Nickname:
OperationFailed
Titolo:
Black Out
Fandom:
Sherlock BBC
Personaggi:
John Watson, Sherlock Holmes
Rating: Pg13
Avvertimenti:
Pre-slash, introspettiva
Conteggio parole:
2353 ( fiumidiparole
)
Riassunto:
"- Non è vero che ha paura del buio.
- ... Co-come?
- Sarah non ha paura del buio
- E di cos-
- Ha paura di me. Di me con te. Di me e di te. "
Note: *ghigna
malefica* in fondo alla fic
ce ne sono a volontà!
Comunque questa fic partecipa al sherlockfest_it
Prompt:
Sherlock/John, un blackout a Londra e una
sola candela al 221B
di Baker Street.
Disclaimer: I personaggi di John Watson e Sherlock Holmes non
mi appartengono, per loro fortuna, in quanto sono stati ideati
(sì, e io mi chiamo Elisabetta II) da Sir. Arthur Conan
Doyle, senza il quale noi non saremmo qui a consumarci cuore e
cervello. Londra appartiene a se stessa, il blackout è mio.
Questa fanfiction non è a scopo di lucro (anche
perché ci guadagnerei ben poco) e non intende offendere la
sensibilità di nessuno.
Quella
fu una strana notte per Londra.
Acquattata come un gatto dietro ad una siepe, che attende il passaggio
della
preda, la città ronfava placida, avvolta nel buio. Fatta di
buio.
Da
anni i londinesi non venivano
infastiditi da un blackout, eppure c’era sempre una sorta di
magia in tutto
ciò, nelle fiamme che danzavano dietro alle finestre, nelle
frasi bisbigliate e
nelle storie di paura. Un ritorno alle origini che aveva il sapore di
un sogno
e il profumo inebriante di candele che bruciano. La mente dei bambini
correva
incontro a fantasie di un tempo smarrito, quella degli adulti
malediceva la
modernità che li aveva schiavizzati e la linea telefonica
del servizio guasti,
sempre occupata. Tutta la città, comunque, perdeva nel suo
ritmo un po’ di
quella caratteristica fretta e si lasciava incantare dal fascino delle
stelle,
lentiggini pallide sul volto infinito del cielo. Era una magia fatta di
sussurri, confessioni, abbracci, timori.
Al
221B di Baker Street, la reazione fu
appena diversa. Andandosene, la luce rubò anche la quiete di
quella notte
estiva, addolcita dal rumore confortante di pagine sfogliate. John, da
parte
sua, era impegnato a ritoccare le ultime frasi del post che stava per
pubblicare sul blog, e il disappunto gli disegnò il
volto quando, in un
frangente di pochi millesimi, l’elettricità
abbandonò la casa.
Non
un rumore provenne dal divano, non uno
sbuffo da colui che vi era appollaiato sopra. Le ginocchia al petto, un
libro –
un mattone, per meglio dire – appoggiatovi sopra, Sherlock
Holmes rimase
perfettamente immobile, con gli occhi ancora incollati al volume, e non
può del
tutto escludersi la possibilità che riuscisse a leggere
persino in quell’oscurità.
Solo
il borbottio di John riempiva la
casa, il suo lagnarsi per tutto il tempo speso al computer, ormai
andato perso.
Continuando a lamentarsi, si alzò pesantemente dalla sedia,
con la vana
intenzione di cercare la torcia elettrica. Persino in pieno giorno,
trovarla
sarebbe stato un lavoro lungo e faticoso, ma con quel buio pesto
attaccato alle
pupille, ritrovare la torcia era pressoché impossibile.
Improbabile, per lo
meno.
A
tentoni, con le gambe leggermente
piegate e le braccia tese innanzi a sé, John avanzava tra il
disordine
ordinario che infestava Baker Street. Procedette alla cieca,
inciampando più
volte o sbattendo negli spigoli di qualche mobile, insultato
perché trovatosi
sulla strada di Watson. Il temerario esploratore continuò la
caccia fino a
quando non gioì, vittorioso. Con un’esclamazione
soddisfatta, afferrò la torcia
appena trovata e la accese. Tentò di accenderla.
