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Autore: Beliar    18/06/2011    5 recensioni
Sirius rise, passandosi una mano scheletrica sul volto; rise col corpo stremato che tremava tutto; rise e anche mentre lo faceva - la risata fa sembrare la gente viva - l'unica cosa che sembrava ancora reale, ancora tangibile, era la luce da qualche parte in fondo agli occhi.
Autrice: L i a r
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altro personaggio, Remus Lupin, Sirius Black | Coppie: Remus/Sirius
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Lo ammetto, posto anche qui per completare un altro prompt della tabella (13-Paura)

Consiglierei di leggerla con Cancer dei My Chemical Romance, visto che è ispirata a quella canzone. 








Cancer.






Quando Remus entrò nella stanza trattenne un ‘ciao’ carezzando l’altro con lo sguardo.
Si avvicinò al letto in punta di piedi e si lasciò cadere sulla sedia proprio lì accanto, osservando le labbra secche schiuse che lasciavano uscire un respiro leggermente affannato, il braccio destro immobile sul lenzuolo e quello sinistro abbandonato sullo stomaco, le dita che sfioravano la copertina di un libro aperto con le pagine tutte spiegazzate.
Il sonno di Sirius era diventato leggerissimo e raro: il solo poggiare le dita accanto al suo gomito lo fece sobbalzare e riemergere con occhi appannati dal dormiveglia.
Stirò un sorriso e con un sospiro spezzato cercò di portarsi più in alto, il cuscino dietro le spalle; Remus si trattenne dall’allungare una mano ed aiutarlo solo perché sapeva che l’altro avrebbe abbassato lo sguardo in un muto rimprovero verso se stesso.
Sirius mantenne quell’ombra di sorriso sulle labbra creando strane ombre sulle guance incavate e fissò l’altro in silenzio, gli occhi color ossidiana quasi sporgenti sugli zigomi spigolosi, la fronte distesa.
Era uno sguardo caldo, carico di qualcosa che Remus non era mai riuscito a cogliere.
“Ti amo.” Disse all’improvviso e Remus d’istinto gli sfiorò le labbra, la testa dolorosamente liscia, il mento. Sirius fece vibrare la gola, beandosi del calore dell’altro e socchiudendo gli occhi; mormorò pianissimo – forse sperava di non essere sentito “Mi dispiace.”
Remus chiuse gli occhi, irrigidendosi, mentre sentiva il dolore di quelle parole sfiorargli la pelle e poi entrargli prepotentemente nel petto, a divorarsi tutto quello era rimasto del suo apparentemente giovane corpo di venticinquenne.
Non è colpa tua avrebbe voluto sussurrare, ma sarebbe scoppiato a piangere. Per un minuto infinito, semplicemente, rimase in silenzio.
“Ti ho portato acqua fresca.” Si alzò per afferrare il bicchiere di plastica sul tavolo dandogli le spalle e cercando di calmarsi, di mantenere almeno la voce ferma.
Sirius non meritava di vederlo così – perché sapeva che avrebbe sofferto – e lui doveva farcela. Doveva ma Cristo, quanto avrebbe voluto piangere.
Sirius è qui si ripeteva come un mantra, aggrappandosi alla sua figura smagrita e distrutta ma che respirava.
Ce l’avrebbero fatta. Dio, dio, dio, dio, dio…
Questa volta si sedette accanto a lui, intrecciando le loro dita; l’altro, ignorando l’ago della flebo, sollevò il braccio destro e gli tirò la maglietta invitandolo ad abbassarsi.
Remus gli lasciò la mano e appoggiò il volto nell’incavo del suo collo mentre Sirius si stringeva alle sue spalle per issarsi e sfiorargli l’orecchio con la guancia.
“Ti amo.” Ripeté e l’altro rispose “Anch’io.”
Si baciarono poi lentamente, con timore, con dolcezza, con nostalgia. Erano lì e si vedevano tutti i giorni, e sentivano un senso di mancanza fin dentro le ossa. Un bacio non era abbastanza.
“Voglio fare l’amore con te”* disse Sirius, e Remus spinse l’amarezza a fondo, dove quasi non ne sentiva più il peso. “Sei sempre il solito pervertito, eh…”
Sirius rise, passandosi una mano scheletrica sul volto; rise col corpo stremato che tremava tutto; rise e anche mentre lo faceva - la risata fa sembrare la gente viva - l'unica cosa che sembrava ancora reale, ancora tangibile, era la luce da qualche parte in fondo agli occhi.
L’infermiere aprì la porta spingendo su una sedia a rotelle il compagno di stanza di Sirius; Remus si staccò, leggermente arrossito, e disse “Ciao Frank, come va?”
L’altro sorrise alzandosi con fatica “Abbastanza bene, grazie.” Si stese lentamente sul letto adocchiando il libro ancora abbandonato sulle lenzuola di Sirius.
“Se ‘sto qui si muovesse a leggere quel libro e a prestarmelo…” lo prese in giro bonariamente, sorprendendosi quando Remus si alzò e gli porse ‘Il corsaro nero’.
“Tua moglie ha detto che potrebbe piacerti…”
“Grazie, Rem! Sei grande!”


