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Autore: Color__by    17/06/2011    1 recensioni
"Il ragazzino sedeva sul trono, un trono troppo alto per uno della sua età.
Intorno a lui, i capi delle sue città discutevano, urlavano; sembravano sul punto di sguainare le spade e squartarsi a vicenda."
L'impero romano non era formato da un solo uomo. L'impero romano erano tanti pezzi di culture diverse uniti in un'unica potenza. Ecco, questa è la storia di quei piccoli pezzi.
Genere: Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Francia/Francis Bonnefoy, Grecia/Heracles Karpusi, Inghilterra/Arthur Kirkland, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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I (We) Am (Are) The Empire


Il ragazzino sedeva sul trono, un trono troppo alto per uno della sua età.
Intorno a lui, i capi delle sue città discutevano, urlavano; sembravano sul punto di sguainare le spade e squartarsi a vicenda.
Vercingetorige, in piedi accanto al seggio, inveiva contro ogni altro uomo presente nella sala.

Nel vederlo ora, mentre latrava parole come un cane rabbioso e ruotava gli occhi rossi e irati, non sembrava più il carismatico re degli Averni che aveva organizzato e guidato la rivolta gallica.

I Romani definivano il suo popolo “una moltitudine di Barbari”, e in quel momento il ragazzino non poteva che dare credito a quella parola che aveva spesso sentito sussurrare dai soldati Romani, carica di un indicibile disprezzo.
Francis abbassò gli occhi sui propri piedi, che penzolavano svogliatamente a una decina di centimetri dal pavimento.

 

*

 

Seduto nella sua tenda, il generale rimuginava sul nuovo messaggio arrivato da Roma.
Con le dita batteva ritmicamente sul bracciolo del suo scranno (uno due-tre pausa; lungo breve-breve pausa).

E intorno a lui non vi era alcun suono, a parte il rumore secco delle sue dita contro il legno.
Il messaggero, in piedi davanti all'altro uomo, era divenuto invisibile, arrivando quasi a dimenticarsi di respirare; persino i rumori dell'accampamento si erano affievoliti, come se ogni essere vivente fuori dalla tenda fosse teso in ascolto, ipnotizzato dal ritmico ticchettio che risuonava all'interno.
Il sole stava svanendo oltre le recinzioni dell'accampamento.

Quando di esso non rimase altro che una sfumatura rosa nell'angolo ovest del cielo, Cesare fermo le dita, sospirando pesantemente.

Il messaggero sobbalzò sorpreso.

Quando un rumore basso e regolare si ripete, non proviamo più fastidio e ci dimentichiamo della sua esistenza; ma quando il rumore cessa, il silenzio ci prende alla sprovvista.

La voce del generale suonò stanca. - Qual'è il tuo nome, messaggero. -
- A-Appio – rispose l'altro, intimorito. Era giovane, appena 17enne.

- Appio... - Cesare pronunciò quel nome come se ne stesse saggiando il peso, scrutando la persona a cui apparteneva. Lo sguardo, duro, passo in rassegna ogni caratteristica del volto del giovane in piedi di fronte a lui, dai capelli castani alle guance segnate dall'acne.

Appio si sentì a disagio sotto quello sguardo intenso, ma si sforzò per mantenere ferma la voce - ...ordini, comandante? -

Una volta che fu sicuro di essersi impresso nella mente il volto del ragazzo, Cesare spostò lo sguardo verso il soffitto della tenda. Quando parlò, lasciò scorrere gli occhi sulla stoffa di cui era composto. - Porta i miei omaggi al grande Impero Romano e al Senato, Appio. Assicuragli che prenderò questa città. Li terrò chiusi all'interno delle loro stesse mura; o si arrenderanno o proveranno la morte per inedia. -
Appio deglutì, cercando di rimettere in funzione la gola prosciugata. - Certo, generale. E... riguardo all'invio nuove truppe? Alcune legioni si sono già riunite nella valle a sud delle colline... -

Le sue parole caddero nel vuoto. La mente del generale era già altrove.
Aspettò, senza fare alcun rumore. Quando ormai il cielo cominciava a cospargersi di stelle, uscì dalla tenda senza aver ricevuto una risposta.

 

*

 

Il ragazzino se ne stava sulle mura, guardando verso gli accampamenti romani, ai piedi della collina su cui era accasciata la città di Alesia.

Anche da quella distanza si scorgeva la febbrile attività che attraversava ciascuno dei legionari impegnati nei lavori di fortificazione.

Alcuni stavano scavando un fossato dalle pareti perfettamente dritte; un fossato che stringeva le mura in una morsa che impediva a chiunque si trovasse nella città di scappare.

Avevano intrappolato i ribelli come dei topi.

Francis corse via, passando vicino alle sentinelle; loro gli rivolgevano uno sguardo talvolta divertito, talvolta di rimprovero, per poi tornare ad osservare con aria grave quel fossato dalle pareti dritte che assomigliava in modo inquietante ad una fossa per cadaveri.

Chiarimenti:
Francis qui è rappresentato agli inizi, quando era la nuova Gallia; era, per così dire, figlio della cultura latino, e stava ormai lasciandosi alle spalle le caratteristiche della civiltà celtica.
L'episodio descritto è l'assedio di Alesia, che fu l'ultima vera e propria ribellione dei Galli contro l'Impero. 

Avverto che mi sono presa molte libertà riguardo all'effettivo svolgimento dei fatti. Dopotutto, non sono una storica.

Questo episodio mi ha molto appassionato dopo averlo studiato a scuola, e così c'ho scritto qualcosa sopra. Non spetta però a me decidere se sono riuscita a creare qualcosa di "buono".

   
 
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