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Autore: Ciara    22/06/2011    4 recensioni
In quei mesi aveva imparato a conoscere un George diverso da come se lo ricordava, difficile da interpretare e da gestire. Aveva dovuto fare i conti con una nuova Angelina che veniva fuori solo in presenza del ragazzo che si trovava di fronte a lei in quel momento.
A volte si era ritrovata a desiderare disperatamente che il vecchio George tornasse, leggero, spensierato e che la smettesse di farla sentire strana.
Storia classificatasi seconda al "Love Game contest" indetto da elelele sul foum di EFP guardagnandosi il Premio Lentezza e il Miglior utilizzo del paring scelto.
Genere: Introspettivo, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Angelina Johnson, George Weasley
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Oh bene! eccomi di nuovo a rompervi le Pluffe con un’altra Shot che ha partecipato all'ennesimo contest, che dire?

Una George/Angelina che è andata decisamente Oltre Ogni Previsione. Il secondo posto proprio non me l’aspettavo per non parlare del premio per Miglior utilizzo del paring scelto, la giudicia è stata decisamente troppo buona! Bon, vorrei spiegarvi il titolo della storia ma penso che sia più giusto darvi una sorta di spiegazione alla fine perché non vi voglio rovinare la lettura, sta di fatto che non ho trovato mai tanta difficoltà nello scrivere di una coppia. Data la lunghezza della shot ho deciso di dividerla in due parti, nel prossimo capitolo troverete il giudizio della giudicia e i chiarimenti sul titolo J

Vi lascio alla lettura, ovviamente se mi lascerete un commentino sarò più che felice!!! 

 

I personaggi di questa storia appartengono quasi tutti a J. K. Rowling. I fatti narrati di seguito non sono mai accaduti nella saga di Harry Potter. Questa storia è stata scritta senza nessun’intenzione di lucro, si ritiene, quindi, che nessun diritto di copyright sia stato violato.

 

Love Lost

Prima Parte

 

L’amore non si vede in un luogo

e non si cerca con gli occhi del corpo.

Non si odono le sue parole e quando viene a te

non si odono i suoi passi. (S. Agostino)

 

 Gettò in malo modo la giacca nera sul bancone. Si poggiò alla superficie lucida e allentò il nodo della cravatta.

Chiuse gli occhi e ispirò profondamente.

Non sarebbe dovuto tornare lì.

Quello era il posto che glielo ricordava maggiormente e lui non era stato capace di starne lontano.

Almeno per quel giorno.

Era fuggito da tutto e da tutti.

Non riusciva a sopportarlo.

Sentì il tintinnio familiare dei campanelli della porta.

- Siamo chiusi, non avete letto il cartello? – il tono incolore, non aveva nemmeno guardato chi fosse entrato.

- Siete chiusi anche per una vecchia amica? – la voce che aveva risposto era fin troppo familiare per non invitarla ad entrare.

George aprì gli occhi per incontrare lo sguardo scuro della ragazza. Era ancora ferma sulla soglia, poteva scorgerne solo il busto che faceva capolino dalla porta a vetri, come a chiedere il permesso.

- Angelina – tentò un sorriso – vieni pure!

 La vide entrare con circospezione e guardarsi intorno quasi ad accertarsi che fosse tutto al suo posto. Dal box vicino al bancone provenivano gli urletti delle Puffole Pigmee, una delle tante invenzioni emise uno sbuffo di fumo e si sentiva chiaramente il ribollire delle pozioni nel laboratorio sul retro.

Eppure c’era troppo silenzio.

- Immaginavo di trovarti qui. – si era fermata a un paio di passi da lui, indossava un abito nero e aveva i capelli raccolti. Evidentemente era stata alla funzione ma lui non l’aveva vista.

Si limitò ad annuire con la testa china.

- Per quello che può valere mi…mi dispiace.

