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Autore: Roxe    20/06/2011    8 recensioni
WARNING: Questa storia è alquanto bizzarra, leggete a vostro rischio e pericolo.
Era un giorno come un altro nel meraviglioso regno di Londra.
La Noia cadeva dal cielo senza sosta da quasi due giorni ormai, depositando il suo grigio strato d’immobilità su ogni foglia, ed inzuppando la terra con la sua umida apatia.
L’Uomo di Latta alzò il suo lungo naso verso le nuvole gonfie che facevano capolino tra i rami, ed i piccoli anelli della sua gola tintinnarono con una vibrazione di disappunto.
Era stufo di starsene seduto sotto quell’albero, costretto a ripararsi tra le sue fronde per tenere lontana la Ruggine dalle sue fragili articolazioni. Ma alla densa umidità che impregnava l’aria non c’era rimedio, e quella solita vite alla base del collo iniziava già a scricchiolare, proprio in quel punto d’attrito un po’ consumato dal continuo piegarsi avanti e indietro della sua testa troppo pesante per essere sorretta da quattro semplici bulloni.

[ Pairing: Sherlock/John ] [ Fable ] [ Pre-slash metaforico (?) ]
Genere: Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimers: I personaggi da me trattati appartengono da un lato a Lyman Frank Baum, che li ha inventati e resi noti al pubblico esattamente nell’anno 1900;  dall’altro a Sir Arthur Conan Doyle, che ha avuto la grazia d’inventare i suoi una manciata d’anni prima. (Sempre due nomi a testa voi scrittori di fine ‘800 eh?...)

PreScriptum: Non ho saputo trovare tra le categorie presenti nel sito una definizione corretta di ciò che state per leggere. Se dovessi darle un nome direi che è una creatura mezza Fiaba e mezza Metafora, che viaggia sul sentiero impervio dell’assurdo.
La dedico senza ombra di dubbio – e sperando che non se ne offenda eccessivamente … XD- a Jolly Camaleonte, poiché tutto ciò nasce da un discorso che feci con lei via mail un paio di mesi fa sul rapporto tra Sherlock Holmes e John Watson. Grazie allo scambio d’idee che abbiamo avuto ho partorito questo essere. (quindi se dovete proprio prendervela con qualcuno, scrivete a lei… **).

 

 

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Era un giorno come un altro nel meraviglioso regno di Londra.

La Noia cadeva dal cielo senza sosta da quasi due giorni ormai, depositando il suo grigio strato d’immobilità su ogni foglia, ed inzuppando la terra con la sua umida apatia.

L’Uomo di Latta alzò il suo lungo naso verso le nuvole gonfie che facevano capolino tra i rami, ed i piccoli anelli della sua gola tintinnarono con una vibrazione di disappunto.
Era stufo di starsene seduto sotto quell’albero, costretto a ripararsi tra le sue fronde per tenere lontana la Ruggine dalle sue fragili articolazioni. Ma alla densa umidità che impregnava l’aria non c’era rimedio, e quella solita vite alla base del collo iniziava già a scricchiolare, proprio in quel punto d’attrito un po’ consumato dal continuo piegarsi avanti e indietro della sua testa troppo pesante per essere sorretta da quattro semplici bulloni.
Presto sarebbe stato costretto a servirsi dell’Olio per mantenere flessibili le sue giunture, e intanto non poteva far altro che sedere ed osservare, inerte come la sua fedele ascia abbandonata nell’erba accanto a lui.

Il campo di grano che si stendeva a perdita d’occhio sul limitare del bosco non dava un solo cenno di vita. Neanche i corvi osavano alzarsi in volo sotto quella Noia battente, e le spighe mature si flettevano spossate dal peso della monotonia, ondeggiando al lento ritmo dell’inedia.

L’uomo di Latta chinò il capo, fissando sconsolato le piccole macchie scure che iniziavano a fiorire attorno allo snodo del polso, quando un suono inaspettato attirò la sua attenzione, guidando i suoi occhi sulla goffa figura che stava faticosamente emergendo tra gli steli di quel mare dorato.

