Capitolo 1
Otto anni dopo
Liberi,
ci
sembrerà
di
essere
più
liberi.
-
Quindi è in questo genere di posti che vivono le rockstar.
Alta,
bionda, magra. Sottile come un ramoscello e con le stesse sporgenze ossee, che
contribuiscono a rendere la sua immagine ancora più fragile e distruttibile –
così, con un battito di ciglia.
Emily
Dubois è una delle modelle più in voga del momento:
che si trovi dentro all’attico di Louis è una variabile quasi scontata, una
predizione che non c’era nemmeno bisogno di fare.
-
Perché, pensavi vivessi in una specie di caverna piena di manifesti del Clash?
Lei
ride e scuote i capelli, il flute di champagne stretto tra le lunghe dita
sottili. Ha denti perfetti, quando li scopre; così bianchi da scintillare nel
buio.
E’
così bella con tutto il suo vuoto tangibile che Louis, appoggiato alla
cassettiera, non può fare a meno di ridere di nascosto.
Il
suo è un attico elegante, rettangolare; il parquet liscio e chiaro è opera
della pulizia scrupolosa di Zoe, la vecchia governante. Mobili di legno, divani
bianchi dal design moderno e un’enorme porta finestra che ricopre una parete
intera, affacciandosi su una Seattle illuminata dalle luci della notte.
Emily
sembra sorprendentemente curiosa di tutto ciò che ha attorno; cammina toccando
gli oggetti, sfiorandoli coi polpastrelli; si ferma a guardare quadri e
manifesti, di tanto in tanto mormora qualcosa rivolta a se stessa.
Ormai
Louis ha imparato a riconoscere i modi di prender tempo delle donne – la loro
disattenzione perfettamente studiata. Sa a memoria tutti i gesti che dovrebbero
essere spontanei, e invece sono calcolati con precisione scrupolosa; come per
esempio il modo di portare una ciocca di capelli dietro l’orecchio, o quello in
cui la mano, poi, rimane morbidamente sul collo.
Aspetta,
e sa che Emily prima o poi poserà il bicchiere e si avvicinerà a lui
passeggiando come una gatta: ha già tolto i tacchi, e non vede l’ora di essere
fotografata da qualche paparazzo il mattino dopo.
-
Senti, ma qua in giro non c’è qualche immagine della tua Musa Malata?
La
domanda coglie Louis in contropiede. Sperava che, almeno questa volta,
l’argomento canzoni non sarebbe stato toccato. E invece lo si è profanato di
nuovo, e stavolta a fare la domanda sono state le labbra imbellettate di una
modella in cerca di popolarità.
Gli
da quasi sui nervi, che il nome di Ian venga
bistrattato in quel modo – considerato alla stessa stregua di una puttana.
-
Non credo. Non ho sue foto… non ne ho mai avute.
Emily
sgrana gli occhi, appoggiando il flute sul comodino e la schiena contro il
vetro della finestra, lasciando dietro di sé Seattle nel suo brillare egoista.
-
E allora, cosa intendi quando dici che “in
mezzo ai vortici allucinogeni conservo le immagini che ho di te?”
Vortici. Louis sospira,
selezionando con cura le parole da dire.
-
Intendo dire che quando mi drogo e poi faccio sesso qualche volta riesco ancora
a vederlo. Vi dimenticate tutti troppo spesso, che si è trattata di
un’avventura occasionale.
Beve
di getto l’ultima sorsata di champagne rimasto, consapevole della gravità della
sua confessione scevra; eppure Emily non sembra turbata. Dopotutto, ognuno ha i
propri mostri nell’armadio.
-
E perché ti è rimasta così impressa? Voglio dire… ne
avrai avute, nella tua vita.
-
Mi ha detto che mi amava, e poi è sparito.
-
Oh, andiamo. Vuoi dirmi che non hai mai scopato con una groupie
che ha dichiarato di amarti?
-
Non in quel modo.
E
Louis cerca di chiudere il discorso, senza voglia di insistere più di tanto; il
resto del mondo d’altronde non può capire il significato di quella notte con Ian. Ma forse in fondo nemmeno lui può capirci più di
tanto; è stato solo uno scambio reciproco di pelle, vita e mostri. Come se
nelle vene scorresse stricnina, e in fondo il sesso non fosse altro che un
istinto autolesionistico.
Emily
sospira, forte; e poi fruga nella propria borsetta di pailettes.
