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Autore: ChelseaH    17/06/2011    1 recensioni
“Non capite, dobbiamo tenerlo! – esclamò, improvvisamente consapevole di quale tasto toccare nei due amici. – Lui è il nostro nuovo bassista!”
A quelle parole Dougie quasi si strozzò mentre Danny e Tom sgranavano gli occhi per poi puntarli sul ragazzo.
“Suoni il basso?” chiese Danny, improvvisamente dimentico delle circostanze nelle quali lui e Harry si erano conosciuti.
“Non solo lo suona, è pure bravissimo.” si intromise Harry prima che Dougie potesse dire qualcosa di inappropriato o peggio ancora esibirsi in una delle sue ormai famose scrollate di spalle, come se niente di ciò che lo circondava fosse un suo problema.

[possibili accenni PUDD più avanti]
Genere: Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Dougie Poynter, Harry Judd, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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DISCLAIMER: Tom Fletcher, Danny Jones, Harry Judd & Dougie Poynter purtroppo non mi appartengono, non ho alcun rapporto con loro e con questo scritto non intendo dare rappresentazione reale dei loro caratteri e/o delle loro azioni.


NOTE INIZIALI: Questa storia in realtà nasce il 25 giugno del 2010, doveva originariamente essere una oneshot scritta per una challenge, poi fin dalle prime battute mi sfuggi di mano - che novità - e mi fu subito chiaro che aveva tutte le carte in regola per diventare una long. La misi da parte per scrivere la shot che poi effettivamente partecipò alla challenge e… me ne dimenticai. Al tempo ero sommersa di roba da scrivere… al tempo, per l'appunto. Poi ieri, giorno che rimarrà alla storia come il giorno in cui la parte creativa del cervello di ChelseaH riprese a funzionare, mentre ascoltavo tali The Black Pony e scrivevo il primo capitolo di un'altra longfic - Love, hope and strenght, se vi piacciono i Panik (e gli Empty Trash) - me ne sono improvvisamente ricordata e l'ho ripresa in mano - dopo aver cercato per mezz'ora nel panico più totale la chiavetta USB rossa nella quale alloggiava la bozza di questo primo capitolo - ho finito il primo capitolo e…. eccolo qua!


La nota AU è come al solito - se avete letto altre RPF mie lo sapete fin troppo bene xD - solo e soltanto perché questi McFly non sono famosi.


E la nota "possibili accenni PUDD più avanti" è perché onestamente non ho ancora deciso se sarà slash, parzialmente slash o completamente het, shhhh!


Il titolo è liberamente ispirato a Ballad Of Paul K. dei McFly, dall'album Wonderland.


Buona lettura… spero possa piacere :)


The ballad of Dougie P.


01. Vuoi dire che mi hai seguito senza nemmeno sapere come mi chiamo?

L’aveva trovato avvolto in una sciarpa enorme, berretto di lana fin sopra gli occhi, stretto nel proprio cappotto. In realtà ad attirare la sua attenzione era stato un basso rosa che sbucava da una custodia morbida semiaperta abbandonata a qualche modo sul marciapiede. Aveva fatto per esaminarla quando si era accorto del ragazzo rannicchiato vicino allo strumento, addormentato. A dire il vero, in un primo momento Harry Judd aveva pensato che fosse morto assiderato, ma poi l’altro si era mosso quasi impercettibilmente.

Cosa doveva fare? Da quel poco che intravedeva del viso pensava fosse un ragazzo giovane, magari della sua età e in ogni caso non poteva certo lasciare qualcuno a barboneggiare sul marciapiede con quel freddo, andare a mattina si sarebbe assiderato di sicuro. D’altro canto non poteva improvvisarsi salvatore dei barboni londinesi anche se il basso di quel ragazzo non sembrava esattamente uno strumento a portata di barbone, così a occhio avrebbe giurato si trattasse di un Musicman Sterling, personalizzato per giunta. Insomma, non era di certo un basso a portata di barbone, a meno che non l’avesse rubato da qualche parte e se l’avesse fatto non l’avrebbe certo lasciato lì così bello in mostra come prova della sua colpevolezza.

