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Autore: ellephedre    21/06/2011    12 recensioni
Un anno e mezzo dopo la battaglia con Galaxia, Ami Mizuno ha davanti a sé una lunga vita, un destino da guerriera Sailor e paure che preferirebbe dimenticare. Ma incontrerà chi la costringerà ad affrontarle. A vincerle.
"Ami Mizuno aveva capelli tanto scuri e lucenti da aver passato il limite del nero. Erano blu i fili corti che le adornavano la testa, schiariti da un sole che aveva deciso che il colore della notte era troppo cupo per lei. Una spiegazione romantica, a giustificare la differenza con le chiome corvine dei suoi genitori.
Sailor Mercury aveva il colore dei capelli di sua madre. Un poco più scuri, una differenza quasi irrilevante. Il taglio degli occhi era identico: grandi occhi dolci, le avevano detto le sue amiche, con lunghe ciglia e palpebre vispe che non si sarebbero mai azzardate a pesarle sullo sguardo. La bocca. Le era sempre piaciuta. La luce artificiale faceva brillare il rosa scuro delle sue labbra come un frutto maturo e delicato; il sole le donava la tonalità di un bel fiore in boccio."

Oltre il quarto capitolo la storia continua con delle scene.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ami/Amy, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la fine
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Oltre le stelle Saga'
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Acqua viva - scene

 

Acqua viva

   

Autore: ellephedre

   

Disclaimer: i personaggi di Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.

   

Maggio

 

«Ciao.»

In quella tardi mattinata di sabato, seduto sulla panchina davanti alla libreria internazionale, Alexander alzò lo sguardo dal suo libro sapendo che non era stata Ami a salutarlo.

Il tono duro, lievemente piccato, apparteneva alla voce di un passato distante due anni. Ritrovandosene davanti l'aspetto, lui pensò che sembrava trascorso molto più tempo. «Ciao.» Sorrise senza voglia ad Erisa Asami, che non era affatto cambiata dai tempi delle superiori.

Stesso sguardo di sfida al mondo, medesimo modo di incrociare le braccia - con le gambe un poco allargate - e l'onnipresente frangia, dritta a mezzo centimetro dalle sopracciglia. Capelli neri lunghi fino alle spalle come l'ultima volta che lui l'aveva vista di sfuggita, alla cerimonia di diploma. Bella come quando erano stati brevemente insieme, una considerazione oggettiva che gli suscitava ancora meno interesse di un tempo; d'altronde nemmeno in passato gli era importato molto dell'avvenenza di lei. Che fosse di buona qualità era stato un semplice plus ai suoi occhi. L'aveva valutata come un prodotto da mettere nel carrello della spesa.

Lei era perplessa. «Questo dovrebbe essere un incontro spiacevole.»

Lui chiuse il libro e si alzò. «Forse. Se fossi stata tu a lasciarmi.»

Le dita di Asami strinsero la camicia sulle braccia incrociate.

Lui evitò di sorridere e scosse piano la testa. «Mi hai salutato di tua volontà. Sono passati due anni, d'istinto ho pensato che questa fosse una sessione di 'how are you doing', giusto perché non siamo estranei e non sei nella mia lista di persone da odiare.» Non che ne avesse una, ma aveva avuto una lista di persone irritanti e da evitare: Asami ci era finita dentro dopo che lui l'aveva lasciata, ma era passato troppo tempo perché lei fosse ancora una persona con il potere di infastidirlo. Inoltre, nessuno lo irritava più: he was an happy man, non si poteva essere più felici e sereni di lui.

Asami lo squadrò da capo a piedi e strinse gli occhi. «Sei diventato più alto.»

Per un attimo lui aveva pensato di farle notare che era lei ad essere diventata più bassa. Ma no, era proprio lui ad essere cresciuto, e in più modi. «Studio fisica alla Todai. E tu?»

«Legge alla Keio. Hai perso il brutto carattere? Se me lo confermi non ti credo.»

Non che a lui importasse qualcosa. «Se non hai altro da dire forse è meglio che sia io ad anticipare il Sayonara con cui si concluderà questo incontro.»

Lei piegò le labbra strette verso l'alto. «Ancora witty e ancora antipatico. Io pure, ma scommetto che non ne sei sorpreso.»

Sbagliato, aveva sperato che il tempo fosse passato anche per lei. Ma un po' d'ironia era la benvenuta. «Non mi interessa.»

Asami diede vita alla stessa espressione risentita che, nei pochi giorni in cui erano stati insieme, lui non era riuscito a sopportare, neppure nelle sfumature più miti e presuntamente dolci. Si era stufato di lei nelle canoniche due settimane in cui, a quel tempo, era svanito il suo interesse in una relazione con qualsiasi ragazza.

Anzi, ricordò, si era annoiato già con qualche giorno di anticipo rispetto al limite medio: come persona Asami gli era andata a genio, ma come fidanzata lo aveva irritato in continuazione. L'aveva mollata dopo un mese e non prima solo perché allora aveva pensato che lei fosse stata perfetta sulla carta: intelligente, simile di carattere a lui, per metà straniera e quindi capace di parlare inglese fluentemente. Se non funzionava con Asami, si era detto, forse avrebbe fatto meglio a lasciar perdere del tutto le relazioni.

All'alba dei suoi diciotto anni non era stato pronto a mollare l'idea di combinare qualcosa che si potesse finalmente chiamare sesso, ma la sua disperazione aveva cominciato a prendere consapevolezza di sé.

Se non riusciva ad avere una sola relazione in cui stesse bene, si era chiesto, perché continuare a sforzarsi? Ne valeva davvero la pena?

Con Asami aveva risposto a quella domanda, ma non per merito di lei. Dopo un anno di tentativi, per lui era semplicemente arrivato il momento di smetterla con esperimenti che avevano continuato a dare sempre lo stesso infruttuoso risultato.

I'm an idiot, aveva concluso in un giorno di pioggia, nel bel mezzo di una lezione di matematica. Il cielo aveva pianto al posto suo per il periodo di astinenza a cui si era condannato con le sue stesse mani, ma lui era stato sicuro dela sua decisione. Se sto bene solamente per conto mio, è meglio stare da solo.

Considerava la sua adolescenza terminata il giorno in cui aveva detto ad Asami, 'È finita.' Quel giorno era finita davvero: da allora aveva pensato solo a studiare e a divertirsi come pareva a lui, senza stare più ad arrovellarsi per accontentare persone di cui, in fondo, non gli era importato molto. Era un bastardo asociale con un solo amico, ma ne era diventato finalmente consapevole e si era sentito in pace.

Da quel momento in poi, nell'incontrare ragazze a cui aveva lanciato una seconda occhiata, aveva sempre dato retta al suo primo istinto: nel notare una sola cosa che non gli era andata bene, aveva lasciato perdere.

