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Autore: OperationFailed    21/06/2011    11 recensioni
"- Non è vero che ha paura del buio.
- ... Co-come?
- Sarah non ha paura del buio
- E di cos-
- Ha paura di me. Di me con te. Di me e di te. "

[Pre-slash][introspettiva]
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nickname: OperationFailed
Titolo: Black Out
Fandom: Sherlock BBC
Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Rating: Pg13
Avvertimenti: Pre-slash, introspettiva
Conteggio parole: 2353 ( fiumidiparole )
Riassunto:
"- Non è vero che ha paura del buio.
- ... Co-come?
- Sarah non ha paura del buio
- E di cos-
- Ha paura di me. Di me con te. Di me e di te. "
Note: *ghigna malefica* in fondo alla fic ce ne sono a volontà! Comunque questa fic partecipa al sherlockfest_it
Prompt: Sherlock/John, un blackout a Londra e una sola candela al 221B di Baker Street.
Disclaimer: I personaggi di John Watson e Sherlock Holmes non mi appartengono, per loro fortuna, in quanto sono stati ideati (sì, e io mi chiamo Elisabetta II) da Sir. Arthur Conan Doyle, senza il quale noi non saremmo qui a consumarci cuore e cervello. Londra appartiene a se stessa, il blackout è mio. Questa fanfiction non è a scopo di lucro (anche perché ci guadagnerei ben poco) e non intende offendere la sensibilità di nessuno.













Quella fu una strana notte per Londra. Acquattata come un gatto dietro ad una siepe, che attende il passaggio della preda, la città ronfava placida, avvolta nel buio. Fatta di buio.

Da anni i londinesi non venivano infastiditi da un blackout, eppure c’era sempre una sorta di magia in tutto ciò, nelle fiamme che danzavano dietro alle finestre, nelle frasi bisbigliate e nelle storie di paura. Un ritorno alle origini che aveva il sapore di un sogno e il profumo inebriante di candele che bruciano. La mente dei bambini correva incontro a fantasie di un tempo smarrito, quella degli adulti malediceva la modernità che li aveva schiavizzati e la linea telefonica del servizio guasti, sempre occupata. Tutta la città, comunque, perdeva nel suo ritmo un po’ di quella caratteristica fretta e si lasciava incantare dal fascino delle stelle, lentiggini pallide sul volto infinito del cielo. Era una magia fatta di sussurri, confessioni, abbracci, timori.

Al 221B di Baker Street, la reazione fu appena diversa. Andandosene, la luce rubò anche la quiete di quella notte estiva, addolcita dal rumore confortante di pagine sfogliate. John, da parte sua, era impegnato a ritoccare le ultime frasi del post che stava per pubblicare sul blog, e il disappunto gli disegnò il volto quando, in un frangente di pochi millesimi, l’elettricità abbandonò la casa.

Non un rumore provenne dal divano, non uno sbuffo da colui che vi era appollaiato sopra. Le ginocchia al petto, un libro – un mattone, per meglio dire – appoggiatovi sopra, Sherlock Holmes rimase perfettamente immobile, con gli occhi ancora incollati al volume, e non può del tutto escludersi la possibilità che riuscisse a leggere persino in quell’oscurità.

Solo il borbottio di John riempiva la casa, il suo lagnarsi per tutto il tempo speso al computer, ormai andato perso. Continuando a lamentarsi, si alzò pesantemente dalla sedia, con la vana intenzione di cercare la torcia elettrica. Persino in pieno giorno, trovarla sarebbe stato un lavoro lungo e faticoso, ma con quel buio pesto attaccato alle pupille, ritrovare la torcia era pressoché impossibile. Improbabile, per lo meno.

A tentoni, con le gambe leggermente piegate e le braccia tese innanzi a sé, John avanzava tra il disordine ordinario che infestava Baker Street. Procedette alla cieca, inciampando più volte o sbattendo negli spigoli di qualche mobile, insultato perché trovatosi sulla strada di Watson. Il temerario esploratore continuò la caccia fino a quando non gioì, vittorioso. Con un’esclamazione soddisfatta, afferrò la torcia appena trovata e la accese. Tentò di accenderla.

