Cresci
Quando i bambini fanno
oh, dammi la mano
Perché mi lasci solo
Sai che da soli non si
può
Senza qualcuno nessuno
può diventare un uomo
[…]
(Povia, Quando i
bambini fanno oh)
I piedini
vengono a contatto col pavimento freddo all’improvviso, anche
se il bambino è
preparato e solo un piccolo brivido attraversa per un attimo il suo
visetto.
Ancora
estremamente assonnato, incespica fino alla porta del bagno, dove si
allunga
sul lavandino cercando di riuscire a vedersi allo specchio, vista la
sua
statura ancora infantile.
Si sciacqua
con l’acqua fredda cercando di svegliarsi un po’,
poi ritorna nella cameretta e
si veste in fretta.
Per ultimi
infila i sandaletti, indisponendosi con il primo che, dispettoso, non
vuole
saperne di entrare, almeno finché lui non si accorge che sta
cercando di
indossarlo a rovescio.
Borbottando
risentito per la tracotanza della calzatura antipatica che ha osato
trovarsi
nelle sue mani quando non era il suo turno, termina di abbigliarsi e si
passa
velocemente le manine tra i capelli della sua zazzera sparuta, a
mo’ di
pettine.
Il ragazzo
che lo osserva dalla finestra, non visto, sorride tra sé.
Quante volte
la loro madre ha cercato di dare una piega diversa ai capelli di
Sasuke,
fallendo miseramente visto che sembrano animati da una
volontà propria.
Quante volte
ha rinunciato, anche lei, rassegnandosi con finta disapprovazione a
permettere
al suo secondogenito di ‘pettinarsi’
così.
Tornando
alla realtà, il giovane vede suo fratello
dirigersi in cucina, così si sposta veloce, silenzioso,
invisibile alla
finestra di quella stanza.
Come se ci
fosse bisogno di tutte quelle cautele, poi, visto che il suo otouto al momento è
estremamente
impegnato e non potrebbe mai accorgersi di lui.
Un passante
potrebbe, però, ed è per questo che Itachi non
abbassa mai la guardia.
Anche perché
non dovrebbe essere lì, lui ha abbandonato Konoha.
Decide di
non pensare al fastidioso dettaglio – lui
è lì per Sasuke, Sasuke, e da solo questo basta
– e di tornare a
concentrarsi sulle azioni del bimbo, che alla veneranda età
di otto anni non
ancora compiuti è costretto ad essere autosufficiente.
Diligentemente
sale su una sedia per aprire la credenza
“Un giorno dovrai
imparare a prenderla da solo, Sasuke”
“Ma io non ci arrivo!”
“Su, tieni”
Scende pian
piano dalla sedia, attento a non capitombolare, poi poggia la tazza sul
tavolino basso, avvicinandosi al frigo per prendere il latte.
Ne versa una
moderata quantità nel recipiente – Sasuke non ha
mai tanta fame, al mattino,
no, mangia come un uccellino – e ripone il cartone,
osservando con biasimo le
gocce moleste sfuggite al suo controllo.
Afferra poi
il pacco di cereali, accorgendosi irritato che è ancora
chiuso, e
“Possibile che tu ti
rivolga sempre a me, otouto?”
“Ho chiesto al papà, ma
ha detto che devo imparare ad arrangiarmi…”
“E non pensi che
dovresti dargli ascolto?”
“…”
“Avanti, dammi qua”
Con estrema
concentrazione – Itachi lo osserva con vaga apprensione, a
quel punto, sa che
Sasuke può essere tanto preciso in alcune cose quanto
maldestro in altre – taglia
il bordo del sacchetto, gettandolo poi diligentemente nel bidoncino
della
spazzatura.
Versa una
piccola parte del contenuto del pacco nella tazza di latte, poi si
siede a
mangiare, lentamente, con scarso appetito.
Fuori,
Itachi sospira. Un po’ per sollievo, perché il
fratellino continua a mangiare,
nonostante tutto, a vivere, un
po’
per cercare di sciogliere quel masso che gli pesa sul diaframma e che
proprio
non se ne vuole andare.
Dentro la
casa, Sasuke termina la colazione, e porta tazza e cucchiaino nel
secchiaio.
Il masso nel
petto di Itachi si appesantisce quando lo vede aprire controvoglia
l’acqua,
facendola scorrere per lavare
“Signorino, non pensi
di essere abbastanza grande da lavare la tua tazza, ormai?”
“Ma io non ho tempo,
mamma!”
“E mi sa che io non
avrò tempo di comprarti i pomodori, oggi.”
“Uffi, va bene!”
la tazza,
strofinandola con metodica lentezza sotto il getto saponato, per poi
fare lo
stesso con il cucchiaio.
Riordina poi
il tavolo dove ha mangiato, con cura, poi torna in atrio –
Itachi lo segue,
sempre, di finestra in finestra, non lo perde di vista, senza farsi
scorgere –
e afferra uno zainetto e la giacca leggera, ché alla mattina
è fresco, anche se
l’estate è alle porte, e
“Sasuke, la giacca, se
esci…!”
“Ma non è freddo, fuori…”
“Otouto, ascolta la
mamma…”
“Ti ci metti anche tu?”
se la sistema
ben bene prima di uscire e chiudere diligentemente la porta.
