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Autore: Kisshou    21/06/2011    3 recensioni
- Daisy, è molto tardi, che ci fai qui?-
Il ragazzo col feto che in realtà era un coniglio non sobbalzò neanche. Sapeva che si trattava di Kikyo, sapeva che, purtroppo, non aveva nulla da temere. Nemmeno questa volta era quella buona per morire. Chiedeva forse troppo? Le persone, nel mondo, muoiono ogni giorno
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Il grande salotto era poco illuminato, mezzo assopito, silenzioso. I tavoli erano ancora ingombri di carte e bicchieri, i muri riecheggiavano ancora delle risate e delle conversazioni futili che tutti i presenti avevano educatamente finto di ascoltare. Qualche schizzo di vodka gocciolava giù dai morbidi cuscini ricamati delle sedie in legno, quasi a voler adornare con una treccia di alcol e filamenti il morbido tappeto persiano.

Una figura entrò con passo malfermo, incerto. Si guardò in giro, scosse la testa, mugolò che era un disastro. Tra le braccia stringeva qualcosa di piccolo e morto. Un feto, aveva un feto morto tra le braccia. Questa era la prima impressione che si aveva nel guardare quell’esserino minuscolo, totalmente inanimato, ma tenuto con così tanto amore e disperazione da lasciare pensare indubbiamente a un bimbo morto, dalla quale la creatura che lo stringeva non si voleva separare, perché forse stava ancora dormendo, forse il piccolo avrebbe riempito quel luogo intriso di una sviata allegria assuefatta di dolore e alcol con i suoi vagiti morbidi, infantili.

Ma il ragazzo che lo stringeva non sperava niente di tutto ciò, perché il feto che si stringeva al petto in realtà non era un feto, ma il cadavere di un pupazzo a forma di coniglio. Quelle orecchie ridicolamente lunghe non potevano appartenere a un essere umano. A questo punto, chiunque trarrebbe  un sospiro di sollievo. Quella creaturina non era viva, eppure trasmetteva più angoscia di quella che avrebbe provocato se si fosse trattato realmente di un feto senza vita. Forse un tempo aveva avuto gli occhi, sotto quelle cuciture fatte velocemente e senza grazia, che lasciavano pensare che a chiunque se ne fosse occupato non importasse un granché di nasconderle. Tutto il suo minuscolo corpicino rosato era cosparso dalle cuciture affrettate che celavano male i batuffoli di cotone, i quali sembravano voler uscire a tutti i costi dalla reliquia di quel giocattolo, ma venivano immancabilmente trattenuti dentro dalle dita fredde e bianche del ragazzo.

- Daisy, è molto tardi, che ci fai qui?-

Il ragazzo col feto che in realtà era un coniglio non sobbalzò neanche. Sapeva che si trattava di Kikyo, sapeva che, purtroppo, non aveva nulla da temere. Nemmeno questa volta era quella buona per morire. Chiedeva forse troppo? Le persone, nel mondo, muoiono ogni giorno. Vengono decimate dalla vecchia donna con la falce senza neanche rendersi conto di quanto sono fortunate a raggiungere quel lido di quiete. Pace, quiete e sonno.

- Lo sai che non posso dormire. E…e il salotto…povero me… il salotto, guarda come l’avete ridotto… Byakuran sama si arrabbierà moltissimo…-

Balbettava, Daisy. Non riuscuva a parlare senza che la sua voce non risuonasse spaventata, in ansia. Gesticolava, tremava, scuoteva il pupazzo morto.

Kikyo, al contrario, era racchiuso nella più nobile delle bellezze. Ed era bello, bellissimo, con quel suo sorriso dolce e terribile, gli occhi colorati di un placido turchese sempre attenti e penetranti. Provava pena per Daisy, ne aveva sempre provata. Daisy era diverso da tutti. Lui agognava la morte, avrebbe baciato le mani del suo assassino senza pensarci due volte. A lui Byakuran non aveva promesso vita e ricchezze, tutte cose con le quali aveva comprato la fedeltà degli altri Millefiore. Daisy aveva semplicemente chiesto un trapasso sereno, aveva chiesto di poter provare la sensazione di addormentarsi e continuare poi a sognare per sempre.