Non seppe dire per quale ragione lo fece, fatto sta che Harry si ritrovò chinato su di lui a scuoterlo per svegliarlo.

“Tutto bene?” gli chiese non appena il ragazzo aprì gli occhi, quasi completamente coperti da una berretta parecchio più larga della sua testa.

“Mmm?” mugugnò questo, mettendosi goffamente a sedere.

“Tutto bene? Ti senti bene?” domandò, realizzando improvvisamente che magari l’altro si trovava in quello stato perché si era sentito male.

“Sì... penso di sì. – biascicò rimanendo seduto, la voce impiastrata dal sonno. – Urgh, com’è scomodo l’asfalto.” mugugnò poi stiracchiandosi, rivolto più a se stesso che ad Harry.

“C’è un motivo se in genere le persone normali dormono in un letto.” gli fece notare lui.

“Beh, il mio letto è a casa.” borbottò alzandosi e afferrando il basso rosa, non prima di averlo cautamente riavvolto per bene nella sua custodia.

“Quindi hai una casa?” domandò sollevato Harry.

“Sì... a casa mia. – rispose scrutandolo attentamente per un istante, poi aprì la bocca per aggiungere qualcosa ma evidentemente ci ripensò perché la richiuse quasi subito. – Ciao.” disse alla fine, voltandogli e le spalle e dirigendosi chissà dove.

“Hey aspetta! – Harry lo seguì, senza nemmeno pensare a quello che stava facendo. – Se vuoi puoi venire a casa mia per... sai... scaldarti un pochino.”

Seriamente? Stava invitando a casa sua una sottospecie di barbone?

“Ok.” fece spallucce l’altro, e quella risposta fu anche più assurda della sua domanda.


***


“Vuoi qualcosa di caldo? – gli chiese Harry, rendendosi conto che non si erano rivolti la parola per tutto il tragitto. L’altro alzò le spalle emettendo un mugugno che lui prese come un cenno di assenso. – Cioccolata... ti va bene?”

L’altro annuì.

“Ok... beh... ti puoi sedere se vuoi.” gli disse indicandogli il tavolo e chiedendosi una volta di più cosa gli fosse passato per la testa a trascinarsi a casa uno sconosciuto che per giunta sembrava affetto da una qualche strana forma di mutismo. L’altro, invece di accomodarsi, si lanciò in una complicata serie di movimenti atti a srotolare la sciarpa dal viso e dal collo. Poi si tolse la berretta e Harry si ritrovò a fissare un paio di occhi di un azzurro sorprendente, su un volto giovane come aveva immaginato e... familiare.

“Ci siamo già incontrati da qualche parte?” gli chiese di getto.

“Ho fatto il provino per la tua band.” gli disse laconico il ragazzo.

“La mia band?”

“Cercavate un bassista.” aggiunse l’altro, come se questa informazione potesse colmare ogni vuoto nella memoria del suo interlocutore.

“Ti offendi se ti dico che non mi ricordo affatto come suoni?” gli domandò imbarazzato sia dal fatto che seriamente non ricordava sia dal fatto che, dato che non era stato scelto, probabilmente non era sto granché nonostante il basso costoso e tutto il resto.

“Non sai come suono. – fece spallucce l’altro e Harry inarcò un sopracciglio – C’eravamo io e quest’altro ragazzo... eravate così entusiasti di lui che io me ne sono andato.” aggiunse di malavoglia.

Harry mise la cioccolata sul fuoco mentre ricordava quel pomeriggio.

“Dougie Poynter.” disse e l’altro emise un mugugno di assenso.

Dougie Poynter, ora ricordava perfettamente. Aveva risposto a un annuncio che lui e i suoi compagni avevano lasciato sulla bacheca di un negozio di dischi e l’avevano chiamato a provare insieme ad un altro ragazzo, tale Christian Owen. Questo aveva provato per primo e sì, era discretamente bravo e alla fine l’avevano preso nella band anche se poi era durato qualcosa come due settimane, lasciandoli di nuovo col problema del bassista.