«Oh,
le pile Sherlock! E non dirmi che ti
servivano per un esperimento!»
John
lasciò scivolare la torcia,
totalmente inutilizzabile, sul pavimento, dove atterrò con
un tonfo sordo. Il
salotto si riempì del rumore di cassetti che si aprono,
scartocciare di fogli
ammucchiati, tintinnare di chiavi senza serratura. E’ in casi
come quello che
ci si rende conto dell'enorme quantità di oggetti privi di
qualsiasi utilità che
invadono i cassetti di praticamente ogni appartamento sulla faccia
della terra.
Sherlock era vagamente divertito dal frenetico impegno di John e
voltò il viso
per seguirne i movimenti bruschi e rapidi.
Aiutandosi
con la luce del cellulare –
appena trovato sotto un pacco postale ancora da spedire – il
coraggioso Watson
riuscì a trovare un paio di candele, delle quali una quasi
completamente
consumata. La ricerca dell’accendino richiese qualche altro
minuto, poi due
fiamme tremule si accesero nel salotto.
Sherlock
continuò a seguire i movimenti di
John, il cui viso illuminato d’arancio appariva vagamente
grottesco, baciato
dalle ombre come se esse volessero lambirlo per poi portarselo via.
«Con
questo disordine non mi vedo nemmeno
i piedi» si lamentò, appoggiando una candela sul
tavolino.
Sherlock,
allungando le gambe ed alzando
un braccio oltre la testa, voltò lo sguardo verso
l’unghia smaltata di bianco
che illuminava la notte, bagliore reale in un mondo fatto di luci
fatue.
«E’
buio, John, se ti vedessi i piedi ci
sarebbe qualcosa che non va» gli rispose, con tono
sarcastico.
Non
fece caso allo sbuffo del coinquilino
– d’altronde, John sbuffava spesso – ed
anzi, ricominciò a leggere il suo
volume, tenendo la candela con una mano ed il libro con
l’altra. Certo, sarebbe
stato più semplice riuscire a leggere senza la voce di John
in sottofondo,
impegnato ora a telefonare – tentare di prendere la linea, in
realtà – al
servizio di emergenza guasti della rete elettrica. Cianciava per il
salotto,
facendo avanti e indietro tra la porta d’ingresso e la
cucina, passando intorno
al divano e sopra intere risme di fogli abbandonate a terra.
«Sì,
è il 221B di Baker Street, volevo
dirle che–ah, quindi, sì. Ma
n–»
Sherlock
gonfiò il petto e raddrizzò la
schiena, per poi espirare con veemenza. Subito, John interruppe la sua
gincana
tra i mobili e il disordine, fermandosi di fronte al coinquilino.
Perché, come
sempre, aveva frainteso i gesti – e i pensieri – di
Holmes.
«Dicono
che è un blackout, che non
possiamo fare altro che aspettare»
Sherlock
lo ignorò, lui e il suo talento
naturale per fraintendere praticamente… tutto! John
tornò al computer, sperando
che almeno un po’ di batteria fosse carica. Speranza tanto
inutile quanto
sprecata, poiché Computer aveva deciso di suicidarsi per la
separazione dalla
sua compagna Elettricità, ed ora toccava a John sopportarne
il lutto. Come se
non fosse bastato, anche il mozzicone di candela aveva deciso che
beffare John
Watson poteva essere alquanto divertente, e si spense con un soffio
silenzioso
nella sua mano.
L’ennesimo
sospiro sfuggì dalle labbra di
Watson, seguito da un’imprecazione a mezza voce. Quei
maledetti mobili in mezzo
ai piedi, con i loro spigoli così…
così appuntiti! Sherlock continuò la sua
lettura, la schiena ricurva sul libro, le pupille dilatate nello sforzo
di
catturare quanta più luce possibile, ma le sue labbra si
tesero
impercettibilmente, imitando la sagoma di un sorriso divertito. Con le
dita
sottili sfogliava le pagine, le sfiorava con quella grazia innata che
lo
contraddistingueva.