Lo Spaventapasseri si fermò al bordo del campo, appoggiando tutto il peso del suo corpo di paglia e stoffa al lungo palo che l’aiutava a restare in piedi, sovrastandolo per più del doppio della sua altezza.
Le sue spalle si sollevarono appena in quello che da lontano parve un debole sospiro, e poi riprese ad avanzare adagio, aiutandosi col bastone a colmare il vuoto lasciato dalla sua gamba destra, che giaceva inerte lungo il fianco, trascinandosi sul terreno come un vecchio sacco vuoto.

Un lento passo dopo l’altro continuò ad avvicinarsi, senza mai alzare la testa, finché non giunse proprio davanti all’Uomo di Latta, lasciandosi infine cadere al suo fianco con un gemito, mentre abbandonava distrattamente sul terreno il suo sostegno. La stoppa di cui era riempito emise un sonoro scricchiolio all’impatto col suolo, e non appena ebbe guadagnato un minimo d’equilibrio lo Spaventapasseri allungò i grossi guanti logori sul suo arto malconcio.

- Questa Noia è terribile! Mi bagna tutta l’imbottitura e la Muffa mi mangia vivo!

Esclamò emettendo un rauco lamento, mentre le sue dita affondavano avvilite in quella gamba floscia, che sparì nella sua stretta lasciandogli in mano solo il ruvido straccio blu dei pantaloni.

- Per fortuna qui sotto non arriva! È davvero un riparo perfetto!

Con un altro sospiro lo Spaventapasseri alzò il suo naso dipinto verso l’alto, ammirando le ampie fronde sotto cui si era rifugiato.

- Perché hai scelto proprio quest’albero?

Chiese infine al suo compagno di giaciglio, che fino a quel momento si era limitato ad osservarlo in silenzio. Ma la sua domanda non sembrò dar pensiero al suo interlocutore, che continuò a fissarlo senza dire una parola, e lo Spaventapasseri si sentì trafitto da quelle sfere d’acciaio che penetravano tanto facilmente nella sua stoffa leggera. Il suo viso si nascose istintivamente sotto la larga tesa del cappello, e soltanto allora l’Uomo di Latta gli rispose, alzando le lustre pupille al cielo mentre univa tra loro i sottili cilindri di ghisa saldati alle estremità delle dita, e la sua voce ferrosa rimbombava tra le pareti del suo solido guscio.

- Perché non è il più vecchio, ma neanche il più giovane. L’albero più vecchio avrebbe da offrire soltanto spire nodose e poche grandi foglie, troppo rade per potermi procurare un buon riparo, mentre il più giovane mi porgerebbe rami sottili e tanti germogli immaturi, così facili da trapassare per la Noia.
Inoltre non è il più alto, ma neanche il più basso. L’albero più alto attirerebbe su di sé il Fulmine, e il più basso renderebbe disagevole la mia permanenza sotto di lui.
Ed infine non è il più grande, ma neanche il più piccolo. Un albero troppo grande crea un’eccessiva distanza tra sé ed il resto della foresta, impedendo alle fronde vicine d’integrarne la copertura, mentre un albero troppo piccolo sarà soffocato dai suoi vicini, offrendomi un tetto disomogeneo ed inefficace.

Quando tornò a chinare la testa l’Uomo di Latta si scontrò con lo sguardo rapito del suo pubblico, che lo fissava con la bocca sfilacciata, talmente aperta da forzare i punti che tenevano chiuse le sue labbra di pezza.

- E tu invece perché l’hai scelto?

Al suono di quella domanda lo Spaventapasseri scricchiolò con disagio, abbassando gli occhi a terra.

- Ecco io… Ho visto che c’eri già tu sotto… Soltanto per questo! Non saprei mai trovarmi da solo un riparo così intelligente.

Mentre parlava sfilò nervosamente un biondo ciuffo di grano da sotto il berretto, grattandosi la stoffa della fronte con aria impacciata.