L’Accademia
dovrebbe essersi conclusa da circa una settimana, ormai, e come dalle
previsioni di Itachi il bambino non si dirige verso la strada che porta
verso
il centro di Konoha, ma imbocca il sentiero che conduce nel boschetto
dietro
casa, e il maggiore dei fratelli sa benissimo dove si sta dirigendo.
Gli concede
qualche decina di metri di vantaggio, e avanza saltando silenziosamente
sui
rami degli alberi che costeggiano il viottolo, così da
rimanere invisibile;
anche se, constata con un sorriso amaro, mai una volta Sasuke lo ha
udito
avvicinarsi, se lui non voleva farsi avvertire.
D’altronde,
è solo un bambino.
Un bambino
che adesso cammina veloce, a passo concitato, per arrivare
più in fretta
possibile alla meta; ed infatti, dopo qualche minuto, si arresta
esattamente
dove Itachi ha immaginato poco prima: la radura dove lui stesso era
solito
allenarsi quando ancora viveva lì e la sua famiglia era in
vita, e dove il
fratellino amava seguirlo, per bearsi della presenza
dell’aniki che adorava
tanto.
Sasuke estrae
dallo zainetto qualche kunai e la custodia degli shuriken. Sceglie un
esemplare
di ciascuna arma e ripone il resto sulle radici di un albero poco
lontano,
iniziando poi a lanciarli
“Come sei bravo, Itachi!”
mirando ai
vari bersagli appesi lì intorno.
È
migliorato, considera Itachi, i suoi colpi hanno acquisito sicurezza e
ulteriore precisione, infatti quasi sempre le armi colpiscono il centro
dei
bersagli.
Tuttavia,
non può fare a meno di registrare qualche piccolo difetto
nella postura, qualche
lievissima manchevolezza nei movimenti, minime imprecisioni che
“Quasi, cerca solo di
non sbilanciarti troppo mentre lanci. Alza la testa,
così…”
“Vado?”
“Non essere impaziente.
Assicurati di trovarti al meglio delle tue possibilità, e
muoviti solo dopo.”
“Sì!”
“Impugna bene il kunai.
Non deve scivolarti. Perfetto, adesso vai.”
“…Ok!”
lui correggerebbe,
con molta pazienza e un sorriso bonario, se le circostanze fossero
diverse.
Si siede su
un ramo robusto a distanza di sicurezza, Itachi, con la sensazione che
le sue
gambe non lo reggano più; appoggia il viso sulla corteccia
ruvida, rimanendo
dalla sua posizione protetta ad osservare il piccolo aspirante ninja.
Si lascia
andare ai ricordi, che fino a quel momento l’hanno assalito
in flash confusi
come pugnalate lancinanti, mentre il sole, placido, si alza nel cielo
terso.
“Mi
dispiace
richiamarvi al presente, Itachi, ma dobbiamo andare. Non è
prudente fermarsi
troppo qui, soprattutto se non è per una missione
assegnataci dal capo. Più rimaniamo,
poi, più aumentano le possibilità, seppur remote,
che qualcuno ci veda.”
Come sempre,
il discorso di Kisame è di una logica inoppugnabile.
Ad Itachi
non dispiace il suo compagno: certo, detesta le circostanze che
l’hanno indotto
a cercare un posto nell’Akatsuki e quindi, transitivamente,
detesta il fatto di
conoscere Kisame; disapprova che lo spadaccino sia un assassino e non
se ne
penta, ma dopotutto chi è lui per giudicare, quando i suoi
concittadini lo
vedono come un crudele massacratore?
Però, a
Kisame dispiace dover interrompere quel momento di riposo; gli dispiace
allontanarlo da lì, anche se non sa che il bambino
affaccendato sotto di loro è
il suo fratellino, nè, essendo arrivato in quel momento, è
a conoscenza del fatto che lui ha passato la mattinata a seguirlo
febbrilmente.
Ma, Itachi ne
è certo, Kisame ha una sua umanità.
“Se vi
interessa per qualche motivo ritornare alla Foglia, potremmo chiedere a
Pein di
concedere a voi e a me-”
“Non sarà
necessario, Kisame. Ti ringrazio per la premura, ma hai ragione. Adesso
dobbiamo andare.”
Il Nukenin
della Nebbia annuisce con un cenno del capo, sapendo da tempo ormai che
con
Itachi le chiacchiere inutili non servono; e senza un’altra
parola, lo precede
alla volta del tragitto verso i confini del Villaggio.
Itachi
tentenna, titubante; sa bene che il prossimo incontro con suo fratello
potrebbe
non vantare la serenità di questo momento.
Ma infine si
decide. Sasuke deve farcela da solo, se l’è
ripromesso già dalla notte del
massacro, anche se gli è costato tutta la sua forza di
volontà.
Lancia un
ultimo sguardo al bimbo, ancora completamente assorbito dal suo
allenamento.
Cresci, Sasuke. Diventa un uomo.
Chissà,
forse un giorno, in un altro mondo, potrò ancora guidarti
tenendoti per mano.
Ehm…
Ehr…
Allegria! ^^’
Si, sono
molto positiva ultimamente, si nota, immagino.
Spero che in
ogni caso il racconto vi sia piaciuto.
Grazie ad
eventuali recensori =)
Panda