Oh
bene! eccomi di nuovo a rompervi le Pluffe con un’altra Shot
che ha partecipato
all'ennesimo contest, che dire?
Una
George/Angelina che è andata decisamente Oltre Ogni
Previsione. Il secondo
posto proprio non me l’aspettavo per non parlare del premio
per Miglior
utilizzo del paring scelto, la giudicia è stata decisamente
troppo buona! Bon,
vorrei spiegarvi il titolo della storia ma penso che sia più
giusto darvi una
sorta di spiegazione alla fine perché non vi voglio rovinare
la lettura, sta di
fatto che non ho trovato mai tanta difficoltà nello scrivere
di una coppia.
Data la lunghezza della shot ho deciso di dividerla in due parti, nel
prossimo
capitolo troverete il giudizio della giudicia e i chiarimenti sul
titolo J…
Vi
lascio alla lettura, ovviamente se mi lascerete un commentino
sarò più che
felice!!!
I
personaggi di questa storia appartengono quasi tutti a J. K. Rowling. I
fatti
narrati di seguito non sono mai accaduti nella saga di Harry Potter.
Questa
storia è stata scritta senza nessun’intenzione di
lucro, si ritiene, quindi,
che nessun diritto di copyright sia stato violato.
Love
Lost
Prima
Parte
L’amore
non si vede in un luogo
e
non si cerca con gli occhi del corpo.
Non
si odono le sue parole e quando viene a te
non
si odono i suoi passi. (S. Agostino)
Gettò in malo
modo la giacca nera sul bancone.
Si poggiò alla superficie lucida e allentò il
nodo della cravatta.
Chiuse
gli occhi e ispirò profondamente.
Non
sarebbe
dovuto tornare lì.
Quello
era il posto che glielo ricordava maggiormente e lui non era stato
capace di
starne lontano.
Almeno
per quel
giorno.
Era
fuggito da tutto e da tutti.
Non
riusciva a sopportarlo.
Sentì
il tintinnio familiare dei campanelli della porta.
-
Siamo chiusi, non avete letto il cartello? – il tono
incolore, non aveva
nemmeno guardato chi fosse entrato.
-
Siete chiusi anche per una vecchia amica? – la voce che aveva
risposto era fin
troppo familiare per non invitarla ad entrare.
George
aprì gli occhi per incontrare lo sguardo scuro della
ragazza. Era ancora ferma
sulla soglia, poteva scorgerne solo il busto che faceva capolino dalla
porta a
vetri, come a chiedere il permesso.
-
Angelina – tentò un sorriso – vieni
pure!
La vide entrare con
circospezione e guardarsi
intorno quasi ad accertarsi che fosse tutto al suo posto. Dal box
vicino al
bancone provenivano gli urletti delle Puffole Pigmee, una delle tante
invenzioni emise uno sbuffo di fumo e si sentiva chiaramente il
ribollire delle
pozioni nel laboratorio sul retro.
Eppure
c’era
troppo silenzio.
-
Immaginavo di trovarti qui. – si era fermata a un paio di
passi da lui,
indossava un abito nero e aveva i capelli raccolti. Evidentemente era
stata
alla funzione ma lui non l’aveva vista.
Si
limitò ad annuire con la testa china.
-
Per quello che può valere mi…mi dispiace.
Si
sentì stringere la mano; ricambiò la stretta alla
ricerca di un appiglio che lo
portasse lontano da quella realtà. – Grazie.
Poco
più di un sussurro.
-
Perché non sei a casa con i tuoi? – la ragazza
aveva intrecciato le dita con le
sue con una dolcezza infinita e lo guardava dal basso in attesa di una
risposta.
-
Questa è casa mia.- le strinse la mano fino a farla gemere
al limite del
dolore –
Questo era…il nostro sogno. –
Rimasero in silenzio per alcuni minuti.
Avrebbe
voluto piangere.
Avrebbe
voluto urlare.