Arrivato
quasi indenne al divano –qualche
livido sparso qua e là gli camminava addosso– John
vi si lanciò sopra, facendo
ondeggiare la fiamma dell’unica candela rimasta. Questa
tremò sul ginocchio di
Sherlock, che prontamente la protesse con una mano. Estese poi la testa
all’indietro, fino a trovare lo schienale del divano e
lì adagiarla,
abbandonata. Nel buio annusò l’aria,
così satura del profumo di Watson da
fargli quasi male nel petto. John, a pochi centimetri da lui, aveva sul
volto
il broncio tipico dei bambini, che vogliono tutto subito, senza saper
aspettare. Quella notte senza corrente era per lui inutile, oltre che
oscura.
Con o senza buio, comunque, John era cieco. Ad affliggerlo era quel
tipo di
cecità che lascia spazio talvolta a qualche immagine
sgranata, offuscata e
senza colori, che ti fa dire con stupore “ma io ci
vedo?”. L’oscurità che poi
riappare è quasi rassicurante, perché
l’esperienza di tornare a vedere è sì
meravigliosa, ma anche tremendamente disarmante.
Sherlock
poteva sentire John pensare,
avvertiva il ritmo rallentato del suo respiro e le sue membra alla
deriva, come
un pezzo di legno tra le braccia del mare. A volte gli sembrava che ci
fosse
qualcosa d’invisibile ad impedire loro il contatto, ma non
avrebbe saputo dire
con certezza cosa. Riflettendoci, si potrebbe dire che Sherlock e John
fossero
abitanti di due piccole isole separate, ad un colpo di remo
l’una dall’altra,
vicinissimi eppure irraggiungibili. Una barca, ecco ciò di
cui Sherlock aveva
bisogno. Una zattera qualsiasi che potesse farlo sbarcare
sull’isola di John,
tra la vegetazione fitta e i rettili pericolosi, fantasmi che mutavano
pelle ma
mai se ne andavano. Forse così John avrebbe capito, almeno
di fronte
all’evidenza.
La
mente di Sherlock, comunque, non
perdeva tempo ad accumulare tali pensieri. Avrebbero arrecato solo
disturbo,
sarebbero stati una zavorra pesante, un ingombro. Totalmente inutile
sarebbe
stata la loro formulazione. Nonostante questa consapevolezza,
però, sempre più
spesso Holmes faticava a tenere lontani simili crucci, e si ritrovava a
sforzarsi di non pensare. Che lo facesse con metodi alquanto
discutibili, poi,
è un’altra storia.
Furono
quei pensieri – conciliati forse
dalla luce tenue e dalla vicinanza del coinquilino – ad
essere interrotti dal
violento squillare di un cellulare. I muscoli di Holmes si contrassero,
il
volto non mascherò una smorfia di disappunto. Sapeva chi era
al telefono,
sapeva che Sarah gli avrebbe portato via John anche quella notte.
Rimase con le
mani sulle ginocchia, serrate come uno scalatore arpionato alla roccia.
John
rispose, ricominciando a cianciare
senza posa. Le rassicurazioni che dava a Sarah – la quale
temeva il buio in
solitudine – suonavano ridicole alle orecchie di Sherlock,
che sembrava
rimpicciolire lentamente, quasi a voler scomparire tra le pieghe del
divano.
Nulla trapelava dal suo viso ora, non il disappunto né la
disperata voglia di
pelle e capelli. Quella sera si era concesso fin troppa
libertà, e del buio non
bisognava mai fidarsi. Voleva, doveva porre fine alla sciocca recita di
Sarah,
perciò Sherlock voltò il viso verso il
coinquilino, squadrandolo con
indifferenza. La candela riusciva appena ad illuminare le guance del
dottore e
il collo marmoreo di Holmes.
«Non
è vero che ha paura del buio»
Agghiacciante,
gelida pausa infinita.
«…
Co–come?»
Se
c’era una cosa che John Watson aveva
imparato, era che Sherlock Holmes non parlava mai a sproposito.