«Oh, le pile Sherlock! E non dirmi che ti servivano per un esperimento!»

John lasciò scivolare la torcia, totalmente inutilizzabile, sul pavimento, dove atterrò con un tonfo sordo. Il salotto si riempì del rumore di cassetti che si aprono, scartocciare di fogli ammucchiati, tintinnare di chiavi senza serratura. E’ in casi come quello che ci si rende conto dell'enorme quantità di oggetti privi di qualsiasi utilità che invadono i cassetti di praticamente ogni appartamento sulla faccia della terra. Sherlock era vagamente divertito dal frenetico impegno di John e voltò il viso per seguirne i movimenti bruschi e rapidi.

Aiutandosi con la luce del cellulare – appena trovato sotto un pacco postale ancora da spedire – il coraggioso Watson riuscì a trovare un paio di candele, delle quali una quasi completamente consumata. La ricerca dell’accendino richiese qualche altro minuto, poi due fiamme tremule si accesero nel salotto.

Sherlock continuò a seguire i movimenti di John, il cui viso illuminato d’arancio appariva vagamente grottesco, baciato dalle ombre come se esse volessero lambirlo per poi portarselo via.

«Con questo disordine non mi vedo nemmeno i piedi» si lamentò, appoggiando una candela sul tavolino.

Sherlock, allungando le gambe ed alzando un braccio oltre la testa, voltò lo sguardo verso l’unghia smaltata di bianco che illuminava la notte, bagliore reale in un mondo fatto di luci fatue.

«E’ buio, John, se ti vedessi i piedi ci sarebbe qualcosa che non va» gli rispose, con tono sarcastico.

Non fece caso allo sbuffo del coinquilino – d’altronde, John sbuffava spesso – ed anzi, ricominciò a leggere il suo volume, tenendo la candela con una mano ed il libro con l’altra. Certo, sarebbe stato più semplice riuscire a leggere senza la voce di John in sottofondo, impegnato ora a telefonare – tentare di prendere la linea, in realtà – al servizio di emergenza guasti della rete elettrica. Cianciava per il salotto, facendo avanti e indietro tra la porta d’ingresso e la cucina, passando intorno al divano e sopra intere risme di fogli abbandonate a terra.

«Sì, è il 221B di Baker Street, volevo dirle che–ah, quindi, sì. Ma n–»

Sherlock gonfiò il petto e raddrizzò la schiena, per poi espirare con veemenza. Subito, John interruppe la sua gincana tra i mobili e il disordine, fermandosi di fronte al coinquilino. Perché, come sempre, aveva frainteso i gesti – e i pensieri – di Holmes.

«Dicono che è un blackout, che non possiamo fare altro che aspettare»

Sherlock lo ignorò, lui e il suo talento naturale per fraintendere praticamente… tutto! John tornò al computer, sperando che almeno un po’ di batteria fosse carica. Speranza tanto inutile quanto sprecata, poiché Computer aveva deciso di suicidarsi per la separazione dalla sua compagna Elettricità, ed ora toccava a John sopportarne il lutto. Come se non fosse bastato, anche il mozzicone di candela aveva deciso che beffare John Watson poteva essere alquanto divertente, e si spense con un soffio silenzioso nella sua mano.

L’ennesimo sospiro sfuggì dalle labbra di Watson, seguito da un’imprecazione a mezza voce. Quei maledetti mobili in mezzo ai piedi, con i loro spigoli così… così appuntiti! Sherlock continuò la sua lettura, la schiena ricurva sul libro, le pupille dilatate nello sforzo di catturare quanta più luce possibile, ma le sue labbra si tesero impercettibilmente, imitando la sagoma di un sorriso divertito. Con le dita sottili sfogliava le pagine, le sfiorava con quella grazia innata che lo contraddistingueva.