Si sentì stringere la mano; ricambiò la stretta alla ricerca di un appiglio che lo portasse lontano da quella realtà. – Grazie.

Poco più di un sussurro.

- Perché non sei a casa con i tuoi? – la ragazza aveva intrecciato le dita con le sue con una dolcezza infinita e lo guardava dal basso in attesa di una risposta.

- Questa è casa mia.- le strinse la mano fino a farla gemere al limite del dolore  – Questo era…il nostro sogno. – Rimasero in silenzio per alcuni minuti.

Avrebbe voluto piangere.

Avrebbe voluto urlare.

Ma rimase lì fermo impassibile con quell’espressione indecifrabile sul volto. La stessa espressione che aveva sfoggiato al funerale, quella che assumeva ogni volta che sua madre lo guardava e scoppiava a piangere.

Continuava a ripetersi che suo fratello era morto lottando per quello in cui credeva, ma non lo faceva stare meglio.

Era come se gli avessero strappato l’anima in due parti.

- Ange, ti dispiacerebbe lasciarmi solo?

Angelina gli lasciò delicatamente la mano per poi dirigersi verso l’uscita, la vide aprire la porta prima di voltarsi e richiamarlo. – George.

- Si.

- A fine agosto c’è la mia prima partita con le Holyhead, se ti fa piacere… - era titubante, voleva lasciarlo con un pensiero più leggero, distrarlo per un attimo da tutto quel dolore - …se ti fa piacere venire…

Non era certo che la sua fosse solo cortesia – Certamente.

- Ma solo se non ti crea… - si affrettò ad aggiungere lei trovandolo così deciso.

- Ci sarò. Te lo prometto.

 

 

 All’ennesimo boato del pubblico credette che la gradinata avrebbe potuto cedere da un momento all’altro. I tifosi si erano alzati tutti in piedi quando le Holyhead Harpies avevano nuovamente segnato e la struttura in legno aveva cominciato a tremare in una maniera quasi inquietante.

George si ritrovò a pensare che in effetti era passato tantissimo tempo dall’ultima partita che aveva visto e che probabilmente non era più abituato a tutta quell’euforia.

La squadra quel giorno stava dando il meglio di se contro i Puddlemere United, le ragazze avevano messo a segno dei tiri niente male e i cercatori continuavano la loro folle corsa dietro il boccino.

  Angelina in campo era semplicemente fantastica, sotto pressione rendeva come una macchina da guerra. Quando era stata Capitano dei Grifondoro in certe occasioni si era ritrovato a rimpiangere Baston.

A Baston avrebbe potuto tirare un bolide.

A quel pensiero sorrise.

Sì, ad Oliver avrebbe potuto tirare un bolide senza troppe ripercussioni, con Angelina invece ogni allenamento significava subire torture fisiche e psicologiche. Quella ragazza con un semplice sguardo avrebbe potuto raggelare l’inferno, per cui il ribattere ad un suo ordine significava fatica doppia non solo per se ma per tutta la squadra, il che in pratica voleva dire che i tuoi compagni ti avrebbero reso la settimana successiva un inferno.

 Non aveva ben capito perché per lui e Fred quella settimana d’inferno fosse durata tre mesi.

- Johnson afferra la pluffa e si dirige verso gli anelli avversari, schiva un bolide all’ultimo momento, – lo speaker aveva ripreso a commentare la partita dopo un attimo di concitazione tra i battitori della due squadre - gli avversai non riescono a fermare la sua avanzata. Johnson tira. E ancora dieci punti alle Holyhead Harpies che incrementano i loro vantaggio. Le ragazze stanno dando del filo da torcere alla squadra di casa!

Altro che del filo da torcere, li stanno massacrando.

- La Johnson è al suo debutto con le Holyhead e si sta decisamente facendo notare, il nuovo acquisto della squadra ha talento da vendere…un attimo! Sembra che i cercatori abbiano individuato il boccino. Bell si lancia in picchiata verso il campo subito seguito dalla Roberts, ormai sono a venti metri dal suolo e…Bell viene colpito da un bolide e casca a terra mentre Roberts afferra il boccino e la partita si conclude con una vincita schiacciante delle Holyhead.