Né sprecava parole
se non era certo della loro fondatezza. Rimase a bocca socchiusa, con
il
telefono in mano e il dubbio nella mente. La sua posizione rilassata
sembrò
farlo sprofondare ulteriormente verso il basso. Di Sherlock vedeva il
collo e
il profilo aguzzo del mento, e lo scintillio ferreo degli occhi che
riluceva
nell’oscurità. A nulla serviva il tentativo di
rimanere in superficie
aggrappandosi a quel profilo, perché John scivolava sempre
più in basso.
«Sarah
non ha paura del buio»
«E
di cos– »
«Ha
paura di me. Di me con
te. Di me e
di
te.»
John
tacque. Il telefono trasmetteva la
voce cristallina di Sarah, i suoi pigolii tenui, ma lui non la sentiva
più. Era
precipitato in una bolla d’acqua, che gli premeva sulle
orecchie e gli
annacquava il cervello. I suoi occhi erano incollati al volto ombroso
di
Sherlock, il suo respiro aspettava che parlasse ancora. Non riusciva a
non
guardarlo, era come chiedere alla sabbia di separarsi dal mare, come
voler
scomporre l’oceano goccia per goccia. Dalla voce di John,
comunque, si sarebbe
detto che l’oceano l’aveva ingoiato. Solo il sale
nella gola avrebbe potuto
giustificarne la voce arrochita. Solo il sale e l’atroce
dubbio nel petto.
«Sherlock…
Sherl–»
«Se
ti stai chiedendo se quello che pensi
è vero – e c’è una
percentuale del 97% che io sappia quel che pensi – ti
confermo che sì, Sarah è una bugiarda e
sì, ho almeno sette prove che lo
dimostrino e no, non m’interessa particolarmente tutto
ciò ma sarebbe poi un
patema sentirti frignare perché le cose tra voi sono andate
male.»
«Sherlock…»
L’oggetto
delle invocazioni – vere e
proprie preghiere, in realtà – non
degnò minimamente
John di attenzioni. Tolse i
piedi nudi dal tavolino e, allungando una mano fino a quella di Watson
per poi
sfiorarla appena – la scarica elettrica che li
attraversò avrebbe potuto ridare
luce a tutta Londra – Sherlock gli prese il telefono di mano.
«Sarah.
Vai a dormire. Il buio della
realtà diventerà così la
realtà del buio»
Un
attimo dopo la conversazione telefonica
fu recisa e Sherlock sentì un sorriso aprirglisi in bocca.
Per nulla
infastidito, lasciò che esso rimanesse lì, a
campeggiare sulle sue labbra
almeno per qualche secondo, poiché John era ancora troppo
sconvolto per
accorgersene. Quasi a completamento di quel sorriso, Sherlock si
allungò
nuovamente sul divano, appoggiando la candela su un ginocchio, dopo
avere
posato le gambe sul tavolino, e distendendo il braccio oltre il profilo
di
John. Adesso poteva godersi il silenzio di quella notte diversa, ad
occhi
chiusi, adesso poteva lasciarsi cullare dal cuore del dottore in
tachicardia.
Solo
dopo che la candela si consumò di un
paio di centimetri, John ebbe la forza di aprir bocca. Dopo quel
frangente
temporale in cui non aveva smesso di guardare un secondo il
coinquilino.
«Sherlock?»
domandò, con il tono di un
bambino che chiede alla madre di rassicurarlo che Babbo Natale esista.
L’altro
rispose beato, il volto campo da
gioco per le ombre, il fantasma della soddisfazione ancora svolazzante
intorno.
«Mh?»
John
gli tolse la candela da sopra le
gambe tese – non voleva di certo bruciarsi il naso, aveva
già qualcosa di
grande che gli ardeva nel petto – e gli si
avvicinò, toccando con le ginocchia
le sue gambe. C’era qualcosa di pericoloso
nell’ombra dei loro profili vicini,
delineati dalla luce sempre più fievole della candela.
Sherlock non aprì gli
occhi, ma avvertì lo spostamento d’aria e
gioì selvaggiamente di quella
violazione di distanza di sicurezza.
«Sherlock,
perché dici così di Sarah?»
Le
parole di Watson arrivarono in faccia a
Holmes come un alito di vento caldo.