- Sai… qui dentro c’è solo paglia. Io non ho Cervello…

Sussurrò poi con un filo di voce, iniziando a torcere tra le dita la spiga appena estratta dal suo capo, per poi puntare i grandi bottoni neri che aveva al posto degli occhi sulle tempie del suo compagno di sventura.

- Il tuo invece dev’essere bellissimo!

Esclamò d’un tratto, provocando un impercettibile cigolio di sorpresa nell’oggetto della sua improvvisa ammirazione.

- Posso vederlo?

- Se vuoi…

Rispose l’Uomo di Latta infastidito, ma lui non badò a quel tono seccato, si alzò sulle ginocchia ed allungò le braccia verso l’imbuto che ricopriva la sommità di quel lucido cranio, sollevandolo con un gesto impacciato e gentile.
Non appena il bordo circolare si staccò dalla giuntura svelò un tortuoso ammasso di materia grigia confinato tra le pareti di stagno, talmente stretto nel suo solido imballaggio da dare l’impressione di poterne traboccare da un momento all’altro; e lo Spaventapasseri si perse immediatamente tra le curve di quell’organo intricato, di cui non era possibile trovare il bandolo, mentre sui solchi sottili dei suoi lineamenti si dipingeva la più intensa delle meraviglie, trattenuta a stento dalla corda stretta attorno al collo che per poco non si fece sfuggire i lembi del suo viso, teso fino a deformarsi per poter ammirare da vicino quella straordinaria bellezza.

- È… magnifico! Credo che potrei guardarlo per il resto della mia vita.

Mormorò con impudente sincerità, mentre le sue mani vibravano a contatto con la scorza lucente che custodiva quel miracolo.

- Dev’essere proprio un bel problema mettere d’accordo un Cervello così con il Cuore!

- Non per me.

Fu la laconica risposta, che distolse lo Spaventapasseri dalla sua contemplazione, punzecchiando la sua curiosità.

- Perché?

E la domanda affiorò spontanea tra le grinze delle labbra, mentre riposizionava con cura l’imbuto nell’apposito alloggio, tornando infine a sedersi al suo fianco.

- Sono stato informato con ragionevole certezza di non averne uno.

Rispose pacato l’Uomo di Latta, e pronunciando quelle parole sollevò il pugno chiuso all’altezza del petto, colpendone con un gesto secco il rigido rivestimento, che al suo tocco liberò nell’aria l’inconfondibile rumore del vuoto.

- Oh accidenti! Mi dispiace! Credo…

La fronte dello Spaventapasseri s’increspò in una folla di piccole pieghe mentre osservava la mano serrata di fronte a quel busto cavo, per poi distendersi nuovamente in un’espressione radiosa.

- Potrei prestarti il mio!

Esclamò con tono entusiasta, e senza attendere una risposta iniziò a slacciare i bottoni della sua vecchia camicia, aprendosi rapidamente una strada tra i fili d’erba secca che riempivano il suo petto, fino a quando in mezzo a quel groviglio arruffato non apparve una piccola matassa di muscoli e sangue, imbevuta del rosso più vivo, che pulsava ad un ritmo dolce e regolare, placidamente adagiata in un nido di sterpi; e L’uomo di Latta rimase incantato dal movimento costante che dilatava la superficie di quel grumo scarlatto, per poi tornare a contrarla in una metamorfosi perpetua.

- Puoi toccarlo, se vuoi.

Quell’invito cortese guidò le sue lunghe dita verso la fessura aperta sul miracolo che dimorava in quel corpo sformato, ma non appena il freddo metallo con cui era costruito sfiorò quel battito un’intensa vibrazione si propagò tra le sue fibre, penetrando ogni frammento della sua corazza; ed inaspettatamente  lui rimase immobile, permettendo a quelle calde pulsazioni di percorrere le sue membra fino a raggiungere tutti i pezzi della sua armatura, facendoli palpitare al loro stesso ritmo.
Lasciò battere sei, sette, dieci colpi prima di scuotersi, ritirando la mano con un tintinnio d’imbarazzo, per poi levare lo sguardo su quel morbido volto che dopo avergli sorriso tornò a sistemare sul suo Cuore l’imbottitura del petto.