Ma
rimase lì fermo impassibile con quell’espressione
indecifrabile sul volto. La
stessa espressione che aveva sfoggiato al funerale, quella che assumeva
ogni
volta che sua madre lo guardava e scoppiava a piangere.
Continuava
a ripetersi che suo fratello era morto lottando per quello in cui
credeva, ma
non lo faceva stare meglio.
Era
come se gli avessero strappato l’anima in due parti.
-
Ange, ti dispiacerebbe lasciarmi solo?
Angelina
gli lasciò delicatamente la mano per poi dirigersi verso
l’uscita, la vide
aprire la porta prima di voltarsi e richiamarlo. – George.
-
Si.
-
A fine agosto c’è la mia prima partita con le
Holyhead, se ti fa piacere… - era
titubante, voleva lasciarlo con un pensiero più leggero,
distrarlo per un
attimo da tutto quel dolore - …se ti fa piacere
venire…
Non
era certo che la sua fosse solo cortesia – Certamente.
-
Ma solo se non ti crea… - si affrettò ad
aggiungere lei trovandolo così deciso.
-
Ci sarò. Te lo prometto.
All’ennesimo boato
del pubblico credette che
la gradinata avrebbe potuto cedere da un momento all’altro. I
tifosi si erano
alzati tutti in piedi quando le Holyhead Harpies avevano nuovamente
segnato e
la struttura in legno aveva cominciato a tremare in una maniera quasi
inquietante.
George
si ritrovò a pensare che in effetti era passato tantissimo
tempo dall’ultima
partita che aveva visto e che probabilmente non era più
abituato a tutta
quell’euforia.
La
squadra quel giorno stava dando il meglio di se contro i Puddlemere
United, le
ragazze avevano messo a segno dei tiri niente male e i cercatori
continuavano
la loro folle corsa dietro il boccino.
Angelina
in campo era semplicemente
fantastica, sotto pressione rendeva come una macchina da guerra. Quando
era
stata Capitano dei Grifondoro in certe occasioni si era ritrovato a
rimpiangere
Baston.
A
Baston avrebbe
potuto tirare un bolide.
A
quel pensiero sorrise.
Sì,
ad Oliver avrebbe potuto tirare un bolide senza troppe ripercussioni,
con Angelina
invece ogni allenamento significava subire torture fisiche e
psicologiche. Quella
ragazza con un semplice sguardo avrebbe potuto raggelare
l’inferno, per cui il
ribattere ad un suo ordine significava fatica doppia non solo per se ma
per
tutta la squadra, il che in pratica voleva dire che i tuoi compagni ti
avrebbero reso la settimana successiva un inferno.
Non aveva ben capito
perché per lui e Fred
quella settimana d’inferno fosse durata tre mesi.
-
Johnson afferra la pluffa e si dirige verso gli anelli avversari,
schiva un
bolide all’ultimo momento, – lo speaker aveva
ripreso a commentare la partita
dopo un attimo di concitazione tra i battitori della due squadre - gli
avversai
non riescono a fermare la sua avanzata. Johnson tira. E ancora dieci
punti alle
Holyhead Harpies che incrementano i loro vantaggio. Le ragazze stanno
dando del
filo da torcere alla squadra di casa!
Altro
che del
filo da torcere, li stanno massacrando.
-
La Johnson è al suo debutto con le Holyhead e si sta
decisamente facendo
notare, il nuovo acquisto della squadra ha talento da
vendere…un attimo! Sembra
che i cercatori abbiano individuato il boccino. Bell si lancia in
picchiata
verso il campo subito seguito dalla Roberts, ormai sono a venti metri
dal suolo
e…Bell viene colpito da un bolide e casca a terra mentre
Roberts afferra il
boccino e la partita si conclude con una vincita schiacciante delle
Holyhead.
L’ultima frase
dello speaker era stata coperta
del fragore e dalle urla dei tifosi. La gradinata stava intonando un
canto per
la squadra e striscioni e bandierine non la smettevano di sventolare.