 L’ultima frase dello speaker era stata coperta del fragore e dalle urla dei tifosi. La gradinata stava intonando un canto per la squadra e striscioni e bandierine non la smettevano di sventolare.

I giocatori erano atterrati sul prato curato del campo da Quiddich e si erano dati ai festeggiamenti. Si alzò dal suo posto e cominciò a farsi largo tra la folla per raggiungere l’uscita degli spogliatoi.

Probabilmente avrebbe dovuto aspettare molto.

 Non credeva che l’unica squadra interamente al femminile del campionato riscuotesse tutto quel successo; l’uscita degli spogliatoi era letteralmente ingombra di tifosi fin troppo esaltati per i suoi gusti.

Si era appena messo in disparte rassegnato ad un’interminabile attesa, quando un addetto alla sicurezza gli si avvicinò.

- Tu sei Weasley, vero? Quello di Tiri Vispi Weasley.

- Ehm si. Perché? – era rimasto un po’ sorpreso da quell’interessamento.

- Oh, mio figlio ti adora! Ogni volta che veniamo a Diagon Alley mi trascina al negozio e sai, una volta ha fatto prender un colpo a mia moglie…- aveva perso il filo del discorso, l’uomo che all’inizio lo aveva intimorito per la sua stazza ora gli stava sorridendo cordialmente e gli stava raccontando gli aneddoti del figlio.

- Bè dimmi se posso fare qualcosa per te! Certo non ti posso promettere un appuntamento con una delle giocatrici, ma posso procurarti tutti gli autografi che vuoi e anche delle foto se… - la cordialità dell’uomo era a dir poco ammirevole.

- Potresti portare un messaggio ad una delle giocatrici? – in fondo tentare non costava nulla.

- Ma certo!

- Diresti ad Angelina Johnson che un vecchio amico la vorrebbe salutare? – non aveva fatto in tempo a terminare la richiesta che l’addetto alla sicurezza si era già dileguato tra la folla.

Dopo pochi minuti lo vide ritornare con un sorriso raggiante – Dice che appena i tifosi se ne vanno riuscirà ad uscire. Io nel frattempo posso portarti nel corridoio che porta agli spogliatoi.

 Non gli sembrava vero che quel colpo di fortuna fosse capitato proprio  a lui.

- Ti ringrazio infinitamente…ehm, credo di non aver capito come ti chiami! – l’uomo se possibile sorrise ancora di più e si affrettò a stringergli la mano che gli aveva teso.

- Jack, mi chiamo Jack!

- Bè, ti ringrazio infintamente Jack e ti assicuro che la prossima volta che passerai al negozio ti sarà riservato un trattamento speciale. 

 Si lasciò condurre al posto indicatogli.

Il lungo corridoio era protetto dal calore asfissiante di quella giornata d’agosto, non appena le grandi porte si chiusero alle sue spalle fu avvolto dal silenzio. Poggiò la schiena contro il muro fresco, la gamba destra piegata e il piede a contatto con il muro, e chiuse gli occhi godendosi la tranquillità di quel posto.

 Non ci volle poi molto prima che i membri delle squadre cominciassero ad uscire; ad una decina di metri da lui Angelina uscì da una porta dalla quale provenivano delle voci femminili.

- Ehi Ange! deve essere un tipo molto interessante se riesce a farti uscire per prima dagli spogliatoi! – l’affermazione era stata seguita da uno scroscio di risate e da un’imprecazione poco velata della ragazza che aveva parlato, evidentemente Angelina le aveva tirato qualcosa.

- È solo un amico!