- È proprio una maledetta sfortuna questa!… Basterebbe mescolarci un po’ per avere tutte le cose al posto giusto!

Sospirò con rammarico lo Spaventapasseri, mentre armeggiava con i bottoni finendo di ricomporre la forma del suo torace.

- Sarà sufficiente non separarci mai più.

Quelle calme ed imprevedibili parole raggiunsero le sue orecchie senza preavviso, lasciandolo con l’ultimo bottone in mano ed un’espressione sbalordita ricamata sulla faccia, a fissare le pupille abbaglianti che adesso lo guardavano con insolita dolcezza.

- Finché resteremo insieme avremo entrambi un Cuore ed un Cervello.

Nella ruvida voce dell’Uomo di Latta echeggiò un timbro cristallino mentre pronunciava quell’ultima frase, senza aspettarsi nessuna risposta, afferrando con una sola mano la pesante ascia che da due giorni giaceva ai suoi piedi, per poi alzarsi con un lento stridore, volgendo la fronte e lo sguardo alla corteccia nodosa che fino a quel momento gli aveva offerto il suo riparo.
Imitando fedelmente i suoi movimenti lo Spaventapasseri saltò in piedi accanto a lui, dopo aver dimenticato in qualche buco della sua testa farcita di paglia quella gamba rosicchiata dalla Muffa che mai avrebbe potuto sostenerlo.

- D’ora in avanti quest’albero sarà il nostro rifugio. Tutte le volte che ci perderemo o ci allontaneremo - e succederà - potremo sempre ritrovarci qui.

Così dicendo l’Uomo di Latta alzò la scure sopra la testa, conficcandola nel tronco con una traiettoria veloce ed accurata, che terminò la sua parabola disegnando nel legno una sottile linea obliqua.
La grande lama si levò nuovamente in aria, per poi tornare ad abbattersi su quella crosta rugosa una seconda volta, e poi una terza, ed una quarta ancora, aggiungendo ad ogni fendente una nuova scalfittura, che solco dopo solco andava a comporre un disegno preciso.

- Così potremo riconoscerlo tra tutti.

Disse  infine con soddisfazione, dopo aver assestato l’ultimo colpo, un po’ più forte degli altri, appoggiando lo spigolo del gomito sul manico dell’accetta ed osservando compiaciuto il frutto del suo lavoro.
Lo Spaventapasseri aveva accompagnato con gli occhi ognuna di quelle lente oscillazioni, come ipnotizzato da quel movimento fluido all’apparenza privo di qualunque sforzo, e fu soltanto alla fine che posò il suo sguardo sul risultato di tanta fatica, aggrottando le ciglia di filo nero di fronte all’inatteso messaggio inciso nella corteccia.

- Due… Due… Uno…

Sillabò con tono esitante, certo non per fare un torto alla forma quasi perfetta di quei numeri, per poi girarsi sperduto verso il loro autore, arricciando ancora la fronte.

- Che vuol dire?

E lui rispose senza voltarsi, continuando a fissare la cifra scolpita nel tronco, dai cui tagli leggeri affiorava già qualche goccia di resina.

- Due siamo noi. L’Uomo di Latta e lo Spaventapasseri.

- Giusto!

- Due sono le cose che ci mancheranno quando saremo lontani, perché tu hai il mio cuore ed io ho il tuo cervello.

- Già…

- Una cosa sola è ciò che saremo, finché staremo insieme.

Ascoltando il bellissimo suono di quella curiosa verità lo Spaventapasseri lasciò che un largo sorriso tirasse con forza i punti della sua bocca, mentre la carne ed il sangue racchiusi nel suo petto acceleravano adagio il loro battito, senza spiegargli il perché.
Poi le sue ciglia tornarono ad aggrottarsi all’improvviso, e la sua mano si abbassò di scatto, sollevando dal terreno una piccola pietra stondata, che faceva capolino da sotto la punta del suo stivale. Quando l’ebbe portata all’altezza del viso la fissò per un istante, rigirandola tra le dita alla ricerca del lato più tagliente, infine la strinse con piglio deciso e si avviò a grandi passi verso l’albero, mettendosi ad armeggiare con quel bordo frastagliato accanto all’incisione ancora fresca.