Arrivato quasi indenne al divano –qualche livido sparso qua e là gli camminava addosso– John vi si lanciò sopra, facendo ondeggiare la fiamma dell’unica candela rimasta. Questa tremò sul ginocchio di Sherlock, che prontamente la protesse con una mano. Estese poi la testa all’indietro, fino a trovare lo schienale del divano e lì adagiarla, abbandonata. Nel buio annusò l’aria, così satura del profumo di Watson da fargli quasi male nel petto. John, a pochi centimetri da lui, aveva sul volto il broncio tipico dei bambini, che vogliono tutto subito, senza saper aspettare. Quella notte senza corrente era per lui inutile, oltre che oscura. Con o senza buio, comunque, John era cieco. Ad affliggerlo era quel tipo di cecità che lascia spazio talvolta a qualche immagine sgranata, offuscata e senza colori, che ti fa dire con stupore “ma io ci vedo?”. L’oscurità che poi riappare è quasi rassicurante, perché l’esperienza di tornare a vedere è sì meravigliosa, ma anche tremendamente disarmante.

Sherlock poteva sentire John pensare, avvertiva il ritmo rallentato del suo respiro e le sue membra alla deriva, come un pezzo di legno tra le braccia del mare. A volte gli sembrava che ci fosse qualcosa d’invisibile ad impedire loro il contatto, ma non avrebbe saputo dire con certezza cosa. Riflettendoci, si potrebbe dire che Sherlock e John fossero abitanti di due piccole isole separate, ad un colpo di remo l’una dall’altra, vicinissimi eppure irraggiungibili. Una barca, ecco ciò di cui Sherlock aveva bisogno. Una zattera qualsiasi che potesse farlo sbarcare sull’isola di John, tra la vegetazione fitta e i rettili pericolosi, fantasmi che mutavano pelle ma mai se ne andavano. Forse così John avrebbe capito, almeno di fronte all’evidenza.

La mente di Sherlock, comunque, non perdeva tempo ad accumulare tali pensieri. Avrebbero arrecato solo disturbo, sarebbero stati una zavorra pesante, un ingombro. Totalmente inutile sarebbe stata la loro formulazione. Nonostante questa consapevolezza, però, sempre più spesso Holmes faticava a tenere lontani simili crucci, e si ritrovava a sforzarsi di non pensare. Che lo facesse con metodi alquanto discutibili, poi, è un’altra storia.

Furono quei pensieri – conciliati forse dalla luce tenue e dalla vicinanza del coinquilino – ad essere interrotti dal violento squillare di un cellulare. I muscoli di Holmes si contrassero, il volto non mascherò una smorfia di disappunto. Sapeva chi era al telefono, sapeva che Sarah gli avrebbe portato via John anche quella notte. Rimase con le mani sulle ginocchia, serrate come uno scalatore arpionato alla roccia.

John rispose, ricominciando a cianciare senza posa. Le rassicurazioni che dava a Sarah – la quale temeva il buio in solitudine – suonavano ridicole alle orecchie di Sherlock, che sembrava rimpicciolire lentamente, quasi a voler scomparire tra le pieghe del divano. Nulla trapelava dal suo viso ora, non il disappunto né la disperata voglia di pelle e capelli. Quella sera si era concesso fin troppa libertà, e del buio non bisognava mai fidarsi. Voleva, doveva porre fine alla sciocca recita di Sarah, perciò Sherlock voltò il viso verso il coinquilino, squadrandolo con indifferenza. La candela riusciva appena ad illuminare le guance del dottore e il collo marmoreo di Holmes.

«Non è vero che ha paura del buio»

Agghiacciante, gelida pausa infinita.

«… Co–come?»