«Perché
non voglio vederti addosso altre
ferite»
Una
sensazione di soffocamento gli
prendeva la gola, quasi al punto da alterarne la voce. Soffocamento di
parole,
imbottigliamento di sentimenti. Dove sono i vigili quando servono?
Nulla doveva
trapelare, e le parole non dette gli si ammassavano dentro.
John,
d’altro canto, sentiva quel bruciore
nel petto farsi sempre più rovente, come se la cera liquida
della candela gli
si stesse depositando lì, tra le costole e i polmoni.
«Sì
ma Sherlock…»
«Sono
quasi del tutto certo di ricordare
il mio nome, ma se vuoi ripeterlo un’altra
volta…»
Holmes
sorrideva, Watson no. Doveva
sapere, doveva capire, stava aggrappandosi disperatamente ad una di
quelle
immagini sfocate che di tanto in tanto irrompevano nel suo cuore cieco.
«Sherlock,
ma…»
E
il sorriso si tese sempre più sul volto
di Holmes, e la sua voce avrebbe tremato di felicità se solo
avesse aperto
bocca.
Difficile
dire ad opera di chi, ma i loro
volti stavano sempre più avvicinandosi, avvolti dalle
tenebre ed appena baciati
dalla fiamma tremula.
«…
stai dicendo che–»
E
in un battito di ciglia, in un palpito
di cuore, dopo un tremore appena accennato,
l’oscurità li inghiottì. Tutto
rimase in sospeso, persino il battito cardiaco sembrò temere
di far rumore, di
disturbare. I due profili si confusero, si fusero, in un
tutt’uno che non
ammetteva spazi vuoti.
«Sto
dicendo che ti voglio immune a qualsiasi cosa non sia me»
Buonsalve!
Per
vostra sfortuna sono in vena di
puntualizzare, quindi queste note non vi lasceranno scampo. A meno che
voi non
scegliate di fuggire urlando a gambe lavate, soluzione che consiglio se
volete
mantenere intatta la vostra sanità mentale.
Ancora qui? Io comincio, poi non dite che non vi avevo avvisato!
1.
Sappiamo tutti cos’è un blackout. Con il termine
s’intende l’interruzione
totale dell’energia elettrica, con conseguente mancanza
d’illuminazione. E fin
qui ci siamo. Il blackout è però anche il
silenzio stampa su un dato argomento,
e non è del tutto errato accostare questo utilizzo del
termine alla fic.
Sherlock e John infatti non parlano mai del loro rapporto, e non
perché non ce
ne sia bisogno (altroché se ce n’è!) ma
piuttosto perché non ne sono capaci,
perché sono a un palmo di naso l’uno
dall’altro eppure non possono comprendersi
veramente.
Un ulteriore significato viene dato dalla traduzione inglese-italiano:
mancamento, inteso come perdita di coscienza.
Ho deciso di inserire il titolo staccato – Black Out
– per due motivi. Il primo
è molto semplice: banale questione estetica. Mi piace molto
di più, sembra
acquistare forza. Il secondo è per lasciare spazio
all’ennesimo significato:
oscurare. Ed è così… Solo oscurando la
realtà di tutti i giorni, le corse
frenetiche appresso ai misteri e ai casi da risolvere, solo offuscando
il
“fuori”, Sherlock e John riescono - per il tempo
infinitamente piccolo che ci
mette una candela a spegnersi - per quell’attimo, a
sfiorarsi. A comprendersi.
2.
Questa
fanfiction ha visto la luce (di una candela) proprio durante una notte
senza
corrente elettrica. Ho radunato tutte le candele della casa, ho
rischiato che
mi prendessero fuoco i capelli cinque o sei volte, e mi sono messa a
scrivere
con i cari vecchi Foglio e Penna. Magnifica coppia *-* Devo dire che
è un
fantastico modo di scrivere, Madame Ispirazione mi si è
concessa con piacere e
in due giorni ho finito il tutto.
3.
Nella
mia mente – e spero anche in questa fic – era
palese la somiglianza di Sherlock
ad un gatto. Adoro questo paragone e a mio avviso è molto
azzeccato. Sherlock è
ruffiano, scostante, con quella grazia mortale dei felini e la dolce
tenerezza
dei cuccioli. Capace di scatti repentini, potrebbe anche riuscire a
vedere al
buio xD chi lo sa!