Non pailettes qualunque, sia chiaro; pailettes firmate Valentino. Estrae un piccolo involucro di
carta, e Louis riconosce subito il contenuto; polvere bianca.
Qualcosa
che lo aiuti a staccare il cervello dal resto del corpo, che gli permetta di
distaccarsi da se stesso per qualche piacevole ora.
-
Vuoi? – propone Emily, serafica – E’ ottima, me l’ha passata il fotografo
stamattina. Roba buona, dicono che snellisca anche.
-
Per forza, toglie l’appetito.
Si
mettono seduti attorno al tavolo di marmo nero nel salotto; con precisione,
Emily divide la droga in strisce con la sua mastercard.
-
Alla salute! – esclama, prima di tappare una narice e tirare forte su con il
naso, aiutandosi con una banconota arrotolata. Louis, poco dopo, la imita.
La
coca arriva al cervello quasi subito; e lo strato superficiale si riveste d’un
euforia latente; sicché sia Louis che Emily si ritrovano a ridere, come se
improvvisamente si trovassero nella situazione più divertente del mondo.
Il
sesso è quasi consequenziale; ben presto si ritrovano entrambi accaldati, e il
tappeto è la prima superfice che si offre.
Nei
ricordi di Louis, quel momento apparirà come un groviglio confuso di capelli
biondi e gomiti pungenti; domattina si laverà di dosso l’odore di donna è tutto
svanirà.
Ma
ora, mentre lo vive, tra le sue braccia Emily sembra quasi bella come Ian; ha le stesse lentiggini sulle spalle, lo stesso
sguardo quasi indifeso che mette addosso una strana paura.
La
sente stringere con le dita sulle spalle, e le ginocchia intorno ai fianchi; si
morde le labbra e butta la testa all’indietro, e sembra quasi una venere
deforme così, con le vene del collo che disegnano tracciati improbabili e
coordinate astratte che conducono all’essenza.
-
Scrivi una canzone su di me. – soffia Emily al suo orecchio – Ti prego,
scrivila su di me…
-
Lo sai che non posso.
Lei
sembra quasi chiudere gli occhi e per un attimo pare quasi che pianga; ha gli
occhi lucidi e l’espressione piena di trasparenza agghiacciante. Ma poi, Louis
capisce che si tratta solo dell’orgasmo; e una volta raggiunto lo stesso
paradiso, si lascia andare sui seni rotondi di lei, con uno strano senso di
pace addosso.
-
Non scriverai di me nemmeno se adesso ti dico che ti amo e poi me ne vado,
vero? – chiede lei, accarezzandogli i capelli con la punta delle dita.
Louis
percorre con l’indice il suo fianco, estasiato dal piccolo neo proprio alla
base dell’osso.
-
No. Ma potrei scrivere di questo neo qui. Inserirlo in qualche canzone, non lo
so.
-
Che ci vedi, in un neo?
-
La vita. Ci vedo te. Ci vedo le cose che nascondi… è
come se fosse l’occhiello alla porta tramite il quale posso spiare la tua
anima, e vederti. In ogni frammento. In ogni arteria.
Lei
ride, stringendosi un po’ più forte.
-
Certo che sei un tipo strano, tu. Proprio un’artista.
-
Ho solo meno inibizioni degli altri nell’essere me stesso.
A
quel punto, Emily gli dà un bacio sulla fronte, prima di sbadigliare
copiosamente; la coca ti dà energia e dilata al tempo, ma alla fine ti lascia
sottopelle quello snervante senso di stanchezza misto a un’infelicità ben
compressa – proprio come nelle pasticche.
-
Ma se tra qualche ora mi trovi ancora qui, ti incazzi? – chiede, chiudendo gli
occhi.
Louis
scuote la testa, sbadigliando.
E
s’addormenta; l’ultimo pensiero appeso alle sinapsi è che tanto, prima o poi, te ne andrai lo stesso.
*
In
una parte diversa della stessa città, nello stesso momento in cui Louis e Emily
si addormentano avvinghiati.
L’iride
si dilata e accoglie la luce; in preda a uno stato di smarrimento nuota per
qualche istante nel bianco dell’occhio, aspettando che la dimensione esterna si
definisca.
Ian respira, e la vita corre lungo
le vene risvegliando braccia e gambe, dando sensibilità a una pelle che sembra
ceramica appena lavorata. Sopra di lui, il lampadario spento ridisegna la sua
rotondità; il materasso smette di essere accogliente e si copre di un caldo
appiccicoso e sudaticcio.