Se c’era una cosa che John Watson aveva imparato, era che Sherlock Holmes non parlava mai a sproposito. Né sprecava parole se non era certo della loro fondatezza. Rimase a bocca socchiusa, con il telefono in mano e il dubbio nella mente. La sua posizione rilassata sembrò farlo sprofondare ulteriormente verso il basso. Di Sherlock vedeva il collo e il profilo aguzzo del mento, e lo scintillio ferreo degli occhi che riluceva nell’oscurità. A nulla serviva il tentativo di rimanere in superficie aggrappandosi a quel profilo, perché John scivolava sempre più in basso.

«Sarah non ha paura del buio»

«E di cos– »

«Ha paura di me. Di me con te. Di me e di te.»

John tacque. Il telefono trasmetteva la voce cristallina di Sarah, i suoi pigolii tenui, ma lui non la sentiva più. Era precipitato in una bolla d’acqua, che gli premeva sulle orecchie e gli annacquava il cervello. I suoi occhi erano incollati al volto ombroso di Sherlock, il suo respiro aspettava che parlasse ancora. Non riusciva a non guardarlo, era come chiedere alla sabbia di separarsi dal mare, come voler scomporre l’oceano goccia per goccia. Dalla voce di John, comunque, si sarebbe detto che l’oceano l’aveva ingoiato. Solo il sale nella gola avrebbe potuto giustificarne la voce arrochita. Solo il sale e l’atroce dubbio nel petto.

«Sherlock… Sherl–»

«Se ti stai chiedendo se quello che pensi è vero – e c’è una percentuale del 97% che io sappia quel che pensi – ti confermo che sì, Sarah è una bugiarda e sì, ho almeno sette prove che lo dimostrino e no, non m’interessa particolarmente tutto ciò ma sarebbe poi un patema sentirti frignare perché le cose tra voi sono andate male.»

«Sherlock…»

L’oggetto delle invocazioni – vere e proprie preghiere, in realtà – non degnò minimamente John di attenzioni. Tolse i piedi nudi dal tavolino e, allungando una mano fino a quella di Watson per poi sfiorarla appena – la scarica elettrica che li attraversò avrebbe potuto ridare luce a tutta Londra – Sherlock gli prese il telefono di mano.

«Sarah. Vai a dormire. Il buio della realtà diventerà così la realtà del buio»

Un attimo dopo la conversazione telefonica fu recisa e Sherlock sentì un sorriso aprirglisi in bocca. Per nulla infastidito, lasciò che esso rimanesse lì, a campeggiare sulle sue labbra almeno per qualche secondo, poiché John era ancora troppo sconvolto per accorgersene. Quasi a completamento di quel sorriso, Sherlock si allungò nuovamente sul divano, appoggiando la candela su un ginocchio, dopo avere posato le gambe sul tavolino, e distendendo il braccio oltre il profilo di John. Adesso poteva godersi il silenzio di quella notte diversa, ad occhi chiusi, adesso poteva lasciarsi cullare dal cuore del dottore in tachicardia.

Solo dopo che la candela si consumò di un paio di centimetri, John ebbe la forza di aprir bocca. Dopo quel frangente temporale in cui non aveva smesso di guardare un secondo il coinquilino.

«Sherlock?» domandò, con il tono di un bambino che chiede alla madre di rassicurarlo che Babbo Natale esista.

L’altro rispose beato, il volto campo da gioco per le ombre, il fantasma della soddisfazione ancora svolazzante intorno.

«Mh?»

John gli tolse la candela da sopra le gambe tese – non voleva di certo bruciarsi il naso, aveva già qualcosa di grande che gli ardeva nel petto – e gli si avvicinò, toccando con le ginocchia le sue gambe. C’era qualcosa di pericoloso nell’ombra dei loro profili vicini, delineati dalla luce sempre più fievole della candela. Sherlock non aprì gli occhi, ma avvertì lo spostamento d’aria e gioì selvaggiamente di quella violazione di distanza di sicurezza.

«Sherlock, perché dici così di Sarah?»

Le parole di Watson arrivarono in faccia a Holmes come un alito di vento caldo.