Dalla sua confortevole posizione L’uomo di Latta l’osservava incuriosito, tentando d’intravedere le sue intenzioni sotto l’ingombrante cappello che celava ogni suo movimento; ma non riuscì a vedere né intuire alcunché  se non quando lo Spaventapasseri tornò ad allontanarsi dal tronco con aria trionfante, rivelando la piccola giunta tremula che aveva tracciato con cura a fianco dell’ultima cifra. Allora lo sguardo dell’Uomo di Latta passò da quel volto fiero al numero inciso sulla corteccia, completo della sua nuova appendice.

 

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E le sue palpebre s’incurvarono alla vista di quel piccolo segno, che continuava a non saper indovinare.

- Che cosa significa quella B?

Ma lo Spaventapasseri si limitò a fare spallucce, incrociando le braccia e continuando ad ammirare la sua opera.

- Non lo so. Però ci sta bene, non trovi?

Disse rivolgendogli un ampio sorriso, e fissando le sue labbra grinzose l’Uomo di Latta sorrise a sua volta, con un movimento delicato che mal si accordava alle sue mascelle di ghisa, ammorbidendo ogni suo lineamento.

- Hai ragione.

Rispose infine, senza chiedere altro. Perché non c’era nient’altro da chiedersi.
Poi entrambi tornarono a guardare il loro albero, senza più parlare, lasciandosi lentamente assorbire da quella rassicurante realtà, finché lo Spaventapasseri non alzò ancora gli occhi, guidandoli nella luce che filtrava tra i rami, inondando il suo viso.

- Oh finalmente!

Esclamò sollevato, e L’uomo di Latta seguì il suo sguardo, incontrando l’azzurro del cielo libero da ogni nuvola, un sole abbagliante ed ali di cento colori che si libravano nell’aria, diffondendo il loro esile canto.

 

            La Noia aveva smesso di cadere.

 

 

 

 

 

 

 

Note:
1. Andiamo con ordine… perché sono tante le cose da spiegare di questa strana storia.
Iniziamo dall’ovvio: l’Uomo di Latta e lo Spaventapasseri – in inglese the Tin Woodman and the Scarecrow, ovviamente- sono due personaggi del libro The Wonderful Wizard of Oz, scritto da Lyman Frank Baum intorno al 1900 (Baum è praticamente coetaneo di Arthur Conan Doyle, essendo nato appena tre anni prima del padre di Sherlock Holmes). Sicuramente non serve che ve li presenti, dato che quest’opera è uno tra i più famosi racconti per ragazzi della storia della letteratura, quindi mi limiterò a ricordarvi, per sicurezza, che l’Uomo di Latta un tempo era un essere umano, che si è trasformato in una creatura metallica a causa del maleficio di una strega malvagia, perdendo il suo cuore, mentre lo Spaventapasseri è sempre stato senza cervello. Entrambi lasceranno tutto per seguire la piccola Dorothy nel suo viaggio, e poter chiedere al Mago di Oz ciò che maggiormente desiderano: un Cuore per l’Uomo di Latta ed un Cervello per lo Spaventapasseri, appunto.
Sotto la superficie fiabesca che si presenta agli occhi del lettore l’opera di Baum è in realtà alquanto complessa. Non esistono secondo me storie più ricche di livelli di lettura delle fiabe per bambini che in realtà parlano agli adulti. Attraverso un’attenta ed elaborata simbologia, che non lascia nulla al caso, questi autori raccontano la loro società, intavolano teorie filosofiche, si addentrano nel labirinto dell’animo umano, parlano di politica e di religione spesso con molta più saggezza di tanti scrittori ‘impegnati’ che si cimentano boriosamente con questi argomenti delicati.
Io nella mia storia mi sono ben guardata dall’addentrarmi nel dedalo metaforico dell’opera di Baum, limitandomi a prelevare l’involucro dei suoi due personaggi per ‘rivestirne’ l’anima di Holmes e Watson, e mettere così in scena un’allegoria della materia di cui è composto il loro legame.