Aveva conosciuto un sacco di persone fantastiche ed era qualcosa che ancora lo sorprendeva; sopra tutti la moglie di Frank: Alice, la sua coinquilina nella casa-famiglia che dava loro un posto dove dormire. Aveva sempre un sorriso che aleggiava sulle labbra – ma era il suo stesso sorriso dolente – uno sguardo dolce e la quiete nel muoversi – la quiete dei rassegnati, ché la speranza non troverebbe mai pace - che ispirava fiducia.
La prima volta che si erano incontrati dopo cinque minuti Remus sentiva di potersi confidare totalmente, anche se con un po’ di imbarazzo: Alice gli chiese (con un tono che sembrava quasi assertivo) se era lì per stare accanto alla moglie. L’uomo arrossì e borbottò qualcosa riguardo a un suo amico, ma quando l’altra gli sorrise comprensiva disse: “Sì, beh, per il mio compagno.”
Era sempre pronta a dargli una mano, a cucinare per due, a confidarsi e farlo confidare; sembrava tutto più leggero in quel piccolo appartamento.
Poi però andava in ospedale e c’era l’ombra di Sirius che sembrava respirare per inerzia, col corpo e l’anima che gli sorridevano beffardi stampati nella sua memoria e non accennavano a tornare.
C’era la paura, di continuo, come qualcosa di molto grosso, spinoso e freddo che gli avevano infilato nel corpo con la forza; e c’era il terrore di sperare, c’era il dolore nel solo pensare a come sarebbe potuto essere se.
Quando rimaneva per più di due minuti da solo si trovava a fissare il vuoto con gli occhi pieni di lacrime, a trattenere il respiro per non singhiozzare.
Sarebbe impazzito; sarebbe impazzito e non sarebbe rimasto nessuno accanto a lui – Dio, perché lo amava così tanto? Era l’unico pensiero che lo bloccava lì, fermo in attesa di vedere quando sarebbe finita.


James non aveva il coraggio di andarlo a trovare. Lo capiva, davvero, ma ogni giorno era sempre più difficile rispondere alle sue chiamate, aggiornarlo sulla situazione, sulle condizioni di Sirius, sul parere dei medici. Sentiva la sua voce diventare sempre più sterile per non far emergere l’isteria.
Alice gli stringeva una mano e sembrava dirgli non sei solo. E aveva un bisogno viscerale di farselo ricordare ogni giorno.


Certe volte gli tornava in mente il loro primo incontro, a scuola, con James dai capelli sparati in ogni direzione e Sirius bello come il Sole, Dio, pieno di vita. Bellissimo, dalla risata coinvolgente e l’espansività innocente di un ragazzino. Forse se n’era innamorato già allora senza rendersene conto.
Quando pensava solo a quello, cacciando via tutto il resto per non rimanere insonne, sentiva il tepore che scioglieva i muscoli in tensione, le ossa ghiacciate e lo stomaco contratto. Scivolava nel sonno aggrappandosi ai sorrisi della sua memoria senza riuscire a riprodurne uno lontanamente simile.
 

Pensava spesso, prima, che avrebbe voluto un figlio. Non ne aveva mai parlato con Sirius per paura che lo considerasse sciocco, ma aveva sentito di una certa tecnica che permetteva di mischiare i DNA di due uomini per fecondare l’ovulo di una donna e, beh, certe volte riusciva a immaginarselo, il loro bambino.
Con gli occhi di Sirius, il suo carattere giocoso che stemperava nella tranquillità di Remus, come il viso dai tratti delicati e il sorriso dolce – che a volte diventava quello impertinente dell’altro.
Era una cosa che lo faceva sorridere e gli scaldava il cuore.
Ora si odiava ferocemente per aver permesso al suo cervello di desiderare ardentemente qualcosa di così bello e così – assolutamente – impossibile.

 
“Allora.”
Sirius sembrava aver preso un po’ di colore, quel giorno, e la presa sulle sue dita era più che uno sfiorare – forse, prima della fine, la vita che se ne va diventa più forte, quasi a volersi consumare più in fretta come un fuoco fatto di paglia.
“È oggi.” Sussurrò; sembrava tranquillo. Remus sorrise.
“Mettici il meno possibile, altrimenti mi annoi.” In un’altra era avrebbero riso entrambi.
Entrò un’infermiera spingendo un lettino; sorrise e disse “Ecco, sali qui sopra.”
Remus cercò di trattenersi, davvero, ma poi afferrò Sirius e lo strinse a sé. Stava per piangere ma la mano scheletrica fra i suoi capelli e il suo odore gli dicevano che era ancora lì.
Per la prima volta dopo mesi sentì la speranza squarciargli il cuore.
“Vado” soffiò lui sulle sue labbra, per poi baciarlo.
Remus chiuse gli occhi. Non gli avrebbe permesso di scivolare via.
Quando fu portato in sala operatoria si stese sul lettino che Sirius aveva occupato fino a quel momento, assorbendo il calore che il suo corpo fragile aveva lasciato fra le lenzuola.
Lo prese tutto, lo accolse con le membra straziate dal dolore.
Come una ferita profonda che viene bagnata dal disinfettante, per quanto bruciasse sentiva la speranza ricomporlo lentamente.

















*Il desiderio di Sirius non è sessuale, ma voglia di ritornare alla normalità e a tutte quelle cose che non ha più la forza di fare.
  
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