I
giocatori erano atterrati sul prato curato del campo da Quiddich e si
erano
dati ai festeggiamenti. Si alzò dal suo posto e
cominciò a farsi largo tra la
folla per raggiungere l’uscita degli spogliatoi.
Probabilmente
avrebbe dovuto aspettare molto.
Non credeva che
l’unica squadra interamente al
femminile del campionato riscuotesse tutto quel successo;
l’uscita degli
spogliatoi era letteralmente ingombra di tifosi fin troppo esaltati per
i suoi
gusti.
Si
era appena messo in disparte rassegnato ad un’interminabile
attesa, quando un
addetto alla sicurezza gli si avvicinò.
-
Tu sei Weasley, vero? Quello di Tiri Vispi Weasley.
-
Ehm si. Perché? – era rimasto un po’
sorpreso da quell’interessamento.
-
Oh, mio figlio ti adora! Ogni volta che veniamo a Diagon Alley mi
trascina al
negozio e sai, una volta ha fatto prender un colpo a mia
moglie…- aveva perso
il filo del discorso, l’uomo che all’inizio lo
aveva intimorito per la sua
stazza ora gli stava sorridendo cordialmente e gli stava raccontando
gli
aneddoti del figlio.
-
Bè dimmi se posso fare qualcosa per te! Certo non ti posso
promettere un
appuntamento con una delle giocatrici, ma posso procurarti tutti gli
autografi
che vuoi e anche delle foto se… - la cordialità
dell’uomo era a dir poco
ammirevole.
-
Potresti portare un messaggio ad una delle giocatrici? – in
fondo tentare non
costava nulla.
-
Ma certo!
-
Diresti ad Angelina Johnson che un vecchio amico la vorrebbe salutare?
– non
aveva fatto in tempo a terminare la richiesta che l’addetto
alla sicurezza si
era già dileguato tra la folla.
Dopo
pochi minuti lo vide ritornare con un sorriso raggiante –
Dice che appena i
tifosi se ne vanno riuscirà ad uscire. Io nel frattempo
posso portarti nel
corridoio che porta agli spogliatoi.
Non gli sembrava vero che
quel colpo di
fortuna fosse capitato proprio a
lui.
-
Ti ringrazio infinitamente…ehm, credo di non aver capito
come ti chiami! –
l’uomo se possibile sorrise ancora di più e si
affrettò a stringergli la mano
che gli aveva teso.
-
Jack, mi chiamo Jack!
-
Bè, ti ringrazio infintamente Jack e ti assicuro che la
prossima volta che
passerai al negozio ti sarà riservato un trattamento
speciale.
Si lasciò
condurre al posto indicatogli.
Il
lungo corridoio era protetto dal calore asfissiante di quella giornata
d’agosto,
non appena le grandi porte si chiusero alle sue spalle fu avvolto dal
silenzio.
Poggiò la schiena contro il muro fresco, la gamba destra
piegata e il piede a
contatto con il muro, e chiuse gli occhi godendosi la
tranquillità di quel
posto.
Non ci volle poi molto prima
che i membri
delle squadre cominciassero ad uscire; ad una decina di metri da lui
Angelina
uscì da una porta dalla quale provenivano delle voci
femminili.
-
Ehi Ange! deve essere un tipo molto interessante se riesce a farti
uscire per
prima dagli spogliatoi! – l’affermazione era stata
seguita da uno scroscio di
risate e da un’imprecazione poco velata della ragazza che
aveva parlato,
evidentemente Angelina le aveva tirato qualcosa.
-
È solo un amico!
La
ragazza appena lo notò chiuse immediatamente la porta in
evidente imbarazzo. La
guardò avvicinarsi mentre si riavviava i capelli dieto le
orecchie, quando si
fermò di fronte a lui non poté evitare di
sorriderle.
-
Sei venuto.
-
Te l’avevo promesso! – Angelina rimase spiazzata
dalla sua risposta, in fondo
le occasioni in cui era stato così serio si contavano sulle
dita di una mano.