2. L’immagine che fa da titolo alla storia (modificata da me solo nel riquadro in basso, in cui ho sostituito il testo) è la quarta di copertina della prima edizione del libro di Baum, realizzata da William Wallace (immancabilmente due) Denslow proprio per l’occasione, assieme alla copertina vera e propria ed a molte altre illustrazioni presenti all’interno del racconto.
Non ci sono né Dorothy né il Mago di Oz in quest’immagine di presentazione. Ci sono lo Spaventapasseri e L’Uomo di Latta che si guardano tenendosi per mano. E non credo che sia una scelta casuale.
La mia non lo è di certo.

3. Il titolo di questa ‘fiaba’ fa bonariamente il verso all’incipit di moltissimi dei racconti su Sherlock Holmes scritti da Doyle, che iniziano spesso con la frase The adventure of…
Qui non viene raccontata nessuna avventura in realtà, ma solo l’inizio di una lunga, lunghissima storia, destinata a non avere una fine.

4. Io non sono Frank Baum, non somiglio nemmeno vagamente a Lewis Carroll, e Collodi lo conosco giusto di fama, quindi questa mia storiella non pretende di essere nemmeno la pallida imitazione di una vera ‘fiaba’.
Le mie metafore sono semplicissime e tutte molto facili da capire: La Ruggine è il vuoto che s’impadronisce di Holmes quando non ha qualcosa con cui impegnare la mente. L’Olio è la droga cui ricorre per colmare quel vuoto. La Muffa sono i sogni di John, che bloccano la sua gamba. Solo la Noia mantiene il suo nome originale, cadendo però dal cielo come pioggia.
Non starò qui a spiegarvi il castello di simbologie che ho tentato di edificare in questa storia, sia perché sono davvero tante, e non voglio annoiarvi più del necessario, sia perché in fondo penso che sia un po’ il bello di leggere una favola poter indovinare da soli la realtà che si nasconde dietro la fantasia. Però ci tengo a spiegare almeno l’impulso primario di associare Holmes e Watson rispettivamente all’Uomo di Latta che non ha un Cuore ed allo Spaventapasseri che non ha un Cervello. Si tratta ovviamente di una metafora, poiché –e non serve nemmeno dirlo- non è affatto vero che John è senza cervello, così come non è vero che Sherlock è senza cuore, checché ne dica lui stesso… (e del resto anche nel racconto di Baum sia lo Spaventapasseri che l’Uomo di Latta mostrano più volte di possedere già ciò che disperatamente cercano. Ma come ho già detto non ci penso nemmeno ad addentrarmi nella simbologia del contesto originale).
Al di là dell’evidente iperbole di questa associazione c’è comunque nei personaggi di Doyle una smaccata dominanza della sfera cerebrale da un lato ed emotiva dall’altro, che ha fatto nascere nella mia testa questa ‘commistione’ tra loro e le due creature del Mago di Oz, soprattutto perché sembrano nate per incarnare la strana forma d’interdipendenza che esiste tra Holmes e Watson, all’apparenza così sbilanciata  ed allo stesso tempo perfettamente speculare: Sherlock, che è l’elemento razionale ed apparentemente dominante della coppia, a livello emotivo è in realtà del tutto dipendente da Watson, che ‘possiede’ il suo cuore (pur senza saperlo). Mentre John, che tra i due è l’elemento più empatico, a livello mentale è a sua volta succube di Sherlock, che ne ‘cattura’ completamente il cervello con la sua genialità.
Facendo una metafora nella metafora, che diventa una specie di gioco di parole, è come se il Cervello possedesse il ‘cervello’ del Cuore, ed il Cuore possedesse il ‘cuore’ del Cervello, in un contorto incastro di dipendenze che a mio avviso è splendidamente illustrato dalla doppia immagine dell’Uomo di Latta che trova il ‘suo’ cuore nel petto dello Spaventapasseri, e dello Spaventapasseri che trova il ‘suo’ cervello dentro la testa dell’Uomo di Latta.
Nella storia di Baum il rapporto tra questi due personaggi si sviluppa su parametri diversi, perché l’attenzione è posta principalmente su ciò che a loro manca (o che ritengono gli manchi) piuttosto che su ciò che ciascuno di loro possiede. Io ho in qualche modo ribaltato la situazione, trasformando il desiderio di perfezionarsi -tentando di ottenere un cuore o un cervello personali da un’entità esterna- in una constatazione d’incompletezza che si risolve con una scelta di coesistenza.
Nel meraviglioso paese di Londra L’Uomo di Latta sa di non avere un cuore, ma non ne vuole uno suo, così come lo Spaventapasseri non vuole andare a chiedere un cervello al Mago di Oz. Entrambi si accorgono che l’uno ha ciò che all’altro manca, e quindi si limitano a realizzare che sarà sufficiente restare insieme per poter essere completi.
Questo è in sostanza il cuore (o il cervello?...) del discorso che avevo intavolato con Jolly Camaleonte via mail, e che mi ha condotto sui sentieri scoscesi di questo racconto: Sherlock Holmes e John Watson sono due creature completamente differenti. Uno è costruito con il metallo, e l’altro è composto di paglia. Uno combatte la Ruggine, l’altro soffre la Muffa. Uno è rigido in ogni sua forma, l’altro è morbido al punto da non possederne alcuna. Uno ha un Cervello scintillante, l’altro ha uno splendido Cuore rosso. Apparentemente non c’è niente che li accomuni, e invece ciascuno di loro possiede esattamente ciò di cui l’altro ha bisogno, e soltanto quando sono uniti questi due uomini si sentono completi. Insieme diventano come un’unica entità, che è del tutto differente da ciò che sono separatamente, ed una volta sperimentata questa completezza è come se non riuscissero più a farne a meno, continuando a cercarsi ed a tendere l’uno verso l’altro fino alla fine. Nonostante tutto.