4.
Verso
l’inizio della fic vi sarete trovati di fronte ad uno strano
accostamento: disordine
ordinario. E’ ovviamente un ossimoro, che voleva
riassumere l’atmosfera di
Baker Street. Il vero abitante della casa è il disordine
– da me adorato alla
follia – ed è così usuale trovarlo
nelle stanze che diventa ordinario. Senza
tutto quel caos, l’appartamento non sarebbe lo stesso. Amo
seriamente
l’immagine della mescolanza di cianfrusaglie, libri e fogli
che campeggia su
ogni centimetro di superficie disponibile *-*
5. La
luna, intesa
come unico bagliore
reale in un mondo fatto di luci fatue. Ecco, il discorso
è molto ampio e comprende la vanità delle cose
cui corriamo appresso ogni giorno, tutte quelle cose che ci attraggono
con la loro luminosità. Luce finta, carta da regalo che
nasconde una scatola vuota. Non è solo quindi in riferimento
alla notte buia di Londra, illuminata solo dalla luce della luna, ma
è una piccola riflessione sull'umanità e le sue
finte promesse.
6.
John blatera al telefono con quelli del servizio di assistenza guasti,
Sherlock
sbuffa. Voi avete capito il perché – credo e spero
xD – ma John no. Come al
solito, fraintende. Ovviamente, Sherlock sbuffa perché
infastidito dalla
ridicola tenacia di John nel voler spiegare che sono rimasti senza
corrente. Ma
dai?! Forse perché c’è un blackout
è__é anche un cieco se ne accorgerebbe!
Invece no, John pensa che Sherlock sia infastidito
dall’assenza di luce, e
tenta maldestramente di calmarlo. Non si può negare che sia
tenero, però ^^
7.
Ah, la mia mente da manicomio! Solo lei poteva personificare il Sig.
Computer e la Sig.ra Elettricità xD
8.
(Otto?
Forse è ora che io mi fermi qua xD ma devo ancora dire un
sacco di cose .__.)
Il riferimento alle isole non è farina del mio sacco. Si
tratta di uno stralcio
– da me rielaborato – del libro “Sopra
eroi e tombe” di Ernesto Sabato,
scrittore che diede fama alla scrittura latinoamericana nel mondo. Ecco
la
frase: “come abitanti solitari di due isole vicine,
ma separate da
insondabili abissi”.
9. ."... fantasmi che mutavano pelle ma mai se ne andavano" e a cosa potrò mai riferirmi qui se non l'Afghanistan? Il passato strisciante, il suo continuo cambio di pelle, eppure la sua costante presenza.
10.
I
metodi discutibili con cui Holmes tiene alla larga i pensieri,
sceglieteli voi.
Io ho la mia visione personale, che coinvolge la droga. Unica pecca
della
meravigliosa serie BBC credo sia proprio l’assenza di questa
sostanza. La questione è stata appena affrontata, solo un
misero accenno silenzioso, (nella prima puntata, così mi
dicono xD) e per vedere approfondito l'argomento ripongo le mie
speranze nella
seconda
stagione *dita incrociate*
11.
Sherlock concede ai suoi muscoli facciali di agire liberamente, almeno
al buio.
Sa che è protetto, che John è troppo impegnato ad
altro per accorgersi dei suoi
sorrisi, sa che nessuno può vederlo. Eppure, del buio non ci
si può fidare
troppo. E se la luce tornasse all’improvviso?
12.
Voglia
di pelle e capelli
non è altro che la voglia di vivere sulla
stessa isola di John, la voglia di trovare la barca ed approdare in
quel porto
sicuro che è il dottore. Voglia di pelle e capelli
è voglia di annullare
le distanza e spegnere la candela. Rimanere preda del buio
più totale. Insieme.
13.
«Sarah.