Semplicemente lei non era abituata a vederlo in quel modo.
-
Si…bè, non credevo che…-
cominciò a balbettare.
-
Che ne dici se ti offro una Burrobirra? Dovremo pur festeggiare questa
vittoria!
Angelina
gli sorrise largamente – Volentieri!
La
prese per mano appena prima di smaterializzarsi.
Riapparvero
ai Tre Manici di Scopa.
La
sensazione di familiare calore lo colpì facendolo subito
sentire a suo agio,
cercarono un tavolo libero e si accomodarono. Madama Rosmerta
arrivò districandosi
tra i clienti portandogli l’ordinazione per poi lasciarli
nuovamente soli.
-
Gran bella partita! Non ricordavo giocassi così bene
– il sorriso furbo che le
rivolse la face ridere di gusto.
-
Ma falla finita! Non c’è bisogno di pendermi in
giro!
-
Per quello ci sono già le tue compagne? – a quella
domanda si meritò un calcio
ben assestato alla caviglia. Soffocò un gemito di dolore.
-
Capitano, mi ero anche scordato di come ci maltrattavi! – se
possibile la
ragazza sembrò ancora più offesa. – Dai
sto scherzando!
La vide rilassarsi contro lo
schienale della
sedia, aveva le mani strette attorno al suo bicchiere di Acquaviola.
Cominciarono
a parlare del più e del meno, di come trascorrevano le loro
giornate, del
negozio, di come erano gli allenamenti di una squadra professionista e
dei
tempi di Hogwarts.
-
Posso farti una domanda?
George
sapeva perfettamente che si stava addentrando in un territorio
pericoloso. Con
il passare degli anni ad Hogwarts aveva capito quanto Angelina fosse
chiusa e
introversa.
Una
roccia.
Decisa
a raggiungere tutti i suoi obiettivi. Forse era un po’ troppo
rigida e
disciplinata, non lasciava mai trapelare i suoi sentimenti, esporsi
agli altri
era qualcosa che la metteva a disagio.
In
sette anni non l’aveva mai vista piangere.
Certo
si arrabbiava, diventava una furia sul campo da Quiddich ma questo era
tutto
ciò che si riusciva ad ottenere da lei, niente che andasse
oltre la sua garbata
educazione
La
ragazza si fece seria ed annuì – Dimmi.
Inspirò
lentamente prima di formulare la
domanda.
-
Cosa…che cosa c’era esattamente tra te e Fred?
Gli occhi scuri della
ragazza sfuggirono al
suo sguardo indagatore.
-
Diciamo che io e Fred eravamo arrivati al punto in cui o si comincia
una
relazione o si resta amici. – Aveva incrociato le braccia,
quasi a volersi
proteggere da quello che implicava iniziare un discorso del genere con
lui – Se
vuoi sapere se ero innamorata…bè non te lo so
dire. – Stava soppesando ogni
parola per rispetto nei suoi confronti.
Allungò
il braccio per poterle stringere la mano, voleva cercare di facilitarle
il
compito. Non appena le sfiorò le dita lei sfuggì
al suo tocco.
-
Teneva molto a te.
La
osservò portarsi una mano alle labbra nel tentativo di
soffocare un singhiozzo,
le palpebre abbassate e il respiro lento e controllato.
Una
sola lacrima le aveva rigato la guancia.
In
sette anni
non l’aveva mai vista piangere.
-
Lo sapevo che lasciare il negozio nelle mani di Ron non era una buona
idea! –
lo sguardo dardeggiante che le rivolse valeva più di mille
parole.
Era da circa
un’ora che stavano sistemando il
magazzino del negozio ed era circa un'ora che George non faceva altro
che
sbuffare. Si era offerta di aiutarlo visto che erano sotto Natale, il
che
voleva dire clienti ad ogni ora, folle scalmanate di ragazzini e
commessi
sempre meno pazienti. Si era offerta di aiutarlo visto che il lavoro
era rimasto
indietro a causa sua. George era andato a vederla giocare e aveva
lasciato il
negozio nelle mani del povero Ron, tutto solo in balia di bambini e
genitori.