Il
peso morto di un braccio attorno alla vita lo costringe a girare appena la
testa; e sul suo viso nuotano fili blu come una corrente di pesci psichedelici
in un oceano nero.
Demi
ancora dorme, le ciglia chiuse e le labbra esangui. Da qualche parte, Ian aveva letto che durante il sonno la pressione sanguinea
scende; sicché tutti diventiamo un po’ più pallidi. Col suo strano corollario
di capelli blu, Demi sembra ancora più pallida di quanto non sia già.
E
ancora vestita, sopra le lenzuola, con la sua felpa nera e la sua sciarpa a
quadri verdi; indossa una minigonna di jeans sopra dei pantacollant scuri, e
calze piene di righe colorate di diverse grandezze.
Ian cerca di ricollegare i ricordi
della sera prima.
Devono
aver bevuto un po’ e essere piombati nella solita spirale di pensieri
autolesionisti, come un vomito di parole taglienti sulle braccia. E magari
volevano scoprir l’America e hanno finito con l’addormentarsi nello stesso
letto, come sempre.
Demi
è l’unica donna con cui Ian conservi una tale
intimità; con lei dorme, mangia, e qualche volta va persino al bagno. Perché lei
e solo lei lo ha visto crescere, c’è stata in ogni momento; gli ha tenuto la
mano costantemente senza lasciarlo mai. E se c’è un’anima gemella, questa porta
il suo nome.
Lei
c’era anche quella mattina.
La
mattina in cui Ian ha ripreso i propri vestiti umidi
ed è corso via, con il corpo di Louis ancora dentro i nei; e non ha dubbi, il
ragazzo, che in fondo anche la pelle possieda una memoria tattile.
Che
tra tutte le mani che lo hanno toccato, tra tutte le labbra che l’hanno
baciato, quelle di Louis siano in qualche modo il centro preciso di ogni sua
ricerca.
Se
ne è andato. Perché Louis era davvero
disposto ad amarlo; e Ian non può, non ha bisogno di
un altro motivo per odiare Dio.
Sospira,
alzando appena la spalla per cercare di svegliare Demi; e lei strizza appena
gli occhi e mugola, cercando di nascondersi tra le sue ossa.
-
Dai dormigliona, svegliati. – le dice, con tono fraterno; ma quella non ne
vuole sapere, e nasconde la testa sotto il cuscino, cercando di raggomitolarsi
come meglio può.
Ian alza un sopracciglio e ride,
pizzicandole i fianchi. – Daiii. E’ ora. Dobbiamo
fare colazione e poi andare a lezione.
-
Novvoio. – brontola lei, in una qualche lingua
immaginaria che sa di infantile – Non è vero, possiamo anche saltarla.
-
Mh, poi l’esame chi lo dà?
-
Quella rompipalle secca che sta sempre seduta al primo banco.
Ian ride, e si alza; si passa una
mano tra i capelli prima di aprire le tende e lasciare che il tenue sole del
mattino irradi la stanza.
Seattle
è già in pieno fermento meccanico; il caos metropolitano si confonde coi
familiari mostri d’acciaio, mentre il Needle Space ruota in lontananza, librandosi al di sopra di tutti
quei grattacieli, piccoli cimiteri e assassini di vita. La solita città
estremamente egoista che non guarda in faccia a nessuno.
-
Accendiamo la radio? – chiede Demi, mettendosi a sedere e stropicciandosi un
occhio.
Così
sembra proprio una bambina, di quelle che affacciandosi dalle auto sorridono
agli autovelox; ha la stessa ingenuità e lo stesso disordine vagamente
artistico.
-
Mh, fai tu. Io vado a lavare i denti.
Hanno
poco tempo per prepararsi, lo sanno. Così mentre lui va in bagno, lei va a
prepararsi una tazza di latte; e la voce gracchiante del cronista di una
stazione radiofonica locale comincia a gracchiare le informazioni del mattino.
Il
traffico, le notizie di stanotte, chi ha ucciso chi, chi è scomparso, chi si è
perso e non sa più tornare.
Qualche
volta Ian vorrebbe smettere di esistere. Non di
vivere, di esistere; essere un entità latente e senza cuore che si muove
fluttuando tra la gente, con solo i contorni a fare luce. E magari capire il
perché di tante cose.