5. Anche se in questa storia ci sono tutta una serie di riferimenti al telefilm della BBC (che lascio a voi il divertimento di scovare, una volta tanto…**) questo racconto in realtà non ha un vero e proprio fandom d’elezione. Potrebbe essere inserito indifferentemente in qualsiasi sezione dedicata ai personaggi di Arthur Conan Doyle, perché il suo scopo era quello di catturare l’essenza del rapporto tra Sherlock Holmes e John Watson, a prescindere da ogni loro versione cartacea, filmica o televisiva.
Ma nonostante il mio intento super partes devo comunque ammettere che sotto l’armatura dell’Uomo di Latta e tra i corti fili di paglia dello Spaventapasseri io non vedo altri se non loro: Benedict Chumberbatch e Martin Freeman. Per cui alla fine non c’era altro posto che questo per la mia storia.

6. Spero e penso che si capisca solo leggendo, ma in questo racconto il cuore dello Spaventapasseri e il cervello dell’Uomo di Latta sono fatti di carne e sangue, a differenza del resto dei loro corpi. Questi due organi sono l’unica cosa ‘viva’ che possiedono, e sono proprio loro a renderli creature viventi e non fantocci inanimati.
L’uomo di Latta è vivo grazie al suo cervello, e lo Spaventapasseri grazie al suo cuore.

7. Un’ultima piccola nota, per l’altrettanto piccola B che lo Spaventapasseri aggiunge al 221 intagliato nel legno dall’Uomo di Latta.
Il Cervello spiega dettagliatamente ed accuratamente la sua scelta, dando un significato preciso ad ognuno dei tre numeri che d’ora in poi differenzieranno il ‘loro’ albero da tutti gli altri. Il Cuore aggiunge la sua lettera (e non un numero) senza però saperle dare una spiegazione razionale. Si limita a constatare che «ci sta bene», ed il cervello finisce per concordare con lui, senza sentire il bisogno di ulteriori chiarimenti.
Perché il cuore ha le sue ragioni, che la ragione non comprende.

 

 

 

 

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