Gli occhi di lei si muovevano troppo? Tendeva a distrarsi, non sapeva stare concentrata. Quindi non avrebbe saputo sostenere una conversazione decente.

Teneva le spalle basse? Era troppo timida e lui l'avrebbe solo intimidita maggiormente.

Avvicinava una mano per toccarlo? Sarebbe diventata appiccicosa.

Sembrava fulminata dal suo aspetto? Avrebbe passato il suo tempo a fissarlo.

Lui aveva accumulato sufficiente esperienza - oltre venti pseudo-relazioni - per sapere che aveva ragione quando inquadrava sommariamente una persona nei primi momenti di conoscenza. Era percettivo o, se non altro, aveva imparato a riconoscere i segnali dei tratti di carattere che non poteva soffrire.

Più di cinque mesi addietro, ricordò, non aveva trovato niente che non andasse in una persona a cui ormai pensava tutti i giorni.

Spalle dritte e fiere, risposta arguta e veloce, poco impressionata da lui, occhi blu profondi e grandi. Aveva guardato Ami una seconda volta e una terza, notando anche il tipo di corporatura sotto il cappotto scolastico, ma soprattutto il viso. Un misto tra 'very nice' e 'beautiful in the details' che la serietà di lei non gli aveva permesso di identificare con chiarezza.

Come combinazione gli era parsa allettante sin dall'inizio, ma allora non aveva avuto la minima idea del tipo di espressioni che Ami era in grado di tirare fuori. Ne veniva steso giorno dopo giorno e ne era felice.

Durante il loro primo vero incontro sul ponte del parco se n'era andato ugualmente perché... Perché? Forse perché si era abituato a lasciar perdere o perché si era trovato bene da solo. Forse perché ad Ami lui non era piaciuto e quel tipo di novità non era stata abbastanza curiosa da interessarlo.

Per fortuna aveva avuto una seconda possibilità con lei. Il giorno dopo addirittura; la sua buona stella si era concentrata nella settimana d'oro che gli aveva fatto incontrare Ami tutti i giorni.

«Era questo che odiavo di te, Foster A. Stavi con me e pensavi ad altro, come se starmi vicino non fosse interessante. Ti avrei lasciato io prima o poi.»

'Foster A', un soprannome orribile che lui le aveva chiesto subito di smettere di usare. Non dubitava che Asami lo stesse ripetendo apposta per irritarlo.

«Ora che lo hai detto sei felice?»

Lei non distese l'espressione, eppure - notò lui - aveva voglia di farlo.

Provò a risolvere il problema al posto suo. «Non mi avresti lasciato tu, non per qualche altro mese.» Non era il modo migliore per cominciare a rasserenarla, ma era la verità. «Ero la tua sfida, no? Lo sono anche ora, ti costringi a parlarmi per questo. Ero il meglio che potevi ottenere nella tua testa e non si viene lasciati da una persona così senza tenersela dentro. Non se si è orgogliosi come te.»

Di malavoglia, Asami stava sorridendo. «Questo era quasi un tuo pregio invece: sweet as hell proprio mentre lanci insulti.»

«Ho risparmiato ad entrambi tempo prezioso finendola dopo un mese. Ma avrei preferito che fossi stata tu a rompere: a me non sarebbe importato.» E soprattutto si sarebbe risparmiato le occhiate d'odio che erano seguite nelle settimane successive: non avevano frequentato la stessa classe, ma le loro aule si erano trovate nello stesso corridoio.

«Okay, okay.» Asami sollevò le mani; più che un segno di resa, una richiesta di tregua. «Non sono così bitchy di solito, mi sono evoluta anche io.»

Alexander evitò di ridere apertamente: Asami stava chiedendo tregua a se stessa.

«Voglio farti una domanda e vorrei che non la prendessi per il verso sbagliato» gli disse.

A lui non piacevano le domande che cominciavano in quel modo. «Finché non me la fai, non prometto niente.»

Asami annuì. «È una cosa che mi è rimasta qui.» Si picchiettò la parte alta della tempia con un'unghia insistente. «A parte l'orgoglio, è la ragione per cui ce l'ho ancora con te.»

Well, se poteva aiutarla... «Tenterò di portare pace alla tua anima.»

A lei sfuggì una mezza risata. «Bene, vada per l'insinuazione potenzialmente più offensiva e assurda, anche se io - lo premetto - non giudico. Non sei un'improbabile omosessuale, vero?»

Lui strinse gli occhi. «No.» E aveva capito di cosa stava per parlare lei. «Sono banalmente etero, ma ragiono con una testa che sta sempre sopra le mie spalle.»

«Right. Spiegami cosa ti ha detto la testa allora: per quale motivo incomprensibile un complimento qualunque ti ha impedito di portarmi a letto quando ci eravamo già dentro? Se era una scusa, adesso puoi dirmelo.»

Lui aprì la bocca per replicare e lei lo bloccò con un dito. «Questa volta magari capisco, non sono più arrabbiata. Mi interessa solo... sapere.»

Alexander aveva compreso già allora che la sua ritirata era stata un colpo senza pari per l'autostima di Asami, ma non gli era interessato spiegarsi meglio. Nonostante la sua decisione di lasciarla, si era fatto quasi convincere ad andare a letto con lei: la prospettiva dell'astinenza senza una chiara fine all'orizzonte - pure senza un solo straccio di esperienza completa - non aveva spaventato la sua mente, ma il suo corpo era stato di ben altro avviso.

L'insistenza di Asami aveva premuto involontariamente su quell'incertezza. Lei gli era sembrata cosciente della sua mancanza di coinvolgimento e gli era parsa anche una ragazza da 'no hard feelings': non si sarebbe sentita tradita da un po' di sesso privo di sentimenti, magari neppure le sarebbe importato tanto.

Lui riteneva ancora di avere ragione su quel punto. 'Portarmi a letto': era quello il riassunto facile che faceva Asami. Non poteva immaginare di sentire una cosa simile da Ami; non lo avrebbe neppure voluto.

Tornò a sedersi.

Asami si accomodò accanto a lui, piegata in avanti, un gomito sul proprio ginocchio. «Ti avevo solo detto... Aspetta che mi quoto. "Gosh, sei così bello che potresti anche essere stupido". E tu sei scattato all'indietro come se ti avessi bruciato. Oppure» si mise a ridere «stavo facendo qualcosa di tremendamente sbagliato?»

Gli era piaciuto quel tratto di lei: era diretta. A suo modo lo apprezzava anche ora, soprattutto perché oramai era un'estranea per lui. «Non hai trovato qualcun altro che potesse toglierti il dubbio?»

«I dubbi me li sono tolti» ribatté Asami. «Ma non il dubbio di quel momento e di quella situazione.»

Il dubbio di essere sbagliata, di aver fallito in qualche modo. Asami era una cosa sola col proprio orgoglio.