- Torna a letto, non si va a zonzo per casa alle tre di mattino. Se non riesci a dormire… beh, stai sveglio.- E sorrise, Kikyo, sorrise come se gli avesse appena promesso la più dolce delle caramelle. Kikyo era una morte dolce, di certo lo sarebbe stata. E Daisy, mentalmente, si chiese se Byakuran non avrebbe in seguito ordinato all’illusionista di ucciderlo, perché di certo non esisteva un trapasso  più accomodante, confortato magari da una remota illusione di felicità che chissà, Kikyo sarebbe stato in grado di creare.

- Tornare a letto… e immaginare i volti di colore che ucciderò domani? Magari saranno centomila… o cento milioni, o miliardi…un’infinità di gente viva… loro potranno morire, beati loro! Oh, che immenso dono che gli farò!-

Traballava un po’, la voce di Daisy. Avrebbe messo a dormire coi loro peluche tante, tante persone. Tremò d’emozione, si ringraziò per la sua stessa bontà.

- Manteniamo la calma, Daisy. Se ti agiti, come puoi sperare di prendere sonno?- Chiese la voce melliflua di Kikyo. Avanzò di qualche passo, tenendo i palmi delle mani aperti e sollevati per rassicurare Daisy. Andava tenuto sotto controllo continuamente: adorava sfiorare tutto ciò che era debole o fragile, destinato ad un’esistenza effimera. Perché anche un timido bucaneve indifeso reincarnava tutto ciò che Daisy era nell’animo, ma a cui il suo corpo immortale (già morto) non gli permetteva di uniformarsi completamente.

Cos’era lui, corpo o spirito? Non lo sapeva. E non si sottrasse alla stretta gentile di Kikyo attorno al suo polso. Il coniglio morto, voleva una lapide per lui. Si chiamava Bubu: un nome che sarebbe stato di gradevole lettura sugli epitaffi. No, nessuno aveva toccato il suo coniglio. Non era caduto nel filo spinato che recintava il manicomio, nel quale così tanto spesso ragazzi o ragazze conficcavano i loro corpi e rimanevano anche giorni così, penzolanti nel vuoto, le bocche aperte e lo sguardo attonito, le pupille  rovesciate indietro a scoprire tutto il bianco dell’occhio e le mosche e i calabroni che banchettavano sulle loro vesti di carta bianca e rossa, ebbre di sangue e intestini fuoriusciti dal ventre, rimasti arpionati al filo spinato e finendo esposti alla luce del sole nel momento in cui il corpo, in un ultimo spasmo di vita, aveva tentato di trarsi indietro. Daisy stesso aveva distrutto Bubu a forza di abbracci, a forza di portarselo al petto e stringerlo forte, chiedendosi se anche lui, un giorno, sarebbe finito appeso per la pancia al filo spinato, con l’intestino sfilacciato lungo il corpo simile ad una biscia di un metro e mezzo che si gode la dolcezza di quel primo sole primaverile.

Si riscosse dai suoi pensieri e sospirò, chiedendosi se la mano di Kikyo fosse calda o fredda. Cos’era il calore? Non se lo ricordava più. Aveva freddo, o forse aveva caldo. Non avrebbe saputo dirlo con certezza. Sapeva soltanto di avere qualcosa.

- Ti accompagno a letto, va bene? Così ti stendi e vedrai che se ti concentri riesci a dormire.-

Kikyo è curioso, è sorridente. Lasciare Daisy in giro per casa equivaleva ad una serie di disastri che non sarebbero piaciuti affatto a Byakuran sama, doveva dunque riportarlo nella sua stanza e chiuderlo lì, possibilmente facendolo anche stare zitto, che sennò Zakuro avrebbe trovato l’ennesima scusa per lamentarsi.

- Ma Kikyo! M..ma… ma come faccio…? I…io… io…lo sai che…non so dormire…-

Kikyo sapeva che erano scemenze. Daisy era perfettamente in grado di dormire, soltanto che il suo cervello era perennemente sotto stress e il suo corpo ormai morto non gli faceva sentire le conseguenze della mancanza di sonno. Tuttavia, sperava che non facesse storie e tornasse a letto, sveglio o dormiente, e lo lasciasse così in santa pace.

