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Autore: AqUiLoTTa91    14/06/2011    1 recensioni
11 Septhember 2001
Vien detto che nulla accade per caso. Dalla persona che al mattino sorride, sveglia e allegra per la nuova giornata, a colui che disperato si lancia da un grattacielo per porre fine alla sua vita. Nulla accade per caso, e allora perché certi avvenimenti sono sempre troppo crudi per essere reali?
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era una bella giornata quella mattina, Il sole entrava dalla finestra attraverso raggi dai colori caldi e cangianti, colpendo con il suo calore il ragazzo americano seduto sul letto, che attento scrutava ogni tipo di scartoffie, Alfred qualche giorno prima era stato costretto ad abbandonare la sua amata California, il suo capo lo aveva pregato di sbrigare alcune faccende burocratiche a New York una seccatura che però lui faceva volentieri vista la noia degli ultimi tempi.
Si alzò per andare a prendere un bicchiere d’acqua, poco tempo prima lo aveva chiamato Francia, e gli aveva chiesto come andassero le cose, era strano che nonostante tutto avesse deciso di farsi sentire, non avevano poi un buon rapporto, o meglio, i suoi capi non si odiavano di certo, tutt’altro, erano abbastanza amici tra di loro, e si erano aiutati molto in passato, ma lui davvero non riusciva a sopportarlo più di tanto, anche se non né comprendeva appieno il motivo.
Si scostò i capelli dal viso, sospirando appena, ricordando la sfuriata di Arthur sul suo solito egoismo patriottico. non accettava il fatto che la sua nazione stesse crescendo sempre di più, di fama, di potere, dopo la fine della guerra fredda America era diventato senza dubbio più forte, troppo forte persino per essere considerato da Arthur ormai, ma perché diavolo era così cocciuto, perché voleva che lui restasse sempre piccolo e indifeso? Ripensò al viso di Arthur quando gli aveva posto la domanda, era stata probabilmente l’espressione più triste che gli aveva mai visto in volto, più straziante di quando lo aveva abbandonato, lacerante come la lama appuntita di un pugnale infilato nel fianco, tanto facesse male. Passò una mano sul viso, cercando di riafferrare la poca dignità che gli era rimasta, componendosi prima di tornare in camera, che gli importava di lui? Era il solito acido egoista, e non voleva averci nulla a che fare.
Un rombo improvviso lo fece sussultare e spalancare gli occhi al tremore del terreno, cercando invano un appiglio.
-Un terremoto?-
No, non era un terremoto, avvertì un pugno allo stomaco, doloroso, bruciante. Che diavolo succedeva? Gli sembrava di esser tornato alla seconda guerra mondiale, dove solo una volta nella vita aveva avvertito quel terribile dolore. -Pearl Halbor…Ma non siamo a,…- Un urlo straziato uscì dalla sua gola dolorante mentre il movimento del terreno aumentava ancor di più per poi cessare del tutto, altri urli, non suoi, provenienti dalla finestra. Si alzò la maglia, una ferita lo trapassava dal petto al fianco. “Un attacco?”
sibilò con voce spezzata, trattenendo la voglia di vomitare anche l’anima, trascinandosi poi verso la finestra tremolante. Urla, disperazione fuori di essa, non aveva il coraggio di guardare, faceva così male già da se. Si alzò a fatica, spalancando gli occhi quando vide l’inferno fuori dalla sua stanza, le torri gemelle crollavano, distrutte da qualcosa che non riusciva a vedere, ormai tagliate a metà dalla violenza del nemico, eppure non era quello che lo feriva, bensì le miriadi di persone che cadevano come piccole formichine dai piani dei palazzi, Che diavolo era successo?
Un rombo sommesso, Alfred rise, quasi istericamente. No, non era possibile.
LA città sotto di lui in subbuglio, urla pianti, paura. La notizia lo aveva accolto con la stessa violenza di quel pugno allo stomaco, sudava freddo, gli occhi sbarrati in un evidente espressione di terrore.

Entrò un uomo nella stanza sbattendo la porta alle sue spalle, da dietro di lui avvertiva il respiro affannato dell’altro, Il tremore del suo corpo lo assillava come quello della sua terra, il dolore fisico non era nulla se paragonato a quello mentale. Tutto ciò che faticosamente aveva costruito, l’orgoglio, la patria, l’onore. Tutto schiacciato da una stupida pallottola vacante che aveva ferocemente colpito la sua ala, che ora protraeva a fatica verso il cielo. Trattenne il fiato, serrando le mani sul freddo legno della scrivania ripulita dai soliti documenti che con una mano furente aveva scagliato a terra. Alzò lo sguardo verso l’altro, esprimendo tutto il suo astio attraverso un occhiata cruda e fredda, digrignando i denti con tanta forza da avvertire quasi il ferroso sapore del sangue. “Non ci credo…” disse, alzandosi dalla scrivania per andare a sfiorare il freddo e cupo vetro della finestra, rispecchiandosi in esso, guardando il terribile inferno creatosi oltre quel vetro, sospirò, sfiorandosi la fronte amareggiato. “La pagheranno…” aggiunse, fissando nuovamente l’altro, nessuno poteva entrare in casa sua a distruggere ciò che era suo, nessuno poteva sfidare la potenza della sua nazione, come nessuno, poteva credersi tanto forte da azzardarsi a farlo. Era una bella giornata quell’undici settembre, una bella giornata trasformatasi in un terribile e crudo inferno di sangue.
  
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