«Mi hai fatto capire che noi due non c'entravamo niente.» Fu conciso e poi decise di parlare la sua lingua. «E siccome non c'entravamo nulla, non mi sarei divertito neppure in quello che sarebbe seguito.» Non trovò necessario ripetere che era stato comunque sul punto di lasciarla: glielo aveva già detto a tempo debito.

Asami arrivò a una conclusione che trovò soddisfacente. «Non sai goderti un po' di sana chimica. Sei un represso.» Fu solo un mezzo scherzo.

Lui lo trovò divertente per una ragione diversa dalla sua. «Tra noi non c'era chimica.»

«Dici?» Asami si appoggiò contro lo schienale della panchina, i capelli neri sistemati su una sola spalla. «A me non sembrava.»

Non era una dimostrazione di interesse, quanto un flirt casuale. Asami era fatta così. Un po' gli ricordava com'era stato lui.

«La chimica di cui parli è una combinazione di pulsioni e pensieri votati a percepire solo i sensi» le spiegò. «Non c'era niente di tanto nobile nella ragione per cui non mi sono fermato prima quel giorno.»

Asami lo fissò con occhi sottili. «Sei ancora troppo complicato, persino per me. E brutale in cose che non mi piacciono. Hai ragione, non saremmo andati da nessuna parte in coppia.»

Infatti per lui non c'era mai stata una coppia tra loro due. «Trovato la pace?»

Con un sorriso sghembo, lei tornò in piedi. «Tu, piuttosto... Credi davvero che troverai la ragazza che cerchi? Te lo dico per il tuo bene: non esiste.»

Ah, doveva esserle sembrato un idealista. Lui non si era mai sentito tale: aveva saputo con chiarezza quello che non voleva, ma non era stato in grado di descrivere cosa stava cercando finché non lo aveva trovato. «Si chiama Ami.»

Asami rimase interdetta solo per un momento. «Hm, almeno hai ripreso ad uscire con qualcuno. Ti sei dato al celibato per un intero anno scolastico dopo aver rotto con me, era l'unica cosa che mi dava un po' di soddisfazione. Be', non far diventare questa Ami parte di una collezione troppo estesa: ha i suoi pregi imparare ad avere una relazione più lunga di un mesetto scarso.»

«La mia collezione ha un solo pezzo da cinque mesi. È già completa.»

La menzione della durata della sua relazione con Ami sorprese Asami. Sorprese anche lui nel pensare che fosse una reazione legittima: Asami lo aveva conosciuto quando per lui una cosa simile era stata inconcepibile. Solo in apparenza, o almeno così gli piaceva pensare: avrebbe potuto costruire una relazione con Ami anche in quel passato. Lei era quella giusta. Continuava a rimanergli il dubbio che lui non lo fosse stato.

«Allora... La situazione è questa» iniziò Asami. «Una ragazza incontra per caso il suo ex. Si mette a parlare con lui solo per saperlo infelice e mettersi il cuore in pace. Invece si mette il cuore in pace perché lui le spiega meglio quell'episodio che l'ha scocciata per mesi dopo che hanno rotto. Ah, e le dice pure con sguardo sognante che è felicemente fidanzato.» Unì le mani sul petto. «È cambiato perché ha trovato quella persona mitologica che il resto di noi comuni mortali non ha speranza di trovare.»

«L'ultima parte è abbellita per rientrare meglio nella storia?» rise lui.

«Volevo solo chiarire i sentimenti dietro ciò che sto per dire: you are an ass, Alexander Foster. Te lo dico con simpatia, perciò tieniti l'insulto. Fammi questo graditissimo favore.»

«Te lo faccio.»

«Perché sei troppo sereno perché te ne importi qualcosa. You are an ass

«Siamo già arrivati al Sayonara?»

«Sì» annuì Asami e indietreggiò di un passo. «Me ne vado. Sayonara, Foster.»

Lui rimase seduto. «Vedrai che andrà bene anche a te. Sayonara, Asami.»

Lei provò a parlare ma si cucì la bocca. Nel girarsi pronunciò un silenzioso 'ass' che accompagnò ad un sorriso rassegnato e ad una mano alzata.

Alexander l'alzò a sua volta e lei andò via.

Lui riaprì il suo libro e tornò a leggere.

Si interruppe brevemente per pensare allo scorcio di passato che era tornato nella sua vita per pochi attimi, ma quando adocchiò la riga da cui aveva interrotto la lettura, tornò a concentrarsi sul libro.

 

L'ultima volta che Ami si era nascosta dietro un palo della luce si era trovata assieme ad Usagi. Lei l'aveva trascinata dietro un lampione dopo aver scorto una ragazza che parlava con Mamoru. Un'estranea che aveva chiesto un'informazione, aveva poi spiegato lui, e Usagi gli aveva creduto solo perché aveva potuto assistere a tutta la scena di persona, a distanza.

Ami non era riuscita a capacitarsi della poca fiducia di Usagi in Mamoru Chiba: lui era un fidanzato modello, così chiaramente innamorato e fedele.

Nascosta in modo stupido dietro un palo molto più sottile di un lampione, cominciò a capire meglio i motivi di Usagi. Aveva guardato Alexander che parlava con la ragazza ignota per mezzo minuto buono (ma loro avevano cominciato prima). Non si era nascosta subito, l'aveva fatto solo quando lui aveva salutato l'altra ed era parso sul punto di voltare lo sguardo.

Ora, controllò voltando la testa, Alexander stava solo leggendo il suo libro. E lei si stava comportando da sciocca.

Durante la conversazione a cui aveva assistito, Alexander non aveva lanciato segnali equivoci, ma le era parso che li avesse lanciati lei - l'estranea bella e slanciata che lui sembrava conoscere piuttosto bene. Si erano salutati con un sorriso e una mano alta, un saluto di tipo definitivo. Forse. O magari solo un saluto amichevole, come a dire 'ci vediamo un altro giorno?'

Perché avrebbero dovuto vedersi un altro giorno? Magari lei era una sua compagna di università? Per questo si era seduta accanto a lui con tanta naturalezza? Ed era solita farlo in altre occasioni?

Sospirò. Stava facendo ipotesi su fatti non accertati, una cosa completamente inutile. Se era curiosa, poteva chiedere.

Esitò.

Non aveva bisogno di sentire la risposta, la conosceva già. Se avesse notato che era preoccupata, Alexander l'avrebbe rassicurata. Le voleva bene. Amava lei.

Si allontanò con un passo dal palo.

Lui la chiamava love accarezzando la parola con la voce, come se fosse felice di poterlo dire. Dopo che avevano passato ore a parlare, la guardava come se le volesse un po' più bene di prima. A volte la baciava proprio come se cercasse di ripetere quello che aveva detto a San Valentino - voglio rimanere con te per sempre. La fiducia in lui era uno dei regali più belli che Alex le avesse fatto.