Si ricordava di Dougie perché aveva aperto bocca solo per presentarsi, poi si era seduto in disparte ed era rimasto ad osservare gli eventi passivamente e senza mai aprire bocca. Quando Christian aveva finito la sua prova si erano girati per dirgli di prepararsi ma lui si era come volatilizzato.

“Cosa ci facevi addormentato su un marciapiede?” si decise a domandargli e in risposta ricevette l’ennesima scrollata di spalle.

Si chiese nuovamente cosa l’avesse spinto a portarselo a casa, mentre un pensiero decisamente poco carino gli attraversava la mente.

“Non avrai vissuto per strada da quando sei scappato dalla nostra sale prove?!” gli chiese preoccupato, senza nemmeno ricordare quanto tempo fosse passato, due mesi probabilmente.

“No, ce l’ho una casa... a casa mia.” fece spallucce Dougie e Harry si ritrovò a pensare che se l’avesse fatto un’altra volta l’avrebbe legato ben stretto a una sedia in maniera da impedirgli di muovere le dannate spalle e decidersi a parlare chiaramente.

“Se hai una casa perché dormivi per strada?” insistette.

“Che ti frega?” sbuffò il ragazzo lasciandolo alquanto basito dal tono di voce seccato che aveva usato.

“Scusa se ti ho offerto ospitalità senza nemmeno sapere chi sei! – sbottò Harry. – Cioè, per quel che ne so potresti anche essere un... un...”

“Bassista?” gli venne in aiuto l’altro.

Poco di buono semmai.”

“Non sono un poco di buono, ho fatto tardi, ho perso l’ultimo treno per tornare a casa e non ho i soldi per permettermi un hotel, contento? – disse tutto d’un fiato Dougie – E quella cioccolata sta bruciando.” aggiunse annusando l’aria.

Harry si voltò di scatto verso i fornelli, giusto per prendere atto del fatto che la cioccolata era ben oltre il punto di cottura ottimale. Spense il fuoco stizzito e buttò il pentolino nel lavandino, poi aprì il frigorifero, ne estrasse due bottiglie di birra e si sedette di fronte a Dougie offrendogliene una.

“Questa non è calda.” gli fece notare il ragazzo, improvvisamente loquace nell’arte di fargli notare le cose che non andavano.

“Quanti anni hai?” gli chiese Harry ignorandolo.

“Ventidue. E tu come ti chiami?”

“Seriamente non lo sai? – Dougie fece cenno di no con la testa. – Vuoi dire che mi hai seguito senza nemmeno sapere come mi chiamo?!”

“Tu mi hai chiesto di seguirti senza nemmeno sapere che faccia avessi. – così dicendo indicò la sciarpa nella quale era rimasto avvolto fino a poco prima – E comunque come faccio a sapere come ti chiami se non ci siamo mai presentati?” aggiunse.

“Sei irritante lo sai? E non fare spallucce!” lo prevenne, strappandogli un sorriso, il primo da quando si erano incontrati.

“Avevo un provino oggi pomeriggio.” gli disse, decidendosi finalmente a raccontargli qualcosa di utile.

“E come è andato?”

“Eravamo in tre o quattro e il tizio prima di me era davvero bravo.” le solite spallucce e Harry comprese che se n’era andato senza concedersi una chance, proprio come aveva fatto con loro.

“Non troverai mai qualcuno che ti faccia suonare se non ti degni di mostrare cosa sai fare.” gli fece notare.

“Sono bravo. - l’ennesima scrollata di spalle. – E la vostra band come va?” gli chiese poi.

“Esattamente come quando te la sei data a gambe, siamo senza bassista e con un numero impressionante di pezzi. Danny e Tom sono due macchine da guerra quando decidono di scrivere canzoni, ne sfornano una dietro l’altra con una facilità disarmante.” gli spiegò.