Daisy, del canto suo, continuava a balbettare cose senza troppo senso logico, seguendo forzatamente Kikyo attraverso i corridoi sinuosi e tappezzati di quadri costosi: cani da caccia con lo sguardo fiero e la preda tra i denti, nature morte, fanciulle che si pettinano i capelli con le quali Blubelle non poteva fare a meno di confrontarsi ogni volta, giungendo alla perenne conclusione di essere molto più bella.

Quando Kikyo socchiuse la porta della stanza di Daisy, socchiuse per un momento gli occhi dal disgusto. Il letto era completamente sfatto, il cuscino rotto da quelli che sembravano morsi, il materasso macchiato aveva un rivoltante odore di urina e sperma. I muri erano pieni di scritte (maledetto il giorno in cui aveva concesso a Daisy di prendersi un pennarello), la maggior parte non volevano dire niente.

“Bubu ha fame” “Voglio morire” “La farfalla morta ha ucciso il fiore” “Vorrei tanto morire,non posso ancora farlo” “Gli occhi di Kikyo sembrano fiori”

Il più grande rimase un po’ spiazzato, e per un attimo il solito sorriso accomodante abbandonò il suo volto. Daisy strinse più forte Bubu al letto: non capiva cosa avesse fatto, ma percepiva che c’era qualcosa che non andava.

-V…va t..tutto bene…Kikyo…?- I suoi occhi grandi e verdi ripercorsero velocemente le scritte sul muro, non capendo cosa ci fosse di così sconvolgente. La testa di Bubu gli ciondolava giù dal braccio, inerme, mentre ripensava ai corpi appesi al filo spinato come il bucato appena lavato, a sé stesso, accucciato in un angolo della stanza senza finestre, ai dottori che lo visitavano e scuotevano rassegnati la testa. “Nessun miglioramento, non risponde alla terapia”, era la frase di routine. Lui non se ne curava, stava nel suo angolino e, abbracciando Bubu, pensava a un bel campo di margherite e viole, fiorellini fragili, aria pulita.

Nel frattempo, Kikyo lasciò la presa sul polso di Daisy quasi con stizza. “No, non va bene. Tienimi fuori dalle tue scritte malate, Daisy, non voglio averci niente a che fare”

- C’è una confusione indecente qui dentro.-

Disse con un tono di lieve rimprovero, mentre il suo sguardo di gemme turchesi si posava sulla figura tremante e scossa del ragazzo.

- S..sì…però…però questa è la mia stanza… voi… voi fate u..una confusione indecente…in salotto. Voi…non ci dovete stare mica nella…mia stanza… però in salotto..ci devo stare anch’io .-

Kikyo trattenne un sorrisetto: questa volta Daisy, a modo suo, aveva ragione. Non divagava continuamente, riusciva anzi ad essere perfino razionale quando sentiva di avere ragione.

- Ad ogni modo, credo che nessuno riuscirebbe a dormire in un posto del genere. Se giuri di non toccare niente, per stanotte ti lascio dormire nella mia stanza.-

Kikyo si passò una mano tra i capelli, esausto. Voleva solo liberarsi di Daisy, a questo punto, e se quello era l’unico modo…beh, la mattina seguente avrebbe cambiato le lenzuola e il copriletto e si sarebbe scordato del fatto che ci avesse dormito Daisy.

Quest’ultimo inclinò un poco la testa e strinse Bubu, immobile, in quel suo strano modo di riflettere.

Alla fine seguì Kikyo, a modo suo incuriosito dall’illusionista con gli occhi a forma di fiorellini e dalle sue proposte bizzarre.

Sapeva che la sua vita era così grottesca e orrida da non offrire alcunché a Kikyo, sempre così bello e in ordine, a volte di una perfezione quasi irritante.

La sua stanza era come Daisy se l’era sempre immaginata. Un letto a baldacchino verde chiaro occupava la maggior parte dello spazio. Quadri che ritraevano giovani ragazze, colombe, cavalli. Qualsiasi cosa richiamasse grazia e bellezza. C’era una cassapanca in legno di betulla, sopra la quale era posato con cura un vaso da fiori che conteneva a stento la travolgente bellezza delle rose blu.

E lui, Daisy, che cosa ci faceva lì? Stonava. Sentiva di essere stato catapultato in un mondo al quale non apparteneva.

- Vai a stenderti, Daisy.- Ordina Kikyo, senza alzare la voce né assumere un tono troppo duro.