Smise di guardarlo da lontano e cominciò ad avvicinarsi alla panchina su cui si era seduto.

Non avrebbe macchiata quella fiducia con domande sciocche. Non ne valeva la pena.

     

«Ciao.»

Il secondo saluto di quella mattina gli fu immensamente gradito. «Ciao.»

Più che chiudere il libro, si dimenticò di averlo in mano. La primavera inoltrata stava cominciando a trasformarsi in estate e lui aveva iniziato a scoprire Ami in camicie sottili e gonne svolazzanti che la riempivano di calma, circondandola d'aria e facendola camminare come su una nuvola. I vestiti azzurri, i suoi preferiti, la rendevano una principessa allegra e libera.

Lei si chinò in avanti. Posò le labbra sulla sua guancia e le tenne lì, fino a che non sollevò le mani ai lati del viso, come se volesse custodirlo.

Quando si staccò, lui produsse un sorriso incredulo. «Così mi abitui bene.» E avrebbe dovuto abituarlo, perché pochi secondi non erano bastati a fargli godere appieno di quella sorpresa: passati i primi tempi, Ami aveva smesso di lasciarsi andare a effusioni in pubblico senza controllare prima che fossero soli; almeno, se si teneva conto dei primissimi momenti in cui lo vedeva. Di solito preferiva lei prendergli la mano, ma lui doveva ammettere di preferire i baci.

Le accarezzò la lunghezza di un braccio.

Glielo avrebbe fatto capire nel modo che più gli piaceva: senza parole. Passo per passo, a gesti. Quando comunicava con lei in quel modo paziente e otteneva la risposta che voleva, si sentiva gratificato in una maniera sconosciuta; era sempre una sensazione nuova.

«Oggi volevo dartene uno.»

«Music for my ears.»

Lei si ritrasse lievemente, stringendogli la mano. «Sei già entrato?» Indicò la libreria alle sue spalle.

«No, ti aspettavo.»

Lei accennò a dire qualcosa, ma si interruppe prima di cominciare. Per un momento, parve incerta. «Andiamo allora.»

         

Sabato era la giornata che passavano insieme da mattina a sera. Avrebbe potuto essere domenica, ma entrambi studiavano con impegno quel giorno, almeno per tutta la mattina e parte del pomeriggio. Poi, verso le quattro o le cinque, si vedevano per salutare il fine settimana.

Sabato invece andavano in giro, a pranzo a scoprire nuovi posti in cui mangiare, poi in nuove librerie o mostre nella seconda parte della giornata. Se c'era un film interessante da vedere andavano al cinema, ma quello che facevano quasi tutte le volte era camminare. Andavano con la moto di lui in parti di Tokyo - o Yokohama - che non conoscevano e passeggiavano enza meta, solo per vedere posti nuovi.

Le sue ballerine dondolavano oltre il muretto che delimitava la spiaggia. Ami si ritrovò a pensare che sarebbe stato meglio indossare dei sandali. Faceva inaspettatamente caldo e le sarebbe piaciuto sentire il contatto dei piedi con la sabbia, battezzandoli nell'estate.

Diede un altro morso al panino. Per quel giorno avevano scelto di mangiare leggeri e farlo all'aperto, a Odaiba, nella baia di Tokyo. Conoscevano già il complesso di isole, ma quel pomeriggio avevano appuntamento in quel luogo con Usagi e Mamoru. Alexander avrebbe conosciuto Mamoru per la prima volta.

«Vuoi mettere i piedi nella sabbia» commentò lui.

Ami sorrise col cibo in bocca e attaccò la gamba al muretto in cemento su cui era seduta. Deglutì il boccone. «Come hai fatto a capirlo?»

«Stai disegnando monti e valli con la punta della scarpa. E poi era un'ipotesi-proiezione: vorrei farlo anche io.»

«Fa caldo, vero?»

«In questo momento vorrei una spiaggia californiana, con acque pulite e tante onde.»

Per i viaggi che aveva fatto, lei lo invidiava. «Se fa ancora caldo, potremmo andare in piscina domani.»

«L'acqua rinfresca, ma senza il sole non è la stessa cosa.»

Alexander aveva finito di mangiare da quasi cinque minuti. Non sapendo dove buttare il fazzoletto con cui aveva tenuto il panino, giocava a rotolarlo tra le dita nella parte pulita.

«Intendevo in una piscina all'aperto» precisò lei.

Lui drizzò le orecchie. «Ci si può già andare?»

«Di solito aprono a metà mese. Oggi quindi, ma domani posso controllare.»

Lui gettò la testa all'indietro e guardò il cielo azzurro. Aveva arrotolato le maniche della camincia scoprendo gli avambracci; aveva fatto lo stesso con i risvolti dei pantaloni, fin sopra le ginocchia. A lei era sembrata un'idea un po' stramba fino a che non aveva visto il look da simil pescatore che in realtà era qualcosa di molto diverso: associato ad abiti normali sembrava un insieme curato, pensato, persino sottilmente elegante.

Lui aveva commentato distrattamente che era un'idea che aveva visto da qualche parte.

Di solito non gli piaceva pensare ai vestiti e non lo faceva attivamente, ma lei era sicura che, se fosse stato una donna, Alexander avrebbe potuto darle decine di dritte. Un paio di volte le era capitato di guardarlo mentre si comprava qualcosa da indossare.

Lei si riteneva una compratrice di vestiti piuttosto veloce, ma Alexander la batteva cinque a zero: entrava solo nei negozi in cui era sicuro di comprare qualcosa e camminava tranquillo guardando a destra e a sinistra. Senza indugio prendeva in mano solo cose che, a guardarle dopo, erano di ottima fattura e con dettagli di pregio. Lui non le provava, le giudicava a occhio tenendole alte e larghe con le mani.

Lei aveva pensato fosse una modalità di selezione poco efficace, ma la prima volta che lo aveva visto comportarsi così la loro relazione aveva avuto meno di un mese e lei aveva giudicato poco saggio offrirgli opinioni non richieste.

Alexander infatti non le aveva chiesto niente: dopo aver scelto cinque cose - due felpe, una camicia, un jeans e un altro paio di pantaloni in tessuto pesante - era andato a pagare senza neppure domandarle 'Cosa ne pensi?'. Per tutto il tempo aveva continuato a parlare con lei di fisica quantistica, come se la scelta del suo vestiario non meritasse una sola parola.

Era stata la prima volta in cui un suo comportamento le aveva causato un leggero dispiacere. Si era sentita esclusa dopo essersi scoperta a desiderare di... be', vestirlo. O di poter immaginare cosa mettergli guardando tra i capi presenti, un po' come faceva per sé.