“Capisco.” si limitò a rispondere Dougie, senza chiedere ulteriori delucidazioni e scolandosi quasi d’un fiato la birra.

Era tardissimo, quasi le due di notte, e Harry mostrò al suo ospite dove si trovava il bagno e poi lo invitò ad accomodarsi sul divano per la notte, portandogli una coperta.

“Mi chiamo Harry comunque.” gli disse congedandosi per la notte.


***


Harry si rigirò nel sonno alla ricerca di una posizione comoda e andò a sbattere contro qualcosa. L’urto lo costrinse a svegliarsi, anche se gli ci vollero parecchi minuti prima di realizzare che l’ostacolo che aveva centrato non doveva trovarsi lì dove era, ovvero nel suo letto.

Dougie.

Accese la luce e vide il ragazzo ben raggomitolato sotto al piumone e palesemente sveglio, nonostante avesse gli occhi chiusi.

“Che ci fai qui?” gli chiese sbadigliando.

“Il divano era scomodo.” mugugnò Dougie senza scomodarsi ad aprire gli occhi.

“Sei nel mio letto.” tentò di farlo ragionare.

“C’è spazio anche per te infatti.” replicò l’altro accucciandosi ancora meglio sotto alle coperte.

Harry lo fissò per un attimo, Dougie sembrava la persona più innocua sulla faccia della terra.

Che male c’era se lo lasciava dormire nel proprio letto? In fondo, come aveva detto anche lui, c’era spazio in abbondanza per entrambi. Spense la luce e si sistemò nuovamente sotto le coperte, chiedendosi ormai per la milionesima volta come mai stesse dando così tanta confidenza e fiducia a un perfetto sconosciuto. Rinunciò a trovare una risposta sensata a quell’interrogativo e diede le spalle al ragazzo, mettendosi su un fianco. Trenta secondi dopo Dougie era rotolato vicino a lui e, non contento di averlo relegato nell’angolino più remoto del letto, lo abbracciò come se fosse un peluche.

“Cosa stai facendo?” gli chiese allibito e in tutta risposta l’altro gli strusciò il viso sulla schiena.

Harry sospirò, combattuto fra la tentazione di mollargli un calcio nelle parti delicate e quella di stringere le braccia che lo stavano a loro volta stringendo. Era completamente irrazionale come si fosse affezionato nell’arco di un paio d’ore a un ragazzo che aveva letteralmente raccolto dal marciapiede, che soffriva di attacchi di mutismo ed aveva l’irritante vizio di rispondere a spallucce a qualunque domanda. Alla fine non fece proprio niente e si addormentò lasciando che Dougie gli rimanesse appiccicato.

La mattina seguente quando si svegliò lo trovò che frugava nel suo armadio.

Altro che persona più innocua sulla faccia della terra, ladro di vestiti sembrava molto più appropriato.

“Non ho vestiti.” gli disse Dougie stringendosi nelle spalle.

“E quelli che avevi addosso ieri sera?” gli chiese Harry, sorvolando sul fatto che il ragazzo avesse addosso solo i boxer e che era proprio così che gli si era addormentato addosso. Dougie lo fissò come se avesse appena detto la cosa più intelligente del mondo e corse in salotto a recuperarli. Quando tornò in stanza, con i jeans e una maglietta a maniche corte addosso, aveva in volto un’espressione completamente diversa da tutte quelle che gli aveva visto fino a quel momento. Sembrava felice.

“Grazie.” gli disse sedendosi sul letto a gambe incrociate.

“Per averti fatto da peluche?” borbottò Harry cercando di sembrare offeso.

“Anche.” annuì Dougie.

“Così oggi te ne vai? – gli chiese dopo un attimo e l’altro fece cenno di sì con la testa. – Hai almeno i soldi per il treno?” aggiunse, preoccupato di ritrovarlo nuovamente a barboneggiare la notte seguente.

“Si, posso arrivare anche a offrirti la colazione se vuoi.”