Il ragazzo obbedì, ancora incredulo, ma rassegnato, pentito di averlo seguito. Adesso avrebbe dovuto trascorrere una notte sveglio nella stanza di qualcun altro, fissando ogni centimetro profumato e in ordine di quella camera perfetta.

- E… e tu…dove…?-

Chiese Daisy. Magari avrebbe detto che in effetti voleva andare a letto, e quindi l’avrebbe lasciato libero di tornare in camera sua, dove avrebbe potuto parlare da solo e scrivere di peonie e conigli e occhi a forma di fiori sui muri scrostati dalle sue stesse unghie.

- Vado a mettere in ordine il salotto. In effetti, a Byakuran sama non piacerebbe vederlo in questo stato.- Concorda, avvicinandosi e scrutando quella figura rannicchiata sul letto, la chioma verde aggrovigliata scompigliata sul cuscino di pizzo, gli occhi aperti, spalancati, come se avesse perennemente visto un fantasma.

Sarebbe andato a riordinare il salotto, e poi si sarebbe crogiolato nella nobile bellezza del primo albore, magari, se era fortunato, corteggiato da limpide nubi pennellate di indaco.

Si voltò, in silenzio, e la serpe di capelli turchesi lo seguì a ruota.

- K…Kikyo… ma…come faccio…a dormire…?-

Domando Daisy, arrestando il suo passo. Bubu stava un po’ distante dal suo petto, abbandonato sul braccio sinistro, gli occhi riparati dagli orrori a cui aveva assistito da cuciture affrettate.

Kikyo sospirò, annoiato. Beh, se doveva stare nella sua stanza, meglio se lo faceva da addormentato.

Si avvicinò di nuovo, gli posò una mano sulla fronte (calda, fredda? Daisy non poteva saperlo).

L’illusione avvolse il ragazzo dai capelli verde spento, i suoi grandi occhi sgranati si socchiusero fino a nascondere del tutto l’iride piccola e perennemente terrorizzata.. Il suo viso assunse un’espressione serena, mentre le sue labbra si socchiusero in un bisbiglio: - Gli occhi di Kikyo sembrano fiori…-

Era vero, ma la fiera bellezza che lo aveva addormentato non fece caso al suo vaneggiare, uscendo in silenzio, col solito sorriso dolcemente sadico stampato in faccia. L’illusione lo avrebbe tenuto buono fino al suo ritorno, allora l’avrebbe svegliato e mandato via. Che si godesse quell’assaggio di morte, se gli andava.

E Daisy non poté che goderselo appieno. In seguito, non avrebbe saputo riesumare i sogni di pace che fece in quelle poche ore di tregua che gli furono concesse, seppe solo che voleva dormire ancora, e voleva che lo facesse dormire Kikyo, perché solo i suoi occhi sembrano fragili fiorellini di cristallo, povere gemme dei prati da preservare con una campana di vetro per proteggerle anche dal minimo sospiro di vento.

Non ripensò, in quei momenti, a quei corridoi bianchi che si snodavano senza fine nel manicomio, pieni di urla, di grida, di disperazione.

Non pensò alla mattina in cui si era alzato, come in trance, con Bubu stretto tra le braccia. Non pensò al suo sguardo spento.

 Aveva raggiunto il cortile. C'era un bel sole, ma Daisy non aveva più tempo. Tempo di rannicchiarsi e morire nel suo angolo, tempo di stringere Bubu e parlargli, tempo di essere visitato e imbottito di psicofarmaci. No, non c'era più tempo per tutto ciò.

Aveva rivolto un sorriso a Bubu. Aveva guardato il cielo.

Era tutto bellissimo, a Daisy la bellezza piaceva. Il vento corse a carezzargli i capelli, li fece danzare la stessa melodia delle piccole viole che sbocciavano al di là della recinzione. "Bene, meglio così", aveva pensato," meglio che questo orribile posto sia isolato dalla bellezza".
Avrebbe voluto sedersi con Bubu in mezzo al verde e contemplarle anche solo da lontano, ma non aveva tempo. Se i medici l'avessero trovato, l'avrebbero riportato in bocca alla disperazione.
Inspirare, espirare.

La sua camicia di carta macchiata di sangue, il filo spinato che lo teneva appeso in aria, come il bucato.
Avrebbe avuto tutto il tempo del mondo, per le cose belle.

 

THE END


  
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