Nelle settimane successive, nel vederlo di volta in volta coi capi scelti, non le era rimasto che dichiararsi sconfitta senza possibilità di rivincita: Alex non aveva bisogno di lei per scegliere i vestiti, aveva un occhio sopraffino. Ma questo, si era detta poi, avrebbe dovuto già capirlo dal gusto di quello che gli aveva sempre visto indossare. Il suo errore era stato credere che a scegliergli gli abiti fossero Shoko-san o sua madre.

Con lui aveva toccato l'argomento in modo diretto solo una volta, facendo riferimento proprio alla signora Eve.

«Sì» aveva risposto Alexander, «l'unica cosa che non manca di sicuro a mother è il buon gusto nel vestire. Per una che faceva il suo lavoro, sarebbe un colmo da barzelletta.»

Lei aveva pensato che lui sottovalutasse Eve Foster. «Sceglieva lei i tuoi vestiti da bambino?»

«No, ma ricordo che diceva a Nanny Shoko dove comprarli. Finché non ho cominciato a scegliere io, nel mio guardaroba spuntavano dal nulla cose che non avevo visto.»

La risposta l'aveva confusa. «Nessuno ti ha mai aiutato a fare acquisti? Tuo padre?»

Divertito, Alexander aveva aggrottato la fronte. «Lui ha una sua idea di stile tutta inglese, troppo seria. Ora che mi ci fai pensare, tanti anni fa mi ha aiutato a scegliere un completo perché non avevo esperienza, ma per il resto... cosa c'è di difficile? Buoni tessuti, buone finiture, buon taglio.» Alexander aveva scrollato le spalle. «Mia madre mi ha aiutato a distinguere semplicemente osservandola. Cosa ti confonde, la scelta veloce?»

Lei aveva annuito e lui ci aveva riflettuto brevemente. «Quando scelgo ho in mente le pubblicità dei giornali europei; americani per il casual. In Giappone c'è poca roba tra cui scegliere, è facile notarla con un colpo d'occhio; siete piuttosto indietro.»

Il 'siete' le aveva fatto spalancare la bocca in una risata incredula.

Lui si era accorto di quel che aveva detto. «Presenti esclusi, ma pensavo più al vestiario maschile.» Si era messo a ridere e lei lo aveva seguito a ruota. Quel giorno aveva capito la ragione di un commento di Minako.

«Alexander sembra bravo e alla mano quando lo conosci, ma a volte ha un non so che di snob.»

Lo era per esempio nel vestire, nel modo in cui sceglieva con inconsapevole cura la maniera di presentarsi. Eppure lei era convinta che, se gli avesse fatto notare quel difetto, lui sarebbe stato capace di entrare in crisi: per Alex era molto importante pensare di non dare alcuna importanza al suo aspetto.

In fondo la cosa più divertente era la maniera in cui si sentiva strettamente straniero quando si parlava di gusto nel vestire; neppure coi libri era tanto definito. E se quella non era una cosa trasmessa da sua madre, che non indossava un solo accessorio o capo che non fosse importato, Ami avrebbe potuto dire di non capire niente del suo fidanzato di quasi mezzo anno. 

Lui aveva preso a guardare il mare con intento. «Magari possiamo andare in piscina dopo l'appuntamento a quattro.»

Era evidente che non conosceva bene Usagi. Inoltre... «Come potremmo? Non abbiamo niente di quello che ci serve.»

«Costumi, ciabatte, asciugamani.» Smise di guardare l'acqua. «Potremmo comprarli.»

«Ma ho già queste cose a casa e poi-»

«Potrei regalartele» rifletté lui. Qualcosa lo divertì.. «Certo che se ti aiuto a comprare un costume, poi non usciamo più dal negozio.»

«Hm?»

«Te ne farei provare un mucchio, Ami love

Lei arrossì talmente tanto da affondare con la testa, toccando il petto col mento. «Io...»

«Stavo scherzando.» La risata leggera si librò nell'aria calda del giorno.

Ami inspirò per farsi coraggio. «Io preferisco i costumi interi.»

«Come quelli che metti nella piscina al coperto.»

Esatto.

L'idea non sembrava infastidirlo neppure un poco e lei si sentì in colpa. Forse era troppo chiusa su alcune cose. «Magari per questa estate posso prenderne uno in due pezzi.»

Lui la squadrò con un'occhiata rapida. «Ah-ha.» Distratto, tornò a guardare il mare.

L'interesse malcelato la fece decidere per un prossimo acquisto. «Oggi non possiamo andare in piscina. Usagi vorrà fare molte cose, è la prima volta che siamo tutti e quattro insieme.»

L'idea di un doppio appuntamento aveva entusiasmato Usagi sin da quando le era venuta in mente, ma Mamoru non aveva mai avuto abbastanza tempo da dedicare a un'uscita come quella: da quando aveva lasciato medicina, si era impegnato due volte tanto nel suo nuovo corso di laurea, per recuperare il tempo perso.

Ami era curiosa di sapere che opinione avrebbe avuto di Alexander, e viceversa.

«Spero che Mamoru ti piaccia.» Non poteva dirsene sicura solo perché Alexander sapeva ancora sorprenderla nelle reazioni che aveva nei confronti di persone sconosciute. Per esempio non avrebbe mai immaginato che lui potesse trovare simpatica la ragazza di quella mattina.

«Alex?»

«Hm?»

Non era mancanza di fiducia, si disse. Solo curiosità. «Quante...» No, non voleva ridurre la faccenda a una questione di numeri. «Prima di me... hai avuto altre ragazze.» Non ne fece una domanda: era certa della risposta, ne avevano già parlato.

Lui inclinò la testa e la studiò. «Sì.»

Lei non seppe come chiedere. Furono le parole a sceglierla. «Com'era? Com'eri tu?»

«Disinteressato, non te l'avevo detto?»

Sì, ma questa volta voleva saperne di più. Voleva capire come si era comportato lui in passato: da come ne parlava Yamato-kun, e da alcune cose che aveva detto Alexander stesso, le era parso che lui fosse stato diverso. Anche adesso, quando non c'era lei, era diverso con le persone: più cauto, più attento, meno aperto; lo aveva intuito da tanti discorsi delle sue amiche. Ma lei non riusciva a conciliare una simile personalità con quella di un ragazzo che aveva avuto tante relazioni.

Naturalmente Alexander padroneggiava ancora come un maestro l'arte del flirt, ma conoscendolo lei aveva compreso che quello era solo un gioco per lui. Non era la realtà in cui gli piaceva vivere: come lei, era tranquillo e riflessivo. Gli piaceva parlare e parlare.

Immaginare che lo avesse fatto con altre ragazze con la stessa passione dedicata a lei era un pensiero infelice. Ma almeno un poco, ragionò, doveva essere stato così, visto che lui le aveva detto che lo scopo principale delle sue precedenti relazioni non era stato... l'approfondimento fisico. Poteva credere a una versione simile? Doveva essere edulcorata; non per artifizio, ma per tatto.