«Perché non voglio vederti addosso altre ferite»

Una sensazione di soffocamento gli prendeva la gola, quasi al punto da alterarne la voce. Soffocamento di parole, imbottigliamento di sentimenti. Dove sono i vigili quando servono? Nulla doveva trapelare, e le parole non dette gli si ammassavano dentro.

John, d’altro canto, sentiva quel bruciore nel petto farsi sempre più rovente, come se la cera liquida della candela gli si stesse depositando lì, tra le costole e i polmoni.

«Sì ma Sherlock…»

«Sono quasi del tutto certo di ricordare il mio nome, ma se vuoi ripeterlo un’altra volta…»

Holmes sorrideva, Watson no. Doveva sapere, doveva capire, stava aggrappandosi disperatamente ad una di quelle immagini sfocate che di tanto in tanto irrompevano nel suo cuore cieco.

«Sherlock, ma…»

E il sorriso si tese sempre più sul volto di Holmes, e la sua voce avrebbe tremato di felicità se solo avesse aperto bocca.

Difficile dire ad opera di chi, ma i loro volti stavano sempre più avvicinandosi, avvolti dalle tenebre ed appena baciati dalla fiamma tremula.

«… stai dicendo che–»

E in un battito di ciglia, in un palpito di cuore, dopo un tremore appena accennato, l’oscurità li inghiottì. Tutto rimase in sospeso, persino il battito cardiaco sembrò temere di far rumore, di disturbare. I due profili si confusero, si fusero, in un tutt’uno che non ammetteva spazi vuoti.

«Sto dicendo che ti voglio immune a qualsiasi cosa non sia me»










Buonsalve!
Per vostra sfortuna sono in vena di puntualizzare, quindi queste note non vi lasceranno scampo. A meno che voi non scegliate di fuggire urlando a gambe lavate, soluzione che consiglio se volete mantenere intatta la vostra sanità mentale.
Ancora qui? Io comincio, poi non dite che non vi avevo avvisato!

1. Sappiamo tutti cos’è un blackout. Con il termine s’intende l’interruzione totale dell’energia elettrica, con conseguente mancanza d’illuminazione. E fin qui ci siamo. Il blackout è però anche il silenzio stampa su un dato argomento, e non è del tutto errato accostare questo utilizzo del termine alla fic. Sherlock e John infatti non parlano mai del loro rapporto, e non perché non ce ne sia bisogno (altroché se ce n’è!) ma piuttosto perché non ne sono capaci, perché sono a un palmo di naso l’uno dall’altro eppure non possono comprendersi veramente.
Un ulteriore significato viene dato dalla traduzione inglese-italiano: mancamento, inteso come perdita di coscienza.
Ho deciso di inserire il titolo staccato – Black Out – per due motivi. Il primo è molto semplice: banale questione estetica. Mi piace molto di più, sembra acquistare forza. Il secondo è per lasciare spazio all’ennesimo significato: oscurare. Ed è così… Solo oscurando la realtà di tutti i giorni, le corse frenetiche appresso ai misteri e ai casi da risolvere, solo offuscando il “fuori”, Sherlock e John riescono - per il tempo infinitamente piccolo che ci mette una candela a spegnersi - per quell’attimo, a sfiorarsi. A comprendersi.

2. Questa fanfiction ha visto la luce (di una candela) proprio durante una notte senza corrente elettrica. Ho radunato tutte le candele della casa, ho rischiato che mi prendessero fuoco i capelli cinque o sei volte, e mi sono messa a scrivere con i cari vecchi Foglio e Penna. Magnifica coppia *-* Devo dire che è un fantastico modo di scrivere, Madame Ispirazione mi si è concessa con piacere e in due giorni ho finito il tutto.

3. Nella mia mente – e spero anche in questa fic – era palese la somiglianza di Sherlock ad un gatto. Adoro questo paragone e a mio avviso è molto azzeccato. Sherlock è ruffiano, scostante, con quella grazia mortale dei felini e la dolce tenerezza dei cuccioli. Capace di scatti repentini, potrebbe anche riuscire a vedere al buio xD chi lo sa!

