si arrendesse alla battaglia, anche se non rispondeva attivamente al bacio, quasi lo stesse analizzando. Poi la ragione trovò uno spiraglio in mezzo al turbinio di emozioni che stava provando.
Un tuono. Uno schiaffo. Il suono fu lo stesso. Lo guardava collerica, le guance in fiamme. Le sembrava di aver corso per giorni interi.
Lui la fissò con un’espressione di resa. Si inclinò e la guardò intensamente in modo da imprimersi maggiormente il suo volto nella mente.
“Perdonatemi…. se vi ho rubato tutto questo tempo”. Si girò verso di lei un’ultima volta, poi le diede le spalle e se ne andò.
Lei rimase immobile a fissare la sua immagine dissolversi nella pioggia. Poi sentì le gambe cedere e mille domande affollare i suoi pensieri. Sentiva ancora il sapore delle sue labbra mescolato all’umidità della pioggia. Cedette. Si appoggiò al muro chiedendosi che nome dare a ciò che provava; le sembrava che il cuore stesse battendo come un orologio impazzito. Avrebbe voluto urlare e piangere. Restò lì, senza espressione a fissare il vuoto.
E il cielo continuò a piangere per lei.
 
  
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