Lui si era sporto verso di lei. «Me ne sono stato per conto mio praticamente sempre, tranne che in seconda superiore. Mi è servito a capire che non sapevo cosa volevo.»

In che senso?

Alex la guardò in faccia fino a che non concretizzò un'idea. «Sai che oggi ho incontrato una ragazza con cui sono stato? Proprio l'ultima. Stamattina, prima che arrivassi.»

Le scappò il fiato dal corpo. Un'ex-fidanzata. Quella ragazza alta ed elegante con cui Alex si era scambiato più sorrisi aveva avuto una relazione con lui. Era peggio di quello che aveva immaginato.

Lui stava sorridendo. «È venuta a parlarmi lei perché ce l'aveva con me.»

«... ce l'aveva con te?»

«Perché l'avevo lasciata.»

Ami ritrovò tutto il respiro.

«Sono sempre stato io a rompere tutte le mie precedenti relazioni.»

Non avrebbe potuto dirle qualcosa di più bello nemmeno se ci avesse provato.

Lui la stava ancora guardando, tranquillo. «Rivederla oggi mi ha fatto pensare a quanto tempo è passato. Sono cambiate tante cose.»

Lei non riuscì a resistere. «In meglio?»

«Be', sì. A parte l'aaver imparato cosa significa essere mollato.»

«Oh» si mortificò lei. «Quello...» Era stato uno dei più grandi errori che avesse mai commesso.

«Se mi prometti di non farlo più, ti dico un'altra cosa.»

Detestava avergli dato la necessità di fare di quell'argomento uno scherzo. Se il suo più importante segreto avesse coinvolto solo lei, avrebbe già trovato il coraggio di rivelargli tutto, ormai ne era sicura. «Io non ti lascerò mai più.» Era una promessa che poteva fare, anche se questo non voleva dire che sarebbero rimasti insieme per sempre. Quella era solo una magnifica speranza, una decisione a cui lui sarebbe potuto arrivare solo dopo aver saputo tutto di lei.

Di quei problemi Alexander rimase ignaro. «Volevo questo, Ami.» La indicò con un cenno del mento, quindi, seduto con le gambe da una parte e dall'altra nel muretto, allungò quella sopra la sabbia verso di lei. Riuscì a mettere la scarpa sotto la sua, sollevandole un poco il piede. «Volevo stare bene con qualcuno. Era importante che non fosse un maschio perché c'era già Yamato.»

Le scappò un sorriso.

«Prima di conoscerti avevo cominciato a chiedermi se avrei mai trovato una ragazza così. Sapevo che il problema ero io, ma non avevo intenzione di cambiare.»

Ami prestò attenzione alle ultime parole. «Sei cambiato?»

Lui ci pensò su abbastanza da renderla sicura che la risposta sarebbe stata completa.

«Non proprio. Pensavo di avere difetti che nascevano da quella che si è rivelata essere insoddisfazione. In altre cose mi sono solo... stabilizzato.»

Lei inclinò la testa, cercando chiarezza.

Lui sollevò un sopracciglio. «Ho un brutto carattere?»

Ami fermò il 'no' sulla punta della lingua. A lui sarebbe piaciuta un'opinione più articolata e veritiera. «Con me, mai. Ma... non sei facile.» Per tutti gli altri.

«Volevo dire proprio questo» annuì lui. «Sono passato da antipatico a 'poco facile'. Che progresso, hm?»

Lei gli accarezzò una mano e ne approfittò per prendergli il fazzoletto usato per il panino; lo appallottolò insieme al proprio e lo mise in borsa, dentro il piccolo sacchetto di plastica che si portava dietro per ogni evenienza.

«Previdente» commentò lui. «Sono sicuro che lo eri anche tanti anni fa. Did you ever change

Oh sì. Era una persona che si evolveva per amore. Era cambiata quando aveva conosciuto Usagi e le altre, si era aperta. Ed era cambiata quando aveva perso lui. «Mi hai fatto diventare più coraggiosa.»

Non le era mai mancata la forza per combattere per altri - per un bene superiore - ma per natura aveva desistito dal lottare per ciò che voleva lei, se coinvolgeva altre persone. Il rapporto con la gente la intimidiva: temeva il rifiuto. Temeva il giudizio, anche se aveva imparato a non dargli importanza.

Nel caso di Alexander, aveva avuto una paura folle di quello che gli stava offrendo: tutto quanto, senza alcuna garanzia che lui, un giorno, non avrebbe preso la decisione di porre fine alla loro relazione per validissime ragioni.

Non le importava più. Non aveva più timore di un futuro di sofferenza che poteva diventare realtà.

«Ho preso coraggio e ho combattuto per te.» Fosse solo per avere con lui altri sei mesi, un altro anno o tra quattro e sei anni: tanto era il tempo che mancava alla nascita del nuovo regno terrestre.

«Se tu non mi avessi rivoluta indietro credo... che avrei insistito.» Vergognandosi un poco, abbassò lo sguardo. «Se mi avessi voluto ancora un po' bene, non mi sarei arresa. Ti avrei amato fino a farti provare anche solo un poco di quello che tu mi provocavi-»

«Basta.» Fu una risata debole e strozzata quella con cui lui scivolò in avanti. «Mi stai uccidendo.»

L'abbraccio bastò a farle capire il motivo. «Too sweet

«Sì, non resisto più.» Alexander le sollevò la frangia con una mano e non fece altro che guardarla.

Ami comprese il problema, un difetto meraviglioso. «Sei timido come me?» sussurrò.

«Forse, molto in fondo.»

«Senti che ti sale il calore alla faccia ed è una cosa bella ma non sai assolutamente come gestirla, tanto che entri nel panico?»

«Non entro nel panico.»

Solo perché lei non era tremenda come lui. «Mi hai interrotto.» Ridusse la distanza tra loro andando avanti col bacino, facendo in modo che le gambe non le fossero d'impaccio. Con una mano leggera dietro l'orecchio lo tenne fermo, lo sguardo fisso su di lei.

«Avrei combattuto con tutta me stessa per amarti.»

Le pupille di lui si dilatarono.

«Avrei smesso di essere timida e discreta.» Per un momento, nell'intimità dei loro sussurri, smise di esserlo anche nel presente e fu... liberatorio. «Se avessi visto che ti faceva piacere, anche solo un poco, mi sarei fatta trovare nei posti in cui andavi di solito.» Gli accarezzò la tempia. «Sotto casa tua. Avrei fatto di tutto per rivederti come quando ti sei dichiarato la prima volta. Con quelle parole mi avevi passato da parte a parte proprio qui.»

Lui prese colore sulle guance molto prima di avere la mano posata nel centro del suo petto, dove la mise lei stessa.

«'I love you too'. Dovevo dirtelo, era l'unica cosa che avevo in mente da giorni, lo provavo sin da quando ci siamo baciati. Avrei lottato per avere un'altra occasione di darti la risposta giusta.»