“Non disturbarti, ho il frigo pieno e non vorrei essere la causa del tuo tracollo finanziario.” rispose e il volto di Dougie si rabbuiò improvvisamente. Scese dal letto e sparì e Harry si rese conto che era stato il tono della sua risposta ad abbatterlo, anche se la sua aveva solo voluto essere una battuta.

Una battuta che poteva benissimo anche essere letta come un invito a levare le tende il prima possibile, pensandoci bene. Si alzò e lo trovò intento a sistemarsi il basso in spalla, non c’era che dire, aveva finito di vestirsi a tempo di record.

“Beh... grazie.” ribadì Dougie vedendolo.

“Non fai colazione?” gli chiese Harry, quasi deluso.

“No, meglio che mi avvii in stazione, prima prendo il treno e prima arrivo a casa.” gli rispose con una logica schiacciante prima di andarsene.

Un quarto d’ora dopo Harry, seduto al tavolo della cucina a rigirarsi fra le mani una tazza di latte e cereali ormai vuota, realizzò che Dougie non aveva menzionato dove abitasse e si era allo stesso modo guardato bene dal lasciargli un qualunque recapito, che fosse un numero di telefono o una mail. Se n’era andato mollandolo lì da solo come un ebete, senza farsi passare nemmeno per l’anticamera del cervello l’idea di rimanere in contatto.

Scrollò la testa sempre più irritato con se stesso, perché Dougie avrebbe dovuto sciorinargli la propria biografia o lasciargli qualche contatto? Non erano amici, non erano niente, si poteva perfino quasi dire che nemmeno si conoscessero. Gli aveva offerto un tetto sotto al quale passare la notte ed era stato ringraziato, il loro rapporto finiva lì e non c’era nulla di strano in quello. Eppure la cosa non gli andava per niente giù, era stata una sensazione a pelle e avrebbe anche potuto essere l’esatto opposto della realtà, ma quel ragazzo gli era risultato subito simpatico. A dirla tutta aveva provato una simpatia istintiva per lui fin da quel pomeriggio in sala prove, anche se non si erano scambiati mezza parola. E la sera prima, fra le decine – e forse centinaia – di barboni che popolavano Londra, lui era riuscito a incappare proprio in lui, che tecnicamente nemmeno era un barbone.

Si alzò stizzito dal tavolo e corse a vestirsi, poi uscì e si infilò nella metropolitana, destinazione King’s Cross. Solo mentre entrava nella stazione si rese conto che non era per nulla detto che il treno di Dougie, qualunque fosse, partisse da lì e se non partiva da lì probabilmente si era giocato anche l’unica chance di acchiapparlo prima che partisse. Forse Tom aveva conservato il suo numero quando aveva chiamato per proporsi come bassista. O forse no. Forse, dato il soggetto, si erano sentiti via mail e Tom le aveva cestinate. Con quei pensieri in testa prese a scorrere il tabellone delle partenze, senza la minima idea di quale destinazione cercare.

Sbuffò, Dougie poteva essere su qualunque di quei treni in partenza.

O su nessuno se aveva sbagliato stazione.

“Harry?” quella voce che lo chiamava con fare incerto lo riscosse dai suoi pensieri e voltandosi si trovò di fronte Dougie, stretto nella giacca e con un bicchiere di Starbucks fumante in mano.

“Razza di idiota!” esclamò Harry andandogli incontro.

Senza troppe cerimonie gli tolse di mano il bicchiere ancora pieno e lo buttò nel primo cestino, mentre lo afferrava per il braccio e lo trascinava nella metropolitana.


***


“Innanzitutto devi trovarti un lavoro.” stava dicendo Harry camminando su e giù per la cucina mentre Dougie lo fissava seduto al tavolo con un’abbondante colazione di fronte. – Del resto ho sempre avuto bisogno di un coinquilino, da solo faccio veramente fatica a pagare l’affitto. Secondariamente sia ben chiaro che da stanotte dormi sul divano. Ti farò uno sconto sull’affitto per ammortizzare la scomodità... diciamo cinque sterline di bonus.” proseguì.