Schiantarsi
con la vita degli altri – premere sull’acceleratore e finire in rotta di
collisione con le anime slavate della gente comune. Esseri umani così semplici,
così normali e vivi da non poter fare a meno di invidiarli.
Invece
lo specchio certifica la sua esistenza fatta di carne e ossa e denti e pelle.
Ha leggere occhiaie violacee e una piccola cicatrice sulla fronte; un incidente
in moto di un paio di anni fa.
-
Hanno appena detto di aver visto Emily Dubois entrare
in casa di Louis, ieri sera!
L’acqua
scivola sul volto di Ian portando via piccoli strati
di sporcizia sottopelle; ma non può fare niente per lo strano nodo alla gola,
quando sente il nome di Louis.
Demi,
in piedi sulla porta del bagno, mastica i suoi cereali rumorosamente.
-
Emily Dubois? La modella?
-
Mpfh, quella. – borbotta lei, inghiottendo – Dio, io
non capisco perché non lo chiami, Ian. Voglio dire… ormai è passato,
no?
Nessuno
di loro due nomina mai ad alta voce il mostro. Nessuno dei due ha il coraggio
di chiamarlo col suo nome; come se dandogli un’ identità, quello potesse
ricomparire improvvisamente.
-
Potrebbe tornare, lo sai.
-
Non lo farà. I medici ti tengono sotto stretto controllo.
-
Non posso. Lui non mi amerebbe più come ha fatto quella notte.
-
Ian, Cristo, non fa altro che scrivere canzoni su di
te.
-
Mi amava perché stavo morendo.
-
Non lo sapeva, che stavi morendo. Non sapeva nemmeno chi fossi.
-
Basta.
Ian chiude la parentesi seccamente,
e insieme a quella fa sbattere lo sportellino del bagno. Si dà un’asciugata
rapida, prima di uscire dal bagno. Demi, saggiamente, non insiste. Sa fino a
dove può spingersi e quando arriva il momento di fermarsi; si limita a
sospirare rassegnata, e ad appoggiare la grossa ciotola con i cuoricini
disegnati sul bordo della vasca da bagno.
-
Almeno puoi dirmi dove diavolo hai lasciato il sapone? – urla, rovistando sul
lavabo.
-
No! – risponde Ian dall’altra stanza – Oggi puzzerai
come un maialino!
-
Ma! – Demi si fionda fuori dalla stanza e gli salta addosso, senza troppi
complimenti, cercando di strofinargli la testa con le dita. Ian
ride, abbracciandola.
E’
il loro modo di fare pace, dopo aver discusso.
E
mentre si stringe forte a lei, Ian ha la certezza che
Demi è l’unica che rimarrà sempre – anche nella sofferenza, coi suoi mostri a
fargli paura e le fobie che non lo fanno dormire.
__
Primo capitolo.
Non sono pienamente
soddisfatta, penso potesse riuscire meglio. Si può sempre fare di meglio. Ad
ogni modo, però, devo dire che fino ad ora Louis e Ian
si stanno comportando in modo abbastanza decente. Se non altro, fanno ancora
come gli dico io.
Suppongo che adesso
molti di quelli che leggono faranno ipotesi sul mostro di Ian,
sulla sua malattia. Io non vi anticipo nulla, se non che può essere di tutto.
Spero che non vi abbia
dato fastidio la scena di Louis, che non sia stata troppo pesante; ero molto
titubante a riguardo e anche ora non ne sono pienamente convinta.
Riguardo ai personaggi
femminili, che ne pensate? Io adoro Demi. Se può interessarvi, il suo
personaggio è ispirato – almeno per quello che riguarda l’aspetto fisico – a Clementine
di “Eternal Sunshine Of Spotless Mind”. Ecco perché ha i capelli blu (e, nel corso
della storia, gli cambierà colore più volte)
Grazie a chi mi sta
seguendo, e a Bizzy Kat Blur che è stata così carina da lasciarmi una recensione la
volta scorsa.
La frase di apertura “liberi
ci sembrerà di essere più liberi” e dei Negroamaro e
Elisa, della canzone Basta così.
Credo – spero – di aver
detto tutto. Perdonate eventuali errori di battitura e/o distrazione, ho fatto
un’attenta rilettura me resto comunque un po’ troppo sulle nuvole ^^’
Un abbraccio,
- sc