Lui espirò contro la sua bocca. Gliela prese con la propria prima che lei potesse far uscire una sola altra parola.

Si staccò velocemente. «Sono morto, devi ridarmi un po' d'aria.» Le tenne la testa con le mani e le catturò di nuovo l'angolo delle labbra, tentando di inspirarla. «God, sii scrupolosa.» La mangiò di nuovo, deliziosamente. «Intensa.»

Ad occhi chiusi Ami faticò ad annuire; il cuore le sarebbe uscito dal petto tanto batteva forte. Non riusciva a respirare e non voleva.

Gli prese il collo con le mani e, ricambiandolo, riuscì a farlo smettere di blaterare. A fare dichiarazioni incoerenti furono le mani di lui, tutti i baci che lei gli diede, che si fece dare e che cominciarono a essere indistinguibili l'uno dall'altro.

«Che svergognati

Il sussurro distinto fu una doccia gelata.

Ami si voltò e trovò lo sguardo accusatore dell'estranea dallo sguardo cupo che aveva commentato proprio lei e Alexander. L'anziana indignata riprese ad allontanarsi, in braccio i sacchetti della spesa.

Aveva dato della svergognata a... lei?

Morì di vergogna: era praticamente seduta in braccio a-!

Si scostò tanto velocemente da cadere di lato. Sentì la sabbia sotto le ginocchia e pensò di costruire una buca molta profonda.

«Calm down

La risata trattenuta di Alexander non la convinse ad alzarsi. Finì anzi con l'attaccarsi al muretto in cemento, a scrutare la strada di nascosto. «Io...»

«Tu...» Alexander si accucciò accanto a lei, «quando fai una cosa la fai per bene.»

«No, non è-» Ma lo era! Non sapendo se ridere o piangere, ridacchiò in modo ridicolo. Nascose la faccia tra le mani e non trovò neppure la forza per opporsi all'abbraccio di lui.

«Non allontanarmi. Ti sei staccata troppo in fretta, soffro proprio come te.»

Nell'imbarazzo lei riuscì a sorridere per sventure non sue. Quando il corpo di lui cominciò a sussultare, la risata che le uscì dal petto fu piena e genuina.

Ricevette un bacio veloce sulla tempia e tornò a guardarlo.

«I felt loved» le disse Alexander. «Thank you

Grazie per averlo fatto sentire amato? Forse, un giorno, sarebbe stata più audace e capace di non vergognarsi di cose che... che potevano essere molto belle. Per lui, ma anche per lei.

Alexander la tirò piano per un braccio. «Penso che sia ora di andare.»

«Hm?»

«Usagi e il suo ragazzo?»

Oh! «Giusto.» Il pensiero di Usagi la portò a fare un bel respiro e a ricomporsi, tornando in piedi. «Sì, dobbiamo andare.»

       

His Amything.

Era un'espressione che Alexander aveva coniato da un minuto. Amything al posto di 'everything', tutto quanto. La sua Amything, provò a sussurrare. Era perfetto, per la sua testa rendeva l'idea.

Cercò di costringere i muscoli delle guance a portare giù gli angoli della bocca, ma quelli non collaborarono. Anche mentre beveva l'acqua dalla bottiglietta continuò ad avere le labbra congelate in una risata silenziosa. Dovette sporgersi in avanti quando il liquido gli colò giù dal mento. Ridendo, tossì.

Stava rasentando il ridicolo.

Non gliene fregava nulla.

Ami era la sua amything. Guardò la bottiglietta d'acqua. Letteralmente amything, ecco un esempio! Da quando usciva con lei, poteva portarsi l'acqua dietro invece che comprarla in giro. Ami la metteva nella sua piccola borsa portatutto e l'acqua andava in giro assieme a loro. Lei sopperiva a ogni suo bisogno, solo che non poteva creare l'acqua dal nulla e quindi lui doveva andare a comprare la prima bottiglietta.

Metà dei suoi neuroni si erano essicati. Who cares! Amava l'estate! Amava la spiaggia, amava parlare di piscine e costumi da bagno e persino di quando lei lo aveva lasciato.

Socchiuse gli occhi in un ansito di sollievo. Ami era cotta come lui, thank god for that.

«Ho capito, Usako.»

Alexander riprese a bere la sua acqua.

«Sì, Usako» ripeté pazientemente la voce maschile dietro di lui. «Dirò ad Ami che ti dispiace per il ritardo e che non è stata colpa tua se hai rotto la lavatrice di casa e stai cercando di rimediare.»

La menzione del nome di Ami lo fece voltare.

«Posso darti un consiglio?» A parlare al telefono era un ragazzo alto dai capelli neri. «Non toccare niente. Se è uscita l'acqua da sotto e si è allagato il bagno, non sarà stata colpa tua.»

Il tipo stava comprando una bottiglia d'acqua proprio dal chiosco da cui l'aveva presa lui. Allungò una banconota al venditore e attese il resto.

«Vedrai che Ami-chan non penserà che tu sia sciocca e irresponsabile.»

Ami-chan?

Il ragazzo alzò gli occhi al cielo, esasperato. «Non conosco questo Alexander, ma non gli permetterò di pensare male di te. Sì. Sì, te lo prometto.»

Il tipo aveva un nome. La Usako del discorso era Usagi Tsukino, pertanto quello che aveva menzionato il nome di Ami e il suo era ovviamente Mamoru Chiba.

«Usako, se hai finito di asciugare il pavimento non toccare nient'altro, dammi retta. Esci e raggiungici qui, tua madre preferirebbe che non muovessi niente.» Vi fu una pausa. «Va bene, ti aspetterò con loro. A dopo.»

Mamoru Chiba infilò in tasca le monete del resto e chiuse la conversazione al telefono. Incrociò il suo sguardo di sfuggita nel voltarsi e, quando notò che lui non lo spostava, fece una cosa che Alexander non aveva mai visto fare a nessuno nei suoi confronti: sollevò un sopracciglio con noncuranza, senza un briciolo di interesse. Sì? domandava quell'espressione.

Non gli piacque. Non gli piacque soprattutto il ricordo di Ami-chan nella voce di lui.

Cos'era tutta quella confidenza? «Penso di conoscerti.»

Mamoru Chiba attese di sentirlo elaborare con la stessa attenzione che avrebbe riservato a una vecchina che incrociava per strada.

«Sono l'Alexander di cui parlavi con Usagi Tsukino.»

«Ah.» Si manifestò solo allora dell'interesse. Fu come se Chiba lo avesse notato per la prima volta. «Ami Mizuno?»

«Ci sono molte Ami attorno ad Usagi?»

Chiba lo prese per uno scherzo. «Una sola» ammise. Aprì la propria bottiglia d'acqua, tranquillo.