“Cinque?”

“Puoi comprarti un sacco di cose con cinque sterline, sai?”

“Io ho una casa, perché devo pagare l’affitto a te?” dal tono della domanda Harry comprese che Dougie ce l’aveva avuta sulla lingua fin da principio.

“Perché casa tua non è qua a Londra.” replicò con semplicità.

“E se non volessi vivere a Londra?”

A quell’uscita Harry rimase freddato.

Gli stava offrendo una sistemazione a poche fermate di metropolitana dal centro e lui non solo osava rifiutare la proposta, ma lo faceva anche con irriverenza.

“Non ho i soldi per pagarti l’affitto.” aggiunse Dougie, quasi si fosse resto conto che ci era rimasto male.

“Ti posso aiutare a trovare un lavoro.”

“Perché?” ora Dougie sembrava semplicemente confuso.

Già, perché?

Era corso alla stazione con il solo intento di chiedergli quantomeno un recapito per tenersi in contatto ed era finito col riportarselo a casa. Non che Dougie avesse opposto resistenza, in realtà si era fatto trascinare passivamente senza nemmeno aprire bocca.

L’incombenza di rispondere gli venne risparmiata dal suono del campanello, si era completamente dimenticato che aveva un appuntamento con Danny Jones e Tom Fletcher – i suoi compagni di band – che ora erano sulla porta del suo appartamento preoccupati. Li fece entrare e li presentò a Dougie, notando con disappunto che nessuno dei due pareva ricordarsi del ragazzo, così glissò sul fatto che si fosse proposto per fare il bassista con loro e raccontò solo della notte precedente.

“Vuoi dirmi che ti sei preso un barbone in casa?” chiese Danny incredulo, come se l’interessato non fosse seduto a mezzo metro da lui.

“Non è un barbone, è Dougie.” precisò Harry.

“Si ma ora non puoi tenerlo... non è mica un animale domestico.” si intromise Tom.

“Nuovo coinquilino.” lo corresse Harry.

“Ma non lo conosci! – tentò di farlo ragionare Tom – Nulla di personale.” aggiunse rivolto a Dougie che fece spallucce continuando a fare colazione come se nulla fosse.

Harry si rendeva conto che in fondo – molto in fondo – Tom aveva ragione, ma ormai Dougie era diventato affar suo e non poteva certo sbatterlo nuovamente in strada o metterlo su un treno per una destinazione ignota. Doveva far immedesimare Tom e Danny nel suo punto di vista, così che potessero capire perché era importante che Dougie rimanesse e che il suo punto di vista molto confuso e decisamente irrazionale era un dettaglio del tutto insignificante.

“Non capite, dobbiamo tenerlo! – esclamò, improvvisamente consapevole di quale tasto toccare nei due amici. – Lui è il nostro nuovo bassista!”

A quelle parole Dougie quasi si strozzò mentre Danny e Tom sgranavano gli occhi per poi puntarli sul ragazzo.

“Suoni il basso?” chiese Danny, improvvisamente dimentico delle circostanze nelle quali lui e Harry si erano conosciuti.

“Non solo lo suona, è pure bravissimo.” si intromise Harry prima che Dougie potesse dire qualcosa di inappropriato o peggio ancora esibirsi in una delle sue ormai famose scrollate di spalle, come se niente di ciò che lo circondava fosse un suo problema.

“Come fai a saperlo?” chiese scettico Tom.

“L’ho fatto provare.” replicò lui con semplicità.

Tom non sembrava del tutto convinto ma capitolò e alla fine lui e Danny si congedarono dando appuntamento ai due per quel pomeriggio in sala prove, così che Dougie potesse far vedere anche a loro quanto era bravo.

“Dimmi che sei davvero bravo.” lo supplicò Harry non appena gli amici se ne furono andati.

Inutile dirlo, Dougie fece spallucce.


   
 
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