4. Verso l’inizio della fic vi sarete trovati di fronte ad uno strano accostamento: disordine ordinario. E’ ovviamente un ossimoro, che voleva riassumere l’atmosfera di Baker Street. Il vero abitante della casa è il disordine – da me adorato alla follia – ed è così usuale trovarlo nelle stanze che diventa ordinario. Senza tutto quel caos, l’appartamento non sarebbe lo stesso. Amo seriamente l’immagine della mescolanza di cianfrusaglie, libri e fogli che campeggia su ogni centimetro di superficie disponibile *-*

5. La luna, intesa come unico bagliore reale in un mondo fatto di luci fatue. Ecco, il discorso è molto ampio e comprende la vanità delle cose cui corriamo appresso ogni giorno, tutte quelle cose che ci attraggono con la loro luminosità. Luce finta, carta da regalo che nasconde una scatola vuota. Non è solo quindi in riferimento alla notte buia di Londra, illuminata solo dalla luce della luna, ma è una piccola riflessione sull'umanità e le sue finte promesse.

6. John blatera al telefono con quelli del servizio di assistenza guasti, Sherlock sbuffa. Voi avete capito il perché – credo e spero xD – ma John no. Come al solito, fraintende. Ovviamente, Sherlock sbuffa perché infastidito dalla ridicola tenacia di John nel voler spiegare che sono rimasti senza corrente. Ma dai?! Forse perché c’è un blackout è__é anche un cieco se ne accorgerebbe! Invece no, John pensa che Sherlock sia infastidito dall’assenza di luce, e tenta maldestramente di calmarlo. Non si può negare che sia tenero, però ^^

7. Ah, la mia mente da manicomio! Solo lei poteva personificare il Sig. Computer e la Sig.ra Elettricità xD

8. (Otto? Forse è ora che io mi fermi qua xD ma devo ancora dire un sacco di cose .__.)
Il riferimento alle isole non è farina del mio sacco. Si tratta di uno stralcio – da me rielaborato – del libro “Sopra eroi e tombe” di Ernesto Sabato, scrittore che diede fama alla scrittura latinoamericana nel mondo. Ecco la frase: “come abitanti solitari di due isole vicine, ma separate da insondabili abissi”.

9. ."... fantasmi che mutavano pelle ma mai se ne andavano" e a cosa potrò mai riferirmi qui se non l'Afghanistan? Il passato strisciante, il suo continuo cambio di pelle, eppure la sua costante presenza.

10. I metodi discutibili con cui Holmes tiene alla larga i pensieri, sceglieteli voi. Io ho la mia visione personale, che coinvolge la droga. Unica pecca della meravigliosa serie BBC credo sia proprio l’assenza di questa sostanza. La questione è stata appena affrontata, solo un misero accenno silenzioso, (nella prima puntata, così mi dicono xD) e per vedere approfondito l'argomento ripongo le mie speranze nella seconda stagione *dita incrociate*

11. Sherlock concede ai suoi muscoli facciali di agire liberamente, almeno al buio. Sa che è protetto, che John è troppo impegnato ad altro per accorgersi dei suoi sorrisi, sa che nessuno può vederlo. Eppure, del buio non ci si può fidare troppo. E se la luce tornasse all’improvviso?

12. Voglia di pelle e capelli non è altro che la voglia di vivere sulla stessa isola di John, la voglia di trovare la barca ed approdare in quel porto sicuro che è il dottore. Voglia di pelle e capelli è voglia di annullare le distanza e spegnere la candela. Rimanere preda del buio più totale. Insieme.