Chiuse
gli occhi nel tentativo si placare la frustrazione.
-
George adesso non dare la colpa a me!
-
Ma è tutta colpa tua! – Angelina lasciò
immediatamente andare lo scatolone che
tenevano sollevato facendolo cadere sui piedi del ragazzo e spargendo a
terra
un’intera partita di Orecchie Oblunghe.
L’imprecazione
che seguì quel gesto era tutto fuorché carina.
Incrociò
le braccia sotto il seno – Mi pare che ti stia aiutando!
Sospirò
e si chinò a raccogliere gli oggetti appena caduti, a volte
quel ragazzo era in
grado di farle perdere la pazienza in una maniera del tutto unica.
Dal suo debutto con le
Holyhead avevano
cominciato a vedersi più regolarmente: George andava alle
partite o a casa sua
per un tè, oppure lei faceva un salto in negozio per un
saluto.
Spesso
si ritrovavano a parlare di Fred.
Ogni
volta era una pugnalata al cuore, un dolore sordo al petto che li aveva
avvicinati come non mai.
Non riusciva neanche
lontanamente immaginare
come si sentisse George al riguardo.
Il
semplice guardarlo le procurava un malessere che non credeva possibile,
una
morsa che portava a galla tanti ricordi.
Troppi
ricordi.
Ricordi
che lei continuava a ricacciare indietro pur di non provare ancora quel
dolore.
-
Scusa…dovrei ringraziarti invece che perdere le staffe.
– Il suo tono di voce
era davvero dispiaciuto.
-
Non importa. Sono solo un po’ nervosa…- non
l’aveva neanche guardato nel
rispondergli.
Prese l’ennesimo
scatolone e in punta di piedi
cercò si rimetterlo al suo posto su di uno scaffale troppo
alto per lei; George
le venne subito in aiuto alle sue spalle spingendo
la scatola sul ripiano ed evitandole
anche una caduta a terra.
Il ragazzo le
passò le mani sulle braccia fino
a raggiungere le spalle.
-
Mi dispiace davvero.
Si
voltò per poterlo guardare in faccia ma rimase spiazzata.
Non si aspettava
fosse così vicino.
Il
ragazzo aveva poggiato le mani sullo scaffale alle sue spalle ed ora si
trovava
intrappolata tra il suo corpo e il metallo freddo.
Troppo
vicini.
Percepì
distintamente il battito accelerato del cuore contro il petto.
In
quei mesi aveva imparato a conoscere un George diverso da come se lo
ricordava,
difficile da interpretare e da gestire. Aveva dovuto fare i conti con
una nuova
Angelina che veniva fuori solo in presenza del ragazzo che si trovava
di fronte
a lei in quel momento.
A volte si era ritrovata a
desiderare
disperatamente che il vecchio George tornasse, leggero, spensierato, e
che la
smettesse di farla sentire strana.
George
le accarezzò una guancia.
Bisognosa.
Angelina
gli scansò i capelli che gli ricadevano sugli occhi.
– Dovresti tagliarli, sai?
Lo
vide annuire leggermente prima di calarle sul volto e sfiorarle le labbra con le sue.
Indispensabile.
Approfondire
il baciò fu solo una naturale conseguenza. Il ragazzo le
spingeva la nuca per
avvicinarla maggiormente.
Si
baciavano piano, come in un sogno, le mani che correvano ad ogni
centimetro del
viso che fosse accessibile.
-
George! C’è un certo Jack che ti cerca!
La
voce di Ron li riportò bruscamente alle realtà.
Di riflesso lei indietreggiò
sbattendo contro lo scaffale e facendo cadere alcuni scatoloni. Si
guardò
intorno disorientata.
Velocemente
recuperò sciarpa e cappotto e uscì.