La ragazza appena lo notò chiuse immediatamente la porta in evidente imbarazzo. La guardò avvicinarsi mentre si riavviava i capelli dieto le orecchie, quando si fermò di fronte a lui non poté evitare di sorriderle.

- Sei venuto.

- Te l’avevo promesso! – Angelina rimase spiazzata dalla sua risposta, in fondo le occasioni in cui era stato così serio si contavano sulle dita di una mano. Semplicemente lei non era abituata a vederlo in quel modo.

- Si…bè, non credevo che…- cominciò a balbettare.

- Che ne dici se ti offro una Burrobirra? Dovremo pur festeggiare questa vittoria!

Angelina gli sorrise largamente – Volentieri!

La prese per mano appena prima di smaterializzarsi.

Riapparvero ai Tre Manici di Scopa.

La sensazione di familiare calore lo colpì facendolo subito sentire a suo agio, cercarono un tavolo libero e si accomodarono. Madama Rosmerta arrivò districandosi tra i clienti portandogli l’ordinazione per poi lasciarli nuovamente soli.

- Gran bella partita! Non ricordavo giocassi così bene – il sorriso furbo che le rivolse la face ridere di gusto.

- Ma falla finita! Non c’è bisogno di pendermi in giro!

- Per quello ci sono già le tue compagne? – a quella domanda si meritò un calcio ben assestato alla caviglia. Soffocò un gemito di dolore.

- Capitano, mi ero anche scordato di come ci maltrattavi! – se possibile la ragazza sembrò ancora più offesa. – Dai sto scherzando!

 La vide rilassarsi contro lo schienale della sedia, aveva le mani strette attorno al suo bicchiere di Acquaviola.

Cominciarono a parlare del più e del meno, di come trascorrevano le loro giornate, del negozio, di come erano gli allenamenti di una squadra professionista e dei tempi di Hogwarts.

- Posso farti una domanda?

George sapeva perfettamente che si stava addentrando in un territorio pericoloso. Con il passare degli anni ad Hogwarts aveva capito quanto Angelina fosse chiusa e introversa.

Una roccia.

Decisa a raggiungere tutti i suoi obiettivi. Forse era un po’ troppo rigida e disciplinata, non lasciava mai trapelare i suoi sentimenti, esporsi agli altri era qualcosa che la metteva a disagio.

In sette anni non l’aveva mai vista piangere.

Certo si arrabbiava, diventava una furia sul campo da Quiddich ma questo era tutto ciò che si riusciva ad ottenere da lei, niente che andasse oltre la sua garbata educazione

La ragazza si fece seria ed annuì – Dimmi.

 Inspirò lentamente prima di formulare la domanda.

- Cosa…che cosa c’era esattamente tra te e Fred?

 Gli occhi scuri della ragazza sfuggirono al suo sguardo indagatore.

- Diciamo che io e Fred eravamo arrivati al punto in cui o si comincia una relazione o si resta amici. – Aveva incrociato le braccia, quasi a volersi proteggere da quello che implicava iniziare un discorso del genere con lui – Se vuoi sapere se ero innamorata…bè non te lo so dire. – Stava soppesando ogni parola per rispetto nei suoi confronti.

Allungò il braccio per poterle stringere la mano, voleva cercare di facilitarle il compito. Non appena le sfiorò le dita lei sfuggì al suo tocco.

- Teneva molto a te.

La osservò portarsi una mano alle labbra nel tentativo di soffocare un singhiozzo, le palpebre abbassate e il respiro lento e controllato.

Una sola lacrima le aveva rigato la guancia.

In sette anni non l’aveva mai vista piangere.

 

 

- Lo sapevo che lasciare il negozio nelle mani di Ron non era una buona idea! – lo sguardo dardeggiante che le rivolse valeva più di mille parole.