13. «Sarah. Vai a dormire. Il buio della realtà diventerà così la realtà del buio» Mi sono permessa di mettere un po’ di poesia in bocca a Sherlock. Forse non è il massimo dell’IC, ma non potevo fare altro. La frase è contorta, probabilmente il senso non vi è chiaro, ma questa nota esiste apposta (:
Semplicemente, il buio del blackout – e se vogliamo anche un po’ dell’esistenza di ognuno di noi – si concretizzerà nella realtà del buio, nel mondo dei sogni, nell’apparente incoscienza del sonno. Molto contorto, lo ammetto, ma lasciatemelo passare ç__ç questa frase mi è stata sussurrata da Madame I. in persona!

14. La vicinanza di Holmes e Watson è un pericolo. C’è bisogno di dire perché? Non sarà mai un rapporto normale – se esiste poi, la normalità – ma ogni giorno sarà una lotta, ogni bacio un rischio. E’ già possibile sentire il rumore di cuori infranti, non riuscite a sentirlo?

15. Ultima precisazione, quei pochi che sono giunti qui possono gioire!
Sherlock ha le parole incastrate in gola. Per tutta la durata della fic, non ha fatto altro che dire molto meno di quello che sentiva. Forse è quello che gliela ostruisce, l’enorme mucchio di lettere che non può – e non riesce – a dire. “… e no, non m’interessa particolarmente tutto ciò ma sarebbe poi un patema sentirti frignare perché le cose tra voi sono andate male.” Riuscite a vedere l’anima di Holmes, il suo urlo muto? Vorrebbe dire che invece sì, gli importa tantissimo e non è perché John frignerebbe se con Sarah andasse male, ma è perché sarebbe Holmes a morirne dentro. Allo stesso modo, dice che “ti voglio immune a qualsiasi cosa non sia me”. Mi viene da sorridere. Come poteva dirgli che John deve stare con lui, solo con lui? Come poteva dirgli che il solo pensiero di vederlo accanto a qualcun altro lo lacera? Non poteva, quindi non lo dice.

Ringraziamenti. Perché sì, devo fare anche i ringraziamenti XD Innanzitutto ringrazio quei pochi che sono arrivati vivi e vegeti qua in fondo, e non posso biasimare chi abbia deciso di dare forfait quindici note fa! Per coloro che invece hanno letto tutto, comunico che quella da incolpare è Roxe, grazie alla quale ho scoperto l’amore per le note chilometriche. Parlando di ringraziamenti, non posso non abbracciare virtualmente Minnow, Miss Adler, LivingTheDream e ginnyx, oltre alla già citata Roxe. Loro mi hanno imposto di utilizzare il verbo “cianciare” rivolto a John (dopo che io avevo aperto un sondaggio, ma lasciamo perdere xD), e pensandoci bene è vero, John ciancia. Non blatera, non ciarla… Ciancia. Le signorine citate si beccano i miei ringraziamenti anche per le cose che scrivono e per far parte di questo meraviglioso universo delle fanfiction. Beh, grazie ragazze (:

In definitiva, vorrei dedicare questa cosa – sperando che le sia piaciuta – al mio Holmes, la mia zenzerì, la mia GMGMV, la mia ginger. E potrei continuare con i soprannomi per altri dieci minuti! Comunque, per voi comuni mortali *prega che non la bastonino e scappa via* la dedico a ginnyx, ecco. Non ho intenzione di spendere un pomeriggio a spiegare i motivi di questa dedica. Diciamo che è un regalo di compleanno (con un mese di anticipo) e il rinnovo di una tacita promessa. Devo metterla in imbarazzo elencando tutti i motivi che mi spingono a “sopportarla” ogni giorno? *coro di sìììììììì esaltati* No, credo che per oggi vi deluderò. Non ho voglia di mettere in imbarazzo nessuno – anche se vi assicuro che il mio Holmes con le guanciotte rosse è una favola. Cara, oggi mi hai dato una notizia bellissima e spero che settembre arrivi presto (:

E ora, dopo 1533 parole di note – e innumerevoli insulti da parte vostra – potete davvero gioire, perché ho finito! Buon Sherlockfest_it e buone vacanze ^^


   
 
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