Vai a dormire. Il buio della realtà diventerà
così la realtà del buio» Mi
sono permessa di mettere un po’ di poesia in bocca a
Sherlock. Forse non è il
massimo dell’IC, ma non potevo fare altro. La frase
è contorta, probabilmente
il senso non vi è chiaro, ma questa nota esiste apposta (:
Semplicemente, il buio del blackout – e se vogliamo anche un
po’ dell’esistenza
di ognuno di noi – si concretizzerà nella
realtà del buio, nel mondo dei sogni,
nell’apparente incoscienza del sonno. Molto contorto, lo
ammetto, ma
lasciatemelo passare ç__ç questa frase mi
è stata sussurrata da Madame I. in
persona!
14.
La
vicinanza di Holmes e Watson è un pericolo.
C’è bisogno di dire perché? Non
sarà mai un rapporto normale – se esiste poi, la
normalità – ma ogni giorno
sarà una lotta, ogni bacio un rischio. E’
già possibile sentire il rumore di
cuori infranti, non riuscite a sentirlo?
15.
Ultima precisazione, quei pochi che sono giunti qui possono gioire!
Sherlock ha le parole incastrate in gola. Per tutta la durata della
fic, non ha
fatto altro che dire molto meno di quello che sentiva. Forse
è quello che
gliela ostruisce, l’enorme mucchio di lettere che non
può – e non riesce – a
dire. “… e no, non m’interessa
particolarmente tutto ciò ma sarebbe poi un
patema sentirti frignare perché le cose tra voi sono andate
male.” Riuscite
a vedere l’anima di Holmes, il suo urlo muto? Vorrebbe dire
che invece sì, gli
importa tantissimo e non è perché John
frignerebbe se con Sarah andasse male,
ma è perché sarebbe Holmes a morirne dentro. Allo
stesso modo, dice che “ti
voglio immune a qualsiasi cosa non sia me”. Mi
viene da sorridere. Come
poteva dirgli che John deve stare con lui, solo con lui? Come poteva
dirgli che
il solo pensiero di vederlo accanto a qualcun altro lo lacera? Non
poteva,
quindi non lo dice.
Ringraziamenti.
Perché
sì, devo fare anche i ringraziamenti XD
Innanzitutto ringrazio quei pochi che sono arrivati vivi e vegeti qua
in fondo,
e non posso biasimare chi abbia deciso di dare forfait quindici note
fa!
Per
coloro che invece hanno letto tutto, comunico che quella da incolpare
è Roxe, grazie
alla quale ho scoperto l’amore per le note
chilometriche. Parlando di ringraziamenti, non posso non abbracciare
virtualmente Minnow, Miss Adler, LivingTheDream e
ginnyx,
oltre alla già citata Roxe. Loro mi
hanno imposto di utilizzare il
verbo “cianciare” rivolto a
John (dopo che io avevo aperto un sondaggio,
ma lasciamo perdere xD), e pensandoci bene è vero, John
ciancia. Non blatera,
non ciarla… Ciancia. Le signorine citate si beccano i miei
ringraziamenti anche
per le cose che scrivono e per far parte di questo meraviglioso
universo delle
fanfiction. Beh, grazie ragazze (:
In
definitiva, vorrei dedicare questa cosa
– sperando che le sia piaciuta – al mio Holmes, la
mia zenzerì, la mia GMGMV,
la mia ginger. E potrei continuare con i soprannomi per altri dieci
minuti!
Comunque, per voi comuni mortali *prega che non la bastonino e scappa
via* la
dedico a ginnyx, ecco.
Non ho intenzione di spendere un
pomeriggio a spiegare i motivi di questa dedica. Diciamo che
è un regalo di
compleanno (con un mese di anticipo) e il rinnovo di una tacita
promessa. Devo
metterla in imbarazzo elencando tutti i motivi che mi spingono a
“sopportarla”
ogni giorno? *coro di
sìììììììì
esaltati* No, credo che per oggi vi deluderò.
Non ho voglia di mettere in imbarazzo nessuno – anche se vi
assicuro che il mio
Holmes con le guanciotte rosse è una favola. Cara, oggi mi
hai dato una notizia
bellissima e spero che settembre arrivi presto (:
E
ora, dopo 1533 parole di note – e
innumerevoli insulti da parte vostra – potete davvero gioire,
perché ho finito!
Buon Sherlockfest_it
e buone vacanze ^^