 Era da circa un’ora che stavano sistemando il magazzino del negozio ed era circa un'ora che George non faceva altro che sbuffare. Si era offerta di aiutarlo visto che erano sotto Natale, il che voleva dire clienti ad ogni ora, folle scalmanate di ragazzini e commessi sempre meno pazienti. Si era offerta di aiutarlo visto che il lavoro era rimasto indietro a causa sua. George era andato a vederla giocare e aveva lasciato il negozio nelle mani del povero Ron, tutto solo in balia di bambini e genitori.

Chiuse gli occhi nel tentativo si placare la frustrazione.

- George adesso non dare la colpa a me!

- Ma è tutta colpa tua! – Angelina lasciò immediatamente andare lo scatolone che tenevano sollevato facendolo cadere sui piedi del ragazzo e spargendo a terra un’intera partita di Orecchie Oblunghe.

L’imprecazione che seguì quel gesto era tutto fuorché carina.

Incrociò le braccia sotto il seno – Mi pare che ti stia aiutando!

Sospirò e si chinò a raccogliere gli oggetti appena caduti, a volte quel ragazzo era in grado di farle perdere la pazienza in una maniera del tutto unica.

 Dal suo debutto con le Holyhead avevano cominciato a vedersi più regolarmente: George andava alle partite o a casa sua per un tè, oppure lei faceva un salto in negozio per un saluto.

Spesso si ritrovavano a parlare di Fred.

Ogni volta era una pugnalata al cuore, un dolore sordo al petto che li aveva avvicinati come non mai.

 Non riusciva neanche lontanamente immaginare come si sentisse George al riguardo.

Il semplice guardarlo le procurava un malessere che non credeva possibile, una morsa che portava a galla tanti ricordi.

Troppi ricordi.

Ricordi che lei continuava a ricacciare indietro pur di non provare ancora quel dolore.

- Scusa…dovrei ringraziarti invece che perdere le staffe. – Il suo tono di voce era davvero dispiaciuto.

- Non importa. Sono solo un po’ nervosa…- non l’aveva neanche guardato nel rispondergli.

 Prese l’ennesimo scatolone e in punta di piedi cercò si rimetterlo al suo posto su di uno scaffale troppo alto per lei; George le venne subito in aiuto alle sue spalle  spingendo la scatola sul ripiano ed evitandole anche una caduta a terra.

 Il ragazzo le passò le mani sulle braccia fino a raggiungere le spalle.

- Mi dispiace davvero.

Si voltò per poterlo guardare in faccia ma rimase spiazzata. Non si aspettava fosse così vicino.

Il ragazzo aveva poggiato le mani sullo scaffale alle sue spalle ed ora si trovava intrappolata tra il suo corpo e il metallo freddo.

Troppo vicini.

Percepì distintamente il battito accelerato del cuore contro il petto.

In quei mesi aveva imparato a conoscere un George diverso da come se lo ricordava, difficile da interpretare e da gestire. Aveva dovuto fare i conti con una nuova Angelina che veniva fuori solo in presenza del ragazzo che si trovava di fronte a lei in quel momento.

 A volte si era ritrovata a desiderare disperatamente che il vecchio George tornasse, leggero, spensierato, e che la smettesse di farla sentire strana.

George le accarezzò una guancia.

Bisognosa.

Angelina gli scansò i capelli che gli ricadevano sugli occhi. – Dovresti tagliarli, sai?

Lo vide annuire leggermente prima di calarle sul volto e sfiorarle  le labbra con le sue.

Indispensabile.

Approfondire il baciò fu solo una naturale conseguenza. Il ragazzo le spingeva la nuca per avvicinarla maggiormente.

Si baciavano piano, come in un sogno, le mani che correvano ad ogni centimetro del viso che fosse accessibile.

- George! C’è un certo Jack che ti cerca!    

La voce di Ron li riportò bruscamente alle realtà. Di riflesso lei indietreggiò sbattendo contro lo scaffale e facendo cadere alcuni scatoloni. Si guardò intorno disorientata.

Velocemente recuperò sciarpa e cappotto e uscì.

Continua...
  
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