Al polso aveva un orologio dal quadrante nero; dall'insieme creato dalla camicia rosa e dai pantaloni beige - che colori erano? - Alexander ebbe un'unica impressione: quel tipo con Usagi? La serietà di lui si combinava con la follia allegra di lei come la marmellata col peperoncino.

Chiba era... più di ciò che si era aspettato di incontrare: dov'era il ragazzo basso e divertente che faceva solo finta di essere abbastanza serio da studiare alla Todai? Alexander aveva creduto che Mamoru Chiba fosse piaciuto ad Ami proprio perché, nel profondo, era simile ad Usagi, che Ami adorava. Non gli era passato lontanamente per la testa l'idea che Chiba potesse piacere ad Ami perché somigliava... a lui.

«Usagi mi ha parlato molto di te. Parla molto di tutti.» Chiba prese un altro sorso d'acqua. «Ma ti avevo immaginato diverso.»

Condividevano un'impressione allora.

«Conosco Ami da molto tempo e quindi avevo creduto...» lo indicò con un cenno del mento e, guardandolo in faccia, sembrò sorridere del proprio pensiero. «Niente.»

«Molto tempo che ti porta a usare il '-chan'?»

«Hm?»

«Al telefono hai detto Ami-chan

Chiba annuì. «La chiamo come fa Usagi. La conosco quanto lei.» Rifletté. «A modo mio, un po' di più.»

Era in errore. «È un chan amichevole?» Poteva sopportare persino di udire 'fraterno'.

«In che senso?»

«Usagi per te usa il 'chan' con un'altra accezione. In questo senso.»

Chiba mandò giù l'acqua con movimenti lenti della gola. Tenendo le labbra strette, sorrise. «Sei un tipo geloso.»

Alexander scelse di non commentare e attese una risposta.

«Ami è la sorella che avrei voluto avere.» Chiba alzò una mano appiattita all'altezza del petto. «La conosco da quando andava in seconda media ed era un poco più bassa di ora.»

Bene. Se chan era solo questo, ben inteso.

«Ami è nel luogo dell'appuntamento?»

Alexander annuì. Ami si trovava una via più in là, poco lontano.

«Visto che sei in vena di domande dirette, permettine una a me. È una cosa seria?»

«A che titolo lo chiedi?»

«A che titolo mi hai chiesto tu ragione di un nome che uso da anni per una persona a cui tengo e che conosco da prima di te?»

Alexander aprì la bocca e scoprì di avere una risposta pronta solo a metà.

«Ho risposto alla tua domanda. Rispondi alla mia.»

Sarebbe stato come obbedire ad un ordine, ma non rispondere sarebbe parso il capriccio di uno stupido. Fu costretto a scegliere il male minore. «È una cosa seria.»

«Bene.» Chiba avvitò il tappo della sua bottiglia, chiudendola. «Ora smettiamola. Devi essere intelligente se Ami ti ha scelto quindi concorderai con me: abbiamo finito di giocare mettendo in chiaro le cose.»

Che?

«Non ho mire su Ami» sorrise Chiba. «È tanto ridicolo che mi fa ridere. A te ha fatto ridere che ti abbia chiesto se era una cosa seria?»

Il cambio di tono lo lasciò interdetto. «... sì.»

«Ridiamoci su e ricominciamo daccapo allora. Dobbiamo, non sai quello che Usagi dice ad Ami e viceversa. Notano tutto, non può esserci tensione tra noi due.»

Alexander trovò qualcosa da dire. Fu cauto nell'esprimersi. «Se sei solo un amico di Ami... non sei mio amico, ma potresti diventarlo.»

Chiba studiò le sue parole. «Solo un amico. E se tu non vuoi farle del male. io non ho motivo di pensare male di te.» Allungò una mano verso di lui. «Daccapo. Mamoru Chiba.»

Alexander volle dirgli di rallentare, per non sentirsi quello che veniva manipolato. Non gli succedeva mai e quando se ne accorse lo trovò quasi... divertente. «Alexander Foster.» Ricambiò la stretta.

Era stato proprio manipolato: poteva essere interessante avere a che fare con un tipo tanto acuto.

«Mamoru!»

La voce di Ami distrasse entrambi. Lei raggiunse l'angolo della strada in cui si trovavano con una rapida corsa. «Ti ho visto dal fondo, ciao! Usagi?»

«Arriverà con un po' di ritardo.»

Perché aveva rotto la lavatrice, pensò Alexander. Ah, e Chiba eroe coraggioso le aveva promesso di non permettere che un certo Alexander pensasse male di lei. Se Chiba manipolava gli altri, Usagi Tsukino manipolava lui. Ne sorrise e si sentì prendere una mano da Ami.

«Stavate parlando, vi sarete già presentati, ma... questo è Alex.» Lo presentò proprio come se lo stesse mettendo davanti ad un fratello maggiore, in cerca di approvazione.

«L'ho conosciuto.» Chiba guardò solo Ami nell'annuire piano. Se aveva delle riserve, le tenne per sé e con un solo cenno della testa fece felice Ami. Alexander capì di poter apprezzare una persona così.

Chiba gli lanciò un'occhiata divertita. «Parlavo al telefono con Usagi e ti ho chiamato Ami-chan. Lui l'ha sentito e non gli è piaciuto.»

Alexander fu costretto a ricredersi.

Pensò di trovare un sottile rimprovero nello sguardo di Ami. Invece lei era sorpresa. La sua incredulità si sciolse in un sorriso felice mentre gli circondava la vita con un braccio, stringendolo. «Gli piaccio.»

La malcelata soddisfazione lo rallegrò. «È un po' poco dire così.» Le massaggiò la spalla e quasi non riuscì a credere che le avesse fatto piacere sapere che lui se l'era presa per il suffisso confidenziale.

Fu distratto dalla sensazione di uno sguardo su di loro.

Chiba li osservava benevolo: guardava soprattutto Ami e Alexander ebbe l'impressione che avesse cercato di fargli un favore più che un torto.

Well, who cares? Finito quell'appuntamento a quattro, avrebbe passato il resto della serata con Ami.

He was an happy man.

Absolutely.


Alcune traduzioni

witty = spiritoso, arguto.

You are an ass! = è un insulto mezzo slang. Secondo questo link la traduzione è 'stupido, ostinato o perverso'. Qui è usato soprattutto nella prima accezione, virando un pochino verso il volgare :)

Who cares? = Chi se ne importa!

   

NdA: da 20 KB che pensavo di scrivere ne ho buttati giù 60 :D Capitolo lungo, ma trovavo necessario ogni pezzo. Spero che lo sia sembrato anche in fase di lettura, l'ispirazione ha fatto i salti mortali per venirsene fuori con qualcosa che legasse bene e in modo interessante tutti i pezzi del capitolo :)

Alla prossima!

ellephedre

   
 
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